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CULTURA E INNOVAZIONE.
STATUS QUAESTIONIS
di
Pál Tóth
Sophia II (2010-1) 12-24
The article uses agent, problem solving
and symbolic capacity as fundamental terms for a conceptual framework
in describing and explaining culture
in a transdisciplinary perspective, and
presents also a possible account for cultural phenomena. The origin of culture
lies in the intentional nature of the human mind which is capable of attributing meaning to actions and events and
is thus capable of creating a symbolic
world. From this perspective, culture is
a complex, symbolic problem-solving capacity of individual and collective agents,
and cultural change and innovation are
due to the discovery of new problems
and significant new solutions. In this
way, religious phenomena - as partially
cultural manifestations - may function as
problem solving capacities. The charism
of Chiara Lubich is analysed from this
perspective.
Sophia - Ricerche su i fondamenti e la correlazione dei saperi - 2010-1
Questo saggio si ispira all’immagine del Convito di Platone con una sceneggiatura
aggiornata ai nostri tempi: uomini e donne associati dalla comune ricerca della
verità in un rapporto non puramente intellettuale, ma che impegna la totalità della
persona. Parlano diverse lingue e, per capirsi meglio, si offrono di fare da interprete
l’uno per l’altro: vogliono stabilire un simile rapporto vivo con le idee che stanno
maturando fra di loro. Si parla di cultura, di una nuova cultura che scaturisce da
questo impegnativo rapporto fra persona e persona e fra persone unite in questo
modo e le idee, mettendo in atto fra loro la novità culturale in questione. S’impegnano ad elaborare concetti ospitali capaci di accogliere pensieri molto diversi
fra di loro. Da parte mia vorrei dare un contributo partendo dalla prospettiva delle
scienze sociali, in vista di un’ulteriore approfondimento del legame con concetti
filosofici e teologici in altra sede.
1. La cultura - una questione antropologica
Ernst Cassirer, nel suo Saggio sull’uomo1, ribadisce la necessità di una definizione
dell’uomo in termini di cultura. Rileva l’insufficienza di un’antropologia che considera l’uomo come individuo e propone di collocarlo in un quadro più vasto. Prendendo spunto da Platone, Cassirer afferma che l’uomo va studiato non nella sua
vita individuale, ma in quella politica e sociale, anzi, in tutte le forme di espressione
dell’esistenza umana comunitaria come il linguaggio, il mito, la religione e l’arte. La
natura comunitaria dell’uomo esige, per il filosofo neokantiano, il coinvolgimento
delle scienze positive in grado di descrivere le sfaccettature di questo “testo difficile e complesso”. Rimane alla filosofia il compito di fornire una teoria soddisfacente
dell’uomo, ma la definizione della natura o dell’essenza dell’uomo non deve avere
un carattere sostanziale, bensì funzionale:
«Non si può definire l’uomo riferendosi a qualche principio intrinseco che ne costituisca metafisicamente l’essenza né a qualche facoltà innata o a qualche istinto individuabile mediante l’osservazione
empirica. La principale caratteristica dell’uomo, ciò che lo distingue,
non è la sua natura fisica o metafisica bensì la sua opera. È questa
opera, è il sistema delle attività umane a definire e a determinare la
sfera della “umanità”. Il linguaggio, il mito, la religione, l’arte e la
storia sono gli elementi costitutivi di questa sfera, i settori che essa
comprende. Il linguaggio, l’arte, il mito e la religione non sono creazioni isolate e casuali. Sono unite da un comune vincolo. Questo
legame non è però un “vinculum substantiale” (come secondo la
concezione scolastica), è piuttosto un “vinculum functionale”»2.
1) E. Cassirer, An Essay on Man. An Introduction to the Philosophy of Human Culture. Yale
University Press, New Haven 1944; tr. it. Saggio sull’uomo. Una introduzione alla filosofia
della cultura umana, Armando, Roma 2004.
2) Ibid., p. 144.
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Per Cassirer, dunque, è la natura sociale e culturale dell’uomo a rendere impossibile
un approccio essenzialistico, che rimane comunque astratto, incapace di render
conto della complessità del tessuto umano.
Al funzionalismo si aggiunge un altro elemento relativizzante. Per Nietzsche la
cultura è il campo in cui l’uomo realizza se stesso come creatore di significati o
come interprete della propria esistenza. In questa linea, in Max Weber emerge una
visione prospettica della cultura. L’uomo è un essere che vive in un tessuto di valori
che non possono essere classificati gerarchicamente o ordinati logicamente.
«Il presupposto trascendentale di ogni scienza della cultura sta (...)
nella circostanza che siamo uomini e donne di cultura, dotati di capacità e di volontà di assumere una posizione consapevole di fronte
al mondo ed attribuire senso ad esso»3.
Sia Nietzsche che Weber concordano su questo tipo di prospettivismo radicale di
valori e significati attribuiti all’esistenza, in disaccordo con qualsiasi concetto che
postula una base logica o trascendente di valori. Entrambi partecipano a una tendenza interpretativa nella quale l’esistenza umana e la storia sono concepite come
cultura e la cultura come una profusione di significati. L’uomo, in quanto autore
di significati e agente significante della realtà, può essere indagato attraverso la
cultura della quale è portatore. Tale circostanza comporta che qualsiasi conoscenza
circa l’uomo è sempre legata al significato4.
Le opere di Weber e di Cassirer esprimono alcune caratteristiche che hanno influito
profondamente sulla nostra concezione di cultura e sul nostro modo di indagare su
di essa. Sembra che i due autori scelti ci possano orientare in questa impresa quasi
impossibile data la molteplicità degli approcci e delle definizioni. Le loro opere
esprimono il disagio che caratterizza il novecento: l’insufficienza della metafisica
classica, la crescita delle conoscenze scientifiche sull’uomo e la necessità di un
nuovo tipo di pensare capace di gestire questa complessità. Ambedue trattano la
cultura come una questione antropologica e la collocano all’interno di una teoria
dell’agire umano motivato dalla capacità dell’uomo di attribuire senso alla propria
attività e al mondo che lo circonda. L’uno rileva la necessità di spiegazioni funzionali, l’altro la natura prospettica della conoscenza. Essi diventano, così, precursori
del costruttivismo sociale e culturale.
Le scienze sociali oggi, per la maggior parte delle correnti, mirano alla descrizione e alla spiegazione dei fenomeni sociali tenendo presente, come criterio,
la chiarezza concettuale, la metodicità, la costruzione dei modelli e, negli approcci analitici, l’applicazione del linguaggio della logica. La ricerca scientifica
comporta, per l’autocomprensione oggi largamente diffusa di queste discipline,
l’approccio prospettico e funzionale e non parte da un’ontologia della socialità.
L’approccio facilita l’elaborazione di concetti operazionalizzabili e ipotesi verifica-
3) Schriften zur Wissenschaftslehre, Reclam, Stuttgart 1991, p. 61.
4) Cf. il saggio di R.F. Nobre, Culture and perspectivism in Nietzsche’s and Weber’s view.
Teoria & Sociedade, Vol. 2, Belo Orizonte 2006, pp. 68-89.
Sophia - Ricerche su i fondamenti e la correlazione dei saperi - 2010-1
bili dall’esperienza. Emerge, nello stesso tempo, la necessità di elaborare modelli
integrativi che rappresentino i diversi livelli (macro e micro) e le diverse prospettive della ricerca.
La presa di distanza dalle questioni ontologiche diventa un nuovo paradigma di
pensiero in Jürgen Habermas, il quale sostiene che il pensiero post-metafisico è
dialogico e comunicativo5. Recentemente emerge però la richiesta di un’argomentazione ontologica. L’antropologo francese Dan Sperber - noto fra l’altro per la
sua teoria sulla “epidemiologia delle rappresentazioni”- parla della necessità di
un’antropologia filosofica e di un’ontologia della cultura6. Diversi autori concordano sulla necessità di due strumenti epistemici per affrontare la complessità dei
fenomeni umani: un approccio multidisciplinare con metodologia dialogica e una
ontologia non statica, capace di rendere conto della dinamica delle relazioni sociali. Possiamo affermare con Martha C. Nussbaum che «attualmente la filosofia
è un campo più interdisciplinare di quanto fosse alla metà del XX secolo» e che
elaborare una teoria filosofica rigorosamente argomentata richiede «il confronto
con altri approcci filosofici, vecchi e nuovi», «l’analisi di concetti chiave» e una
discussione «deliberatamente arricchita dai contributi di altre discipline»7. Per la
Nussbaum è compito della filosofia «far dialogare» le diverse discipline fra loro.
Altri autori argomentano in favore «di un meta-sistema concettuale integrato o, in
altri termini, di una interlingua per chiarire, valutare e riorganizzare i diversi fenomeni distinti ma correlati»8. Altri promuovono un progetto di transdisciplinarità9 in
vista dell’integrazione dei saperi10. Cultura e innovazione, infatti, sono due concetti già gradualmente ampliati nella
loro evoluzione semantica. Dalla cultura Christi (Cristo coltivatore dell’anima umana) di Agostino agli approcci naturalistici o costruttivisti nel nostro tempo. Mentre
l’uso quotidiano del termine cultura non comporta problemi specifici, i diversi autori elaborano definizioni assai differenti fra loro. C’è, addirittura, chi mette in dubbio la necessità del termine cultura in una teoria scientifica della socialità11. Nell’approfondire questi concetti voglio tenere presente lo scenario multidisciplinare e le
diverse istanze nazionali e internazionali che si occupano di questo fenomeno e,
5) Cf. J. Habermas, Nachmetaphysisches Denken. Philosophische Aufsätze, Surkamp,
Frankfurt/a.M., 1988; tr. it.: Il pensiero post-metafisico, Laterza, Roma-Bari 1991.
6) «La tesi dell’autonomia ontologica della cultura è generalmente espressa come una serie
di smentite: i fatti culturali non sono fatti biologici, non sono fatti psicologici, e non sono
una somma di fatti individuali. Ma che cosa, allora, sono?» (Explaining Culture. A Naturalistic
Approach. Blackwell, Oxford 1996, p. 9).
7) M. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, Il Mulino, Bologna 2004, pp.11-12.
8) Bátori Zs-G. Hamp-Ö. Horányi, The Participation Theory of Communication: Philosophical and Methodological Analysis of Interlingua Perspectives, http://www.ozseb.horanyi.hu/
9) S. Rondinara, Dalla interdisciplinaritá alla transdisciplinarità. Una prospettiva epistemologica, in «Sophia» 1 (2008/0), pp. 61-70.
10)Cf. l’articolo di A. Cosseddu, Comunione: “Spazio condiviso” per un dialogo possibile
tra economia e diritto, in «Nuova Umanità», XXXI (2009/6), pp. 757-782, che argomenta a
favore di un nuovo linguaggio ontologico e dialogico.
11)D. Sperber, ad esempio, scrive: «Non credo che ci sia alcuna differenza fra fatti culturali
e fatti sociali» (D. Sperber, Explaining culture, cit., p. 9).
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CULTURA E INNOVAZIONE. STATUS QUAESTIONIS
proprio nello spirito di un nuovo modo di pensare, offrire “concetti dialogici”. II
tema della cultura è di interesse centrale nell’antropologia biologica, nella psicologia evolutiva, nell’antropologia culturale, nella sociologia, nella linguistica, nelle
scienze della comunicazione, per non parlare della filosofia e della teologia.
2. Agenti e problemi
L’elaborazione di un quadro di riferimento transdisciplinare12 richiede un impegno
molto più vasto e complesso di un saggio come questo. Quello che potrò offrire
sarà necessariamente solo un frammento e non andrà oltre l’esemplificazione di
alcuni elementi di tale modello13. Comunque, il tentativo di disegnare un quadro di
riferimento transdisciplinare deve mirare, prima di tutto, a sviluppare un linguaggio
L con le seguenti caratteristiche:
- L deve avere una capacità descrittiva (estensionale) tale che possa includere la
capacità descrittiva di L1, L2, … Ln. In altri termini, questo significa cercare un fondamento comune di concetti descrittivi che si possa applicare a una vasta gamma
di fenomeni. La specificità di ogni disciplina o approccio potrà essere espressa in
riferimento al concetto ampio, fondamentale, espresso in L.
- I concetti più specifici dovrebbero servire come interfacce terminologiche. Questo criterio riguarda l’intensione, il contenuto semantico dei termini in quanto devono essere
definiti in maniera tale che possano essere interpretati nei termini di altre discipline.
- I concetti devono essere operazionalizzabili, adatti cioè alla ricerca empirica: devono, quindi, essere adatti per descrivere e spiegare diversi casi.
In vista di un quadro integrativo offrirò qui una delle prospettive possibili nell’analisi della cultura e dell’innovazione che, a mio avviso, corrisponde ai criteri sopra
esposti e sufficientemente riassume il pensiero main-stream delle scienze sociali.
Esaminerò le idee dell’agenzia e del problem solving, due concetti funzionali e
prospettici. Secondo la mia ipotesi questi concetti sono:
- abbastanza fruttuosi per una comprensione più profonda e integrale del fenomeno studiato,
- adeguatamente ampi per accogliere diversi approcci,
- interpretabili per la filosofia e per la teologia,
- adatti per la ricerca empirica.
12)Per i pensieri qui esposti devo molto ai miei colleghi, soprattutto al professor Özséb
Horányi che mi ha ispirato. Cf. Ö. Horányi, A kommunikáció mint participáció (La comunicazione come partecipazione), AKTI - Typotex, Budapest 2007.
13)Non possiamo qui entrare in merito all’analisi di un quadro di riferimento transdisciplinare o di interlingua, offrendo una definizione in termini di condizioni necessarie e sufficienti,
né chiarire la differenza fra traduzione e interpretazione di concetti e fra metalinguaggio e
interlingua.
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2.1. Risolvere problemi
La categoria della risoluzione di problemi o problem solving è stato proposta da
Karl Popper14 per connotare l’attività di ogni organismo vivente come tale. È un
concetto comunemente usato per descrivere un’attività che un organismo o un
dispositivo d’intelligenza artificiale mette in atto per riconoscere, analizzare, affrontare e risolvere situazioni problematiche. In altri termini, si può parlare di sfide,
di scopi, di compiti.
Un problema non è soltanto una situazione problematica, ma una differenza critica
nello stato di un agente. La struttura intrinseca dell’azione umana consiste, infatti,
nel continuo superare uno stato non desiderato S1 (motivazione) per raggiungere
uno stato desiderato S2 (scopo)15. Il problema consiste, appunto, nella differenza
fra i due stati. Con questo modello si possono descrivere casi più semplici come
lo sfamarsi (avere fame ed essere sazi), o più complessi come il santificarsi (sete di
perfezione - stato di santità).
2.2. Agenti singoli e collettivi
In questa prospettiva un agente è qualcosa che è capace di risolvere problemi.
Questa concezione allarga il concetto dell’agente e, per definitionem, considera agenti non soltanto gli esseri umani ma anche subumani (animali oppure una
semplice macchinetta programmata per una sola azione, come il termostato) o
soprannaturali (per es. l’angelo Gabriele che porta la notizia celeste a Maria). Una
corrente d’opinione, un flash mob, un sito Internet possono essere considerati
anche come agenti16. Problem solving indica, quindi, l’insieme delle attività di un
agente per raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione
data. Gli agenti umani si distinguono da altri tipi di agenti proprio per la loro cultura, come vedremo più avanti17.
Raggruppiamo, quindi, enti ontologicamente diversi, ma funzionalmente simili.
In questo modo possiamo affrontare all’interno di un quadro generale la differenza funzionale che rimanda a una differenza ontologica. Questo procedimento
dovrebbe facilitare la distinzione fra umano e non umano, fra uomo, animale e
14)«Vorrei suggerire - scrive K. Popper - che l’attività di ogni essere vivente è fondamentalmente la stessa, quella del problem solving», (In K. Popper, Objective Knowledge. An Evolutionary Approach, The Clarendon Press, London 1972, p. 166; tr. it. Conoscenza oggettiva.
Un punto di vista evoluzionistico, Armando, Roma 1975; cf. anche Id. Tutta la vita è un
risolvere problemi. Scritti sulla conoscenza, la storia e la politica, Rusconi, Milano 1996).
15)Potremmo dire che si tratta di una formulazione aggiornata della teoria di Aristotele
sull’azione umana, basata sulle quatto cause, e formulata più tardi nella teoria della socialità
da M. Weber, J. Habermas ed altri.
16)Un esempio tipico dell’agente è il concetto del gatekeeper di K. Lewin, applicato alla
selezione delle notizie da D.M. White. Il gatekeeper può essere una persona, un gruppo di
persone oppure un software. Cf. The "Gatekeeper”: A Case Study in the selection of News,
in «Journalism Quarterly», 27 (1950/4), pp. 383-390.
17)Tanti autori potrebbero collocarsi in questa definizione, ad esempio il modello dell’azione
umana di T. Parsons, che si basa sull’interazione dell’attore e del suo ambiente. Cf. T. Parsons,
Action Theory and the Human Condition, The Free Press, New York-London 1978.
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macchina e facilitare anche il dialogo fra i sostenitori di approcci naturalistici e
costruttivisti al fenomeno della cultura18.
Un agente è autonomo se è capace di risolvere problemi attingendo soltanto alle
proprie risorse. Di autonomia si può parlare rispetto alla risoluzione di un dato problema, in quanto un agente può disporre delle risorse necessarie alla risoluzione di
quel problema a priori, nell’atto di problem solving. Quindi, si può parlare soltanto
d’autonomia relativa nel senso che le risorse (conoscenze) acquisite (non innate) di
un agente sono frutto di socializzazione.
Ci sono problemi che si possono risolvere da soli e, in seguito, senza collaborazione19. La risoluzione della maggior parte dei problemi richiede, però, la cooperazione
di più agenti e comporta quindi anche la cooperazione e la comunicazione, in quanto è per la comunicazione che più agenti individuali possono integrarsi. Chiamiamo
agenti collettivi due o più agenti integrati nella condivisone delle loro capacità (aspetto interno) che fungono come unità nella risoluzioni di problemi (aspetto esterno)20. Gli agenti umani hanno la loro interiorità e la loro esteriorità. Si offrono due prospettive essenziali per descrivere l’agente. Secondo l’aspetto esterno l’agente si
mostra come attore, con le sue capacità comportamentali osservabili. Secondo
l’aspetto interno, l’agente ha un mondo proprio interno direttamente non osservabile e accessibile attraverso la comunicazione.
Anche gli agenti collettivi hanno la loro interiorità: è la loro sfera pubblica interna,
dove gli agenti individuali, come componenti della collettività, rendono le loro capacità accessibili agli altri agenti per una risoluzione comune dei problemi. L’esteriorità degli agenti collettivi è la loro sfera pubblica esterna. La sfera pubblica come
categoria appartiene all’agente, è una sua caratteristica costitutiva.
Per descrivere adeguatamente un agente, si può procedere nello specificare prima i
diversi tipi di problemi che l’agente è capace di riconoscere e risolvere, e poi specificare le risorse delle quali l’agente può disporre. L’insieme delle risorse (conoscenze, competenze, informazioni, mezzi, banca dati, ecc.) accessibili nell’interiorità
e nell’esteriorità dell’agente lo denominiamo capacità dell’agente, che funge da
preparazione in vista della risoluzione di un dato problema.
2.3. La capacità degli agenti
La categoria della capacità, quindi, è qui intesa in una accezione più ampia del
solito e comprende risorse di diverso tipo: disposizioni di azione (desideri, pulsioni,
motivazioni), dati, modelli di comportamento, preferenze, istituzioni, ecc. È un
concetto funzionale, appunto, considerato dal punto di vista della risoluzione dei
problemi. Per gli agenti umani dobbiamo sottolineare due capacità fondamentali:
18) Cf. ad esempio J. Dupré, Natura umana. Perché la scienza non basta, Laterza, Roma-Bari 2007.
19)è ovvio che anche in questi casi si può parlare di azioni solitarie in funzione del patrimonio
sociale di cui ogni agente umano dispone.
20)Per la concettualizzazione dell’agenzia collettiva cf. A. Bandura, Exercise of Human
Agency Through Collective Agency, «Current Directions in Psycological Science», 9 (2000/3),
pp. 75-76. e K. Graham, Practical Reasoning in a Social World, Cambridge University Press,
Cambridge 2002.
Sophia - Ricerche su i fondamenti e la correlazione dei saperi - 2010-1
l’intenzionalità della mente e, all’interno della capacità di costruzione, la facoltà
di creare rappresentazioni simboliche21. Proprio quest’ultima sarà la fonte di quella
capacità tipicamente umana che chiamiamo cultura.
Una capacità fondamentale dell’agente umano è la sua capacità di integrazione,
cioè la sua abilità di condividere le sue risorse con altri agenti, un comportamento
reciprocante che soltanto sporadicamente si trova negli animali.
Nel momento della risoluzione, come condizione a priori dell’azione che mira alla
risoluzione di un problema, la capacità data deve essere accessibile all’agente. Essa
può essere collocata infatti all’interno dell’agente (nel suo mondo proprio, nella
sua interiorità, “nella sua testa”) oppure fuori di lui (nel suo contesto, nella sfera pubblica appartenente all’agente). L’accessibilità è, quindi, una relazione fra
l’agente e il luogo dove la capacità rilevante si trova. In altri termini, l’accessibilità è
la partecipazione dell’agente a tutte le capacità reperibili per lui in una data occasione. Vedremo più sotto che le capacità condivise formano l’elemento costitutivo
per una collettività o coalizione di agenti, cioè per la comunità o per il gruppo.
2.4. Il carisma come capacità
In questa prospettiva possiamo guardare a un carisma come capacità per la risoluzione di certi problemi. Anche il carisma di Chiara Lubich è una preparazione specifica
per risolvere problemi dell’umanità di oggi. Dall’analisi del carisma vengono in rilievo i
suoi diversi aspetti come preparazioni adatte a risolvere un problema centrale del nostro tempo: la transizione dallo stato non desiderato della disunità, della dispersione,
della frammentazione allo stato desiderato dell’unità nelle sue diverse articolazioni.
La Fondatrice dei Focolari, in una nota al suo scritto la Risurrezione di Roma, afferma:
«Si pensa a volte che il Vangelo non risolva tutti i problemi umani
e che porti soltanto il Regno di Dio inteso in senso unicamente religioso. Ma non è così. Non è certo il Gesù storico che risolve tutti i
problemi. Lo fa Gesù-noi, membra del suo Corpo mistico, Gesù-io,
Gesù-tu… È Gesù nell’uomo, in quel dato uomo quando la sua
grazia e l’amore sono in lui, che costruisce un ponte, fa una strada…
Gesù che è la personalità vera, più profonda, di ognuno. È come
altro Cristo che il cristiano porta un contributo suo tipico in tutti i
campi: nella scienza, nell’arte, nella politica»22.
Altrove, ella precisa il compito dei movimenti a largo raggio dell'Opera di Maria: «entrare nelle strutture civili e nelle situazioni sociali e culturali dei vari Paesi, per dare un
proprio contributo alla soluzione dei problemi, a piccola e grande dimensione»23.
21)D. Davidson sviluppa una teoria dell’agenzia sulla base dell’intenzionalità. Cf. Essays on
Actions and Events, OUP, Oxford 1980.
22)La resurrezione di Roma, in La dottrina spirituale, a cura di M. Vandeleene, Città Nuova,
Roma 2006, p. 257.
23)Per una civiltà dell’unità, Intervento al Convegno internazionale “Una cultura di pace per
l’unità dei popoli”, Castel Gandolfo, 11-12 giungo 1988.
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Il caso del carisma della Lubich può dunque esemplificare bene la capacità di agenti singoli, quali membri e aderenti del Movimento, e la capacità condivisa, partecipata dall’intero Movimento come agente collettivo, in vista della risoluzione di
problemi o sfide definiti negli scopi generali e specifici descritti nei suoi Statuti.
È da notare che, nella società multiculturale, la cultura stessa diventa il problema per
eccellenza. Nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II troviamo una puntuale presentazione delle sfide culturali della nostra epoca, e organismi
internazionali come l’UNESCO offrono una panoramica esauriente di tutte le problematiche connesse. Mentre la sfida culturale, nell’era della globalizzazione, consiste
nella conservazione delle diversità culturali, nell’armonizzare le diverse culture fra di
loro, nello sviluppare un’autentica cultura digitale, la grande missione della Chiesa sta
nella promozione di un autentico sviluppo culturale che rispetti il nesso fra il Vangelo
e la cultura25. Il compito del Movimento dei Focolari, in consonanza con i processi
mondiali, consiste nel saper trasfondere il suo patrimonio spirituale in cultura, in una
cultura che ha molto da dire nell’ambito delle sfide culturali sopra menzionate.
2.5. La capacità descrittiva del modello
Il lettore attento avrà notato che il frammento di linguaggio da me proposto può
essere interpretato come agente che potrebbe contribuire alla risoluzione di un
dato problema: una mutua comprensione riguardo alla natura della cultura fra le
diverse correnti di pensiero. Non abbiamo modo in questa sede di esaminare la
capacità descrittiva ed esplicativa dei due concetti sopra analizzati.
Una delle applicazioni principali si trova nell’ambito multidisciplinare dell’antropologia cognitiva. Essa cerca di creare modelli di innovazione culturale e di trasmissione nel tempo e nello spazio, utilizzando metodi e teorie della psicologia sperimentale e della biologia evolutiva, in collaborazione con storici, etnografi, archeologi.
Una teoria sul tipo dell’agenzia sopra esposta può unificare gli approcci dell’antropologia cognitiva e di quella simbolica, aprendo la sua mappa concettuale anche
alle teorie dell’intelligenza artificiale, alle diverse teorie della scelta razionale, della
psicologia evoluzionistica.
Un linguaggio come quello da noi abbozzato, per poter descrivere i fenomeni
religiosi, richiede l’ipotizzazione di agenti trascendenti, anche senza prendere posizione per quanto riguarda il loro statuto ontologico. In questa maniera una teoria
scientifica (sociologica, politologica, ecc.), espressa nel linguaggio Ls, può trovare
un’interfaccia nel linguaggio teologico Lt, che può essere fruttuoso in un dialogo
sui modelli normativi della vita sociale offerti dalla teologia.
Il nostro quadro ci offre la possibilità di relazionare il concetto funzionale dell’agente con il concetto ontologico della persona26.
24)Cf. Opera di Maria, Statuti Generali, Artt. 5 e 6.
25)Cf. G. Zanghì, Per una cultura rinnovata. Alcune piste di riflessione, in «Nuova Umanità», XX (1998/5) p. 119.
26)Per un dialogo fra l’approccio cognitivo e quello simbolico vedì J-P. Changeaux-P. Ricoeur, Ce qui nous fait penser. La nature et la règle, Odile Jacob, Paris 1998.
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3. La cultura come capacità
Il modello abbozzato c’invita a guardare alla cultura dal punto di vista dell’agenzia
e della risoluzione di problemi. È questa una delle prospettive possibili, che non assicura una visione a 360 gradi, ma costituisce una visione sufficientemente ampia
per trarre conclusioni significative e, come condizione primaria, per integrarsi con
altre prospettive.
In questa linea vogliamo affermare che la categoria della cultura è adatta per contraddistinguere agenti umani e sottoumani, animali, macchine e dispositivi d’intelligenza artificiale. La cultura è un fenomeno dell’autocoscienza umana, una capacità
che caratterizza l’essere umano come singolo e, prima di tutto, come comunità. Nel
senso forte della parola, gli animali non hanno una cultura; e una configurazione
tipica di comportamenti animali all’interno di una specie non si può considerare
cultura. In questa prospettiva, cultura è tutto ciò che va oltre la natura biologica
dell’uomo e riguarda le sue capacità acquisite tramite l’apprendimento sociale.
3.1. La capacità simbolica
Sulla base di quello che abbiamo detto sull’agente e sulla risoluzione dei problemi,
vogliamo sostenere la tesi che la cultura può essere interpretata come la spiccata
capacità simbolica dell’essere umano di risolvere i propri problemi 27.
All’interno delle capacità umane distinguiamo le capacità simboliche (convenzionali) e le altre capacità non acquisite tramite l’apprendimento sociale (innate). Vedremo più avanti che la cultura come capacità comprende anche casi complessi di
capacità innate, acquisite e accolte. Con più precisione, possiamo dire che si parla
di cultura quando sono presenti specificamente capacità simboliche28.
L’essere umano, per la struttura intenzionale della sua mente, è capace di attribuire
senso alla propria azione e ai fenomeni del suo ambiente. Tramite la comunicazione e il linguaggio egli arriva a condividerne i significati con gli altri e a creare
un mondo simbolico comune. In questa prospettiva, la cultura è un‘attribuzione
pubblica di senso (processo) e, di conseguenza, un sistema o una configurazione di
significati condivisi (prodotto) da una comunità umana, che serve come risorsa alla
risoluzione dei problemi. Nell’attività umana di progresso dal livello delle singole
persone a quello della comunità internazionale, il prodotto simbolico condiviso
funziona come risorsa (capacità).
Dobbiamo tenere presente, però, che, oltre il simbolico, ci sono altri modi di significazione. L’attribuzione di senso è, infatti, di duplice natura. Comprende, come
abbiamo visto, la costruzione di senso tramite sistemi simbolici di significazione.
II prodotto di questi atti e processi è il simbolico, una categoria ontologica pecu-
27) Cf. l’opera fondamentale dell’antropologia simbolica di C. Geertz, The Interpretation of
Cultures, Basic Books, New York 1973; tr. it. Interpretazione di culture, Il Mulino, Milano 1998.
28) Per l’approccio qui esposto vedi specialmente il lavori di M. Tomasello: The Cultural Origins of Human Cognition, Harvard University Press, 1999; tr. it. Le origini culturali della cognizione umana, Il Mulino, Milano 2005 e Origins of Human Communication, MIT Press,
Cambridge 2008; tr. it. Le origini della comunicazione umana, Raffaello Cortina, Milano 2009.
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liare basata sulla convenzione. Una diversa possibilità di costruzione di senso è
rappresentata dai manufatti che contengono il senso (l’idea, il progetto) in modo
“infuso”. È l’incarnazione dell’intelligibile - per parlare come i medioevali - o l’oggettivazione del pensiero - per parlare come i moderni. Qui possiamo elencare non
solo tutte le opere d’arte, ma anche alcuni macchinari come una Singer. L’attribuzione di senso comprende, però, anche l’accoglienza di senso che si manifesta
nei sintomi della natura e nell’ostensione del trascendente. Con queste modalità
l’uomo non costruisce il senso, non produce conoscenze, ma acquista, nell’apprendimento sociale, la capacità d’interpretare ciò che si manifesta. Questo fatto
ci invita a sostenere un costruttivismo moderato nel concepire la cultura, e apre
a un discorso più equilibrato per quanto riguarda il rapporto fra uomo e natura
e anche per quanto riguarda la presenza del divino nella vita umana. Con questa
distinzione salviamo la differenza fra cultura, natura e religione.
Questi tre tipi di significazione rappresentano diversi tipi ideali in senso weberiano.
Esistono anche casi complessi di significazione come il sacro, ad esempio, che può
essere descritto come un complesso dell’ostensivo e del simbolico: manifestazione
divina espressa in un linguaggio, o il trascendente che si esprime in cultura.
3.2. La capacità di integrazione
Come abbiamo visto, la risoluzione della maggior parte dei problemi richiede la
collaborazione di più agenti e comporta quindi azioni reciprocanti di condivisone.
Una delle capacità fondamentali dell’essere umano è la sua capacità di integrazione, cioè la sua abilità di condividere le sue risorse con altri agenti. La risoluzione di
certi problemi della comunità umana richiede l’apertura alla trascendenza; anzi si
può considerare la risoluzione di tutti i problemi come collaborazione fra il divino
e l’umano. In questa prospettiva, è importante rilevare che il simbolico diventa
comunicativo nel processo di condivisione in una sfera pubblica che comprende,
fra l’altro, anche la legittimazione dei significati. Si può parlare, quindi, di un fatto
culturale, nel caso di un simbolico condiviso (comunicato) e legittimato (inserito nel
sistema dei significati già condivisi).
La cultura, dunque, è, in prima istanza, un concetto che descrive una realtà comunitaria e, in secondo luogo, la capacità di una singola persona. Si nasce in una cultura
e si diventa membri di una comunità culturale tramite l’apprendimento sociale.
Singoli e gruppi possono influire notevolmente sulla cultura della propria comunità.
In questa prospettiva si può parlare di:
- cultura di una comunità estesa, come all’interno di una nazione o fra i seguaci
di una religione;
- cultura di un gruppo (famiglia, organizzazione);
- cultura di una singola persona.
3.3. L’architettura della cultura
La cultura come capacità è strutturata con una propria architettura interna. Ogni
cultura può essere rappresentata tramite idee di rilievo che fungono come principi
ordinatori per altri concetti di secondo ordine. Le idee sono, nella concezione da
noi delineata, strategie per risolvere i problemi. Le culture si diversificano fra loro
Sophia - Ricerche su i fondamenti e la correlazione dei saperi - 2010-1
per il tipo di problema che devono affrontare e per il modo secondo il quale affrontano questi problemi. L’innovazione culturale riguarda, in genere, queste idee
basilari. La diversità delle culture rispecchia il fatto che le singole comunità hanno
elaborato soluzioni differenti per i medesimi problemi e per quelli che sorgono
dalla diversità culturale.
Nella descrizione di una cultura possiamo distinguere, perciò, diversi aspetti: il primo
e fondamentale è quello cognitivo, che riguarda i pensieri, le idee, gli ideali e i valori.
In una cultura troviamo, in genere, alcune idee basilari che offrono una sua chiave di
lettura e fungono quali principi ordinatori del sistema dei significati condivisi.
Le espressioni “incarnate” di una data cultura che vengono maggiormente in rilievo sono:
- le caratteristiche comportamentali che esprimono i modi tipici di agire, i modelli
di comportamento, i costumi;
- il profilo istituzionale, dove l’istituzione rappresenta attribuzioni pubbliche di
senso legittimate dalla comunità come accade nella politica, nell’economia, nel
linguaggio, ecc.;
- le realizzazioni oggettuali relative alle opere concrete (manufatti, opere d’arte, ecc.).
Questi aspetti possono interagire fra di loro. Quello cognitivo incide su tutti gli altri;
quello comportamentale può avere ripercussioni importanti sul cognitivo, e cosi
via. Normalmente diamo precedenza al livello cognitivo (autocoscienza umana),
rispetto al livello comportamentale, nel definire l’essenza della cultura. D’altronde,
non si può parlare di cultura senza considerare tutte e quattro le componenti. In
tal modo possiamo distinguere, ad esempio, una spiritualità dalla sua incarnazione
nelle istituzioni, negli stili di vita, ecc.
3.4. L’innovazione culturale
Nella prospettiva offerta, una innovazione culturale significa il riconoscimento di
nuovi problemi di rilievo per una comunità e di nuove vie di soluzione degli stessi
o di quelli già precedentemente identificati. Essa provoca, in genere, cambiamenti
nella vita dei singoli e delle comunità, e frutta un salto di qualità o un miglioramento delle loro condizioni di vita.
L’innovazione avviene, principalmente, tramite una nuova attribuzione di senso, in
genere inaudita e originale, che ha ripercussioni sul comportamento, sulle istituzioni e sulle opere che, a loro volta, possono avere un feed back fertile sulle idee. L’innovazione culturale può essere incrementale, dove la novità emerge lentamente
(tipo granello di senapa), o radicale, quando provoca una rottura e un cambiamento rivoluzionario. Gli ideatori di una innovazione culturale possono essere agenti
singoli e agenti collettivi. Attualmente si mette in rilievo l’intelligenza collettiva che
scaturisce dalle dinamiche interne di un agente collettivo.
3.5. L’innovazione culturale del carisma dell’unità
Gli elementi della mappatura concettuale sopra abbozzati ci possono aiutare a
comprendere anche fenomeni come l’emergere di un nuovo carisma nella Chiesa.
È noto l’impatto culturale delle grandi spiritualità della cristianità nel corso dei
secoli. L’indagine storica rileva i frutti che queste spiritualità hanno portato nella
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CULTURA E INNOVAZIONE. STATUS QUAESTIONIS
società, rispondendo alle sfide dell’epoca. Un’analisi dal punto di vista dell’agenzia
culturale potrebbe contribuire alla comprensione della portata del carisma di Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari, che prende coscienza di dover incarnare
la sua spiritualità innovativa in cultura e promuovere tutto ciò che la potenzialità
di questo carisma potrebbe originare. La sua spiritualità comporta una nuova attribuzione di senso: una nuova visione dell’unità stessa e una nuova via (metodo,
strategia) che porta all’unità. Fa nascere un nuovo tipo di agente individuale e
collettivo, nella Chiesa e nella società, che trasmette i nuovi modelli di comportamento dell’amore reciproco e chiama in vita nuove istituzioni e opere.
Un aspetto importante dell’innovazione culturale del carisma della Lubich è un
nuovo tipo di dialogo che scaturisce dalla sua spiritualità comunitaria a tutti i livelli,
dialogo che crea uno spazio relazionale dove la sapienza può emergere fra i dialoganti. A livello scientifico e culturale questa sapienza si esprime in nuove categorie
di pensiero, quali nuove attribuzioni di senso in connessione fra di loro, in vista
dell’integrazione dei diversi saperi.
Pál Tóth
Associate professor di Comunicazione presso l'Università Cattolica Pázmán Peter Budapest (Ungheria)
e professore incaricato di Filosofia del linguaggio presso l'Istituto Universitario Sophia
[email protected]