Solo con la pace - Il Giornale di Monte

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Transcript Solo con la pace - Il Giornale di Monte

Anno VII - n. 5
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“Solo con la pace
20 gennaio · 2017
’’
pace
c’è la possibilità di un futuro per tutti”
OMMARIO
Michelangelo Mansueto
Mese della Pace
Liturgia
Ecumenismo e Dialogo
Memoria
Festa di s. Lorenzo vescovo
Cultura
Visita Pastorale
Libri
Casa Sollievo e le Suore Apostole
AMCI
Giornata per la Vita
Pastorale familiare
Ecclesia in Gargano
SOMM A R IO
È
quanto ha ribadito Papa Francesco a Natale sottolineando che la
speranza portata dalla nascita
del Redentore non è vana perché,
ha sottolineato, ci sono nel mondo “tanti
uomini che ogni giorno lavorano con discrezione e pazienza, in famiglia e nella società, per costruire un mondo
più umano e più giusto”. Nel ricordare poi i cristiani perseguitati il Papa ha detto che “nonostante le prove e i pericoli, essi testimoniano con coraggio
la loro appartenenza a Cristo e vivono il Vangelo impegnandosi a favore deli ultimi, dei più trascurati, facendo del bene a tutti senza distinzione; testimoniando così la carità nella verità.
Nel fare spazio dentro il nostro
cuore al Figlio di Dio, rinnoviamo la gioiosa e coraggiosa
volontà di seguirlo fedelmente come unica Guida, perseverando nel vivere secondo
la mentalità evangelica e rifiutando la mentalità dei dominatori di questo mondo”. “La violenza e la pace sono all’origine di due
opposti modi di costruire la società e il
moltiplicarsi di focolai di violenza genera gravissime e negative conseguenze sociali: il Santo Padre coglie questa
situazione nell’espressione ‘terza guerra mondiale a pezzi’”. La pace, al contrario, reca “conseguenze sociali positive e consente di realizzare un vero progresso; dobbiamo, pertanto, muoverci negli spazi del possibile negoziando strade di pace,
anche là dove tali strade appaiono tortuose e persino impraticabili”. 
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GIORNATA DELLA PACE
NONVIOLENZA COME STILE
Antonia Palumbo
L
a «nonviolenza attiva e creativa» come «stile di vita» è al centro del messaggio del Papa per la
50^ Giornata Mondiale della Pace,
celebrata lo scorso 1° gennaio 2017.
Il documento pontificio di quest’anno ricorda anzitutto le origini della giornata,
istituita mezzo secolo fa da papa Paolo VI.
Quindi, auspica «che siano la carità e la
nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti
interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali». Infatti — chiarisce
subito Papa Bergoglio — «quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di
processi nonviolenti di costruzione della pace». Da qui l’auspicio che, «dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale», la nonviolenza
possa diventare «lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme».
Partendo dalla constatazione che l’umanità oggi vive in un “mondo frantumato” ma che «anche Gesù visse in tempi di violenza», il Pontefice sottolinea
come «essere veri discepoli» di Cristo oggi significhi «aderire anche alla sua
proposta di nonviolenza», la quale sebbene talvolta venga «intesa nel senso
di resa, disimpegno e passività», in realtà è molto «più potente della violenza» stessa.
Lo hanno testimoniato figure straordinarie come Teresa di Calcutta o «i successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale»; o ancora la vicenda di Leymah Gbowee e delle donne liberiane «che hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta per la conclusione della seconda guerra civile» nel Paese africano. Tra l’altro, il Papa fa notare che «se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo
all’interno della famiglia».
Insomma, “la non violenza può assumere un significato più ampio e nuovo:
non solo aspirazione, afflato, rifiuto morale della violenza, delle barriere, degli impulsi distruttivi, ma anche metodo politico realistico, aperto alla speranza”. Tale metodo politico è “fondato sul primato del diritto. Se il diritto e l’uguale dignità di ogni essere umano sono salvaguardati senza discriminazioni e distinzioni, di conseguenza la non violenza intesa come metodo politico
può costituire una via realistica per superare i conflitti armati. In questa prospettiva, è importante che si riconosca sempre più non il diritto della forza,
ma la forza del diritto”. Con questo Messaggio, Papa Francesco ha inteso
indicare un passo ulteriore, un cammino di speranza adatto alle presenti
circostanze storiche: ottenere la risoluzione delle controversie attraverso il
negoziato, evitando che esse degenerino in conflitto armato. Dietro questa
prospettiva c’è anche “il rispetto per la cultura e l’identità dei popoli, dunque
il superamento dell’idea secondo la quale una parte sia moralmente superiore a un’altra”. Allo stesso tempo, però, “questo non significa che una nazione possa essere indifferente alle tragedie di un’altra. Significa, invece, riconoscere il primato della diplomazia sul fragore delle armi. Il traffico mondiale
delle armi è così vasto da essere in genere sottostimato ed è quello che sostiene non pochi conflitti nel mondo.
La non violenza come stile politico può e deve fare molto per arginare questo flagello”. 
pace
20 gennaio 2017
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[Mese della pace]
“un progetto di vita”
Propositori di “un progetto di vita” nuovo,
di un ideale da perseguire con tenacia insieme
don Stefano Mazzone*
Saluto alle Autorità Civili e Militari per il nuovo anno
E
ccellenza,
grazie per questo invito pre
natalizio nella sua casa.
Autorità Civili e Militari e
tutti Voi qui presenti ad altro titolo, grazie per esserci, per aver accolto l’invito.
Siamo alla vigilia del Natale del Signore Nostro Gesù Cristo, festa
grande per il mondo cristiano, festa
che coinvolge, in diversi modi, anche
il mondo laico.
L’intenzione prima di questo invito
è esprimervi sensi di stima, di gratitudine, di apprezzamento, di alto
giudizio, di rispetto per il lavoro che
compite con impegno, dedizione, serietà, onestà e trasparenza nelle tante situazioni in cui siete chiamati a
svolgere il vostro dovere di Autorità civile o militare o ad altro titolo.
Siamo qui ancora per scambiarci voti augurali, auguri non innocui e né
di occasione.
Gli auguri sono auspici, desiderata,
progetti esternati … sogni.
Ognuno di noi porta “auguri” nel suo
cuore. Ce li “consegniamo” questa
mattina, reciprocamente.
E’ la vigilia della festa delle promesse compiute, della parola data e mantenuta, della fede che diventa vita …
del “Verbo fatto carne”.
Carissimi, permettetemi che vi chiami tutti con questa espressione affettuosa, carissimi lo scorso anno,
porgendovi gli auguri, nella pari occasione, mi auguravo, via auguravo
che tra noi si stabilisse un patto di
“sussidiarietà nella solidarietà”, si
progettasse e realizzasse un cammino, anche visibilmente, insieme.
Mettersi insieme, partecipare insieme, lavorare insieme.
Quanto è stato fatto?
Ci è lecito lavorare ognuno per conto
proprio, come se servissimo due padroni e non l’unico popolo?
Quanta è alta in noi la percezione
della lacerazione spirituale e socia-
VOCI
Periodico dell’Arcidiocesi di Manfredonia-ViesteSan Giovanni Rotondo
Anno VII - n. 5 del 20 gennaio 2017
Iscritto presso il Tribunale di Foggia al n. 13/2010
del Registro Periodici - Cronologico 1868/10
del Registro Pubblico della Stampa
Direttore responsabile
Alberto C avallini
Redazione
Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi
Via s. Giovanni Bosco n. 41/b - Tel 0884.581899
71043 Manfredonia
e-mail: [email protected]
[email protected]
Le foto pubblicate appartengono all’archivio fotografico
dell’Ucs dell’Arcidiocesi.
Hanno collaborato a questo numero:
don Stefano Mazzone, don Luigi Carbone, p. Rosario Messina,
don Cristiano Bettega, Efrem Valentini, Michelangelo Mansueto,
E
le che attanaglia “la comunità, la società, il popolo” che serviamo?
E’ terribile il disorientamento sociale, culturale, politico, antropologico,
filosofico, di fede che vive la nostra
gente.
La pluralità, la diversità, la molteplicità sono forza vitale per una comunità, per una società, ma il disorientamento applicato come prassi per tenere o mantenere il potere sociale,
culturale, politico, antropologico, filosofico e forse anche religioso, questo no.
Il disorientamento infatti crea, porta,
sfocia nell’indifferenza … ci siamo
abituati, non ci riguarda, non ci interessa, non è affar mio, nostro.
Mi chiedo: è ancora valida la proposta di creare “alleanze”? Alleanze
tra noi che veniamo chiamati “Autorità”?
Parlo di alleanze generative. Alleanze quali inizio di “buone prassi” collaborative.
E’ possibile una collaborazione
“franca” per progetti comuni, senza alcuna concorrenza, emulazione,
VOLT I
Antonio Stuppiello, Giovanni Chifari, Mimmo Delle Fave,
Antonio Facciorusso, Giuseppe Grasso, Giuseppe Barracane,
Daniele Nardi, Carlo Vallese, Antonio Pio Fasulo,
Vincenzo Castriotta, Domenico Trotta,
suor Michela Losito, Antonia Palumbo, Pasquina Tomaiuolo,
Nicoletta Gellotto Gentile.
Il periodico VOCI e VOLTI è iscritto alla
Stampa:
Grafiche Grilli - Via Manfredonia Km 2,200 - 71121 Foggia
Il giornale diocesano VOCI e VOLTI distribuito cartaceamente presso le parrocchie, può essere letto anche in formato elettronico o
scaricato dall’home page del sito della nostra Arcidiocesi:
www.diocesimanfredoniaviestesangiovannirotondo.it
Questo numero è stato chiuso in redazione il 16 gennaio 2017
I contributi e le riflessioni a pubblicarsi nel prossimo
numero di VOCI e VOLTI che uscirà venerdì 17
febbraio 2017, per motivi tecnici, devono giungere per e-mail in Redazione entro e non oltre lunedì
6 febbraio 2017.
competizione.
Siamo custodi di uno status quo o
propositori di “un progetto di vita”
nuovo, di un ideale da perseguire
con tenacia insieme?
Assistiamo, quasi inermi, all’evaporazione della proposta educativa e,
prima di essa forse, all’evaporazione della comunità educante … forse di noi.
Il disorientamento è premessa, di
scenari non buoni di vita comunitaria, di vita sociale.
Mi pongo una domanda Eccellenza, la rivolgo a me, mi chiedo, Onorevoli Autorità, lo dico a me, quando, alle tante domande che mi vengono rivolte, risponderò come “pastore e fratello” e non come impiegato di Chiesa? Quando risponderò, dando “risposte di dignità”, in
un “sistema”che domina su tutto,
schiaccia tutto, che “idolatra il denaro e schiaccia le persone” …?
Il disorientamento , di cui parlavo, è
frutto di un sistema che ruba la speranza e la dignità, e fa precipitare
verso rive oscure. Non è forse questo disorientamento tra le cause concomitanti della micro e della macro
criminalità, in ogni ambito, di cui
siamo, talvolta, spettatori inermi?
Allora … insieme … insieme … lavoriamo insieme pur nel rispetto reciproco delle competenze, dei campi di
intervento … Stato e Chiesa. Un’alleanza per portare l’uomo alla sua originale dignità, quale opera di Dio,
volto di Dio.
Un anno fa, novembre 2015, si concludeva a Firenze il Convegno Ecclesiale Nazionale. Era un’assemblea in
ricerca. In ricerca del Cristo Signore, del suo Volto. “Il tuo volto io cerco … non nascondermi il tuo volto”
(cf Ps 27).
Cercare la carne di Cristo.
Non una ricerca astratta, ideale, incorporea, ma ricerca della “vera carne di Cristo”.
L’assise fiorentina spronava ad incontrare il Cristo nelle tante donne e nei
tanti uomini che si incrociano ogni
giorno.
Consapevoli, pienamente consapevoli, che per tutti è nato Gesù, per tutti. Per tutti Gesù, il Cristo, ha dato se
stesso, per tutti.
Per tutti Cristo Gesù ha “assunto la
condizione di servo, si è umiliato, si
è fatto obbediente fino alla morte”(cf
Fil 2,5ss).
“Cristo Gesù da ricco che era si è fatto povero” (2 Cor 8) perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua
povertà, cioè riacquistassimo la dignità di figli, di figli di Dio. La nostra
identità, la nostra verità.
Questo è il Natale. Dio che si abbassa - kenosi – si è “annullato”.
C’è una kenosi anche per noi da compiere, per essere veri servitori del
popolo.
Per poter incontrare ogni uomo e vedere in ciascuno il volto del Cristo
cercato.
Cristo, in questo Natale 2016, rinnova ancora il suo sì, per abitare in
mezzo a noi e vuole farsi trovare.
Papa Francesco, da buon gesuita, ha
presentato, nel suo discorso al CEN
di Firenze, una terna di sentimenti
su cui far forza per essere servitori di quella porzione di umanità che
è la comunità a cui siamo stati mandati … sono gli stessi sentimenti di
Cristo Gesù (cf Fil 2,5):
«Il primo sentimento è l’umiltà.
«Ciascuno di voi, con tutta umiltà,
consideri gli altri superiori a sé stesso» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l’Apostolo parla del
fatto che Gesù non considera un «privilegio» l’essere come Dio (Fil 2,6).
Qui c’è un messaggio preciso. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria
influenza non deve far parte dei nostri sentimenti …
Un altro sentimento di Gesù che dà
forma all’umanesimo cristiano è il
disinteresse. «Ciascuno non cerchi
l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), chiede anco-
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ra san Paolo. Dunque, più che il disinteresse, dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità
del cristiano è sempre in uscita. Non
è narcisistica, autoreferenziale … Il
nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che
viene dallo Spirito Santo.
Un ulteriore sentimento di Cristo
Gesù è quello della beatitudine. Il
cristiano … ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci
indica il cammino … Ma anche nella
parte più umile della nostra gente c’è
molto di questa beatitudine: è quella
di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del
sacrificio quotidiano di un lavoro, a
volte duro e mal pagato,
ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie
miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano
una grandezza umile. Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i
tre tratti … ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il
volto di un potere utile e funzionale
… I sentimenti di Gesù ci dicono che
una Chiesa che pensa a sé stessa e ai
propri interessi sarebbe triste».
Questi i tratti che dobbiamo fare nostri, carissimi. Questi tratti ci permetteranno di incontrare ogni uomo.
“Non voglio una Chiesa preoccupata
di essere il centro e che finisce rin-
2017:
chiusa poi in un groviglio di ossessioni e procedimenti”(EG 49).
Questa nostra Chiesa diocesana ha
fatto una scelta chiara a livello pastorale. Ha scelto di dedicare forze
e tempo in quattro ambiti, definiti
anche attenzioni/urgenze, essi sono:
giovani, famiglia, mondo del lavoro e missione dei laici.
Già la Lettera Pastorale dello scorso anno metteva in evidenza questa scelta di campo … quest’anno le
Linee Pastorali dal titolo: “Il sogno
condiviso. Cristiani sulla soglia” vi
dedicano gran parte del suo contenuto. Il titolo delle Linee Pastorali
è sintesi progettuale.
Onorevoli Autorità, oggi, ancora una
volta, tendiamo a voi la mano.
Vi richiediamo: lavoriamo insieme
per il bene del popolo affidatoci.
Il Natale, mistero grande e amabile, è invito a lavorare ancora più di
quanto già facciamo per un mondo
migliore, più giusto e solidale.
Nessuno può restare insensibile alle disuguaglianze che ci circondano.
Ognuno di noi, secondo le proprie responsabilità, deve offrire il suo contributo per mettere fine alla “cultura dell’egoismo, dell’individualismo”.
Il Natale ci narra il dono incondizionato, senza limiti, di Dio.
Gesù, il nostro Dio, a Natale ci consegna il volto e il cuore suo, che è il
volto e il cuore dell’uomo, di ogni uomo … “quando fate una di queste cose
al più piccolo … l’avete fatto a me”(cf
Mt 25, 40) … allora Dio è vicino … è
con noi, l’Emmanuele. Il Natale ci riempie gli occhi di stupore e meraviglia. Proclama, annuncia, fa scorre-
re la speranza verso di noi. Fa germinare la pace … le guerre feriscono e
spezzano tante vite.
Il Natale, la pace. Sì, la pace. Dono
prezioso.
Cristo è la nostra pace. Cristo bussa
alla porta del nostro cuore per farvi entrare la pace … e allora carissimi: “apriamo, anzi spalanchiamo le
porte a Cristo” il Re della pace, fonte
della pace. Via ogni timore … non temete è stato sussurrato durante tutto questo tempo di avvento … non
temete: Gesù è la luce che rischiara le tenebre.
Gesù è la misericordia del Padre, lasciamoci trovare, lasciamoci avvicinare da Lui, lasciamoci abbracciare,
accogliamo la sua tenerezza.
Gesù è nato per tutti noi.
Conforti quanti sono provati e provocati dalla malattia, dalla sofferenza,
dal dramma della disoccupazione.
Con la nascita di Gesù tutto è cambiato, tutto cambia irreversibilmente. Cambia la nostra vita di credenti,
cambia la vita di ogni uomo.
A Natale l’impossibile è possibile.
Auguri Eccellenza, auguri Onorevoli Autorità Civili e Militari, auguri a
tutti voi qui presenti. Auguri di cuore. Auguri alle vostre famiglie, ai vostri cari. Auguri a tutti coloro che
servite con dedizione esemplare.
Ogni bene, ogni vero bene a ciascuno. Buon Anno. 
*vicario generale
(Il testo pubblicato è stato pensato in maniera discorsiva e libera …
quasi a braccio. Non è un testo impostato)
speranza
Vivere il presente con passione,
abbracciare il futuro con
A
nno nuovo, vita nuova,
recita un detto popolare
che tuttavia non sembra
riflettere la realtà in cui
viviamo, ove la spinta e lo “spirito del
nuovo” non stanno proprio attraversando la società, il mondo, noi stessi, in cui appare dominante “lo spirito della conservazione”.
A prima vista questo inizio 2017
sembra proprio doversi annoverare
più nella categoria della “conservazione” che in quella “del nuovo”.
Nel frattempo il mondo continua a
mutare, nonostante noi. E allora, o
cambiamo anche noi contribuendo
alla costruzione di un mondo nuovo,
o diventeremo impotenti laudatores
temporis acti, cioè nostalgici malinconici. Il cambiamento che procede
nella società, nonostante noi, è alimentato dalla scienza, dalla tecnologia e dalle nuove forme di comunicazione, dalla liquidità degli spazi, dei
tempi e delle relazioni umane, dalla cultura, dall’inevitabile confronto tra le culture e le religioni... e non
si ferma.
Eppure, questa fase iniziale del nuovo anno parla di un desiderio del
passato che “era comunque meglio,
anche se si stava peggio”. Alcuni ambiti ne sono l’emblema. In primis, la
situazione politica italiana: dopo il
governo Renzi, lo sguardo della classe politica guarda decisamente indietro a un modello che recupera la
tanto vituperata Prima Repubblica.
Il tentativo sembra essere quello di
rigenerare “in vitro”, con una legge
elettorale scritta ad hoc, un sistema
che non potrà più contare però sullo
spessore politico dei grandi partiti
del novecento, e che rischia di enfatizzare il maggior difetto di quel sistema: l’instabilità dei governi.
Sul versante economico, tutto guarda indietro. La crisi delle banche potrebbe far tornare di moda “i soldi
sotto il materasso”, ma soprattutto il
tema del lavoro, in particolare quello giovanile, e il dibattito sulle tutele guarda a contrastare, bandire, boicottare ogni tentativo di innovazione che in ogni caso, più che correggere eventuali storture, cerca di riproporre modelli non più sostenibili.
C’è poi la situazione ecclesiale. La
spinta riformatrice di papa Francesco continua a incontrare resistenze con una prassi ecclesiale quasi
impermeabile alle sollecitazioni del
Pontefice. Basterà replicare alcune
forme o contesti che richiamano i bei
tempi andati per affrontare la sfida
della mancanza di fede e del pluralismo religioso?
Anche nel campo della cultura, della letteratura, persino del cinema si
potrebbe osservare lo stesso denominatore comune dell’ “Indietro tutta!” ... come titolava il popolare programma televisivo degli anni ’80
condotto da Renzo Arbore.
Più proficuo e sensato, a noi pare, è
cercare di realizzare insieme quanto papa Francesco ha detto di recente ai religiosi: “Guardare al passato con gratitudine, vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con speranza”. Magari farà bene anche a noi, compiendo il nostro
cammino insieme agli altri e facendo rifiorire le aride valli dei nostri
cuori.
Con l’augurio di rendere presente
le ragioni della nostra speranza a
chiunque incontreremo dopo averne
conosciuto il nome e condiviso la storia, buon Anno a tutti!
Il direttore e la redazione
di VOCI e VOLTI
20 gennaio 2017
[Mese della pace]
[Mese della pace]
Speranze
di
dialogo
in
Iraq
Il Patriarca caldeo mar Sako:
dai musulmani vicinanza e solidarietà ai cristiani
Efrem Valentini*
I
n Iraq si assiste a “una rivolta
della base contro il terrorismo,
contro le violenze”, accompagnata da un rinnovato impegno alla “difesa della vita, della pace, della
gioia”; in questo modo “è possibile
sconfiggere quanti cercano la morte,
la distruzione, l’emigrazione”. È
quanto racconta il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, descrivendo il clima di festa che si è
respirato in questi giorni nel Paese,
nonostante episodi di violenze. Fra
i molti eventi che hanno caratterizzato questi giorni di festa, il primate caldeo cita tre esempi: gli alberi
di Natale sparsi per diversi quartieri
di Baghdad; la visita di un gruppo di
giovani musulmani sciiti di Najafdi
che ha partecipato a una messa nella
capitale; i festeggiamenti per il capodanno a Bassora e l’invito delle autorità locali ai cristiani, che chiedono
“di tornare nelle loro case”.
“La notte di Capodanno - racconta
Mar Sako - sono uscito per andare in
una piazza del quartiere di Mansour,
a Baghdad. Abbiamo festeggiato con
moltissime persone, quasi un milione di persone si sono riversate per le
strade”. “Abbiamo parlato con loro, ci
siamo scambiati gli auguri; sono piccoli gesti- aggiunge - ma che servono
a respingere l’ideologia del terrore di
Daesh” [acronimo arabo dello Stato
islamico] che anche in questi giorni
ha colpito con attacchi bomba nella
capitale”.
Il “cambiamento” è visibile, prosegue il patriarca caldeo, “soprattutto
a Baghdad, disseminata di alberi di
Natale. E poi le molte lettere di auguri da parte di autorità religiose, politiche, ma anche di attivisti civili musulmani e molta gente semplice”. “Penso
che il 2017 - sottolinea - sarà un anno diverso, forse non di pace totale
ma certo di maggiore coesione, unità.
Questa è la mia preghiera, ma è anche il sentimento comune della maggioranza dei cittadini”.
In questi giorni le autorità politiche, religiose e istituzionali di Bassora hanno lanciato un appello ai cristiani, chiedendo a quanti sono emigrati di tornare nelle loro case. Nella
città del sud dell’Iraq si è anche festeggiato per la prima volta il Capodanno, a dimostrazione di un clima
di maggiore “coesione” fra le diver-
se anime che compongono la realtà
locale e tutto il Paese. Le forze di polizia di Bassora hanno vigilato perché le celebrazioni e i festeggiamenti si svolgessero in tutta sicurezza; il
Consiglio provinciale si è inoltre impegnato alla manutenzione e alla ristrutturazione delle chiese. “Ho spiegato a un gruppo di giovani musulmani, ragazzi e ragazze, originari di Najaf, musulmani sciiti, che hanno partecipato a una messa nella chiesa di
San Giorgio - continua mar Sako - la
nostra fede, l’unico Dio, il concetto di
IRAQ
Trinità. Ho illustrato le basi della nostra fede, la discendenza comune da
Abramo, la figura di Gesù. Li ho invitati a combattere l’ignoranza che c’è
in molti casi del cristianesimo, non
siamo infedeli. Ad accompagnarli c’erano anche i cronisti di due canali televisivi, ai quali ho chiesto di diffondere la nostra cultura, spiegarla agli
spettatori, perché ci sono molte più
cose che ci uniscono rispetto a quante ci dividano. (da AsiaNews) 
*Monaco a Pulsano
Un novello sacerdote iracheno:
la mia vocazione è nata a Mosul, sull’esempio dei martiri cristiani
U
Efrem Valentini*
na vocazione nata “sin da piccolo”, che si è rafforzata raccogliendo le parole dell’allora arcivescovo di Mosul mons. Rahho, morto nelle mani
di rapitori integralisti. E ancora, gli anni giovani trascorsi “in un ambiente a maggioranza musulmana”, che non gli ha impedito di “partecipare alle attività della Chiesa”, e l’impegno nel settore della pastorale “perché la nostra gente ha bisogno di persone” nelle quali credere e alle quali affidarsi. È la storia di p. Rayan Nabil Bakos, neo sacerdote caldeo ordinato a dicembre a Erbil, nel nord dell’Iraq. I fedeli e la comunità irakena, vittima di persecuzioni e tormentata da sofferenze, ha bisogno di pastori che “preghino per loro e preghino con loro”. Per p. Rayan, è importante “mostrare alle persone l’importanza della solidarietà come gesto effettivo” volta verso tutti, in specie i profughi di Mosul e della piana di Ninive, persone che hanno abbandonato ogni bene e si apprestano a vivere il terzo Natale lontane dalle loro case e dai loro beni, e che per questo “hanno
bisogno di tutto il nostro sostegno nell’opera di ricostruzione della loro vita e delle loro case. Sono persone che hanno perso tutto”. P. Rayan è nato a Mosul il 30 gennaio del 1986. Nel 2007 ha fatto il suo ingresso nel seminario di Ankawa, a Erbil, capitale del Kurdistan irakeno; si è laureato in Teologia
e filosofia presso il Babel College a Baghdad. Parla l’arabo, il caldeo e l’inglese e svolge al momento l’incarico di vice-parroco nella parrocchia di san
Giorgio, nella capitale irakena. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale assieme a un altro sacerdote dalle mani del patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako a Erbil a dicembre. Assieme al primate della Chiesa irakena hanno concelebrato mons. Bashar Warda, arcivescovo di Erbil, e mons. Jacques
Ishaq, della diocesi di Baghdad, assieme a numerosi sacerdoti, suore e fedeli. Durante l’omelia il patriarca Sako ha ricordato che il prete deve essere
“al servizio” della comunità e il suo messaggio “è il messaggio di Cristo”. Egli deve essere “testimone di apertura e di speranza” e deve essere pronto a
operare “per il bene di tutti”. Nonostante le difficoltà dell’ambiente a maggioranza musulmano, quello di Mosul e dell’infanzia vissuta in città resta un
ricordo sempre vivo nella memoria del novello sacerdote. E per un futuro di pace e di convivenza, egli intende approcciare per primi i bambini “insegnando loro l’amore senza discriminazione, il perdono, che siamo tutti cittadini di un’unica nazione che chiamiamo Iraq, fratelli che dobbiamo operare
per costruire un avvenire migliore”. . (da AsiaNews)
*Monaco a Pulsano
20 gennaio 2017
[Mese della pace]
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Azione Cattolica Ragazzi
COSTRUIAMO
LA PACE
Michelangelo Mansueto
Q
uest’anno il messaggio per
la Pace rivolto dal Santo
Padre a tutti gli uomini di
buona volontà, dal più importante Capo di Stato o di Governo
sino all’uomo più umile, ha raggiunto la 50° ricorrenza. Nel primo messaggio il beato Papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole chiare: “E’ finalmente emerso chiarissimo che la pace è
l’unica e vera linea dell’umano progresso”.
A distanza di 50 anni Papa Francesco ci chiede di adottare la non violenza quale stile di una politica per
la pace, rivolgendosi anche a Dio con
la richiesta di “aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolenza nelle profondità dei nostri sentimenti e valori personali. Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le
vittime della violenza possono essere
i protagonisti più credibili di processi
nonviolenti di costruzione della pace.
Dal livello locale e quotidiano fino a
quello dell’ordine mondiale, possa la
nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme”.
Nel messaggio non manca un preciso riferimento ai grandissimi risultati che la non violenza praticata con
decisione e coerenza può raggiungere: “I successi ottenuti dal Mahatma
Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan
nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale non saranno mai dimenticati. Le donne, in particolare,
sono spesso leader di nonviolenza,
come, ad esempio, Leymah Gbowee e
migliaia di donne liberiane, che hanno organizzato incontri di preghiera
e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo negoziati di alto livello per la
conclusione della seconda guerra civile in Liberia”.
Papa Francesco, inoltre, ci ricorda
come sia fondamentale nel cammino verso la nonviolenza il ruolo della famiglia che “è l’indispensabile
cr og iolo at t r aver so i l q ua le
coniugi, genitori e figli, fratelli e
sorelle imparano a comunicare e
a prendersi cura gli uni degli altri
in modo disinteressato, e dove gli
attriti o addirittura i conflitti devono
essere superati non con la forza, ma
con il dialogo, il rispetto, la ricerca
del bene dell’altro, la misericordia
e il perdono. Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel
mondo e si irradia in tutta la società”.
Nella conclusione, inoltre, il Santo
Padre ricorda come “tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti e
molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per
costruirla. Nel 2017, impegniamoci,
con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che hanno bandito
dal loro cuore, dalle loro parole e dai
loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono
cura della casa comune. Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella
preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace”.
In coincidenza con la pubblicazione del messaggio per la Pace di questo nuovo 2017 i ragazzi dell’Azione
cattolica sono stati ricevuti dal Papa nella lo scorso 19 dicembre e, come da tradizione consolidata, hanno portato a Papa Francesco gli auguri di tutta l’associazione per le festività natalizie e per i suoi 80 anni.
Nel messaggio letto a Francesco i
ragazzi di ACR hanno ricordato, tra
l’altro, come ogni anno “ci impegniamo ad essere apostoli di gioia cercan-
do la Pace. Nel mese di gennaio, che
dedichiamo alla riflessione e alla preghiera per la Pace, realizzeremo un’iniziativa di carità. L’abbiamo chiamata: “Costruiamo la pace”. Insieme agli adulti e ai giovani di tutta l’Associazione, vogliamo cercare di donare un sorriso a chi è meno fortunato di
noi. Abbiamo scelto così di promuovere e di sostenere un progetto nato dalla collaborazione con la Cooperativa
Sociale “Il Tappeto di Iqbal”, una realtà che da oltre dieci anni opera nel
quartiere Barra, alla periferia di Napoli. Il loro desiderio è quello di continuare le attività con i più piccoli, nella speranza di strapparli dalle mani
della criminalità organizzata. Sognano di poter collocare un tendone da
circo nel cuore del quartiere, perché
diventi un simbolo di bellezza, di speranza e di coraggio. E noi vogliamo
aiutare questo sogno a diventare realtà! Infine, vogliamo dirTi che anche
noi ragazzi ci stiamo preparando a vivere la festa dei 150 anni dell’Azione
Cattolica. Stiamo conoscendo la sua
storia anche attraverso i tanti testimoni che, attraverso l’Associazione, hanno servito il Signore, le loro Chiese, i
loro territori”.
Papa Francesco, nel discorso di risposta ha ricordato ai ragazzi come nel cuore di ogni cristiano debba
sempre albergare la gioia: “E questa
gioia si moltiplica condividendola! La
gioia accolta come un dono chiede di
essere testimoniata in tutte le nostre
relazioni: in famiglia, a scuola, in parrocchia, dappertutto. In questo voi ra-
gazzi dell’Azione Cattolica siete aiutati dal vostro cammino formativo, che
quest’anno ha come slogan “CIRCOndati di GIOIA”. E’ suggestiva questa
metafora del circo, che è un’esperienza di fraternità, di gioia e di vita “nomade”. L’immagine del circo può aiutarvi a sentire la comunità cristiana e
il gruppo nel quale siete inseriti come
della realtà missionarie, che si muovono di paese in paese, di strada in
strada “CIRCOndando” di gioia quanti incontrate ogni giorno. Annunciando a tutti l’amore e la tenerezza di Gesù, diventate apostoli della gioia del
Vangelo. E la gioia è contagiosa!”.
Il Mese della Pace 2017 permetterà
a bambini, giovani e adulti della nostra associazione di riflettere ancora
di più sul valore fondamentale della
pace, della gioia e della non violenza.
Il progetto di questo anno 2017 “Costruiamo la Pace” intende richiamare l’attenzione alla cura dell’altro e
all’importanza di non lasciare indietro nessuno nella costruzione di un
mondo più bello che può essere ancora casa per tutti e per ciascuno.
A livello diocesano tutto il mese di
gennaio porterà l’ACR ad affrontare
ed approfondire tematiche collegate
alla pace e culminerà nella giornata di domenica 29 gennaio con la
tradizionale “Marcia della Pace” in
cui tutti i ragazzi di AC percorreranno le principali vie delle nostre città
per porre l’attenzione sul tema della pace, della non violenza, dell’integrazione e della gioia della condivisione. 
Marcia della pace 2016
Beccegato di Caritas italiana: “circolo vizioso” tra guerra e povertà
Pasquina Tomaiuolo
“C
’è un’interconnessione
tra guerra e povertà,
un circolo vizioso che
trascina al ribasso intere nazioni”. E’ la denuncia di Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana, portata a Bologna all’interno della tavola rotonda della tappa della Marcia nazionale per la pace. “La guerra mondiale a pezzi non
è solo un modo di dire: quest’ultimo decennio – ha rilevato – ha visto una continua crescita del dramma dei profughi e solo nel 2016 sono
state 65,3 milioni le persone costrette a scappare”.
Eppure, ha aggiunto Beccegato, viviamo “ovattati da falsità che non ci
fanno vedere la sofferenza di questa
gente, così ci infastidiscono 190mila profughi arrivati nel nostro Paese, mentre altri 5mila, in un anno,
sono morti nel Mediterraneo”. Se c’è
un legame tra povertà e guerra, allora “politiche nonviolente – ha precisato – vanno verso la lotta alla povertà”. Vi è poi il legame tra guerra e
ambiente, laddove “vi sono, ad esempio, degrado e inquinamento”. Quindi, il rapporto tra guerra e speculazioni finanziarie, con “una finanza
non governata che specula anche sul
cibo”. E proprio il cibo, ha osservato
il vicedirettore della Caritas, ha un
legame diretto con la guerra, perché
“sempre più lo si strumentalizza per
ridurre alla fame il nemico, ignorando tutti i civili che muoiono di conseguenza, e che non rientrano nei computi delle vittime della guerra”. 
20 gennaio 2017
[Mese della pace]
GIUSTIZIA
E BENE COMUNE
Antonio Stuppiello
L
a convivenza degli uomini è
sempre stata caratterizzata
dai rapporti e dalle relazioni tra gli appartenenti alla
comunità (tribù, polis, ecc.). Quando si vive nel gruppo, si stabiliscono condizioni gerarchiche che tra
gli animali, per esempio il branco di
lupi, sono funzionali alla stessa sopravvivenza degli individui. Anche
tra gli uomini spesso le gerarchie si
sono imposte, ma per motivi opposti a quelli presenti tra gli animali.
L’uomo ha sviluppato la ragione, ha
saputo far fronte a pericoli gravi inventando strumenti che gli permettevano di abbattere o neutralizzare
animali molto più forti di lui. Inoltre la coscienza di sé gli ha permesso di pensare e vedere la sua esistenza in mezzo agli altri. L’apertura al
trascendente, per motivi di vario genere, ha spinto l’uomo a concepire, a
sentire forze che potevano aiutarlo a
superare i momenti critici della vita.
L’uomo insomma non è l’animale
bruto che ha dentro soltanto l’istinto alla sopravvivenza, ma un essere che si mette in relazione, in dialogo con le varie realtà della natura. Il
dialogo sviluppa la coscienza dell’esistenza di sé e dell’altro. L’uomo ricorda e racconta le varie vicende della vita. Egli arriva a fissare sulla pietra, sul legno e altri materiali i fatti
salienti della propria vita e di quelli
del gruppo a cui appartiene. Questo è
fare storia. E’ la differenza essenziale che lo distingue dagli altri esseri
viventi. Dobbiamo constatare che la
storia umana è costellata di violenze,
di sopraffazioni di uomini su altri uomini: è sufficiente leggere un libro di
storia per rendersene conto, ma dobbiamo anche rilevare che nell’uomo
alberga un qualcosa che è attrazione, amore verso l’altro essere umano. Potremmo cominciare dal sentimento che avvicina un uomo e una
donna, dal loro reciproco aiutarsi in
caso di bisogno. Ma si può continuare con il sentimento che nutre la madre o il padre per il figlio. E il dolore
che si avverte di fronte alla violenza
direttamente subìta o per quella fatta
alla persona a cui si vuole bene pro-
babilmente potrebbe essere ciò che
ha spinto l’uomo a cercare una forma di “giustizia”.
Già la legge del taglione (occhio per
occhio, dente per dente) era uno strumento per regolamentare, mettere
una proporzionalità alla violenza
subita: non si poteva ammazzare un
uomo per uno schiaffo ricevuto, cosa
che accadeva spesso, ma soltanto restituirgli lo schiaffo. Già nel codice di
Hammurabi possono leggersi provvedimenti del genere, cosa che sarà
ripresa dai popoli del Vicino Oriente e anche dagli scritti della Bibbia.
Possiamo dire che con la nascita e
lo sviluppo della filosofia greca certe riflessioni andranno sempre più
scavando nell’animo umano e nelle
ragioni dei rapporti tra gli uomini.
Già con Omero ed Esiodo troviamo
invocato il senso della giustizia e del
bene che possiamo definire “comune”. La patria a cui Ulisse fa ritorno
è espressione di giustizia e di forte
sentimento della terra dei padri, della comunità di Itaca. Per non dire di
Esiodo che consiglia al fratello Perse
di non chiamarlo in giudizio per ottenere una altro pezzo di terreno del
patrimonio ereditato già diviso. Con
l’approfondirsi delle ricerche umane
saranno create leggi e strumenti per
organizzare la polis e farla vivere, ci
sarà anche lo sviluppo di una particolare sensibilità che porterà a considerare sempre più importante il bene che appartiene a tutti.
La siccità era una disgrazia comune,
come l’acqua era un comune bene,
così per tutto quello che permetteva
di vivere. Se leggiamo la Bibbia vediamo anche lì come sia presente il
senso della giustizia e del bene che è
di tutti gli uomini, creati da Dio a sua
immagine e somiglianza. Nei Profeti il richiamo a tali realtà è continuo.
Nel Nuovo Testamento la giustizia
pervade tutta l’esistenza terrena di
Gesù, insieme al richiamo continuo
al bene degli uomini, che è bene comune, quando restituisce la dignità
a chi ne è stato spogliato da strutture
sociopolitiche e religiose a volte violente o disattente al disegno originario di Dio. Ma anche nel Corano, al di
là di pregiudizi o differenze culturali
che possono impedirci di vederle, si
parla di giustizia e bene comune: l’Islam è anch’esso figlio di Abramo e
nella giustizia del padre fiorisce anche quella del figlio (cfr Sure 14; 57,
ecc.). Però forse oggi a noi interessa
parlare di giustizia e bene comune
presenti nella nostra società. Detto
che spesso mancano, è subito da ricordare che le nostre radici socio-politiche e storiche, nonché religiose, ci
richiamano, ci impongono un rispetto di quanto è stato conquistato con
le lotte sociali e con un affinamento sempre maggiore della tradizione
cristiana che ha pervaso di sé l’Europa e l’Occidente per decine di secoli. Non possiamo dimenticare tappe
fondamentali dell’emancipazione dei
popoli quali la Rivoluzione francese
e quella americana; le lotte dei contadini per la distribuzione delle terre
incolte e infine la Dichiarazione dei
diritti dell’uomo del 1948. Non possiamo neanche tacere lo sfruttamento inumano che l’Occidente ha praticato e pratica in Africa, bloccandone
praticamente lo sviluppo.
Questo ci deve però spingere a cercare la giustizia per tutti gli uomini
e nel contempo il bene comune nel
quale l’umanità può trovare la possibilità di sopravvivere. Non è tollerabile che il territorio (terrae torus,
letto di terra) venga distrutto con lo
sfruttamento indiscriminato, dalla
cementificazione al versamento di rifiuti tossici, dalla incuria che produce frane e disastri vari ad accaparramenti ingiustificati da parte di privati. Mafie di ogni genere stanno distruggendo il territorio comune, e
questa è ingiustizia, come tante altre. Ma noi continuiamo ad andare
alla ricerca del bene, del giusto anche se potrà apparire ingenuo. Abbiamo il dovere di farlo per le generazioni future e per noi stessi.
Se consideriamo l’ambiente come
una casa nella quale viviamo, non
possiamo renderlo invivibile, ne va
della incolumità di tutti quelli che vi
sono dentro. E se consideriamo che
l’uomo nasce nudo e senza odiare o
amare, non possiamo pretendere di
impadronirci della maggior parte dei
beni violentando gli altri e odiandoli.
Non possiamo ignorare che il senso
di giustizia e quello di bene comune
abbiano nella storia umana attraversato momenti diversissimi per concezione e prassi, ma in una società
che si dice e per buona parte è civile, nel senso di riconoscere il diritto
del “civis”, cittadino, non si può considerare l’ingiustizia e l’esclusione di
fatto dalla “polis” di larghe fasce di
cittadini e non come un fatto normale. E’ vero che un ritorno alla barbarie è sempre possibile, e la crisi economica che stiamo vivendo ne è una
dimostrazione, con le speculazioni
finanziarie che alcuni potentati economici mondiali stanno praticando,
impadronendosi praticamente di interi Stati indebitandoli e costringendoli a versare soldi in un secchio bucato, ma proprio questa possibilità di
distruzione degli uomini e del pianeta deve indurci a reagire con le cosiddette “buone pratiche”.
E’ finito il modello degli stati nati
con l’Illuminismo? Una nuova struttura di convivenza si affaccia con la
globalizzazione? Non sappiamo, ma
l’uomo dovrà sempre battersi per la
vittoria del bene comune e dei diritti civili e sociali, altrimenti nuovi fascismi attecchiranno, nuovi schiavi,
come già accade, popoleranno la terra. In quest’ottica si pone l’azione di
quanti animati dallo Spirito di Cristo
si mettono in cammino per fasciare
le ferite dei tanti caduti sotto i colpi
dei violenti o per l’esaurimento delle proprie forze. Creare una rete di
solidarietà non potrà che fare bene
a tutti perché davvero non si può essere felici da soli. E perché diventi realtà lo stare da uomini sulla terra e
non da bestie aggiogate nel consesso umano bisogna creare le condizioni sociali, economiche, politiche,
culturali per dare la dignità ad ogni
persona abbruttita dal bisogno, non
colmato dalla condivisione del superfluo che molti buttano via. E come
nell’Eucaristia: Cristo si dona non ai
sazi o per premio ad alcuni buoni,
ma a chi ne ha bisogno, anche se è
imperfetto e peccatore. 
7
2 febbraio 2017
La festa della
Presentazione
al tempio
don Luigi Carbone*
N
el VII secolo fecero il loro
ingresso a Roma le feste
del 2 febbraio, 25 marzo, 15 agosto e 8 settembre, forse per influsso delle comunità orientali dimoranti in città. Nel Liber Pontificalis si attribuisce il merito a papa Sergio (687-701) originario
della Siria, di aver introdotto tali feste, anche se dobbiamo ritenere che
siano state solo meglio riorganizzate dal suddetto papa:
«Stabilì dunque che nei giorni
dell’Annunciazione del Signore,
della Dormizione e della Natività
della santa Madre di Dio e sempre
vergine Maria e di San Simeone,
festa che i Greci chiamano “Incontro”, una processione litanica cominci dalla chiesa di Sant’Adriano e finisca col concorso di popolo a Santa Maria »1
Il merito di papa Sergio è stato quello
di aver arricchito queste feste di una
processione che andava dalla basilica di S. Adriano al Foro romano fino
alla basilica di Santa Maria Maggiore. Con l’espandersi del rito romano,
anche queste feste si diffonderanno
gradualmente. La festa della Presentazione al tempio di Gesù è di origine
gerosolimitana. La celebrazione è attestata infatti alla fine del IV secolo
(380) dalla pellegrina Egeria, ed ha
come oggetto l’avvenimento narrato da Luca 2,22-38. Inizialmente era
fissata al 14 febbraio poiché in Oriente la celebrazione del Natale era al 6
gennaio. Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania, si andava in processione all’Anastasis, (la basilica della Risurrezione) e tra i tanti riti troviamo già il lucernario, con accensione di numerosi lumi dalla lampada del Santo Sepolcro da cui risorse
Cristo, Luce del mondo. Tale festa denominata nel V secolo, dell’Incontro,
(Ipapante in greco): era caratterizzata sin dall’inizio da una processione di ceri e fu stabilita al 2 febbraio,
poiché anche in Oriente la celebrazione del Natale si festeggiava il 25
dicembre. L’imperatore Giustiniano
nel 534 la rese obbligatoria in tutto
l’impero. Abbiamo tante omelie dei
Padri in merito. Ricordiamo Abramo
di Efeso (VI sec.) che parla del mistero della spada che trafiggerà l’anima
della Vergine; le omelie di Sofronio
di Gerusalemme (+638), nelle quali paragona le lampade dei fedeli alla luminosità delle nostre anime con
cui andare incontro a Cristo; e vari
Tropari e Kontakia della liturgia bizantina. Nel VII secolo tale festa fu
la prima ad esse accolta a Roma: troviamo nel Sacramentario Gregoriano
la dicitura: Ipapanti ad sanctam Mariam Maiorem. Tale festa era caratterizzata come accennato, da una processione notturna fino ad arrivare a
Santa Maria Maggiore, dove si celebrava l’Eucarestia. Diffusasi in Occidente nel corso dell’VIII secolo, in
relazione all’uso giudaico prescritto
dopo il parto, cominciò in terra franca a chiamarsi Purificazione di Maria, con una tonalità mariana, che resterà fino alla riforma del calendario
Romano Generale nel 1969. Con la riforma liturgica del Calendario romano, voluta dal Concilio Vaticano II,
la festa sarà chiamata Presentazio-
11 febbraio 2017
Giornata mondiale
del malato
padre Rosario Messina, m.i.
L
a XXV Giornata del Malato,
che si celebrerà il prossimo
11 febbraio, compie esattamente venticinque anni, da
quando il Santo Papa Giovanni Paolo II la istituì per tutta la Chiesa con
“lo scopo manifesto di sensibilizzare
il popolo di Dio e, di conseguenza, le
molteplici istituzioni sanitarie cattoliche e la stessa società civile, alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi; di aiutare chi è
malato a valorizzare, sul piano umano e soprattutto su quello soprannaturale, la sofferenza; a coinvolgere in
maniera particolare le diocesi, le comunità cristiane, le Famiglie religiose nella pastorale sanitaria; a favorire l’impegno sempre più prezioso del
volontariato; a richiamare l’importanza della formazione spirituale e morale degli operatori sanitari e, infine, a
far meglio comprendere l’importanza
dell’assistenza religiosa agli infermi
da parte dei sacerdoti diocesani e regolari, nonché di quanti vivono e operano accanto a chi soffre”.
Mentre esorto tutti calorosamente a
celebrare nelle proprie comunità con
gioia e in un clima di festa questa ricorrenza a favore di tutti i malati,
pupilla e cuore di Dio, cercherò nel
prossimo numero di approfondire le
tante motivazioni appena elencate
da San Giovanni Paolo II, che renderanno le nostre comunità cristiane
più autentiche ed evangeliche.
ne del Signore, riacquistando così il
suo carattere cristologico. Anche alcune antifone della liturgia romana
per la processione con le candele ci
manifestano il tono cristologico della festa: Cristo riverbera il proprio
mistero sulla Madre, degna di lode
e onore:
«Adorna il tuo talamo, o Sion, e
accogli come Re il Cristo; una Vergine l’ha concepito, vergine l’ha
partorito e , vergine dopo il parto,
adorò colui che l’aveva generato»2.
La processione con le candele, invece, è forse una cristianizzazione, al
tempo di papa Gelasio I (490) dell’antica processione pagana che aveva
luogo in Roma, all’inizio di febbraio con carattere di purificazione ed
espiazione (Amburbalia). La processione romana avrà in seguito un duplice carattere, penitenziale e festivo, caratterizzato dai paramenti violacei e dai ceri accesi in onore di Cristo “luce per illuminare le genti” (Lc
2, 32).
*direttore dell’ufficio
liturgico diocesano
DUCHESNE L., Le Liber Pontificalis. Texte, introduction et commentaire, I Paris 1955, 376
1
Antifona: Adorna thalamum tuum Sion tutt’oggi
in uso
2
21 OTTOBRE 2016
[Liturgia]
20 gennaio 2017
[Ecumenismo e Dialogo]
8
17 gennaio 2017
XXVIII Giornata per l’approfondimento
e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei
Il Libro di Rut, dalle cinque Meghillot
C
ari amici,
dopo i dieci anni trascorsi insieme riflettendo sulle Dieci Parole,
con la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici
ed Ebrei del 2017 (la XXVIII della serie) iniziamo un tratto nuovo di cammino. Come
tema per i prossimi anni infatti si è scelto
di tenere in considerazione le Meghillot,
iniziando dal testo di Rut. I commenti sono stati affidati al Rabbino Alfonso Arbib,
Rabbino di Milano e Presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, e a Mons. Ambrogio Spreafico, Vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e Presidente
della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Li ringraziamo di cuore per la disponibilità. Nel
Sussidio trovate inoltre una introduzione,
anch’essa di Mons. Spreafico, che ci per-
mette di inquadrare ancor meglio il senso
del “far dialogo” con gli ebrei; a maggior ragione utile, credo, in un periodo storico come quello che stiamo attraversando e che
vede da una parte il moltiplicarsi di iniziative di dialogo (e non solo con il mondo
ebraico), ma dall’altra una sorta di chiusura pregiudiziale, sempre in agguato, sempre pericolosa, e soprattutto sempre assolutamente sterile.
In chiusura del Sussidio è presentata di
nuovo una bibliografia scelta di alcuni documenti e testi, che possono sembrare utili per un approfondimento personale o di
gruppo; titoli già segnalati negli ultimi due
anni, ma … repetita iuvant!
Chiudiamo con l’augurio che la Giornata
costituisca davvero e per tutti un’occasione
di approfondimento e di sviluppo del dialogo tra Ebrei e Cattolici; nella convinzione e
nell’augurio reciproco che non sia l’unica
in tutto l’anno! Un carissimo saluto, un carissimo shalom! 
don Cristiano Bettega
Direttore Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo
Le Meghillot – dal termine ebraico
Meghillah, “rotolo” pergamenaceo
su cui è scritta la Parola - sono cinque
libri che vengono letti, essenzialmente a scopo liturgico, durante alcune festività ebraiche. Essi sono: Rut, Cantico dei Cantici, Qohelet, Lamentazioni, Ester.
Il sussidio in pdf è possibile scaricarlo
dal sito dell’ufficio nazionale ecumenismo e dialogo della CEI
18-25 gennaio 2017
Settimana di preghiera
per l’unità dei cristiani
A
Pasquina Tomaiuolo*
lmeno una volta all’anno, i
cristiani sono invitati a ricordarsi la preghiera di Gesù ai suoi discepoli perché
tutti siano uno affinché il mondo
creda (cf Giovanni 17,21). I cuori sono toccati e i cristiani si riuniscono
per pregare per l’unità. Nel mondo
intero comunità e parrocchie scambiano i loro predicatori o organizzano celebrazioni ecumeniche e servizi
di preghiera speciali. L’avvenimento
che permette questa esperienza eccezionale è la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
Tradizionalmente la settimana di
preghiera è celebrata dal 18 al 25
gennaio, fra la commemorazione della confessione di fede di San Pietro
e quella della chiamata di San Paolo.
Nell’emisfero Sud, dove gennaio è un
periodo di vacanza, le Chiese trovano di solito un altro periodo per celebrarla, per esempio intorno a Pentecoste, che è una simbolica per l’unità.
Per preparare la celebrazione annuale alcuni partner ecumenici di una
regione specifica sono invitati ad approntare un testo liturgico di base su
un tema biblico. In seguito un gruppo di redazione internazionale costituito da rappresentanti del CEC e
della Chiesa cattolica romana lavorano su questo testo per fare in modo che possa servire da preghiera nel
mondo intero e sia legato alla ricerca
dell’unità visibile della Chiesa.
Il testo è pubblicato insieme dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (http://
www.vatican.va/roman_curia/pontifical_
councils/chrstuni/index_it.htm) e
dalla
Commissione Fede e Costituzione del CEC (http://www.saenotizie.it/
sae/attachments/article/699/Fede%20
e%20Costituzione.pdf) che partecipa ad
ogni fase del processo di elaborazione. La versione definitiva è inviata
alla Chiese membro e alle conferenze episcopali cattoliche romane, che
sono invitate a tradurla e ad adattarla ai loro contesti specifici. 
“L’amore di Cristo ci spinge verso la
riconciliazione”
É
il motto biblico - ispirato al
capitolo 5 della Seconda Lettera ai Corinzi – che ci viene
proposto per la Settimana di
preghiera per l‘unità dei cristiani del
2017. Una scelta quanto mai felice, visto che quest‘anno ricorre il quinto
Centenario della Riforma protestante,
avviata da Martin Lutero con l‘affissione delle 95 tesi sulle indulgenze, avvenuta il 31 ottobre 1517 a Wittenberg, in
Germania. E non è un caso che il materiale per la preghiera sia stato preparato quest‘anno proprio dalle Chiese cristiane tedesche, attraverso la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Germania (Arbeitsgemeinschaft
Christlicher Kirchen, ACK), l‘organismo ecumenico in cui sono rappresentate tutte le tradizioni cristiane.
Chiesa Cattolica
Ambrogio Spreafico
Vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino
Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia
Pastore Luca Maria Negro
Presidente
Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e di Malta
ed Esarcato per l’Europa Meridionale
Metropolita Gennadios
9
27 gennaio 2017
“Il ricordo può svilire in routine, il pensiero mai”:
la Giornata della Memoria secondo don Dossetti
Giovanni Chifari*
«I
l ricordo può svilire in routine, il
pensiero mai». La memoria può
non essere bastevole, occorre
modificare radicalmente il modo di pensare. È questo l’invito, l’auspicio e
in un certo modo anche l’ammonimento che
don Giuseppe Dossetti volle suggerire alle
giovani generazioni in una delle ultime interviste concesse. «Rompendo» il silenzio
della vita monastica nel maggio del 1994,
don Giuseppe parla della strage di Marzabotto, del nazismo, della guerra, pensando
in particolare modo ai giovani, che numerosi accorrevano a Monte Sole per fare memoria e per riflettere sull’orrore della guerra.
In vista dell’annuale Giornata della Memoria, può essere utile riprendere alcuni spunti del Monaco dei «piccoli fratelli dell’Annunziata», per riflettere su quella che egli
stesso volle definire «la più grande catastrofe che ha segnato la storia dell’Europa e del mondo». La tragedia del popolo
ebraico, la immane sofferenza dell’olocausto
era percepita da Dossetti in tutta la sua
drammatica evenienza, come un unicum,
un punto di non ritorno, dal quale si doveva
procedere con una rinnovata e illuminata
visione del presente capace di costruire un
futuro privo di un simile ritorno. In dialogo
con lo scrittore ungherese Kertesz, all’epoca
autore del testo: «An Olocaust mint kultura»,
«L’Olocausto come cultura», che individuava
l’olocausto come «la situazione dell’essere
umano, lo stadio terminale della grande
avventura cui l’uomo europeo è giunto dopo
duemila anni di cultura etica e morale», per
poi aprirsi a un itinerario di speranza domandandosi «come uscire in avanti dal punto zero cui è giunta la nostra cultura?», don
Dossetti ci consegna parole generate dal
silenzio, per lui «la quarta dimensione di
tutto», che costituiscono per noi un ammonimento che non può essere trascurato. Il
ricordo può divenire oblio, la memoria
può svilire in abitudine, il pensiero mai.
Si tratta di una conversione intellettuale che
tuttavia è sempre preceduta dall’oggettivazione della propria e personale esperienza
di Dio, frutto quindi di una conversione di
tipo religioso. Era per lui necessario «inculcare alle nuove generazioni criteri e processi virtuosi che impediscano il ritorno
di una simile catastrofe». Non sorprenda
l’uso del verbo «inculcare», poiché per Dossetti era urgente imprimere profondamente
nella mente e nell’animo una rinnovata opzione metodologica, criteri cioè che lasciassero emergere processi virtuosi. Tutto ciò
non doveva avvenire mediante la seduzione,
come invece avevano fatto le dittature, ma
mediante la persuasione, ovvero un’educazione sapienziale che riprendesse quell’amorevole paideia presente nella Scrittura,
capace di orientare e correggere. Si tratta
di un’opzione pedagogica che contrasta con
le finalità seduttive della dittatura. Ai suoi
giovani, alla jugend deutchland, Hitler, nei
suoi discorsi gridati, suggeriva invece il verbo «assorbire», invitava a «indurire la tempra», e proponeva quali valori preminenti
quelli dell’obbedienza, sopportazione e sacrificio. In modo molto lucido, don Dossetti
presentava la seconda guerra mondiale come il naturale punto di approdo di «una formazione ed educazione intenzionale al male». Per questo suggeriva la differenza tra
«criminale di guerra» e «criminale in occasione della guerra», l’evento bellico diviene
cioè l’occasione e la giustificazione di un
itinerario pedagogico volontariamente
orientato al male. Quest’esempio storico
insieme a diversi altri eventi della stretta
attualità, ci mostrano che anche per fare il
male ci vuole sapienza.
Riconoscere le voci profetiche Già al tempo della follia nazista, non erano
tuttavia mancate delle voci profetiche che
con parresia evangelica avevano chiaramente denunciato il male presente nel progetto hitleriano, pensiamo per esempio al
teologo luterano, poi membro della Chiesa
confessante, Dietrich Bonhoeffer. Due giorni dopo l’ascesa al potere del Leader nazista, dai microfoni della Berliner Funkstunde,
a proposito dell’idea di Führer, senza mezze misure Bonhoeffer dichiarava: se il capo «permette al seguace che questi faccia di
lui il suo idolo, allora la figura del capo si
trasforma in quella di corruttore... Il capo e
la funzione che divinizzano se stessi scherniscono Dio».
La Vigilanza Il linguaggio del dittatore è infatti volontariamente misticheggiante e si pone in un
confine ermeneutico molto labile, dicendo
bene ciò che bene non è, profittando della
generale debacle di discernimento per portare avanti modelli pedagogici e sapienziali ispirati al male. Hitler chiamava i giovani, «miei giovani», si riconosceva cioè una
paternità nei loro confronti, e ambiguamente prendeva a prestito una fraseologia che
trova un parallelo nella letteratura religiosa ebraico cristiana. Hitler auspicava che
i giovani si sentissero parte integrante di
«un solo popolo» (ein reich), pensiamo biblicamente al Pastore che con il suo braccio raduna il gregge; professava la pace, e il profeta Geremia stigmatizza chi parla di pace
e pace non c’è, e in diverse occasioni, a nome del Reich, definiva i giovani «carne del-
la nostra carne e sangue del nostro sangue»,
chiara immagine dialogico-relazionale (si
pensi ad Adamo ed Eva).
La proposta di don Giuseppe Dossetti, già
partigiano senza armi, «me lo potevo permettere», diceva a tal proposito, è invece
quella di puntare sul valore di una vigilanza, che egli considerava una delle
componenti fondamentali dello spirito, da
«orientare tuttavia in modo acuto per la
difesa dei valori, non per spirito di vendetta ma a tutela e garanzia di tutti».
Tuttavia auspicava altresì che la memoria
storica fosse vissuta senza rancore. Non si
dovevano cioè alimentare odi e divisioni ma
bisognava cercare una vera pacificazione
«non dimenticando quelle distinzioni che
sono state consegnate alla storia». La vigilanza era cioè per Dossetti, così come lo era
stata per Bonhoeffer, un antidoto che poteva impedire di cadere nell’oblio, in quell’indolenza che facilmente diviene apatia e inerzia spirituale. Sosteneva inoltre che «una
revisione profonda dell’evangelizzazione»
non potesse mai prescindere dall’ascolto
della Parola di Dio, dall’avere come centro
l’Eucarestia e da questa attingendo il
servizio verso i fratelli, in particolare
modo i poveri e gli ultimi. Diremmo
non un’ecclesiologia di tipo funzionale,
sbilanciata sul fare, ma un’ecclesiologia
fondata sull’Eucarestia, fons et culmen della
vita della Chiesa (che egli raccontava come
«epicentro di grandi stragi»), alla quale si
arriva attraverso la mediazione della Parola.
Significativamente a Monte Sole, don Giuseppe conservava e spesso utilizzava, il calice di don Ubaldo Marchione, sacerdote ucciso dalle Ss a Marzabotto, proprio mentre
celebrava la Messa. 
*teologo biblico
(Articolo pubblicato su
LA STAMPA di Torino)
In memoria di un grande prete-teologo-giurista-politico a 20 anni dalla morte
A
vent’anni dal
15 d i c e m bre del 1996,
il ricordo di
don Giuseppe Dossetti sembra ancora dover
esprimere tutto il suo
valore profetico e testimoniale. Chi come me
ha avuto modo di conoscerlo personalmente vede nella sua «fedeltà a Dio e al mondo» uno
dei paradigmi più eloquenti per interpretare
la sua esistenza. Fedeltà nel senso di sponsalità in Cristo e
nella Chiesa e per questo anche verso la storia.
Se un albero, come insegna il Vangelo, si riconosce dai suoi frutti e un
albero buono fa frutti buoni, nel servo umile e fedele Giuseppe Dossetti,
questi furono particolarmente fruttuosi e abbondanti. La sua attenzio-
ne fu al senso globale
della storia, la sua capacità intellettiva fu di leggere nel profondo quanto Dio intende comunicare all’uomo mediante il dispiegarsi degli
eventi, il suo fu un dono che riuscì a svelare
le patologie che caratterizzavano gli uomini del
suo tempo, la sua sensibilità colse la realtà della kenosi come chiave di
lettura della teologia del
dopo Auschwitz, la sua
fu un incessante ricerca di senso del
silenzio di Dio, lo stesso verso il quale anch’egli si volse, per ventisei anni, abbracciando l’esperienza monastica e dove poté accogliere la Parola
vivificante dell’Evangelo. Ed ancora
l’egemonia della Scrittura, la circolarità tra Parola, l’Eucaristia e il servizio, la sua ecclesiologia di comu-
nione, il Concilio vissuto e fatto conoscere non come evento di rottura
né come luogo di conservazione, ma
come evento di Grazia, la sua proposta, condivisa con il grande arcivescovo Giacomo Lercaro di una Chiesa povera per i poveri, che trova nel
Cristo, povero e carico della croce, il
suo modello normativo.
In conclusione, la fedeltà a Dio e al
mondo, consegnata alla storia, fa sì
che Dossetti sia annoverato tra i sapienti e i profeti: «i Sapienti, che con
il loro gratuito servizio sanno custodire e accrescere il tesoro lasciato in
eredità da altri» e i profeti, cioè « i
servitori vigili e fedeli che esplorano
quel futuro di Dio verso cui uomini e
società sono incamminati». Dossetti
è da annoverare proprio tra quei sapienti e profeti che «con la loro fede sofferta e perseverante, scrutando
come sentinelle nella notte il disegno
di Dio, ne scandiscono i tempi e ne
orientano il senso». (G. Bellia)
Alcuni significativi disegni del bel
libro di Nani Tedeschi “Esegesi di un
volto” curato da Sandro Parmeggiani che ho ricevuto proprio in questi
giorni, sono il più bel ricordo di don
Dossetti. (A.C.) 
20 gennaio 2017
[Memoria]
20 gennaio 2017
10
[Festa di s. Lorenzo vescovo]
I poco noti inni liturgici della festa di
s. Lorenzo
Alberto Cavallini
L’
edizione del calendario liturgico “proprio” per la nostra Chiesa promulgato nel
giugno 1985 dall’arcivescovo mons. Valentino Vailati con edizione “tipica” concordante con i testi approvati dalla S. Sede, riporta gli
antichi inni liturgici sia in lingua latina che in quella italiana, dell’ufficiatura liturgica della festa del patrono s. Lorenzo, vescovo. E mentre l’inno dell’Ufficio delle Letture ci presenta il nostro santo patrono, soprannominato il Maiorano, che da Bisanzio giunse sui nostri lidi garganici
con alcune sante reliquie di martiri,
accolto dal popolo festante, e nella
nostra Siponto, città sul mare, esercitò da padre il ministero del buon
Pastore guidando i credenti in Cristo
alla patria beata, nell’inno delle Lodi e dei Secondi Vespri, invece, s. Lorenzo, è specificamente celebrato per
alcuni importanti eventi storici della nostra terra: innanzitutto per aver
indicato a tutti la sacra grotta prescelta da s. Michele sul Monte Gargano, per aver difeso la città sul mare da feroci assalitori, per essere stato amico fraterno del santo vescovo
di Canosa, Sabino. Per tutto questo i
fedeli, sul suo esempio, sono invitati ad allontanare le misere contese e
ad invocarlo fiduciosi quale patrono
potente che atterra il maligno divisore, così come è raffigurato nella settecentesca (1765) statua lignea, venerata in cattedrale, opera dell’artista
andriese Francesco Paolo Antolini.
Ma leggiamo i testi.
Inno dell’Ufficio delle Letture:
Laurentius Bisantio/pius recedens/munera petit peroptat impetrat/ducitque sacra martirum./
Laetus venit ad littora/omnis chorus fidelium/ fundit preces plebs
incipit/pastorem patrem praesulem./ Pastore tanto caelitus/exultat ardens Apulius/sibi dato clementiam/ laudat Dei fideliter./
Cunctos regens sanctissime/ a fauce tollit tartari/vita docens et moribus/caelos inter qua tenditur./
Nunc turba clamet civium/tanti Patri suffragium/gregisque Pastor gratiam/impetret atque proemium./ Sit Trinitati gloria/Deo
Patri sit Filio/sit semper et Paraclito/in saeculorum saecula. Amen.
(Dopo essersi procurato preziose reliquie di alcuni santi martiri, Lorenzo
da Bisanzio le porta con se a Siponto.
Giunto sul nostro lido è accolto dal
festante popolo dei fedeli che lo accoglie Padre Pastore Vescovo. Per un
sì grande Pastore dato dal cielo esulta l’ardente Apulio (sipontino) ed eleva a Dio una fervente lode. Guidando
santamente e insegnando con l’esempio della vita, Egli libera dalle fauci
dell’inferno e conduce tutti alla patria del cielo. Ora i fedeli invochino
la protezione di cotanto Pastore del
gregge affinché impetri grazia e premio eterno per tutti. Sia gloria alla
Trinità santa, Padre e Figlio e Paraclito, per tutti i secoli dei secoli. Amen.)
Inno delle Lodi e dei Secondi Vespri:
Festa, Laurenti, populus fidelis/
fervidus psallat pietate summa/
quo fuit cunctis Michaelis aula/ praesule nota./ Totilam saevum domuit Sabini/ et fuit vitae
socius perennis/ praescius dixit
retulitque vera/templa dicavit./
Temperet vanis populus paternum/ scandat ut templum miseros tumultus/ arceat sacris precibus malignum/ terreat anguem./
Laetus intersit resonetque purus/
hos dies anno redeunte festos/ vocibus crebris animoque sacra/
thura remittat./ Sit laus Illi Deus
atque virtus/ qui super caeli solio
corruscans/ totius mundi seriem
gubernat/ Trinus et Unus. Amen.
(Il popolo fedele, o Lorenzo, canti inni
nella tua festa con grande pietà/ giacché da Vescovo fu resa nota a tutti la
grotta di s. Michele ./ Egli placò il feroce Totila/ e fu amico fedele di Sabino vescovo/ annunziò a tutti la Ve-
rità/ dedicò templi al Signore./ Non
cada in vanità il popolo/ Egli lo conduca alla casa del Padre/ allontani
ogni misera contesa/ ferisca con le
preghiere il maligno/ e lo atterri come un serpente/. Lieto sia il popolo e
inneggi sincero/ in questo giorno di
festa annuale/ e con ripetute preci e
voti santi/ offra il sacro incenso./ A
Dio Trino ed Unico/che governa tutto
il mondo/ fulgente dal soglio del cielo/, lode e onore. Amen.)
Insomma, due testi poetici medioevali ci sintetizzano egregiamente la
figura e l’opera apostolica del santo vescovo Lorenzo, evangelizzatore del nostro Gargano, difensore di
Siponto, la città sul mare, beneficiario delle gloriose apparizioni dell’arcangelo Michele. 
Patrono
UN VESCOVO COME PATRONO DELL’ARCIDIOCESI
Alberto Cavallini
L
a grande e antica venerazione verso il santo vescovo sipontino Lorenzo raccoglie
nella fede e nella gioia il popolo cristiano che vive nella città del
Golfo e in quella di Monte Gargano
per quello stretto legame con le apparizioni dell’arcangelo Michele che
tanta eco hanno avuto nel popolo cristiano nel corso dei secoli, espresse anche attraverso numerose opere d’arte – affreschi, pale d’altare e
tele – prodotte nel tempo e presenti
in tante località non solo italiane, ma
anche d’Oltralpe.
Nelle Lettere apostoliche e nell’Apocalisse il ministero del Vescovo è
ben delineato come essenziale per la
comunità cristiana che trova in lui
l’immagine del Buon Pastore, l’autenticità del Magistero, l’autorevolezza della guida, nel nome di Cristo, della comunità. La nostra Chie-
sa che vive in terra garganica che
già ringrazia intensamente il Signore per i suoi figli mons. Domenico
D’Ambrosio, nativo di Peschici, oggi arcivescovo metropolita di Lecce,
mons. Giuseppe Piemontese, nativo
di Monte Sant’Angelo, oggi vescovo
di Terni, e mons. Michele Russo, nativo di S. Giovanni Rotondo, vescovo
emerito di Doba in Tchad, esprime la
propria unità e gioia in mons. Michele Castoro, attuale Apostolo ed Angelo della nostra Chiesa, certa che
Cristo continua a essere presente sacramentalmente nel Pastore che si
succede nel tempo, sino alla fine del
mondo. Oggi, guidati dal nostro apostolo Michele, celebriamo la solennità di s. Lorenzo, vescovo e patrono, lodando il Signore per la bellezza della successione apostolica e per
la fede della nostra comunità.
In tale contesto, l’arricchita ricerca
di immagini di s. Lorenzo da me fatta in tante città italiane e d’Oltralpe, che da qualche anno vado pubblicando su questa nostro periodico
diocesano e sul quotidiano cattolico
Avvenire, oggetto peraltro in passato di una mia pubblicazione, sostiene ed alimenta ulteriormente il valore profondo dell’ecclesialità e della identità sipontino-garganica, consegnateci dalla tradizione, indispensabile e fondamentale per questa nostra festa.
Da s. Lorenzo vescovo a mons. Michele Castoro continua, nell’avvicendare dei secoli, il ministero degli Apostoli, testimoni della Pasqua
del Risorto, “pietre vive” su cui viene
costruito “l’edificio spirituale” della
Chiesa con l’apporto ragguardevole
di quella antica e perenne traditio
che arricchisce ancor più la nostra
terra e la nostra storia. 
L’Iconografia di s. Lorenzo in terre lontane
dal
Gargano
S. Lorenzo vescovo e s. Michele
in una cinquecentesca tela custodita a Passignano
Alberto Cavallini
I
l monastero vallombrosano di
san Michele arcangelo a Passignano, sito tra le colline del
Chianti, in provincia di Firenze,
custodisce il corpo di s. Giovanni
Gualberto, che qui morì nel 1073. Più
volte distrutto e ricostruito nel corso dei secoli, oggi appare più come
un castello che come un monastero.
La chiesa abbaziale, a croce latina,
è stata quasi interamente ricostruita nella seconda meta del XVI secolo e internamente affrescata dal
Passignano e da Alessandro Allori.
Ho avuto modo di visitare recentemente questo monastero dedicato a
s. Michele e nella parete destra della cappella maggiore mi sono imbattuto in una grande tela di Domenico
Cresti, pittore cinquecentesco, detto,
appunto per la sua origine, il Passignano, che diresse i grandi lavori di
restauro e conservazione della chiesa abbaziale dal 1598 al 1602. Ed è
proprio a tale periodo che si deve la
grande tela posta sul lato destro della cappella maggiore che raffigura
in mirabile sintesi le due apparizioni di s. Michele al Monte Gargano e
al s. Vescovo Lorenzo.
Come da diversi anni, in occasione
della festa di s. Lorenzo vescovo di
Siponto, propongo un’inedita notizia
ai nostri lettori.
I due personaggi centrali della grande tela detta “delle storie di s. Michele” sono certamente da una parte
l’Arcangelo, pesatore di anime, regge infatti in mano la bilancia, che dal
cielo indica al santo vescovo Lorenzo
di salire sul Monte Gargano, e il nostro santo vescovo che, raffigurato
in primo piano e in ginocchio, ascolta attento le parole dell’Arcangelo.
Sullo sfondo è raffigurato il golfo e
il nudo sasso del Gargano con la caverna angelica ed il toro che fugge.
Tutto intorno sono rappresentati tanti sipontini che ammirati contemplano l’evento e che processionalmente si recano per la prima volta, sotto
la guida del vescovo Lorenzo, al sacro speco del Gargano per celebrare
i divini misteri. E’ da segnalare che
il personaggio raffigurato in alto a
destra, vicino alla cornice, è l’auto-
ritratto dello stesso Passignano che
nutrendo una grande devozione verso l’Arcangelo, volle immortalarsi in
questa tela delle storie di s. Michele
custodita nell’area presbiterale della chiesa monastica.
Si tratta, insomma, di una imponente e suggestiva tela che ci testimonia
ancora una volta come insieme alla
Legenda garganica anche la figura
e il culto di s. Lorenzo vescovo di Siponto, dalla nostra terra siano ‘volati’ grazie ai pellegrini romei, in terre
lontane dal nostro Gargano, in questo caso in terra toscana, tra le suggestive colline del Chianti, lungo la
Via Francigena che dalle Alpi Apuane scendeva a Roma. 
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[Cultura]
Saluto dell’Arcivescovo al convegno su “Siponto e Manfredonia nella Daunia, nuova serie”,
organizzato dalla Sezione di Manfredonia della Società di Storia Patria per la Puglia nei giorni 23 e 24 novembre 2016
Ricercare e scrivere di storia locale
esige amore, rispetto, cultura e passione civile
U
n sentito ringraziamento per
l’invito rivoltomi desidero
porgere innanzitutto ai soci
della Sezione di Manfredonia
della Società di Storia Patria per la Puglia che ha organizzato il Convegno Nazionale di Studi su Siponto e Manfredonia nella Daunia, Nuova Serie, ed un saluto cordiale rivolgo agli illustri ricercatori qui convenuti, agli studiosi, al pubblico presente.
Sopraggiunti impegni pastorali, non mi
consentono di presenziare all’apertura
di questo incontro di autorevoli ricercatori delle Università di Foggia, Bari, Lecce, e della Società di Storia Patria per la
Puglia, e tuttavia desidero essere presente con una breve riflessione sull’importanza che oggi riveste lo scrivere e il
pubblicare storie locali. Conosco da tempo tanti dei relatori presenti, alcuni dei
quali miei collaboratori di Curia, e con
essi ho tante volte amichevolmente conversato e condiviso l’esigenza di coltivare il senso dell’identità della comunità e
del suo territorio, attraverso lo strumento della ricerca storica, indispensabile
per la crescita di una cultura civica diffusa, cioè di una partecipazione sempre
più viva e consapevole di una storia che
ci identifica e di cui siamo portatori, nonché dell’urgenza di trarre ispirazione e
motivazioni, vocazioni e prospettive.
Certamente il tema dell’identità locale,
cioè di una coscienza collettiva di appartenenza a una comunità con una sua storia e una sua identità, è di grande attualità, e proprio mentre cresce il fenomeno della globalizzazione nelle sue varie
dimensioni economiche, sociali e cultu-
rali, assistiamo alla riscoperta del sentimento dell’appartenenza a radici, alla
patria locale, e occupiamo spazi culturali opportuni per la riappropriazione
di un’identità sulla base della nostra appartenenza territoriale. Oggi, con amarezza constatiamo che in regioni d’Europa si fomentano derive localistiche e
nazionaliste che rischiano di compromettere il processo di riappropriazione identitaria, perché sono indirizzate a
una visione chiusa ed esclusivista, non
aperta e consapevole dei necessari nessi con altre identità o super-identità o anche sub-identità, come invece è richiesto
dalla complessità dell’esperienza storica, specialmente in età contemporanea.
Penso ai sempre più diffusi sentimenti
di mancata accoglienza di tanti migranti, al mancato dialogo con chi ha una cultura diversa, alla paura infondata, alla
anacronistica costruzione di muri e barriere, stigmatizzate da papa Francesco
nella bolla di indizione del giubileo della
Misericordia con le parole: “apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad
ascoltare il loro grido di aiuto, Le nostre
mani stringono le loro mani, e tiriamoli a
noi perché sentano il calore della nostra
presenza, dell’amicizia e della fraternità”
(Misericordiae Vultus n. 15) La fine delle
grandi ideologie dell’Otto-Novecento ha
aperto, o meglio riaperto, lo spazio utile
per una riscoperta, anche in termini rinnovati, della funzione di riferimento del
territorio come orizzonte esperienziale
comune a generazioni diverse e come
luogo e contesto di identificazione fraterna e accogliente. La storia identitaria locale di cui si parlerà in questo Convegno
su Siponto e Manfredonia nella Daunia,
è primariamente quella della nostra comunità che insiste su un proprio contesto territoriale, che possiede una memoria collettiva, un insieme di ricordi con-
divisi, ed anche una fede cristiana secolare con radici in età apostolica, un idioma con tratti fonetici e linguistici caratteristici o almeno con inflessioni particolari nella parlata. Una tale identità locale è forte e fragile nello stesso tempo.
È forte perché radicata nella storia, frutto di un passato che non è facilmente o
almeno immediatamente cancellabile, e
che è consegnato negli spazi urbani organizzati secondo certe nostre modalità,
in una certa viabilità, in una certa continuità di produzione storico-economica,
in un dialetto con particolari inflessioni, in tradizioni popolari, in un determinato sistema di potere locale e perfino in
una certa tradizione di strategie familiari. Ma è anche fragile, perché un’identità collettiva come la nostra, riposa essenzialmente sulla coscienza di un comune passato, su ricordi condivisi, su una
memoria collettiva che, oggi, ahimè, appare seriamente in pericolo, dal momento che le antiche modalità della sua trasmissione non funzionano più, almeno
non con la stessa efficacia di prima. C’è
oggi il rischio – lo avvertiamo e lo viviamo tutti – di una rottura o discontinuità
della trasmissione della memoria collettiva all’interno delle famiglie, dei gruppi, della società. E se si perde tale memoria, l’identità cessa o comunque si altera,
non si sviluppa in continuità. E se cessa
il senso di un passato da cui si viene, più
complicato diventa riuscire a guardare
con fiducia a un futuro che possa essere
di sviluppo, di crescita, di pari identità
e dignità verso cui tutti senza distinzioni siamo incamminati. È, perciò, davvero paradossale constatare come nel momento in cui si fa più avvertita l’esigenza di riscoperta dell’identità locale, si misurano maggiormente i rischi che la minacciano. Ma è proprio questa la situazione provocata dal più ampio quadro della
cosiddetta globalizzazione che ha mille
sfaccettature: dal non dialogo all’egocentrismo sfrenato. Mai come oggi, possiamo sperimentare che il coltivare il senso
dell’identità locale sia un’operazione molto complessa e delicata e che, in ogni caso, esige amore, rispetto e cultura. Amore al proprio luogo e alla propria comunità, rispetto della memoria collettiva fino a respingere le facili tentazioni di interventi finalizzati a integrarla o correggerla, amore per la cultura come capacità
di coniugare la consapevolezza del passato e del suo significato con l’attenzione al
presente e la speranza operosa per un futuro migliore. Se oggi incontra molto interesse la produzione storica sulle vicende della nostra comunità locale e del territorio circostante, è necessario che essa
si ispiri a un tale amore, a un tale rispetto e a una tale cultura, se vuole contribuire davvero al dinamico processo di “costruzione” dell’identità locale attraverso la trasmissione della memoria collet-
tiva. Chi scrive la storia di una comunità locale non deve proporsi altro che di
offrire un sostegno alla memoria collettiva e nient’affatto di sostituirsi ad essa,
magari cercando rozzamente di manipolarla o adulterarla. Operazioni storiografiche non rispettose della memoria collettiva, pur messe in atto con intenti buoni,
hanno il respiro corto, non giovano veramente alla comunità locale e alla coscienza della sua identità. Naturalmente il confronto dello storico – che non può
non lavorare sui documenti – con la memoria collettiva, implica una sorta di verifica, richiede che la memoria collettiva
venga messa al vaglio della più rigorosa
ricostruzione storica.
Lo storico locale, inoltre, colloca il percorso storico attestato dalla memoria collettiva nel quadro più ampio degli avvenimenti sopralocali, delle vicende nazionali e sopranazionali. E in tal modo permette all’identità locale di pensarsi in un
rapporto di collegamento e di apertura
alle altre identità.
La profonda suggestione del cristianesimo ha disseminato la nostra terra di manifestazioni devote: la basilica di Siponto, il santuario arcangelico, le chiese, gli
eremi, le abbazie, le edicole… che oltre
l’evidenza delle opere pur pregevoli ed
uniche rivelano una fede viva che le ha
animate, e continua ad animarle, e che
rendono consapevoli di un’appartenenza culturale che è religiosa e civile insieme, tanto radicata è la condivisione. Agli
storici è imposto di trasmettere, nonché
di accrescere l’attenzione anzi l’amore,
verso questa preziosa eredità di elementi
culturali, materiali e non che sono segni
di una ricchezza che i millenni hanno
accumulato, caricando la nostra comunità di una responsabilità tanto grande
da far sì che la sua civiltà potesse sostenersi e radicarsi allo spirito di comunità,
le che produce beni effimeri per cui sostanziale è l’incomprensione verso i beni storici, monumenti-documenti, che testimoniano la grandezza d’animo dei padri, lo sforzo di testimoniare il grado di
civiltà, l’onore dell’altruismo e della comunità, il valore della continuità, l’aiutare ad attraversare i deserti dell’omologazione con amorevole attenzione è uno dei
compiti odierni della Chiesa, degli storici, delle agenzie educative. Malgrado gli
stravolgimenti epocali che stiamo vivendo, auspico vivamente quel positivo moto di orgoglio che richiami alla memoria
le nostre radici e la nostra storia facendoci nel contempo superare l’ipnosi della stasi del cosiddetto “attimo fuggente”
per proiettarci con speranza e realismo
verso il nostro futuro.
Un’ultima considerazione mi sia permessa, anche in forza del mi ministero
di Arcivescovo della Chiesa Sipontina e
Garganica. Mi rivolgo a storici che si occupano di storia locale in cui ha avuto
una parte determinante la presenza della Chiesa e i cui libri sono, di fatto, ricostruzioni delle vicende delle comunità ecclesiali locali, testimonianze di vita
di singoli e comunità, illustrazione degli
edifici di culto, valorizzazione di prodotti dell’arte cristiana. C’è indubbiamente un legame storico continuo e profondo tra la Chiesa e le comunità garganiche che voi studiate. Ma c’è anche un legame per così dire di principio.
La Chiesa ha sempre difeso, incoraggiato, interpretato la vita delle comunità locali. Nella storia di tutto l’Occidente europeo, spesso, l’identità cristiana è stata
alla base dell’identità di una città, di un
territorio, di una regione. In tempi più
recenti, il movimento cattolico ha ripreso alcuni tratti della tradizione cristiana
di rapporto stretto con le comunità locali, sviluppandosi largamente intorno alla dimensione municipalista. Su questa
strada, ancora oggi è possibile sperimentare forme positive di sinergia tra iden-
tità cristiana e identità locale, intesa come articolazione imprescindibile dell’identità civile. Senza dire che, per la tradizione della Chiesa, il radicamento nella località non esclude, ma anzi postula
un allargamento alla dimensione universalistica del cattolicesimo. Sempre nel
passato la Chiesa è riuscita a “mettere
in rete” – per usare un’espressione oggi
di uso corrente – realtà locali e a far interagire fruttuosamente le diverse identità, suscitando energie e promovendo collaborazioni.
È quanto la Chiesa Universale e la Chiesa Locale han fatto e fanno anche oggi in
tanti e diversi modi. Auguro, dunque, un
proficuo lavoro a tutti i ricercatori e studiosi convenuti, che saluto cordialmente con sentimenti fraterni 
+ Michele Castoro, arcivescovo
Manfredonia, 23 novembre 2016
P R O G E T T O S A N T ’A N N A :
un racconto...un’identità...
un sogno...
Carpino
rendendola nel contempo gelosa custode
di questi suoi segni d’identità.
Se la modernità sta erodendo gli aspetti
della “armonia delle intelligenze” e del
“consenso delle volontà” con la rimozione del senso comunitario e l’accentuazione della conflittualità, per cui l’etica cede all’estetica, la comunità reale a
quelle virtuali, le intelligenze e le volontà sono spinte lontano dal bene comune, e in presenza di una società instabi-
13
Mimmo Delle Fave
È
questo il titolo apparso sulla locandina che annunciava lo scorso 28 dicembre
la visita guidata, organizzata da Domenico Sergio Antonacci, guida turistica della Regione Puglia, alla diroccata chiesa rupestre
di Sant’Anna. L’iniziativa, uno dei
tanti appuntamenti similari tenutisi nel mese di dicembre, ha fatto parte del Progetto ideato da Pina Alloggio, archeologa e guida turistica della Regione Puglia, “The Monuments
People”, le Guide Turistiche di Puglia
per il Patrimonio Culturale di Amatrice. Il ricavato della visita è stato
destinato al restauro di alcune opere del Museo Civico “Cola Filotesio”
di Amatrice.
Ci si è ritrovati al mattino nella centrale Piazza del Popolo da dove si è
iniziato il cammino a piedi di quattro chilometri per raggiungere la
Chiesa di Sant’Anna, nella omonima
Contrada. Solo venti persone vi hanno partecipato, tra cui due bambini,
provenienti da Carpino, Foggia, San
Giovanni Rotondo, Vieste, Peschici e
Ischitella, ma tutte interessate.
Lo scopo principale della giornata è
stato quello di focalizzare e sensibilizzare l’attenzione della popolazione sulla chiesetta da decenni diroccata ed abbandonata e su un pezzo di
storia e tradizione religiosa di Carpino ormai dimenticata.
Domenico Sergio Antonacci ci ha
tra l’altro detto che “...Il “Progetto Sant’Anna” è nato quale progetto immateriale per il recupero della
memoria collettiva e per far maturare un più genuino senso di identità e
appartenenza. Come con tutto, si comincia dalle cose semplici per conoscere e prendere coscienza del proprio territorio...
Lavorando ogni giorno per il nostro
Patrimonio Culturale, non possiamo
far altro che impegnarci a dare il nostro contributo per la salvaguardia
dei nostri beni storico-artistici che,
ci preme ricordarlo, sono Patrimonio
della Collettività...”.
Alla fine degli anni ‘60 dello scorso secolo ignoti rubarono sacrilegamente nella chiesa di campagna dedicata a s. Anna il dipinto, un olio
su tela di buona fattura settecentesca, raffigurante s. Anna con s. Gioacchino, la Madonna con in grembo il Bambino Gesù e alle spalle s.
Giuseppe. Il dipinto era posto sopra
l’altare di stile barocco, sormontato
da due colonne vitinee che lo incorniciavano, con ai lati un’arma gentilizia che presentava su campo azzurro una banda rossa trasversale
da sinistra a destra e, a destra in al-
20 gennaio 2017
[Cultura]
La visita è poi terminata alla vicina,
interessante e immensa “Masseria
del Piano”, altra contrada dell’agro
di Carpino confinante con quella di
Sant’Anna, di epoca Federiciana, ma
anche questa abbandonata. 
to, una stella rossa a cinque punte.
La chiesa fu costruita agli inizi del
1700 in quanto il 26 Luglio 1736 fu
dedicata ai Santi Anna e Gioacchino
da parte dell’arcivescovo di Manfredonia mons. Marco Antonio De Marco, in occasione della sua visita pastorale a Carpino.
Fino al furto del venerato quadro,
ogni 26 luglio, si svolgeva davanti
alla chiesetta e nei campi antistanti, una tradizionale e partecipata festa popolare con messa, pranzo campestre, canti, giochi e balli.
20 gennaio 2017
[Visita Pastorale]
14
VISITA pastorale
L
a nostra Chiesa, sotto la guida
dell’arcivescovo Michele, sta imparando a percepire che il rinnovamento profondo richiesto da papa Francesco tocca tutti gli aspetti della
vita della Chiesa che si concretizza in una
Chiesa che vive “in uscita”, chiamata a
ripensare se stessa e gli strumenti che le
sono necessari per un compito che ne de-
finisce l’identità. E’ una Chiesa che ripensa anche il suo “vocabolario”. E non è un
caso che il lessico della Lettera pastorale “Grande è la mia Gioia” e delle Linee
Pastorali “Il sogno condiviso: Cristiani
sulla soglia” dell’arcivescovo Michele, sia
tutto incentrato su alcune parole-chiave come missione, uscita, sinodalità, misericordia, gioia, Vangelo, tenerezza, accom-
pagnamento, annuncio, comunione, discernimento, giovani, famiglia, ultimi,
poveri. Sono termini che messi uno accanto all’altro esprimono il desiderio di divenire realmente missionari, aperti a tutti. E
la Visita Pastorale appena iniziata, non
c’è dubbio, incarna questo stile nuovo,
aperto, dinamico, sinodale. 
La quarta parrocchia La quinta parrocchia
che l’Arcivescovo va a visitare
M
ezzanone è una frazione del Comune di Manfredonia, posta nella piana del Tavoliere a circa 40
chilometri dal centro di Manfredonia
e appena 10 da Foggia. Per la sua notevole distanza dal comune capoluogo, questa frazione è considerata come “particolare”. Già da anni, invero,
è stata avanzata a Manfredonia l’ipotesi di uno scorporo del territorio del
Borgo dal Comune, ma la questione poco affrontata politicamente, è stata solo trattata dai media.
Il Borgo è stato fondato dal Fascismo
nel 1934 a seguito della bonifica agraria condotta in quegli anni dal Regime, e all’inizio poteva ospitare 700 abitanti, tutti braccianti agricoli; il nome
originario del neonato borgo fu Borgo
La Serpe in ricordo del defunto giovane
fascista cerignolano Raffaele La Serpe. Borgo Mezzanone, lasciata la denominazione voluta dal Fascismo conserva oggi il toponimo originario della località.
Nella frazione risiedono, secondo i dati del Comune, 433 abitanti, dei quali 226 sono maschi e i restanti 207
femmine. Vi sono complessivamente
151 famiglie residenti, per un numero
complessivo di 433 componenti.
Mancano a Borgo i servizi socio-istituzionali e molto forte è la domanda
di servizi sociali intesi come luoghi di
dialogo e opportunità di incontro. L’autobus n. 24 dell’ATAF di Foggia è l’unico mezzo di collegamento per raggiungere Foggia e da qui Manfredonia.
Per la sua natura di borgo rurale, il
piccolo centro è sempre stato legato alle attività agricole del Tavoliere. Da alcuni anni è una delle tappe obbligate delle traiettorie del lavoro agricolo
in Puglia per migliaia di migranti costretti, come altrove, a vivere all’interno di ghetti istituzionali o spontanei.
Oltre i dati ufficiali, demograficamente a Borgo c’è una compresenza, in pochi chilometri quadrati, di molti migranti che vivono nel CARA, il Centro
di accoglienza per richiedenti asilo a
gestione governativa, il terzo per di-
mensioni in Italia, situato ad un chilometro dalla borgata, ed in varie altre enclave Rom sparse nelle campagne collocate intorno a Borgo (contrada Melfignana, località cinque bivi, …)
che nei mesi estivi superano il migliaio di unità. Infine, in una baraccopoli che sembra catapultare in altre epoche o in altre latitudini chi vi giunge,
vivono 800 bulgari che lavorano come
braccianti nella raccolta del pomodoro.
Per più della metà si tratta di bambini.
Questa massiccia presenza di migranti ha comportato, nel corso degli anni,
episodi di tensione dovuti alla scarsa
possibilità di accoglienza offerti dal
territorio, alla mancanza di alloggi rispettosi di requisiti igienico-sanitari, alla “diffidenza” di alcuni residenti
che si sentivano “invasi”, alla mancanza di dialogo interculturale.
Importantissima è, dunque, l’opera
della parrocchia che ha istituito un importante Centro di prima accoglienza per immigrati, che comprende: la
“Casa Speranza”, centro di accoglienza
per immigrati di passaggio, uno sportello Caritas per servizi di orientamento e informazione ai migranti, un servizio di distribuzione di alimenti e vestiario, un servizio doccia-bagni, un
servizio sanitario, l’ospitalità nel periodo estivo di circa cinquanta ragazzi provenienti da diverse parti d’Italia, impegnati nella partecipazione al
campo ‘Io ci sto’ organizzato dai padri
scalabriniani di Siponto.
La parrocchia di Borgo Mezzanone, dedicata a s. Maria del Grano e a
s. Matteo apostolo, è stata canonicamente eretta nel 1947. La chiesa parrocchiale è stata costruita nel 1934 ed
è stata dedicata l’8 dicembre 2005.
Dal 19 novembre 2015 ne è amministratore parrocchiale il sac. Stefano
Mazzone, vicario generale dell’arcidiocesi, collaborato dal vicario parrocchiale p. Abel Tissou, camilliano.
La santa Visita alla parrocchia s.
Maria del Grano e s. Matteo si svolgerà dal 26 al 29 gennaio 2017 
che l’Arcivescovo va a visitare
S
an Menaio è un piccolo borgo balneare in cui risiedono circa 193 abitanti, situato a circa 7 km da Vico del
Gargano, di cui è frazione, lungo la
costa settentrionale del promontorio
del Gargano, all’interno dell’omonimo Parco Nazionale. Il piccolo centro turistico, posto sul mare tra le località di Rodi Garganico (distante
solo 5 km) e Peschici (distante circa 10 Km), si sviluppa in una zona
ricca di pinete e aranceti. La limpidezza delle acque è divenuta ormai
leggendaria su questo tratto di costa e questo attira ogni anno un elevato numero di turisti. Proprio con
la sue spiagge - Calenella, Tufare o
dei Cento Scalini, s. Menaio, Murgia
della Madonna - attrezzate con lidi e
servizi di ogni genere, San Menaio
ha contribuito in modo rilevante allo sviluppo del turismo sul Gargano
già dagli anni ’50, rendendo la frazione il fulcro dell’economia locale,
insieme alla produzione di un eccellente olio extravergine di oliva e a
una consistente attività agricola.
L’abitato di San Menaio è adagiato
lungo il percorso settentrionale della statale Garganica, stretto tra l’Adriatico e le pendici del Promontorio
ed è attraversato dalla ferrotramvia
locale San Severo-Peschici a binario
unico, si sviluppa per circa 3 chilometri lungo la costa dalla contrada
Murge Nere alle contrade Valazzo e
Pineta Marzini.
Torre dei Preposti
Detta anche “dei Doganieri” è una
fortificazione affacciata sul mare
con funzioni di difesa e di dogana,
intorno ad essa si è sviluppato il primo nucleo del centro abitato fatto da
case di pescatori e contadini. Costruita probabilmente nel medioevo, fu
rinforzata nel 1569 a difesa delle coste dell’Adriatico meridionale per
contrastare le continue incursioni
saracene. La torre spezza la linearità del lungomare rappresentando l’e-
lemento di collegamento tra il nucleo
storico di San Menaio e l’elegante zona residenziale di più recente costituzione detta Murge Nere per via della presenza di due grandi monoliti
di roccia scura affioranti dal bagnasciuga.
La parrocchia di s. Antonio di Padova è stata eretta canonicamente
nel 1940. La chiesa è stata costruita
nel XVIII secolo. Dall’ottobre del
2010 è parroco il p. Matteo Ciavarella
dell’ofm cappuccini.
Nel territorio parrocchiale vi sono tre altre chiese, la prima dedicata a s. Michele in collina, s. Maria
della Difesa alla contrada Valazzo,
e s. Francesco dei Frati Cappuccini
(1980).
La santa Visita alla parrocchia s.
Antonio di Padova si svolgerà dal
9 al 12 febbraio 2017 
15
Uno studio su s. Pascasio, eremita sul Gargano
C
hi è questo s. Pascasio? E perché il
suo permanere sul Gargano? Sono le due principali domande che,
inevitabilmente, il lettore attento
si pone mentre si appresta a leggere il diligente studio dell’amico Marco Trotta che
con questa sua indagine su Pascasio, un
santo eremita nel Gargano altomedioevale, edito nel numero LXVIII dell’Archivio
Storico Pugliese, ci prende quasi per mano e ci porta a ritroso nel tempo attraverso
una magistrale lettura di fonti, notizie, documenti e testi, dagli Acta Sanctorum alla
Vita di s. Giovanni Pulsanese, al Martirologio di Pulsano, ai Codici agiografici raccolti dal Gielemans, agli Annali Camaldolesi,
fino a Cavaglieri, Sarnelli, Bacco.
Venuto dalla lontana Irlanda per vivere
all’ombra del santuario micaelico del Gargano, luogo “ubi fideliter Deo possit servire” , come ci riporta il Sanctilogium di Gielmans del 1472, questo santo personaggio,
ispiratosi a quel perfetto modello di vita cristiana allora assai in auge, ha esemplificato e condotto sulle balze desertiche del territorio della città di Monte Gargano, una
vita monastica tutta improntata all’eremitismo, fatta di preghiera, digiuni, veglie,
ascolto e ruminazione della Parola, non di-
I
n occasione del cinquantesimo anniversario dalla scomparsa di don Lorenzo Milani (Firenze, 26 giugno
1967), le Edizioni San
Paolo propongono l’opera
Don Lorenzo Milani – L’esilio di Barbiana scritta
da Michele Gesualdi, che
ha vissuto assieme al Priore l’intera epopea di Barbiana, scuola fondata nel 1956.
La prefazione del volume è
a cura di Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, mentre la postfazione
è stata scritta da don Luigi Ciotti, ideatore delle associazioni Libera e Gruppo Abele.
Su don Lorenzo Milani è stato scritto molto. La sua figura, una delle più importanti della storia italiana del dopoguerra, ha
scosso in profondità le coscienze e diviso gli animi. Ma chi è stato davvero don
Milani?
A tale interrogativo vuole rispondere questo libro di Michele Gesualdi, presidente
della Fondazione Don Lorenzo Milani ed
ex presidente della Provincia di Firenze
(1995 – 2004), che ha avuto l’opportunità di crescere assieme al Priore di Barbiana e di vivere in prima persona il suo “miracolo”.
Dando voce alle vive testimonianze di
quanti lo hanno conosciuto direttamente
e basandosi anche sulle lettere del Priore,
alcune delle quali inedite, Gesualdi ricostruisce il percorso che ha portato don
Milani all’“esilio” di Barbiana. La sua
narrazione prende il via dagli anni del Seminario, senza tralasciare però il periodo
in cui don Milani è stato cappellano a San
Donato di Calenzano: se infatti Barbiana
è stato il suo “capolavoro”, Calenzano ne
Alberto Cavallini
menticando di frenare la concupiscenza
della carne e di amare le sante vigilie, fino alla morte, per poter dire con s. Paolo
“di null’altro mi glorio se non della Croce
di Cristo”. Dunque, una vita di preghiera
e penitenza quale specifica scelta di vita
condotta da questo monaco irlandese che
ha avuto un prestigio spirituale non indifferente sul nostro Gargano, anche se studi recenti, pur ricchi di fonti letterarie latine ed irlandesi, lo hanno ignorato. Egli fa
parte di quella schiera di monaci peregrini,
cioè oranti, che nell’alto Medioevo allontanatisi dalla propria patria sono vissuti da
stranieri in Italia presso monasteri o luoghi santi: il nostro s. Pascasio ha scelto il
Monte Gargano ove ha speso il resto della
sua esistenza all’ombra del santuario micaelico del Gargano come testimone della
fede per molti.
Pascasio venne subito dopo la morte as-
è stata l’officina. È però nel niente di Barbiana, di cui don Milani diviene Priore nel
1954, che si compie il suo “miracolo”, quel
niente che egli ha fatto fiorire e fruttificare prendendosi cura degli esclusi e degli emarginati.
Un libro straordinario
e commovente in cui Gesualdi, che ha vissuto in casa con don Lorenzo tutto il
periodo di Barbiana, apre il
suo cuore e ci svela il vero volto di don Milani: un
prete, un maestro, un uomo, un “padre” che ha fatto del suo sacerdozio un dono ai poveri.
MICHELE GESUALDI è stato uno dei primi
sei “ragazzi” per i quali don Lorenzo Milani
organizza in canonica di Barbiana la scuola nel 1956. Dopo Barbiana, Gesualdi ha
fatto il sindacalista a Milano e a Firenze
come segretario generale CISL. Per due legislature è stato presidente della Provincia di Firenze dal 1995 al 2004. Al termine
dei mandati amministrativi è ritornato sulle sue colline di Barbiana in Mugello. Oggi
è presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani. Da sempre porta avanti la sua
opera di ricerca, raccolta e tutela della documentazione riguardante don Milani e la
sua scuola che ha curato e ordinato in diverse pubblicazioni. Per le Edizioni San Paolo ha pubblicato le Lettere di don Lorenzo
Milani Priore di Barbiana (2007) e «Perché
mi hai chiamato?» (2013).
a cura della EDITORIALE SAN PAOLO S.R.L.
Via Giotto, 36 - 20145 Milano (MI) 
Michele Gesualdi – Don Lorenzo Milani,
l’esilio di Barbiana - pp. 256, rilegato con
sovraccoperta, 16 euro – Edizioni s. Paolo
sai venerato nei monasteri del nostro Gargano e non solo. Vengono ricordati nello
studio di Marco Trotta “i luoghi garganici
di Pascasio”, da s. Pasquale alle falde del
monte Turmite, dominante la piana di Macchia Posta, alla città di Monte Sant’Angelo che custodisce il millenario santuario
micaelico, al protomonastero di Pulsano.
Nell’avvicendare dei secoli e molto verosimilmente proprio da Pulsano, ove fu dapprima sepolto, le reliquie del suo corpo furono traslate per volontà di Manfredi di
Svevia dapprima in Lesina e poi in Napoli
nella basilica ss. Annunziata, da dove furono definitivamente disperse nel 1757 a
seguito del grave incendio che distrusse
nottetempo la bella chiesa napoletana, ricostruita poi dal Vanvitelli.
E proprio dall’intelligente studio delle fonti il nostro autore trae una davvero arguta ipotesi su questo santo eremita, il qua-
le, proprio per quella sua austerità di vita,
fu di certo modello ispiratore, o forse meglio, ‘padre’ di molti altri monaci eremiti
vissuti sul nostro Gargano, primo fra tutti s. Giovanni Pulsanese che fu insuperato
maestro di vita per tanti uomini e donne,
affascinati proprio dalla vita ascetica condotta sul colle di Pulsano agli inizi del XII
secolo, e raccolti, poi, nella Congregazione
dei Poveri Eremiti Pulsanesi, noti come gli
Scalzi. Insomma, l’approccio alla figura di
Pascasio monaco ed eremita, non può non
passare attraverso questa attenta selezione e analisi di testi che, acutamente letti e
interpretati, dipanano e illustrano la figura
di questo ‘sconosciuto’ santo personaggio
altomedioevale. Un grazie, allora, va all’amico Marco Trotta per aver saputo dipanare le nebbie dell’oblio dei secoli che avvolgevano il santo eremita con uno studio appassionato e avvincente.
Anche se s. Pascasio, oggi, è completamente sconosciuto sul nostro Gargano, devo tuttavia ricordare che la sua memoria è
ancora inserita nel calendario liturgico edito ogni anno dai monaci dell’abbazia di Pulsano, alla data del 1° febbraio, dies natalis
del nostro s. Pascasio, così come tramandatoci dall’antico Martirologio di Pulsano. 
“Misericordia et Misera” affinché
la porta del nostro cuore non si chiuda
P
Antonia Palumbo
arola di Dio, santi Padri, vita cristiana, sono i capisaldi che risuonano armonicamente nella Lettera
Apostolica Misericordia et misera, che papa Francesco ha consegnato alla
Chiesa nel giorno della chiusura del recente Giubileo. Nel titolo, tratto dal commento
di s. Agostino alla pericope evangelica dell’adultera perdonata da Gesù (Gv 8,1-11), sono
correlati i termini miseria/misericordia, cioè la figura della Misera donna accolta e salvata dalla Misericordia, il Maestro misericordioso. E Miseria e Misericordia sono parole che si intrecciano per la comune etimologia. S. Agostino nel suo Discorso 358/a sottolinea che la Misericordia è la disponibilità a “caricarsi il cuore di un po’ di miseria altrui”. E sottolinea: “La parola Misericordia deriva il suo nome dal dolore per il misero. Le due le parole sono incluse in quel termine: miseria e cuore. Quando il tuo cuore è toccato, colpito dalla miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia”. E tra i sinonimi che s. Agostino usa per definire la “misericordia” c’è il termine commiseratio, l’avere pietà per i miseri, o meglio l’essere misero assieme ai miseri, il farsi misero tra gli
altri miseri, il condividere lo stato di estrema povertà altrui. Il Dio della Misericordia di
cui parla s. Agostino è quello biblico, i cui benefici il profeta Isaia diceva di voler sempre
ricordare (miserationum Domini recordabor: Is 63,7). Ed in Cristo Gesù il Padre manifesta ancora di più la sua tendenza a commuoversi, cioè a oltrepassare la propria trascendenza, per entrare nella condizione del servo umiliato, dell’uomo più misero (Fil 2,6ss),
del Maestro misericordioso. La Misericordia dice chi è Dio. Nella Lettera apostolica papa Francesco sottolinea che Gesù, misericordiae vultus, deve trasmettersi attraverso l’esistenza di chi ha fruito della grazia del Giubileo, giacché, pur se chiuse le Porte sante di
Roma e delle Chiese di tutto il mondo, devono rimanere aperti i cuori di noi credenti. Insomma, il Papa è come se mettesse il piede sulla soglia dei nostri cuori, come si fa quando
si tenta di impedire che una porta si chiuda bruscamente per il vento, perché chi è stato “misericordiato”, scrive il Papa, deve diventare a sua volta “strumento di Misericordia”. 
“Misericordia et Misera”, la lettera apostolica di Papa
Francesco scritta per la conclusione del Giubileo
Straordinario della Misericordia
I
l Gruppo Editoriale San Paolo pubblica “Misericordia et Misera”, la
lettera apostolica di Papa Francesco che raccoglie e sintetizza l’intera esperienza dell’Anno Santo appena concluso. Il volume, con introduzione esclusiva curata da mons. Rino Fisichella – Presidente
del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione e
responsabile dell’organizzazione del Giubileo straordinario – e con indici e
glossario curati da Giuliano Vigini - uno dei nomi più noti del mondo editoriale -, consta di pag 84 ed è disponibile in libreria al costo di 1,90 euro. 
20 gennaio 2017
[Libri]
20 gennaio 2017
16
[Casa Sollievo e le Suore Apostole]
Madre
Clelia
Merloni
dichiarata dal papa venerabile
Suor Michela Losito*
Cristo, si offrì totalmente a Lui, per
diffondere nel mondo quell’ardore di
fede e di carità che si era acceso in
lei, e che la induceva ad amare Gesù sino alla croce, come risposta di
amore a Colui che l’aveva amata per
primo.
D
opo aver appreso che il Papa aveva firmato il decreto di venerabilità della loro
Fondatrice, la serva di Dio
Madre Clelia Merloni, le Suore Apostole del s. Cuore di Gesù che operano nell’ ospedale di S. Giovanni Rotondo, nato dal cuore di s. Pio, hanno
vissuto un Natale ‘speciale’: la comunicazione della notizia tanto desiderata e tanto attesa, perché tappa importante del processo canonico che
sta riconoscendo la santità di Madre
Clelia, ha portato una grande gioia
nel cuore di tutte le Suore Apostole
che ora desiderano condividere con
tutti, certe che la loro Fondatrice intercede presso il Signore con le sue
preghiere in particolare per le suore,
gli ammalati, i bisognosi, i giovani.
Dopo la dichiarazione di Venerabilità, breve è il passo verso la Beatificazione: allora la gioia delle Suore sarà
ancora più grande e le Figlie di Madre Clelia saranno ancora più fiere
della loro Fondatrice che è stata come un piccolo chicco di grano che
dopo essere stato sepolto e annullato, è rinato rigoglioso e vitale! Colei
che amava definirsi ed essere considerata un “cencio di cucina”, ora sale silenziosa le scale della gloria degli altari!
*superiora della Comunità delle Suore
Apostole del S. Cuore di Gesù di Casa
Sollievo della Sofferenza
Anche P. Pio da Pietrelcina sarà felice per la notizia di venerabilità della
Madre Clelia perché anche se i due
santi personaggi non si sono mai
conosciuti personalmente, tuttavia
hanno intessuto tra loro un epistolario: entrambi avevano capito la reciproca santità che possedevano e Madre Clelia in un momento di grande difficoltà e sofferenza spirituale e materiale chiese consiglio a P.
Pio che non si farà attendere nell’inviarle risposte puntuali e illuminanti, ed infine chiedendole che le Suore Apostole dovessero essere presenti nell’Opera che stava nascendo nel
suo cuore come una creatura nuova,
l’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, perché aveva capito la santità
della Fondatrice Madre Clelia: è un
magnifico esempio di come la santità si diffonde per attrazione e non
per proselitismo.
E a quanti vogliono imitala, Madre
Clelia dona i suoi motti, autentici
flash di luce e di vita: “ Dio solo!”,
“Senza umiltà non ci può essere
santità!”, confida nel Cuore di Gesù
“unica nave che nessuna tempesta
può far naufragare”, “E’ più grande chi sa farsi ultimo!”.
La venerabile serva di Dio Madre
Clelia Merlonia, toccata profondamente dall’esperienza del Cuore di
Comunicato della Madre generale
delle Suore Apostole del S. Cuore
Care sorelle, con grande gioia annunciamo che ieri, 21 dicembre
2016, alle ore 19,00, il santo Padre Francesco ha firmato il decreto di venerabilità della nostra Madre Clelia Merloni, Fondatrice. E’
festa in cielo e sulla terra. Comunichiamo a tutti questa notizia della Venerabile Madre Clelia. Sempre nel Cuore di Gesù.
Le Apostole del Sacro Cuore di Gesù professano i Consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza.
Nella consacrazione, nel carisma e
nel servizio, le Apostole trovano forza nell’Eucaristia, nella preghiera
liturgica, comunitaria e personale,
nel confronto con la Parola di Dio,
nella sincera conversione personale e nella vita comunitaria, sotto la
protezione della Vergine Maria. Lo
stemma dell’Istituto indica e unifica
nel motto paolino “Caritas Christi
urget nos!” (2 Cor.5, 14) il carisma
e la missione dell’Apostola: contemplando il Cuore di Cristo ella attinge
alle fonti del Suo amore ed è pronta
a testimoniarLo ovunque con la parola e con la vita.
L’Istituto delle Suore Apostole del
Sacro Cuore di Gesù è stato fondato
a Viareggio (Lucca) dalla venerabile serva di Dio Madre Clelia Merloni
(Forlì 1861 – Roma 1930), il 30 Maggio 1894. Madre Clelia è stata una
donna di grandi orizzonti, determinata nelle scelte, risoluta nel perseguire i suoi fini, generosa nella risposta alla chiamata di Dio di fondare una Congregazione dedicata al
S. Cuore di Gesù. Tale convinzione
era maturata in lei nella ricerca costante e risoluta di “Dio solo”, attraverso la Croce, che è stata il sigillo di tutta la sua vita. 
20 gennaio 2017
[AMCI]
17
SIGNIFICATIVO INCONTRO DELL’AMCI
CON L’ARCIVESCOVO MONS. VINCENZO PELVI
Foggia
San Giovanni Rotondo
anonimo soccorritore poi, pur essendo
un ateo e uno scomunicato come tutti
gli altri samaritani, invece di passare
oltre come avevano fatto il sacerdote e
il levita, dai quali ci si sarebbe aspettato un comportamento più coerente con
la fede che professavano, ebbe compassione di lui: si sentì cioè sconvolgere le
viscere come se fosse stata la persona
a lui più cara. Per cui, spinto da questa
passione viscerale, si fermò: scese da
cavallo, lo medicò con vino e olio, lo fasciò, lo caricò sul suo giumento portandolo in albergo, passò la notte accanto
a lui e l’indomani, dovendo proseguire,
versò un anticipo per l’ospitalità, lo affidò all’albergatore con questa calda raccomandazione: “prenditi cura di lui e tutto ciò che spenderai in più te lo rifonderò
al mio ritorno”.
Questo, ha concluso l’Arcivescovo, è il
modello a cui deve ispirarsi ogni medico che si professa cattolico che testimo-
nia la sua fede non tanto quando prega
o vive i momenti associativi, ma soprattutto quando testimonia la sua fede con
gesti di carità concreta durante il servizio di ogni giorno: “da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli, se
avrete amore gli uni per gli altri.”
L’altro momento importante dell’incontro, lo abbiamo vissuto nella celebrazione della s. Messa, presieduta dall’ Arcivescovo e da me concelebrata nella chiesa di s. Domenico, annessa all’Episcopio. La Parola di Dio della terza Domenica di Avvento parlava della Gioia che
deve vivere e testimoniare ogni credente, come clima più idoneo alla vicinanza
con la Festa del Natale, ma anche in rapporto al servizio che ogni medico cattolico presta agli infermi, membra vive di Cristo. Nell’Omelia, l’Arcivescovo
ha sottolineato che non può esservi carità vera senza la gioia nel cuore che si
esprime nella tenerezza e in una affa-
Rinnovato il Consiglio Direttivo dell’AMCI,
Sezione Casa Sollievo della Sofferenza
I
n occasione dell’incontro AMCI in Casa
Sollievo della Sofferenza durante il quale il diacono don Francesco Armenti ha tenuto una
meditazione sul Natale, la
sezione AMCI di CSS ha
presentato a mons. Michele Castoro il suo nuovo direttivo per il quadriennio
2017 – 2020:
Dr. Antonio Facciorusso,
Presidente
Dr. Angelo Iacobellis,
Vicepresidente
Dr.ssa Grazia Napolitano,
Segretaria
Dr.ssa Maria Grazia Morritti,
Segretaria
Dr. Gianfranco Callè,
Tesoriere
Dr. Michele Maggi,
Consigliere
Dr. Raffaele Russo,
Consigliere.
Don Giovanni D’Arienzo è Assistente Ecclesiastico della sezione dal
Antonio Facciorusso*
2012. Dal 2017 sarà affiancato anche da suor Maria
Lucia Esposto per l’animazione liturgica.
“L’AMCI, come anche i
Gruppi di Preghiera, fanno
parte dell’Opera Casa Sollievo della Sofferenza – ha
ricordato Mons. Castoro –
e all’AMCI è richiesto di essere il pugno di lievito nella massa.
Tanto più grande è la massa, tanto
più ricco di fermento deve essere il
lievito. Il lavoro dell’AMCI è gravoso,
ma al tempo stesso esaltante. I Medici Cattolici devono essere ‘antenne’ in
grado di captare ciò che l’occhio non
vede come le indigenze dei malati e
degli operatori sanitari”.
L’AMCI è presente in Casa Sollievo
della Sofferenza da circa 60 anni.
Nel maggio del 1957 i Medici Cattolici organizzarono a Bari un Congresso nazionale. Nell’ultima giornata si recarono a San Giovanni Rotondo guidati da Mons. Angelini, a
quel tempo Assistente Ecclesiastico,
e dal Prof. Gedda, Presidente dell’associazione. Padre Pio li ospitò in Casa Sollievo e recitò, per la prima volta in pubblico, la “Preghiera del Medico” scritta da Papa Pio XII. Partì così l’idea del Fondatore di creare una
sezione dell’AMCI nella sua Opera e
ne affidò l’incarico al Dr. Gusso che
guidò per diversi anni la sezione.
L’assistenza spirituale della sezione fu mantenuta per molto tempo da
Mons. Riccardo Ruotolo. I successori del Dr. Gusso, alla guida della sezione, sono stati il Dr. Nicola Silvestri (dal 1996 al 2003), la Dott.ssa Lucia Miglionico (dal 2004 al 2012), il
Dr. Antonio Facciorusso (dal 2013 al
2016). La sezione oggi conta 111 soci tra ordinari ed aggregati.
Alla sezione AMCI di CSS ed al suo
nuovo Direttivo l’augurio di continuare a Testimoniare la Fede guidati
dallo Spirito di s. Pio da Pietrelcina.
*presidente AMCI – Sez. CSS
bilità operosa. Ogni volta che voi medici medicate o consolate un fratello malato, voi illuminati dalla fede curate e
consolate Gesù in persona; e questo per
ciascuno di voi avviene ogni giorno, durante le ore di servizio. Quale gioia e
privilegio grande ha quindi il medico
illuminato dalla fede, di curare amare
e servire Cristo al letto dei malati.
Da sacerdote Camilliano potrei sommessamente aggiungere quanto ripeteva s. Camillo ai suoi figli infermieri
mentre curavano le piaghe dei malati:
“Beati e Felici Voi che avete una così buona occasione di servire Dio al letto degli
infermi, con le mani dentro la pasta della carità! Beati voi se potrete essere accompagnati al tribunale di Dio da una
lacrima, da un sospiro di questi poverelli infermi”.
Dopo la celebrazione eucaristica, attratti sempre dall’affetto e confortati dalla finezza e semplicità dimostrateci durante tutta la mattinata da Mons. Pelvi, siamo stati da lui benevolmente accompagnati a visitare i vari locali dello storico Episcopio. Non bastando tanta finezza e disponibilità, l’Arcivescovo
ci ha accompagnati fino al portone, salutandoci singolarmente con gioia e allegrezza grande, mentre tutti noi eravamo felici e contenti di avere trascorso una piacevole mattinata, all’insegna
della più edificante e familiare ospitalità.
*assistente dell’AMCI,
sezione di Manfredonia
AMCI Puglia
U
n nutrito gruppo di Medici
Cattolici di Manfredonia, S.
Giovanni Rotondo, Foggia e
San Severo, è stato accolto da
mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo di
Foggia e Bovino, il quale, con stile fortemente familiare ed evangelico, ci ha
attesi sulla porta dell’Episcopio. E’ stato ancora sempre Lui in persona a fare gli onori di casa, mettendoci a nostro agio e servendoci con le sue mani,
come un buon papà, dolci e bevande.
Al piacevole incontro sono stati anche
presenti i familiari del Dottor Cela e soprattutto la Signora Dolores, alla quale l’Arcivescovo ha consegnato una pergamena in ricordo del figlio Giovanni
prematuramente scomparso. Nell’ampia sala dell’Episcopio, l’Arcivescovo ci
ha poi intrattenuti offrendoci una semplice ma profonda meditazione, durante la quale ha sottolineato l’importanza
della testimonianza sia personale che
ecclesiale concreta di ogni medico che
si professa cattolico, nella quotidianità e nel luogo dove vive e svolge il suo
servizio.
Nutrendosi della Parola di Dio e dell’Eucaristia, egli servendo i malati, deve
cercare di vivere e incarnare gli atteggiamenti e i sentimenti del Buon Samaritano (Luca 10), il quale immedesimandosi nella situazione del malcapitato lasciato mezzo morto sul ciglio
della strada, si prese cura di lui, compiendo gesti che forse solo un parente
stretto ne sarebbe stato capace. Questo
padre Rosario Messina*
Grazie a Lucia Miglionico
Riconfermata
presidente regionale
amci
I
Pino Grasso*
l 4 gennaio scorso è scaduto il
primo quadriennio di Presidenza Regionale di Lucia Miglionico. A Bari l’abbiamo tutti convintamente acclamata per un altro quadriennio e Lucia, commossa, ha accettato nuovamente questo SERVIZIO
chiedendo e ottenendo il supporto di
3 giovani autorevoli Presidenti di Sezione - Facciorusso, Agostini e Palumbo – in qualità di Vicepresidenti.
Certamente questo nuovo STAFF nel
prossimo quadriennio sarà il
MEGLIO per l’AMCI Pugliese.
Sì perché come sappiamo tutti
l’Essere è preliminare al fare
e Lucia nel Suo Servizio a 360
gradi con Peppino, suo marito
anch’egli medico, è per noi tutti senso di appartenenza, testimonianza coerente, formazione adeguata.
Come l’esempio dei nostri Maestri ci
insegna, a partire dal Presidente Nazionale, è la Persona che rende grande il Ruolo di Servizio che presta
e non viceversa. Auguri, allora, di
buon lavoro alla Presidente Regionale e ai validissimi Vicepresidenti.
*presidente AMCI Manfredonia
20 gennaio 2017
2017
18
[Educare alla Vita]
5 febbraio 2017: Giornata per la vita
Prendersi cura dei piccoli e degli anziani
Antonia Palumbo
Il messaggio del Consiglio permanente Cei per la 39ª Giornata nazionale
per la Vita che si celebrerà domenica
5 febbraio 2017 si intitola “Donne e
uomini per la vita nel solco di Santa Teresa di Calcutta”.
Avere cura di nonni e bambini - sottolineano i Vescovi - “esige lo sforzo di
resistere alle sirene di un’economia irresponsabile, che genera guerra e morte. Educare alla vita significa entrare
in una rivoluzione civile che guarisce
dalla cultura dello scarto, dalla logica
della denatalità, dal crollo demografico, favorendo la difesa di ogni persona
umana dallo sbocciare della vita fino
al suo termine naturale”.
E
d ai sogni dei bambini fa riferimento il messaggio per
la prossima Giornata per la
Vita. Non è una deriva poetica. Che cosa sognano i piccoli? In
genere quello che promettono loro i
grandi: una bella giornata, un premio, una gita insieme, un momento di festa. Oltre a questo, gli adulti
sono in grado di promettere ancora
qualcosa di più grande, qualcosa che
accompagna i bambini, infondendo
in loro sicurezza nella vita. Quando
i genitori fanno venire al mondo un
figlio, gli promettono accoglienza e
cura, vicinanza e attenzione, fiducia e speranza, tutte promesse che
si possono riassumere in un unico
impegno: l’amore. Papà e mamma,
accogliendo un figlio, promettono a
lui amore, cura, stabilità, attenzione. Questa promessa non può essere tradita, perché i figli ne hanno bisogno per guardare con speranza al
loro domani. Oggi le cose sembrano
cambiare perché prevale il desiderio, quello che facilmente si tramu-
ta in diritto. Il desiderio di un figlio
ha condotto a un superamento della famiglia e, ancora di più, al superamento della complementarietà tra
l’uomo e la donna. Il figlio del desiderio ha un futuro condizionato: può
essere rifiutato, deve essere all’altezza delle aspettative. Ben diverso è
l’amore; è la promessa che un uomo
e una donna fanno a un figlio, impegnandosi per lui in modo incondizionato sin da quando è più indifeso.
Custodire la vita umana nascente
è un atto di fiducia verso il futuro.
Ai bambini si affiancano, forse più
che in passato, i nonni. Ciò è dovuto
al fatto che gli anziani devono occuparsi dei più piccoli assistendoli, accompagnandoli, curandoli, quando i
genitori sono impegnati. L’affiancamento non è solo una necessità, ma è
anche una complementarietà. I bambini sono il futuro, gli anziani sono
la memoria della vita. Sono maestri
dell’essenziale: trasmettono ciò che
hanno acquisito nella loro lunga vita e lo donano come un concentrato
di sapienza. Lo ricorda la Scrittura:
“Non trascurare i discorsi dei vecchi, perché anch’essi hanno imparato dai loro padri; da loro imparerai
il discernimento e come rispondere
nel momento del bisogno” (Sir 8,9).
Non di rado i nonni sono i primi e più
incisivi catechisti.
Celebrare la Giornata per la vita
significa tenere insieme le generazioni all’interno della famiglia:
nonni, genitori, bambini.
In un contesto di forte individualismo, caratterizzato dall’autonomia
assoluta, la famiglia ricorda che tutti siamo inseriti in un contesto di relazioni. La famiglia è antidoto alla
società del profitto perché vive rapporti all’insegna della gratuità. Proprio gli anziani insegnano ai giovani, troppo innamorati di sé stessi, che c’è più gioia nel dare che nel
ricevere. Bambini e anziani rappresentano i due poli della vita, ma sono i più
vulnerabili, spesso i
più dimenticati.
Una società che abbandona i bambini e
che emargina gli anziani recide le sue
radici e oscura il suo
futuro. Lo ricordava
tempo fa il Santo Padre: “Ogni volta che
un bambino è abbandonato e un anziano
emarginato, si compie
non solo un atto di ingiustizia, ma si sancisce anche il fallimento di quella società”
(udienza al Pontificio
Consiglio per la famiglia, 25 ottobre 2013).
Denatalità
Invece, prendersi cura dei piccoli e
degli anziani è una scelta di civiltà.
Ed è anche il futuro, perché i piccoli, i bambini, i giovani porteranno
avanti quella società con la loro forza, la loro giovinezza, e gli anziani
la porteranno avanti con la loro saggezza e la loro memoria. 
“Com’è bello sognare con le nuove generazioni una Chiesa e un Paese capaci di apprezzare e sostenere storie
di amore esemplari e umanissime,
aperte a ogni vita, accolta come dono
sacro di Dio anche quando al suo tramonto va incontro ad atroci sofferenze; solchi fecondi e accoglienti verso
tutti, residenti e immigrati”. È un passaggio del Messaggio del Consiglio
permanente Cei – dal titolo “Donne e uomini per la vita nel solco di
Santa Teresa di Calcutta” – per la
39ª Giornata Nazionale per la vita.
Santa Teresa, ricorda il testo, “c’insegna ad accogliere il
grido di Gesù in croce:
‘Nel suo ‘Ho sete’ (Gv
19,28) possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei
piccoli innocenti cui
è preclusa la luce di
questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di
pace’. Gesù è l’Agnello
immolato e vittorioso:
da Lui sgorga un ‘fiume di vita’ (Ap 22,1.2),
cui attingono le storie
di donne e uomini per
la vita nel matrimonio,
nel sacerdozio o nella
vita consacrata religiosa e secolare”. 
Fare un figlio
in un paese a nascite sottozero
‹‹O
ggi l’Istat, nel rapporto
su Natalità e fecondità
del l a p op ol a z ione
residente, è tornato
a dare l’allarme sul crollo della
natalità: abbiamo 17mila nascite
in meno r ispetto al dato g ià
preoccupante dello scorso anno.
Il crollo demografico sembra non
appassionare la politica, ma se
mettessimo tutte le energie che
stiamo mettendo su questioni
ideologiche che spaccano il Paese, su
questo tema forse riusciremmo ad
invertire questa tendenza». Queste le
parole di Gigi De Palo, presidente del
Forum delle associazioni familiari.
«Meno bambini oggi vuol dire il
crollo del sistema pensionistico
e il collasso del sistema sanitario
domani. Cosa stiamo aspettando?
Tra l’a lt ro la r icerca d i u na
soluzione per invertire questo crollo
demografico è un argomento capace
di unire tutto il Paese, al di la dei
partiti o dalle visioni ideologiche
perché è un’emergenza oggettiva.
«Come se non bastasse aggiungiamo
che 8,3 nati su 100 hanno una madre
ultraquarantenne. Insomma: i figli
sono pochi e arrivano anche fuori
tempo massimo. Cosa deve accadere
ancora? Vogliamo ritrovarci qui il
prossimo anno ad analizzare dati
ancora più negativi? Perfino l’Ocse, nel nuovo Economic Outlook, tira le orecchie all’Italia per la quale “dovrebbe essere prioritario un
programma nazionale mirato per
contrastare la povertà delle famiglie con bambini”. «Lo ripetiamo
da tanti anni: abbiamo bisogno
di politiche fiscali a dimensione
familiare» conclude De Palo. «Se
oggi fare un figlio è diventata una
delle prime cause di povertà, come
possiamo pensare di invertire
questa tendenza?»
Daniele Nardi , Capo ufficio stampa Forum delle associazioni familiari
Lungo Tevere dei Vallati 10, 00186 Roma
– tel. 06.6830.9445 – fax 06.6821.0027
19
Cristo rallenta il Suo passo e lo adatta a quello nostro
Veglia di preghiera per la festa della santa famiglia di Nazareth
Domenico Trotta e Nicoletta Gallotto Gentile*
sentire. Il punto centrale della veglia è
stato il brano del Vangelo di Matteo, che
invita a comprendere che la rivelazione
dell’amore del Padre non è per pochi privilegiati, ma per tutti i popoli della terra.
Nell’episodio della cananea, il Signore
decide di “uscire” e dirigersi verso la
periferia di Israele abitata soprattutto da
pagani. Da quelle regioni, al confine con
il Libano, viene incontro a Gesù una donna che, come lui,
esce dalla propria terra; l’uscita di entrambi genera un incontro che permette il dialogo
fra i due. Ognuno si lascia cambiare dalle parole dell’altro:
la madre cananea, coraggiosa
e umile sostenitrice del suo bisogno, e Gesù,
che avrebbe potuto ignorare la
donna e proseguire oltre nel suo cammino, ma invece modifica il suo sguardo e il suo agire
a motivo delle fede di quella straniera.
Come avremmo reagito, al posto della
cananea, alla provocazione di Gesù? Sa-
È bello stare insieme
È
al secondo anno l’esperienza
diocesana guidata dall’Ufficio Pastorale Familiare e voluta dal nostro Vescovo per l’accompagnamento spirituale del gruppo
delle persone separate – divorziate e riaccompagnate. Questo gruppo desidera
intraprendere un cammino per rielaborare alla luce della Parola di Dio la nostra nuova condizione esistenziale ed ecclesiale. Gli incontri sono aperti a tutti
coloro che, in uno stile di accoglienza e
fraternità reciproca, desiderano accompagnare nella preghiera questo itinerario. Il percorso per quest’anno 2016/17 è
stato attivato a Manfredonia per le Vicarie di Manfredonia, Monte Sant’Angelo e
San Giovanni Rotondo (con don Vincenzo d’Arenzo e don Fernando Piccoli quali animatori spirituali) e a Peschici per le
Vicarie di Vieste e del Gargano Nord (con
don Davide Longo, animatore spirituale).
Quali sono gli obiettivi che questo percorso umano-spirituale si prefigge?
- Favorire la consapevolezza che la Parola di Dio raggiunge ciascuno di noi nella sua concreta situazione e che dunque
anche la sofferenza e il dolore possono
diventare il luogo teologico per riflette-
re sull’amore misericordioso del Padre;
- Incontrare fratelli e sorelle che, avendo
vissuto la profonda sofferenza di un matrimonio non riuscito, hanno scorto comunque nella loro vita i segni della presenza di Dio; - Sperimentare un’esperienza di Chiesa in cui le singole persone, riunite nel nome di Gesù, si sostengono e si aiutano nel vivere ogni giorno,
nonostante le difficoltà, la fede cristiana.
Gli incontri mensili si svolgono in un luogo di culto, preferibilmente un santuario o una cappella, per favorire il raccoglimento. Nell’equipe di guida, oltre ai
sacerdoti animatori, ci sono sia due/tre
coppie regolarmente sposate, sia di nuova unione che lavorano insieme; una o
più persone separate. La proposta è strutturata in nove incontri mensili (già due
si sono tenuti il 20 novembre e il 18 dicembre 2016), in ciascuno dei quali è
previsto un momento di accoglienza, di
preghiera, di condivisione e un momento conviviale. Se questo itinerario è nuovo per la diocesi, non lo è per la Chiesa
italiana.
E’ appena del 6 gennaio 2008 la lettera meravigliosa “Il Signore è vicino a chi
ha il cuore ferito” dell’allora arcivescovo
Percorso per persone
separate, divorziate
e di nuova unione
auspicio del Papa perché nelle diocesi si “realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza a quanti, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperien-
L’
remmo riusciti, come lei, a dimostrare
di avere fede nel Signore? Molto probabilmente saremmo tornati a casa delusi
e “incompresi”. La dinamica dell’uscire,
che si riscontra nel rapporto tra Gesù e
la cananea, è quella sottolineata da Papa Francesco nelle sue catechesi di pastorale familiare e coinvolge tutti i soggetti della relazione: la comunità ecclesiale e la famiglia, il marito e moglie, i
genitori e i figli.
È nel contesto
familiare che
dobbiamo imparare a coltivare la pazienza e la carità
fraterna, invece di rispondere
con ira, di farci
dominare dagli
impulsi.
L’amore comporta sempre indulgenza e comprensione, partendo dalla consapevolezza che
l’altro ha il diritto di vivere così com’è, anche se agisce in un modo diverso da quello che noi
avremmo desiderato.
Nella veglia abbiamo pregato anche con
le parole di don Primo Mazzolari, un pro-
feta, come lo ha definito Papa Paolo VI,
un esempio di testimonianza di Santità
che si è battuto, durante la sua vita, per
i poveri e contro le ingiustizie sociali e
per il dialogo con i “lontani”.
Molto spesso, purtroppo, barricandoci
in noi stessi, ci lamentiamo delle nostre
piccole croci pensando “che Egli non sia
con noi e ci abbia abbandonato”, dimenticando che invece è Lui che ci porta in
quei momenti” dice don Mazzolari nelle
sue riflessioni che abbiamo meditato e
fatto nostre. “Cristo rallenta il Suo passo
e lo adatta a quello nostro incerto e insicuro”, ci sostiene anche se facciamo fatica a stare al passo di Colui che cammina
con noi come l’eterno Pellegrino di ogni
strada. Ma, dice ancora don Mazzolari, è
proprio questa fatica che ci permette di
riconoscere sulla nostra strada Colui che
ci cammina a fianco. La testimonianza
di un uomo separato che, dopo aver visto
crollare le sue convinzioni e speranze di
un matrimonio benedetto da Dio, si ritrova di colpo impreparato a una nuova vita,
ma che ha saputo reagire, grazie all’incontro con alcuni sacerdoti, e ha imparato ad amare quel Dio, che prima amava solo di facciata, ha chiuso il momento
di preghiera, di riflessione e di condivisione del comune sentirci famiglie, piccole chiese domestiche, pur con le nostre
immancabili fragilità umane.
*coniugi
Manfredonia
I
n occasione della festa per la Santa
Famiglia di Nazareth, il 30 dicembre u.s., l’Ufficio di Pastorale familiare della nostra Diocesi ha organizzato, presso la Cattedrale di Manfredonia, un momento comune di preghiera.
L’iniziativa è nata come una delle risposte delle famiglie della diocesi all’appello di Papa Francesco ad “uscire” verso
gli altri, anche in sintonia con la visita
Pastorale del nostro amato Vescovo alle
parrocchie della Diocesi, iniziata proprio
in questi giorni.
Alla veglia hanno aderito diverse famiglie impegnate negli incontri di Pastorale familiare delle Parrocchie della diocesi. La veglia, presieduta da Don Fernando, è iniziata con l’ostensione del SS. Sacramento per proseguire con canti, preghiere e testimonianze.
Il tema, “La Via dell’Uscire - Una chiamata per tutti - Grande è la tua fede!”,
si rifaceva all’episodio della cananea descritta in Mt 15, 21-28.
“Uscire”, prima di tutto da noi stessi, per
andare incontro al Signore per farci trovare docili ed accoglienti nell’ascoltare
la sua Parola. Per far ciò è necessario farsi umili e piccoli, togliere dal cuore la
pretesa che tutto ci sia dovuto, per accostarci al suo amore con gioia e fiducia.
Solo se gli apriamo il cuore, anche se ferito, Lui può trasformarlo, per cambiare
il nostro modo di agire, di pensare e di
20 gennaio 2017
[Pastorale familiare]
Giuseppe Barracane*
di Milano card. Dionigi Tettamanzi agli
sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione. Cito solo una frase
su tutte: «La prima cosa che vorrei dirvi, sedendomi accanto a voi, è dunque
questa: “La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o vi considera indegni”» (p. 3). Sempre nello stesso periodo sono sorte esperienze pilota in altre
diocesi: quella con l’allora card. Poletto
a Torino, dell’allora vescovo di Cremona,
mons. Lanfranconi e dell’allora vescovo
di Arezzo, mons. Bassetti. L’allora arcivescovo di Bologna card. Caffarra in un
incontro con i separati, tenuto il 22 aprile 2007 a Bologna, ebbe a dire a conclusione: «La Chiesa desidera tenervi tra le
sue braccia per evitare che l’abbandoniate e che vi sentiate abbandonati». Arriva
dunque anche da noi questa esperienza
che può fare solo del bene a questa Chiesa. Questi incontri sono stati fortemente voluti dal nostro Vescovo che ha fatto
entrare una ventata nuova di attenzione
pastorale. Scriveva nelle Linee pastorali
“Pietre vive per la costruzione del tempio”
(Anno 2012/2013): «La gente cerca una
Chiesa trasparente e vicina, una Chiesa
che sa accogliere e capire, che sa guidare
e consolare, una comunità che sa ascoltare e orientare, una Chiesa che gioca d’anticipo sui bisogni della gente, che si mette al servizio delle persone, specialmente degli ultimi e degli esclusi» (p. 28). E
ancora: «Perciò cerchiamo di essere la
Chiesa con il grembiule che si fa locanda
dove Cristo, il Buon samaritano, ci affida
l’umanità ferita e piagata dalle tante forme di esclusione sociale, di solitudine e
di spaesamento, di fragilità e di difficoltà di natura materiale, relazionale, spirituale» (ib.). Il 18 dicembre u.s. ci ha fatto
visita il nostro Vescovo che, nel momento della preghiera, ha chiesto perdono a
tutti se nel corso degli anni passati la
Chiesa ha giudicato ed ha escluso dalla
vita ecclesiale tutti quelli che hanno fatto un’esperienza per tanti versi straziante e dolorosa. Abbiamo riscoperto che è
bello stare insieme, Vescovo e fedeli, in
un cammino in cui non ci sentiamo più
soli e abbandonati.
*dottore in sacra teologia
ze dolorose di fallimento e di separazione”, ha trovato eco concreta in diocesi.
Riprendono in gennaio gli incontri,
programmati dall’Ufficio di Pastorale familiare, per quanti vivono situazioni di famiglia di “amore ferito”: se-
parati, divorziati e di nuova unione.
L’ascolto della Parola di Dio e il confronto accogliente e reciproco costituiscono
il metodo di incontro per essere sempre
più consapevoli della propria appartenenza alla Chiesa. 
20 gennaio 2017
20
[Ecclesia in Gargano]
17 gennaio: Festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali
Rodi Garganico
Carlo Vallese
C
ani, gatti, cavalli e conigli, ma anche pesci rossi, tartarughe, canarini e
galline hanno riempito il
cortile della chiesa madre s. Nicola
di Mira in occasione dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio Abate. Durante la tradizionale festa, organizzata ormai da anni, il parroco
don Michele Pio Cardone ha ricordato che “nella vita di Gesù gli animali sono quasi una costante, dei veri
e propri compagni di viaggio che lo
aiutano a trasmettere il suo messaggio di salvezza per tutti gli uomini.
Ogni animale menzionato nel Vangelo – sono quasi quaranta richiamati più volte da tutti gli evangelisti
– è sempre tenuto in grande considerazione e salvaguardato. Basti pensare all’agnello ma anche a colombe, tortore, capretto e persino al vitello grasso, ma anche ad altri animali meno noti, come i corvi. Anche
a questo volatile, che comunemente
non gode di molta simpatia da parte
degli uomini, il Padre celeste provvede. Innanzitutto, gli animali sono
presenti principalmente nelle parabole, ma non unicamente in esse. So-
litamente la scelta è legata agli animali più diffusi e conosciuti al tempo in cui è vissuto Gesù e dal messaggio che Egli ha voluto veicolare.
Possiamo trovare un esempio nella
parabola del ricco e del povero Lazzaro che sembrerebbe già completa
con la contrapposizione dei due protagonisti, ma Gesù volutamente inserisce un cane che si accorge della
situazione di difficolta del povero e,
materialmente, gli accarezza le ferite e le piaghe. Un cane, senza che gli
si chieda nulla, aiuta chi vede nel bisogno, mentre un uomo non si accorge, o peggio, fa finta di niente.
Scrive Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’: ‘Così come succede
quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più
piccoli, la sua reazione era cantare,
coinvolgendo nella sua lode tutte le
altre creature’ … ‘Il cuore è uno solo
e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre
persone. Ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura è contrario alla dignità umana”.
A Rodi Garganico perciò celebrare il
santo protettore degli animali è una
delle ricorrenze più sentite e attese
dai residenti e dai cittadini dei paesi limitrofi che giungono in città con
i loro animali domestici, per la tradizionale benedizione. E’ una festa capace di unire grandi e piccoli che si
ritrovano per mettere i loro animali
domestici sotto la protezione del santo dalla lunga barba bianca.
Alle ore 18.00 è stata celebrata la s.
Messa alla quale è seguita poi una
lotteria dove i possessori degli animali hanno vinto gustosi premi per
i loro piccoli e amati animali. Anche quest’anno si è pensato di fare
una lotteria per sostenere i proprietari degli animali perché oggi avere in casa un animale comporta un
bell’impegno anche da un punto di
vista economico.
Sant’Antonio è invocato in Occidente
come patrono dei macellai, dei contadini e degli allevatori e come protettore degli animali domestici; fu
reputato essere potente taumaturgo
capace di guarire malattie terribili.
Solitamente è raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una
campanella. Il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle poste sotto la protezione del santo. La tradizione deriva dal fatto che l’ordine degli Antoniani aveva ottenuto il permesso di
allevare maiali all’interno dei centri abitati, poiché il grasso di questi animali veniva usato per ungere gli ammalati colpiti dal fuoco
di Sant’Antonio (sfogo pruriginoso della pelle simile alla varicella).
I maiali erano nutriti a spese della
comunità e circolavano liberamente nel paese con al collo una campanella. Nell’iconografia, infatti, s. An-
tonio abate viene sempre rappresentato con un maialino.
Secondo una leggenda popolare, è
stato proprio Sant’Antonio Abate a
fornire l’umanità del fuoco. Un giorno, mentre era nel deserto, gli venne chiesto di aiutare gli uomini, fornendo loro le fiamme. Il Santo decise di recarsi, col suo maialino, all’inferno; i diavoli lo cacciarono, ma il
suo maialino riuscì ugualmente ad
entrarvi. I diavoli, non riuscendo a
mandarlo via, chiesero l’intervento
di Sant’Antonio Abate che si riprese il maialino ma accese col fuoco
dell’inferno il suo bastone. Una volta tornato sulla terra diede il fuoco
agli uomini che, per riconoscenza,
gli dedicarono grandi falò.
NELLA VITA DI GESU’ E IN QUELLA
DI SANT’ANTONIO ABATE CI SONO
COMPAGNI DI VIAGGIO SPECIALI
DA AMARE E PROTEGGERE: GLI
ANIMALI 
Tra inquietudini e incertezze: cosa cercano i giovani d’oggi?
La risposta di San Giovanni Bosco
Antonio Pio Fasulo
N
el presentare ai giovani il
programma dell’annuale
festa parrocchiale in onore di s. Giovanni Bosco,
il parroco don Michele Pio Cardone
ha ricordato la figura di don Bosco
“che è stato prima di tutto un italiano
tenace che pur senza occuparsi di politica, ha pensato al problema educativo dei giovani. Egli è stato uno dei religiosi più amati, cosa non facile per
un sacerdote vissuto nella stagione risorgimentale. La sua vita è stata piena di successi e di insuccessi, ma i
suoi scontri e incontri con personaggi famosi, il suo carisma, il suo metodo, la sua spiritualità, i suoi continui viaggi e le sue doti soprannaturali lo hanno reso un grande Santo
che ha operato coraggiosamente nel
sociale: a lui bisogna ispirarsi se vo-
gliamo cambiare la nostra città e la nostra nazione. I giovani hanno
bisogno di essere ascoltati e s. Giovanni Bosco
è stato maestro in questo”.
In base alla varietà delle situazioni di povertà
e abbandono dei suoi
giovani, don Bosco si
è fatto loro prossimo
come padre, fratello, amico. A monte di questa misericordia «salesiana», c’è tutta la pena che don Bosco
ha sofferto incontrando ragazzi nelle
carceri di Torino, o mentre scorrazzavano allo sbaraglio per le vie della città. Oggi più che mai la figura di
San Giovanni Bosco è fondamentale, in tempi dominati da quella che il
Papa saggiamente chiama emergenza educativa perché le sue enormi qualità educative e
formative sono attuali. S. Giovanni Bosco
intuì che senza bontà,
senza una sana dose di
saggezza, non si educa e che i metodi bruschi non servono a nulla. Indubbiamente non
fu mai incline al lassismo o alla indulgenza, ma seppe saggiamente coniugare rigore, rispetto delle regole
con i modi gentili ed amorevoli. La
sua fu la prova tangibile che non è
possibile educare bene senza amore e rispetto. Comprese che la società
ha bisogno di ragazzi seri, educati e
preparati e che senza un nuovo uma-
nesimo, coniugato a rigorosa preparazione, non si va da nessuna parte.
Valorizzò il mondo delle parrocchie
che contribuirono a togliere letteralmente dalla strada molti ragazzi con
la centralità dei cortili e degli oratori
parrocchiali, autentici e grandi centri di raccolta, di cui oggi sentiamo
la mancanza. Insomma, s. Giovanni
Bosco fu un instancabile santo educatore, a tutto campo, dotato di enorme cuore e sensibilità.
La processione annuale di s. Giovanni Bosco quest’anno si svolgerà domenica 29 gennaio subito dopo la s. Messa delle 10.30 durante
la quale verranno benedetti i giovani della città. 
PRESEPE VIVENTE
associazione culturale della parrocchia s. Michele Arcangelo, in collaborazione
con alcuni ragazzi dell’ACR parrocchiale, ha dato vita alla 3^ edizione del Presepe Vivente,
trasformando, la sera del 29 dicembre, tutta la parrocchia in una piccola Betlemme.
Si è trattato di una rivisitazione della
sacra rappresentazione basata sulla
rievocazione storica e religiosa della
Nascita di Gesù ambientata nell’atmosfera “magica” degli inizi del
‘900 della nostra Manfredonia. Un
salto indietro nel tempo, tra gli antichi mestieri e le scene di vita quotidiana. La manifestazione si è ispirata ai valori della nostra tradizione e
per alcune ore (dalle 19:00 alle 23:00
circa) tutti coloro che hanno sfidato
il freddo pungente di quella sera sono stati immersi nell’aria e nell’ambiente nel quale hanno vissuto tanti
anni fa i nostri nonni.
I ragazzi dell’associazione sono riusciti,
nel giro di pochi giorni, ad allestire ed animare questa rievocazione dove, tra costumi d’epoca recuperati
da vecchie cassapanche o fatti con materiale povero, e musica natalizia, si respirava l’aria dei giorni
passati e un momento di particolare di serenità, alla riscoperta
di valori che sembrano svaniti nel nulla.
L’evento è iniziato con
il “coro angelico” delle nostre piccole coriste che, sul piazzale della parrocchia
e nonostante il vento gelido, hanno
intonato canti natalizi che annunciavano la nascita del Salvatore, allietando con le loro soavi voci i tanti presenti.
Sotto il colonnato della Chiesa è stata allestita la grotta della Natività
con la Sacra Famiglia, gli angeli e
i Re Magi.
Una piccola banda di musici ha poi
accompagnato gli spettatori lungo il
percorso della rappresentazione che
si snodava dal piazzale della Chiesa
fino al larghetto don
Michele Ciccone.
Scendendo lungo la
strada si potevano
ammirare i tipici mestieri di un tempo,
svolti nelle antiche
botteghe artigianali:
il pescivendolo intento a rattoppare le reti
e a vendere il pescato,
il falegname armato
di sega che si adoperava con tavole di legno, le piccole lavandaie alle prese con il
bucato sullo “struculaturo”, il fabbro col
martello che picchiava sull’incudine per
realizzare gli oggetti in ferro della
vita quotidiana, la venditrice di stoffe e tessuti, le donne intente a filare
la lana, lavorare e ricamare all’uncinetto, il fornaio che preparava il pane, il contadino che vendeva i prodotti genuini della terra e l’oste che
mesceva il vino. Il percorso terminava nel giardino antistante il salone parrocchiale dove erano allestite due grandi tende nelle quali i visitatori potevano rifocillarsi assaporando un buon piatto del “pancotto”
di una volta (fatto con pane raffer-
Domenico Trotta
mo, vari tipi di verdure, patate, olive
e olio) e gustare una calda “pettola”
fatta al momento e accompagnata da
un buon bicchiere di vino per riscaldarsi dal freddo.
Un grazie di cuore a tutti i ragazzi
dell’associazione “San Michele” che
hanno lavorato sotto le intemperie e
si sono adoperati per la buona riuscita del Presepe e un arrivederci all’edizione 2017, con la speranza di vedere crescere ancora il numero dei
visitatori. 
Manfredonia
L’
21
20 gennaio 2017
[Ecclesia in Gargano]
GIOVANI PROTAGONISTI
NELLA SOLIDARIETÀ PARTECIPATA
la concretezza del fare, offrendo occasioni per alimentare la speranza col
proprio esserci”. Il riferimento è, soprattutto, ai numerosi alunni volontari coordinati da due tutor. E’ offerto ai ragazzi un luogo in cui, trovandosi insieme a giovani del triennio
superiore e a persone adulte, sono
sostenuti nell’assumersi la responsabilità dello studio, condividendolo con i coetanei.
Più che sostituirsi al dovere della famiglia di vigilare sul rendimento dei
ragazzi, o creare problemi a chi ha
trovato lavoro col dopo scuola, si desidera, invece, partecipare ad un ambito di relazione costruttiva. Il fine
è anche quello di organizzare e dare un volto al bene e far emergere le
bontà presenti nel territorio. Un modo anche per far conoscere il territorio ed i bei valori del volontariato. I
giovani, mentre s’impegnano affianco ai bambini della scuola primaria
indicati dalle brave maestre, diventano cittadini attivi e abitano con la
speranza alcune fragilità della propria realtà.
Il grado di civiltà di un popolo - ha ribadito Papa Francesco - si misura
in base alla capacità di rispettare e
promuovere i diritti di ogni persona,
a partire dai più deboli.
Il doposcuola, allora, in quanto agenzia formativa in senso ampio, si propone proprio come luogo di opportunità non solo didattica. Tra gli interventi a favore dei minori esso rappresenta una delle realtà maggiormente consistenti, sia dal punto di
vista qualitativo che quantitativo.
Si tratta di un luogo che desidera rispondere all’esigenza di costruire
non solo sostegno, ma anche progetti educativi e formativi per ragazzi
al di fuori degli ambiti istituzionalmente costituiti, grazie all’impegno
di gruppi di volontari. Un servizio
volto ad aiutare le famiglie in sofferenza economica. “Un’attività costruita insieme - ha detto Francesca Ricucci, una delle tutor degli alunni
volontari - nell’umile desiderio di fare qualcosa di buono. Non solo il semplice mobilitarsi per soddisfare i bisogni didattici dei ragazzi, ma luogo di
crescita, di opportunità educative, di
relazioni buone con i coetanei”. È un
crescere insieme ai valori trasmessi durante lo studio, il gioco ed il rapporto con le famiglie. Interessanti le
considerazioni educative dei ragazzi
volontari: “Si tratta di fare qualcosa
di bello per il proprio paese – ha detto
Alessandra Mansella, alunna di 17
anni- in un certo senso aiutando gli
altri si aiuta un po’ anche se stessi e
si gettano le buone basi per una società più giusta e solidale”; “è un’esperienza formativa che aiuta a crescere dentro - Chiara Rinaldi, 18 anni
- che permette di comprendere quanto a volte siano importanti non solo
le competenze tecniche, quanto piuttosto la capacità di ascoltare e di dare affetto in maniera del tutto disinteressata”.
“Mediante il vostro servizio – ha detto
Papa Francesco ai giovani volontari - voi siete chiamati a svolgere una
funzione critica nei confronti di queste prospettive contrarie all’umano,
e una funzione profetica che mostri
quanto sia possibile pensare e agire
in modo diverso”.
In definitiva, il sostegno scolastico
affianca i genitori e la scuola nel delicato compito educativo, e offre ai giovani e agli alunni del triennio uno
spazio in cui vivere da protagonisti
la propria città. 
Monte Sant’Angelo
‘‘I
l progetto di una società solidale – ha recentemente ricordato Papa Francesco al
mondo del volontariato giovanile - costituisce il traguardo di
ogni comunità civile che voglia essere egualitaria e fraterna”. In quest’ottica, a Monte Sant’Angelo, venti giovani sono stati “gemellati” con altrettanti venti ragazzi nel dopo scuola. Un modo per vivere da protagonisti la propria città. Una “adozione”
scolastica realizzata attraverso il dopo scuola gratuito della Caritas. Si
tratta di sostenere i genitori segnati da diversi problemi familiari, ma
anche di accogliere le richieste dei
servizi sociali per alunni “speciali”
provenienti dalla scuola elementare. Un servizio offerto al territorio
attraverso la generosità dei giovani.
Infatti, sono ormai undici anni che
la parrocchia di “Santa Maria del
Carmine” offre al mondo della scuola ed ai genitori la possibilità di usufruire di un servizio realizzato con
la disponibilità dei giovani volontari. “Alleanza educativa – ha sottolineato il parroco don Domenico - è
dialogare e collaborare col territorio nella comune promozione e tutela delle realtà più fragili. Si tratta di
far emergere il bene dai tanti volti nel-
Vincenzo Castriotta*
*tutor degli alunni-volontari nel
dopo scuola gratuito
della Caritas parrocchiale
“Santa Maria del Carmine”
Monte Sant’Angelo
16 DICEMBRE 2016
22
[Ecclesia in Gargano]
5
GENNAIO:
ORDINAZIONE DIACONALE
DI FABRIZIO CIRELLI,
DELLA FRATERNITÀ DEI RICOSTRUTTORI
La chiesa nell’imitare il servizio reso dalla stella ai magi
è impegnata a frequentare la “scuola della Parola”
Michele Castoro*
L
a luce che a Natale è brillata nella notte illuminando la
grotta di Betlemme, oggi risplende e si manifesta ai Magi (cf. Mt 2,1-12). L’Epifania è mistero
di luce, simbolicamente indicata dalla
stella che ha guidato il viaggio di questi misteriosi pellegrini venuti dall’Oriente. La luce di Cristo, “sole che sorge dall’alto” (Lc 1,78), si irradia sulla terra, diffondendosi come a cerchi
concentrici. Anzitutto avvolge Maria e
Giuseppe, poi si manifesta ai pastori, i
quali accorrono “senza indugio” a Betlemme. Il fulgore di Cristo raggiunge
infine i Magi, che costituiscono la “primizia” dei popoli chiamati alla fede.
Miei cari, a tutti voi il mio saluto di pace. Saluto Don Stefano Mazzone, Vicario generale della nostra diocesi, e i Sacerdoti presenti; saluto i religiosi Ricostruttori con il Superiore Generale
Don Roberto Rondanina; saluto tutti
voi carissimi fedeli, testimoni di questo evento di grazia: il giovane Fabrizio Cirelli diventa “diacono”.
E a te, carissimo Fabrizio, un fraterno
e gioioso saluto nel nome del Signore
Gesù. Si uniscono alla mia gioia le tante persone che oggi sono qui a far festa
con te: la tua mamma e i tuoi familiari, gli amici, gli educatori, i confratelli,
tutti accomunati nell’unica gioia di vedere realizzato il tuo sogno, rispondendo alla chiamata del Signore. Ma, sono
certo, il primo a godere di questa tua
scelta è Papà Giorgio che ci ha lasciato
lo scorso anno. Ora dal Cielo ti benedice e ti incoraggia nel nuovo stato di vita da te intrapreso. Lo sentiamo vicino
in questo momento e preghiamo per la
sua anima benedetta. Dunque, i Magi giungono a Betlemme guidati dalla luce di una stella; istruiti dalle antiche profezie (cf. Nm 24,17), interpretano questo fenomeno celeste come annuncio della nascita del Messia. I Magi, “entrati nella casa, vedono il Bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11).
“Oggi i Magi – scrive san Pietro Crisologo – considerano con grande stupore
ciò che vedono nel presepio: il cielo calato sulla terra, la terra elevata fino al
cielo, l’uomo in Dio, Dio nell’uomo, e
Colui che il mondo intero non può contenere, racchiuso in un minuscolo corpo”. Da veri sapienti, i Magi contemplano il grande mistero che si manifesta
ai loro occhi in maniera sorprendente.
Essi si prostrano in adorazione e con
l’offerta di alcuni doni, “simboli profetici di segreta grandezza”, riconoscono
nel Bambino il “Pastore d’Israele”. Essi, “uomini della meraviglia”, scompaiono poi nel silenzio (cf. Mt 2,12), con
la stessa discrezione con cui sono apparsi all’orizzonte della storia della
salvezza.
La manifestazione ai Magi svela una
dimensione perenne e costitutiva del
disegno di Dio: “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere
la stessa eredità, a formare lo stesso
corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”
(Ef 3,6).
Se Maria, Giuseppe e i pastori di Betlemme rappresentano il popolo d’Israele che ha accolto il Signore, i Magi sono invece le “avanguardie” dei gentili,
convocati a far parte della Chiesa, nuovo popolo di Dio, in cui trovano compimento le antiche profezie. “Alzati, rivestiti di luce – dice il profeta rivolgendosi a Gerusalemme –, perché viene
la tua luce, la gloria del Signore brilla
sopra di te” (Is 60,1). Carissimi fedeli,
la festa dell’Epifania del Signore invita la Chiesa ad imitare il servizio che
la stella ha reso ai Magi, guidandoli fino a Gesù. Il loro cammino è esempio
e stimolo per la Chiesa a riscoprirsi
essenzialmente Comunità missionaria, impegnata a frequentare la “scuola della Parola”. Solo scrutando assiduamente le Scritture è possibile tra-
smettere fedelmente la parola di Dio ai
fratelli; questa è la diaconia che tu, Fabrizio carissimo, sei chiamato a vivere, manifestando con le opere la parola di Dio che oggi viene messa nelle tue
mani. La consegna del libro dei Vangeli, che sigilla il rito dell’ordinazione diaconale, è accompagnata da una
vera e propria formula di fede: “Ricevi
il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre ciò
che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”.
E’ la parola di Dio che illumina, purifica, converte; e tuttavia, l’annuncio del
Vangelo è sempre un’epifania della vita di fede, una manifestazione del traboccare della vita interiore. “L’esempio
della tua vita, generosa e casta – così
recita la preghiera di ordinazione –,
sia un richiamo costante al Vangelo e
susciti imitatori nel popolo di Dio”. Carissimo Fabrizio, il cammino compiuto
dai Magi richiama alla mente il percorso di discernimento e di formazione da
te compiuto prima di giungere a questo momento. Come i Magi anche tu,
mosso dalla ricerca di Dio, hai vissuto
l’esperienza di una sorprendente Epifania del Signore. Il tuo avvicinamento alla Chiesa, dopo gli studi universitari, ha suscitato in te una “gioia grandissima”, come quella provata dai Magi a Betlemme. Come loro anche tu hai
fatto ritorno a casa, “per un’altra strada”, approdando alla Fraternità dei Ricostruttori, oggi la tua nuova famiglia
spirituale. Per un misterioso accordo
di circostanze e di eventi, “ma in realtà per disposizione divina”, oggi ti accingi a consegnare al Signore, prostrato a terra, la tua vita. I Magi “aprirono
i loro scrigni e offrirono in dono oro,
incenso e mirra” (Mt 2,11), così anche
tu ricordati che non c’è vera diaconia
senza l’apertura del cuore. Offrire è voce del verbo “servire”! Serve chi offre
in dono se stesso, aprendo lo “scrigno”
del cuore, “senza paura, senza calcoli
e senza misura”. Servire e dare la propria vita: questo è il “protocollo” che
Gesù ti affida, perché così ha fatto lui,
testimoniando che il dono di sé è il sigillo di garanzia della diaconia: donar-
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si gratuitamente, dedicare a Dio il proprio cuore e consegnare ai fratelli il
proprio tempo. Da oggi, caro Fabrizio,
non ti appartieni più, la tua vita sarà
a servizio della Chiesa: questo il senso della tua incardinazione nella nostra diocesi e della tua appartenenza
alla Famiglia dei Ricostruttori. Sì, l’unità di misura della diaconia è determinata dal tempo che si investe nel fare il bene. “La Chiesa – avverte Papa
Francesco – non ha bisogno di ministri a tempo limitato o a responsabilità limitata ma di missionari appassionati, che non hanno un’agenda da difendere”. Sì, appassionato, così ti vuole
il Signore. E tu sei pronto ad esprimere
il tuo impegno di una vita pura e casta, nella promessa del celibato. Da oggi sei tenuto alla preghiera continua,
con la recita della Liturgia delle Ore.
E’ la Chiesa che si affida alla tua preghiera. In ogni ora della giornata eleverai la tua mente al Signore, e così alla sua luce vedrai la luce.
La Madre del Redentore, Maria Santissima, testimone silenziosa del gesto di
adorazione compiuto dai Magi, ti rivesta della “dalmatica”, cioè dell’abbandono alla fedeltà di Dio, così da poter
offrire al Signore il tuo Fiat aprendo il
cuore al canto del Magnificat! Questo
è il nostro augurio per te, questa la nostra preghiera. 
*arcivescovo
LA RISPOSTA
A UNA CHIAMATA
D
opo le due recenti ordinazioni sacerdotali di p. Vincenzo Tomaiuoli e
di don Michele Arturo, la nostra Chiesa si è stretta ancora una volta
attorno a due giovani, Maurizio Guerra e Fabrizio Cirelli, che hanno
scandito il loro “Eccomi” dinanzi all’arcivescovo mons. Michele Castoro che li ha consacrati Diaconi per il sacerdozio e a tanti fedeli sia della parrocchia di origine di don Maurizio che della Comunità dei Ricostruttori, cui appartiene don Fabrizio, e sia delle comunità dove oggi, in attesa del sacerdozio, i
due giovani diaconi stanno svolgendo il loro “tirocinio formativo”, s. Maria della Luce di Mattinata per il primo e s. Pio da Pietrelcina di Manfredonia per il secondo. Il Diacono è chiamato ad essere un annunciatore della Parola e un servitore della comunità cristiana. Se è certamente controcorrente che un giovane, oggi, si consacri per servire la Chiesa e i fratelli e non per guadagnare o per
ottenere successo nella vita, la scelta di questi giovani è certamente un atto di
audacia assai diverso da quello proposto dal mondo e dai suoi criteri. Don Maurizio e don Fabrizio, due giovani che vengono da situazioni e contesti anche geografici assai diversi, con sicurezza economica e solide famiglie alle spalle, pur
avendo già tutto non hanno esitato a rispondere alla chiamata di Gesù e a quella domanda di senso che hanno sentito forte dentro di sé. (A.C.) 
20 gennaio 2017
[Ecclesia in Gargano]
Gennaio
20 gennaio 2017
GENNAIO
19-22 gennaio
Visita pastorale presso la Parrocchia
“S. Maria della Libera”
Fraz. Macchia - Monte S. Angelo
Venerdì 20
9,30 Ritiro del clero diocesano
Auditorium Mons. Vailati - Manfredonia
Sabato 21
18,00 S. Messa e tesseramento dei Medici
cattolici - Cattedrale
Febbraio
Lunedì 23
20,45 Incontro ecumenico
S. Maria delle Grazie - S. Giovanni Rotondo
Martedì 24
17,00 Incontro con i giornalisti
Casa Sollievo Sofferenza - S. Giovanni Rotondo
Mercoledì 25
9,30 Consiglio presbiterale Curia arcivescovile
19,00 Liturgia ecumenica
Cattedrale
26-29 gennaio
Visita pastorale presso la Parrocchia
“S. Maria del Grano e S. Matteo”
Borgo Mezzanone-Manfredonia
Domenica 29
18,00 S. Messa in occasione della festa del Beato
Bronislao - Basilica S. Michele – Monte S.
Angelo
FEBBRAIO
Giovedì 2
Presentazione del Signore al tempio
9,30 S. Messa in occasione della conversione
di S. Camillo De Lellis
S. Leonardo - S. Giovanni Rotondo
18,00 S. Messa per la Giornata della Vita
consacrata - Cattedrale
Sabato 4
18,00 S. Messa e cresime
SS. Trinità - Manfredonia
Domenica 5
11,00 S. Messa per la Giornata del Ringraziamento
della Coldiretti S. Carlo - Manfredonia
16,30 Istituzione dei Ministri straordinari della
Comunione e rinnovo
del mandato - Cattedrale
2017
Lunedì 30- 1 febbraio
Conferenza episcopale pugliese
Centro giovanile Benedetto XIII - Gravina in Puglia
Mercoledì 8-Giovedì 9
Convegno su Giovani e lavoro - Napoli
10-12 febbraio
Visita pastorale presso la Parrocchia “S. Antonio”
Fraz. S. Menaio - Vico del Gargano
Sabato 11
18,00 S. Messa in occasione della giornata
del malato - Cattedrale
Domenica 12
15,30 Saluto all’Assemblea Diocesana di A. C. Parrocchia S. Famiglia - Manfredonia
Lunedì 13
16,30 Consiglio pastorale
Casa della carità - Manfredonia
Martedì 14
10,00 S. Messa nella festa di S. Valentino
S. Maria Assunta - Vico del Gargano
Lunedì 6
18,00 Primi Vespri nella Solennità di S. Lorenzo
Maiorano, vescovo sipontino - Cattedrale
Mercoledì 15
20,00 Incontro con i fidanzati - S. Leonardo
S. Giovanni Rotondo
Martedì 7 Solennità di San Lorenzo Maiorano,
patrono della Città di Manfredonia e dell’Arcidiocesi
10,30 S. Messa e a seguire processione Cattedrale
Venerdì 17
9,30 Ritiro del clero diocesano
Auditorium Mons. Vailati - Manfredonia
LE AZIENDE
DELL’OPERA DI PADRE PIO
Elenco dei punti vendita-spaccio dei prodotti genuini
della nostra terra:
olio, carne, latte, latticini, formaggi, dolciumi
provenienti dalla laboriosità delle Aziende di sussistenza
“Calderoso” e “Posta la Via” dell’Opera di Padre Pio:
a S. Giovanni Rotondo, in località Amendola
presso la stessa azienda agricola “Posta la Via”,
e in città in viale Cappuccini n. 168 e in viale P. Pio n.6
a Foggia in piazza Internati di Germania
a Manfredonia, in via Tito Minniti
a Monte Sant’Angelo, in via Celestino Galliani
Azienda Posta la Via
s.s. 89 Località Amendola (FG)
Tel. 0881700466 - Fax 0881-700-571 [email protected]