venerdì 20 gennaio 2017

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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVII n. 15 (47.449)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
venerdì 20 gennaio 2017
.
A una delegazione ecumenica finlandese il Pontefice parla dell’importanza dell’unità tra i cristiani
Valanga travolge un hotel
Con la semplicità dei bambini
Dramma senza fine
in Italia centrale
E agli organizzatori di una mostra ribadisce che la misericordia è il cuore di ogni giubileo
«Abbiamo bisogno della semplicità
dei bambini, loro ci insegneranno il
cammino verso Gesù». Papa Francesco ha preso spunto dalla presenza
in Vaticano dei nipotini di un vescovo luterano finlandese per indicare
questo originale percorso nel cammino verso la piena unità dei cristiani.
Ricevendo giovedì mattina, 19 gennaio, una delegazione ecumenica
giunta dal Paese scandinavo, il Pontefice ha infatti ringraziato il presule
di Turku «per il buongusto» di essersi fatto accompagnare dai piccoli,
indicando di fatto nelle nuove generazioni i “maestri” del dialogo nella
vita quotidiana tra fedeli di differenti Chiese e confessioni cristiane.
Occasione è stato l’annuale pellegrinaggio che i finlandesi compiono
a Roma in occasione della festa di
sant’Enrico, loro evangelizzatore. Vi
partecipano insieme rappresentanti
della maggioritaria Chiesa evangeli-
ca luterana, ma anche cattolici e ortodossi. Nel suo discorso il Papa ha
ricordato che la settimana ecumenica
«richiama al riavvicinamento a partire dalla conversione. Il vero ecumenismo infatti si basa sulla conversione comune a Gesù». Del resto, «se
ci avviciniamo insieme a Lui, ci avviciniamo anche gli uni agli altri». Da
qui l’invito a invocare lo Spirito perché «susciti questa conversione, che
rende possibile la riconciliazione».
Il Pontefice ha poi rievocato la
“tappa significativa” del 31 ottobre,
quando «ci siamo riuniti a Lund, in
Svezia, per commemorare l’inizio
della Riforma con una preghiera comune». L’avvenimento ha avuto infatti «un significato importante sul
piano umano e teologico-spirituale.
Dopo cinquant’anni di dialogo ecumenico ufficiale, siamo riusciti a
esporre chiaramente le prospettive
sulle quali possiamo dirci d’accordo» e «nello stesso tempo teniamo
vivo nel cuore il pentimento sincero
per le nostre colpe». Anche perché,
ha ribadito Francesco, «l’intento di
Martin Lutero era quello di rinnovare la Chiesa, non dividerla».
Successivamente il Papa ha ricevuto gli organizzatori della mostra sulla storia dei giubilei tenutasi nel Senato della Repubblica italiana, sottolineando come «il cuore di ogni Anno Santo» sia l’incontro tra «la bontà di Dio e la fragilità dell’uomo».
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Passo in avanti nell’offensiva contro l’Is lanciata lo scorso 17 ottobre
Le forze irachene liberano la parte est di Mosul
BAGHDAD, 19. Svolta nella lotta al
cosiddetto stato islamico (Is) in
Iraq. Il governo di Baghdad ha annunciato la completa liberazione
della parte est di Mosul, roccaforte
jihadista da tre mesi sotto attacco e
la cui parte occidentale è ancora in
mano ad alcuni gruppi jihadisti.
Dopo gli annunci dei generali, in
serata il premier iracheno, Haidar Al
Abadi, ha espresso soddisfazione dopo l’annuncio del generale Taleb
Shaghati della liberazione dei quartieri orientali, in mano all’Is dal giugno 2014. «La liberazione finale e la
completa vittoria a Mosul sono vici-
ne» ha detto Abadi citato dai media
locali. Il premier ha poi affermato
che anche l’ultimo dei quartieri nel
settore nord-orientale di Mosul,
quello di Ghabat, è stato liberato nel
pomeriggio.
La giornata era cominciata con la
conferenza stampa del generale Shaghati da Bartalla, un sobborgo alla
periferia est della città contesa, dal
17 ottobre nella morsa dell’offensiva
delle forze governative e curde, sostenute dalla coalizione a guida statunitense. Il generale ha riconosciuto
che la partita non è per niente chiusa e che ulteriori azioni militari sa-
ranno necessarie prima di considerare completata la riconquista. Secondo il generale «resta qualcosa ancora
sul fronte settentrionale», e nello
stesso settore est qualche focolaio di
resistenza ancora non è stato annullato. Ma indubbiamente l’annuncio
di oggi segna un passo in avanti.
Stando a fonti di stampa internazionali, per tutta la giornata si è
combattuto a Ghabat e in altre sacche di resistenza nella parte nord del
settore orientale. Quest’ultimo è separato dalla parte ovest dal fiume
Tigri. Le due zone, est e ovest, erano collegate da cinque ponti: sono
Raggiunto a Mosca un accordo per un governo palestinese unitario
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Prove d’intesa tra Hamas e Al Fatah
TEL AVIV, 19. Le due principali fazioni palestinesi, Hamas e Al Fatah,
hanno raggiunto ieri un accordo di
base per la formazione di un governo di unità nazionale. Nei prossimi
giorni il presidente Mahmoud Abbas, leader di Al Fatah, avvierà i
contatti necessari per la costituzione del nuovo esecutivo che dovrà
preparare le elezioni politiche nei
territori, ovvero in Cisgiordania e
nella striscia di Gaza. Le notizie del
disgelo sono giunte da Mosca al
termine di contatti informali fra
emissari di Al Fatah, Hamas e della
Jihad islamica, sotto l’egida del ministro degli esteri russo, Serghiei
Lavrov.
«Un governo di unità — ha spiegato un esponente di Al Fatah — è
di importanza strategica per i palestinesi». Nel nuovo governo, in base all’intesa raggiunta, saranno incluse solo fazioni già rappresentate
nel consiglio legislativo di Ramallah, principale organo dell’Autorità
palestinese; quindi la Jihad islamica
potrà solo sostenere dall’esterno
l’esecutivo.
Difficile, al momento, dire se e
come l’intesa porterà a una effettiva
riunificazione dei territori palestinesi. Hamas e Al Fatah sono avversari
storici.
Nel giugno 2006, in seguito a
violenti scontri nella striscia di Gaza, Hamas ha espulso tutti gli esponenti dell’altra fazione, aprendo co-
sì una spaccatura nella gestione dei
territori e nella rappresentanza politica dei palestinesi. Da quel momento sono stati fatti diversi tentativi, grazie soprattutto alla mediazione dell’Egitto, per ricucire la rottura. Ma tutti sono falliti.
stati tutti danneggiati o distrutti dai
raid aerei della coalizione a guida
statunitense oppure dagli stessi miliziani jihadisti intenzionati a rallentare l’avanzata verso ovest dei soldati
governativi. A tal proposito, fonti
militari irachene hanno riferito che
nella base aerea militare di Qayyara,
a sud di Mosul, sono già arrivati i
barconi per costruire ponti di barche
sul Tigri e avviare l’offensiva sulla
riva occidentale.
Il premier Abadi ha confermato
che a breve comincerà l’attacco
nell’altra metà di Mosul. In questa
zona però, a differenza della parte
orientale, le forze governative dovranno entrare nei vicoli del centro
storico di una delle città più antiche
del Medio oriente. Non sarà una situazione facile. La guerriglia urbana
sarà assai più complicata a causa dei
molti cecchini e delle mine. Secondo
fonti Onu, nella parte ovest della
città irachena vivono ancora circa un
milione di persone. Ma sono cifre
che non possono essere verificate in
maniera indipendente. Le agenzie
umanitarie delle Nazioni Unite affermano che l’offensiva governativa
su Mosul ha causato, dal 17 ottobre
a oggi, lo sfollamento di circa
150.000 persone da Mosul est e dintorni.
Si continua a combattere anche in
Siria, nella città di Deir Ezzor. Qui i
jihadisti dell’Is hanno lanciato una
pesante offensiva che sta mettendo
in difficoltà i governativi. L’obiettivo
delle forze siriane è evitare la caduta
della base aerea di Deir Ezzor dopo
che i jihadisti sono avanzati verso
molti quartieri, alcuni dei quali si
trovano sotto assedio, e hanno tagliato la strada che conduce alla base aerea.
Storie di donne e di veli
La tradizione occidentale
del capo coperto
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas
VALENTINA GIANNACCO
A PAGINA
4
Le prime immagini dell’hotel Rigopiano distrutto dalla slavina (Ansa)
ROMA, 19. «La situazione è drammatica, l’albergo è stato spazzato
via, è rimasto in piedi solo un pezzetto. Ci sono tonnellate di neve,
alberi sradicati e detriti che hanno
sommerso l’area». Bastano queste
prime dichiarazioni dei vigili del
fuoco giunti sul posto per capire
l’entità della tragedia che ha colpito ieri l’Abruzzo. Causata dalle
continue scosse di terremoto, una
valanga ha travolto l’hotel Rigopiano, nel comune di Farindola, in
provincia di Pescara. Nella struttura dovevano trovarsi almeno trenta
persone. La prefettura ha confermato il ritrovamento, questa mattina, di un corpo senza vita. Due
persone sono state tratte in salvo,
ma ci sono ancora molti dispersi. E
si teme che il numero delle vittime
possa aumentare.
I primi superstiti sono Giampiero Parete e Fabio Salzetta. Al momento della slavina si trovavano
all’esterno della struttura e sono
riusciti a lanciare l’allarme. I due
uomini sono in buone condizioni
fisiche: erano riusciti a ripararsi
all’interno di un’auto. «Sono salvo
perché ero andato a prendere una
cosa in automobile, mia moglie e i
miei due figli sono rimasti in albergo» ha detto ai medici Parete. Per
raggiungere l’hotel, a quota 1200
metri, gli uomini del soccorso alpino, i primi ad arrivare alle quattro
del mattino, hanno dovuto usare
gli sci. Impossibile procedere per i
mezzi che si sono trovati la strada
sbarrata da altre valanghe e alberi
caduti. Solo questa mattina, dopo
quindici ore di lavoro, i vigili del
fuoco e il resto dei soccorritori sono riusciti ad arrivare nell’area
dell’hotel per iniziare a scavare con
mezzi meccanici. L’obiettivo è
quello di liberare dalla neve una
vasta area per i tanti mezzi che
stanno confluendo verso l’hotel,
per raggiungere più velocemente la
struttura. Come detto, l’hotel è stato completamente sommerso dalla
neve e dagli alberi trascinati dalla
valanga. La massa di detriti ha investito in pieno la struttura, lasciando scoperta soltanto una pic-
cola parte verso la valle, da dove
sono entrati i soccorritori. «C’erano già trenta persone del soccorso
alpino e volontari che stanno scavando con le vanghe. La struttura
sembra spostata da un’onda d’urto,
aspettiamo le notizie ufficiali. Dai
registri risultano venti ospiti e otto
addetti» ha dichiarato il viceprefetto di Pescara Carlo Torlontano. La
procura ha aperto un’indagine sulla vicenda. L’ipotesi al vaglio, per
il momento, è omicidio colposo.
La tragedia di Farindola avviene
in concomitanza con le forti scosse
di terremoto che stanno nuovamente colpendo l’Italia centrale. Nella
notte ci sono stati altri eventi sismici, i più forti di magnitudo 3.5
alle 2,28 in provincia dell’Aquila e
di Rieti. A causa della neve, molte
frazioni sono ancora isolate e le
strade sono chiuse. «Chiedo alla
politica di mostrare sobrietà, rispettando la difficoltà della situazione,
l’impegno delle forze civili e militari che stanno lavorando e il dolore
delle famiglie che hanno subito
delle perdite» ha dichiarato il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, arrivato oggi a Rieti, nel
quartier generale della protezione
civile, per fare il punto sulla situazione.
«Papa Francesco è informato costantemente sulla situazione e lui
stesso chiama continuamente i vescovi delle diocesi interessate agli
eventi sismici e climatici di questi
giorni» ha dichiarato il segretario
generale della Cei, Nunzio Galantino. Il Papa «non solo invita alla
preghiera, ma stimola la Cei a fare
tutto il possibile, per far sentire la
vicinanza della Chiesa alle popolazioni colpite» ha aggiunto.
Le relazioni con gli ortodossi slavi
Uniti nell’azione
pastorale
HYACINTHE DESTIVELLE
A PAGINA
6
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza:
l’Eminentissimo
Cardinale
Zenon Grocholewski, Prefetto
emerito della Congregazione
per l’Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi);
le Loro Eccellenze i Monsignori:
— Vincenzo Paglia, Presidente
della Pontificia Accademia per
la Vita;
— Giuseppe Sciacca, Vescovo
titolare di Fondi, Segretario del
Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;
— Robert Rivas, Arcivescovo
di Castries (Saint Lucia).
Il Santo Padre ha nominato
l’Eminentissimo Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato,
Suo Legato per la celebrazione
della XXV Giornata Mondiale
del Malato, che avrà luogo a
Lourdes l’11 febbraio 2017.
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venerdì 20 gennaio 2017
Il leader cinese durante il suo intervento
a Ginevra (Epa)
Juncker rilancia la partita sul diritto di asilo
Sulla riforma di Dublino si gioca
la credibilità europea
STRASBURGO, 19. «Lancio un appello solenne: bisogna concludere la riforma del meccanismo di Dublino
entro il termine della presidenza di
turno maltese del Consiglio e vorrei
che un’agenzia per l’asilo diventasse
in fretta operativa. Ne va della credibilità dell’Europa». Così il presidente della Commissione europea, JeanClaude Juncker, si è espresso ieri, intervenendo alla plenaria dell’assemblea di Strasburgo, in merito al regolamento di Dublino sul diritto di
asilo, uno dei punti cruciali per la
gestione dell’immigrazione.
Juncker ha detto di «deplorare il
fatto che certi Paesi non abbiano
adottato decisioni importanti nel
campo dell’asilo». La chiusura delle
frontiere «non è la soluzione; ci resta ancora molto da fare per creare
un meccanismo europeo permanente
per gestire le migrazioni nel lungo
termine. Un sistema giusto e prevedibile per aiutare i Paesi in prima linea, che dovrebbe diventare una vera e propria agenzia europea per
l’asilo». Si tratta di un riferimento al
numero dei richiedenti asilo giunti
Scaduto
l’ultimatum
cresce la tensione
nel Gambia
BANJUL, 19. È fallito l’estremo tentativo di convincere Yahya Jammeh a
lasciare la presidenza del Gambia
prima della scadenza dell’ultimatum
dato dalle forze della comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) che minacciano un
intervento armato.
Poco prima della mezzanotte,
quando è scaduto l’ultimatum, il
presidente della Mauritania, Mohamed Ould Abdel Aziz, è arrivato
nella capitale del Gambia, Banjul,
per cercare di convincere il capo di
stato Jammeh a cedere il potere a
Adama Barrow, che ha vinto le elezioni il mese scorso e che dovrebbe
insediarsi oggi alla presidenza.
Dopo non essere riuscito nel suo
tentativo di mediazione, il presidente
mauritano Aziz è poi volato a Dakar
dove ha incontrato Barrow — che sabato scorso si è rifugiato in Senegal
nel timore di violenze — e il presidente senegalese, Macky Sall. In
ogni caso Aziz si è detto «meno pessimista sulla possibilità che Jammeh
lavori per una soluzione pacifica nel
miglior interesse di tutti».
Il portavoce del presidente eletto
ha detto che di fronte al rifiuto di
Jammeh di lasciare la presidenza,
oggi il giuramento di Barrow avverrà
nell’ambasciata del Gambia a Dakar.
Nonostante la scadenza dell’ultimatum, le truppe senegalesi, sostenute
da quelle della Nigeria e del Ghana,
rimangono posizionate sul confine.
Il capo delle forze armate del Gambia, Ousman Badjie, ha detto che le
sue truppe non combatteranno contro le forze senegalesi nel caso queste dovessero entrare nel paese.
«Non ci coinvolgeremo a livello militare, questa è una disputa politica,
non coinvolgerò i miei soldati in una
stupida lotta, io amo i miei uomini»,
ha detto il capo delle truppe.
E intanto, continua il flusso dei rifugiati in Senegal: nelle prime settimane dell’anno sono state circa
26.000 le persone fuggite dal Gambia, secondo quanto ha riportato
l’alto commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati (Unhcr). I paesi
del blocco regionale Ecowas si sono
impegnati a inviare truppe per assicurare una pacifica transizione del
potere nel caso che Jammeh, sconfitto dopo 22 anni di potere alle elezioni del primo dicembre dall’uomo
d’affari Barrow, continui a non riconoscere i risultati elettorali.
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in Italia e Grecia, di cui gli altri stati
membri si erano impegnati a farsi
carico: solo 2735 sui 39.600 migranti
giunti in Italia sono stati redistribuiti nell’Unione allo stato attuale, e
7526 sono quelli presi dalla Grecia
sui 66.400 da redistribuire. «Voglio
quindi lanciare un appello a tutti,
perché si riesca a concludere la riforma del regolamento di Dublino entro il 30 giugno».
L’ex premier lussemburghese è
poi intervenuto sulla questione della
Brexit. «Saluto i chiarimenti forniti
da Theresa May» ma «un discorso
da solo non fa scattare i negoziati».
Una volta notificata la volontà di recedere dall’Unione ai sensi dell’articolo 50, «partiranno i negoziati, che
avranno conseguenze considerevoli
per il Paese e per l’Unione. Farò di
tutto perché si arrivi a una soluzione
equilibrata, nel rispetto integrale delle regole». Per il momento, dunque,
bisogna attendere: «Vedremo come
andrà il negoziato e vedremo il risultato. Esaminandolo, vedremo se sarà
buono».
Il presidente Juncker durante l’intervento a Strasburgo (Afp)
L’appello del presidente cinese Xi Jinping a Ginevra
Un mondo libero
dalle armi nucleari
GINEVRA, 19. «Il mondo deve liberarsi delle armi nucleari, che dovrebbero essere completamente
proibite e distrutte». Questo il monito del presidente cinese, Xi Jinping, intervenuto ieri alla sede
dell’Onu a Ginevra.
Reduce dal forum di Davos, dove aveva perorato la causa della
globalizzazione, il presidente cinese
ha espresso la volontà e la determinazione di dare una svolta nella
politica sul nucleare, all’insegna del
Tra le principali cause l’uso di combustibili fossili
Il 2016 anno più caldo di sempre
WASHINGTON, 19. Il cambiamento climatico non
dà tregua. Il 2016 è stato, infatti, il più caldo dal
1880, contraddistinto dall’aumento delle emissioni di anidride carbonica e da temperature record. Lo riferiscono i ricercatori della Nasa e
della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l’agenzia statunitense per il
clima. I livelli più estremi sono stati riscontrati
nell’Artico, dove le temperature sono crollate di
quasi un grado rispetto alle medie stagionali.
Un abbassamento che provoca lo scioglimento
dei ghiacciai, con il conseguente innalzamento
degli oceani e l’erosione delle coste, che provocano danni enormi a moltissime popolazioni. Lo
scorso anno, l’estensione dei ghiacci artici è stata
di 10,2 milioni di chilometri quadrati, il livello
più basso mai toccato in assoluto.
Picchi di calore elevati sono invece stati toccati in India, Kuwait e Iran. In generale, secondo
l’analisi della Noaa, la temperatura è cresciuta di
0,94 gradi Celsius sulla media del XX secolo ed è
stata di 0,04 gradi più alta rispetto al 2015, il
precedente anno record.
Anche la Nasa ha confermato i drammatici
dati della Noaa, così come l’organizzazione meteorologica mondiale di Ginevra, che ha evidenziato come le concentrazioni in atmosfera sia di
anidride carbonica che di metano (20 volte peggiore come responsabile del gas serra) abbiano
raggiunto nuovi picchi e come la principale ragione di questo incremento sia l’uso di combustibili fossili. «Dall’inizio del XXI secolo i record
di temperatura globale sono stati ritoccati al
rialzo per ben 5 volte: nel 2005, 2010, 2014, 2015
e 2016» ha evidenziato la Noaa. La maggior parte del riscaldamento si è verificato negli ultimi
35 anni, con 16 dei 17 anni più caldi dal 2001.
A contribuire all’innalzamento della temperatura c’è anche il fenomeno meteorologico conosciuto come «El Niño», il surriscaldamento delle
acque superficiali del Pacifico, particolarmente
forte nel 2015 e, in parte, nel 2016. I picchi maggiori si sono registrati a Phalodi, in India, dove
il 19 maggio del 2016 sono stati toccati i 51 gradi. Ancora peggio a Dehloran, in Iran, con 53
gradi il 22 luglio. Ma il dato peggiore è senza
dubbio quello di Mitribah, in Kuwait, dove il 21
luglio scorso sono stati registrati 54 gradi.
L’emergenza clima è stato uno degli argomenti in discussione al vertice economico mondiale
L’Ue auspica
il dialogo
tra Serbia e Kosovo
La mappa presentata dai ricercatori della Noaa che indica le temperature in rialzo nelle varie regioni del mondo (Ap)
Gruppo jihadista rivendica
l’attentato nel Mali
BAMAKO, 19. Il gruppo jihadista
Murabitum, espressione di Al
Qaeda nel Maghreb islamico, ha
rivendicato l’attentato di ieri a
Gao, nel nord del Mali, secondo
quanto riportato dall’agenzia di
stampa mauritana Al Akhbar. Nel
mirino dell’attacco è finita una base militare utilizzata dai combattenti del coordinamento dei movimenti dell’Azawad (Cma), dai filogovernativi della “Piattaforma” e
dalle forze governative. Il bilancio
ufficiale delle vittime parla di almeno 80 morti e oltre 100 feriti.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Gaetano Vallini
Settanta le vittime del raid
sul campo profughi nigeriano
Il gruppo Murabitum è stato
fondato dall’algerino Mokhtar
Belmokhtar. La formazione jihadista è da tempo attiva nell’area
sahelo-sahariana e ha rivendicato
vari attacchi armati in Mali.
Il consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite si è riunito per discutere la situazione in Mali. Il capo delle operazioni di pace
dell’Onu, Hervé Ladsous, ha
espresso preoccupazione sulla tenuta dell’accordo di pace nel paese africano. La comunità internazionale ha condannato l’attentato.
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caporedattore
segretario di redazione
di Davos, in Svizzera. Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti ora uomo di punta nell’offensiva mondiale contro il cambiamento climatico, ha detto che «salvare l’ambiente equivale a
salvare l’economia globale». Gore ha parlato di
una «corsa contro il tempo» e si è unito all’appello di Erna Solberg, primo ministro norvegese,
in difesa dell’accordo di Parigi, definito «la conquista più grande e più in grado di ispirare la
lotta contro il riscaldamento globale».
disarmo. «Dovremmo respingere la
pretesa di dominio proveniente da
una o più nazioni» ha detto Xi
parlando accanto ad António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, e aggiungendo che «i
grandi Stati dovrebbero rispettare i
più piccoli e trattarli da pari invece
che agire in modo egemonico e imporre la propria volontà agli altri».
E sempre ieri, il leader cinese ha
incontrato il vicepresidente uscente
degli Stati Uniti, Joe Biden, a margine del World economic forum di
Davos. Cina e Stati Uniti — ha
spiegato Xi — hanno bisogno di
«sforzi congiunti per costruire una
relazione cooperativa, stabile e di
lungo termine in futuro», che possa soddisfare gli interessi di entrambe le parti e del mondo. Le relazioni tra Pechino e Washington
«hanno conosciuto alti e bassi, ma
generalmente hanno fatto progressi
da quando i due Paesi hanno stabilito relazioni diplomatiche 38 anni
fa» ha sottolineato Xi. Sulla stessa
linea Biden, secondo cui le relazioni sino-statunitensi sono «di cruciale importanza per il mondo nel
ventunesimo secolo».
Intanto, oggi è intervenuta al forum di Davos il premier britannico,
Theresa May, sottolineando che il
Regno Unito deve «prepararsi a un
negoziato duro» con l’Unione europea, per «stabilire il suo ruolo»
su scala globale e guardando a una
serie di accordi commerciali che
«non siano limitati all’Europa, ma
vadano oltre l’Europa».
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ABUJA, 19. È di almeno 70 morti e
oltre 200 feriti il bilancio di un
raid aereo effettuato ieri per errore
su un campo profughi a Rann, nello stato nord-orientale nigeriano di
Borno, bombardato dall’aeronautica. I piloti, hanno riferito fonti militari, hanno scambiato la struttura
per una postazione dei terroristi
fondamentalisti di Boko Haram.
Il vero obiettivo non era il villaggio di Rann, ma quello vicino
di Kala, in cui i Boko Haram si
erano trasferiti dalla loro roccaforte
della foresta di Sambisa. La Croce
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Rossa ha confermato la morte di
sei suoi operatori nigeriani, mentre
altri 13 sono rimasti feriti.
L’aviazione nigeriana ha dunque
bombardato accidentalmente il
campo dove sono rifugiate circa
40.000 persone costrette a fuggire
dalla violenza di Boko Haram. Dal
2009 il conflitto tra l’esercito nigeriano e i terroristi ha provocato circa 20.000 morti. Inoltre, la guerra
ha costretto almeno 2,6 milioni di
persone ad abbandonare le proprie
case nel nord-est del paese.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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DAVOS, 19. Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha lanciato ieri un
appello per far calare le tensioni e
riprendere il dialogo fra Belgrado e
Pristina.
Durante un colloquio ieri a Davos (Svizzera) — a margine del vertice economico mondiale — con il
premier serbo, Aleksandar Vučić,
Mogherini ha dichiarato che «la
pace è la conquista più importante», esortando Serbia e Kosovo
(paese a maggioranza albanese,
proclamatosi
indipendente
nel
2008 e mai riconosciuto da Belgrado) alla ripresa del dialogo.
Nell’incontro si è parlato della
nuova crisi, una delle peggiori degli ultimi anni, fra Belgrado e Pristina, generata lo scorso fine settimana dall’iniziativa serba di rilanciare, a 18 anni dal conflitto, il primo collegamento su rotaia tra Belgrado e Mitrovica, città nel nord
del Kosovo a maggioranza serba.
Il treno era decorato con scritte
nazionalistiche e patriottiche serbe.
A causa di ciò, il presidente kosovaro, Hashim Thaçi, che ha parlato
di «provocazione», ha bloccato il
convoglio, ordinando alle truppe di
schierarsi al confine con la Serbia.
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pagina 3
Il giorno
dell’insediamento
L’oppositore detenuto a Caracas per istigazione alla violenza
Maduro esclude
la liberazione di López
CARACAS, 19. Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha escluso ieri che possa essere liberato
uno dei leader dell’opposizione,
Leopoldo López, dopo l’indulto
deciso dal capo della Casa Bianca
Barack Obama a favore dell’indipendentista portoricano Oscar López Rivera. In una conferenza
stampa tenuta a Caracas, Maduro
ha detto che il caso López — che
sta scontando una pena di tredici
anni di carcere per istigazione alla
violenza — «è in mano alle autorità
giudiziarie»,
aggiungendo
che
l’unica cosa che si attende dal detenuto è «che chieda perdono alle
vittime della violenza e si impegni
a non ripeterla e a riparare i danni
che ha causato».
L’avvocato di López, Juan Carlos Gutiérrez, ha chiesto invece a
Maduro di «onorare la promessa
che aveva fatto» nel gennaio scorso, quando in un discorso aveva
detto che era disposto a liberare
l’oppositore se anche Oscar López
Rivera fosse uscito dal carcere. «In
base al principio di reciprocità, il
governo venezuelano è di fatto obbligato a mantenere le promesse
fatte, liberando Leopoldo López»,
ha sostenuto il legale.
López, leader del partito oppositore Volontà popolare, è detenuto
in un carcere militare di Caracas
dopo essere stato condannato con
l’accusa di aver istigato gli scontri
violenti che segnarono una manifestazione antigovernativa il 12 febbraio 2014 nella capitale, durante i
quali morirono 3 persone. L’opposizione venezuelana e i gruppi di
difesa dei diritti umani considerano
Leopoldo López un prigioniero
politico, sostenendo che il suo processo si è svolto senza le necessarie
garanzie legali.
Ieri, però, il presidente venezuelano Maduro ha dichiarato che il
caso di López Rivera «è del tutto
incomparabile» a quello di Leopoldo López, «al di là del commento
scherzoso che ho fatto in un altro
momento».
Maduro deve anche fronteggiare
una profonda crisi economica e
uno scontro politico che lo vede
nettamente contrapposto al parlamento controllato dall’opposizione.
Presentando il suo messaggio
annuale sulla gestione dello stato al
Tribunale supremo di giustizia e
non all’Assemblea nazionale, come
stabilisce la costituzione, il presidente ha annunciato l’estensione
del cosiddetto stato di emergenza
economica, che gli permette di governare
senza
l’approvazione
dell’assemblea nazionale, sottolineando che «questo servirà per andare avanti nella lotta contro la crisi, senza dipendere dall’assemblea
nazionale o da nessuno».
Venerdi 20 gennaio il presidente
eletto degli Stati Uniti, Donald
Trump, s’insedia alla Casa Bianca.
La cerimonia si terrà a Capitol
Hill, sede del Congresso a
Washington. Il protocollo prevede
che in mattinata Trump, il suo
vice Mike Pence e le loro famiglie
si rechino alla chiesa episcopale di
St. John, a pochi passi dalla Casa
Bianca. Poi il presidente uscente
Barack Obama e la first lady
Michelle accoglieranno Trump e la
moglie Melania alla Casa Bianca.
Le due coppie si recheranno
quindi al Campidoglio con un
corteo di auto. Tra i presenti, ci
saranno i membri del Congresso, i
giudici della Corte suprema,
numerosi diplomatici e gli ex
presidenti Jimmy Carter, George
W. Bush e Bill Clinton. Imponenti
le misure di sicurezza.
Europa, Russia e Cina i principali dossier che Donald Trump dovrà affrontare in politica estera
Tutte le sfide del presidente
di LUCA M. POSSATI
For world, Trump’s true aims are unknown («Per il mondo, i veri obiettivi di Trump sono sconosciuti»). Il
titolo di un recente editoriale del
«New York Times» fotografa esattamente la situazione di attesa che in
questo momento, alla vigilia dell’in-
sediamento del presidente eletto statunitense, domina le relazioni internazionali. Le prime dichiarazioni del
tycoon uscito vincitore dal voto
dell’8 novembre hanno subito fatto
capire che una nuova pagina si sta
aprendo nei rapporti tra gli Stati
Uniti e il resto del mondo.
I dossier sul tavolo sono tanti. C’è
in primo luogo il rapporto con l’Eu-
ropa. Trump ha attaccato la Nato
definendola «vecchia e obsoleta» e
ha parlato dell’Unione europea come «un veicolo per gli interessi tedeschi». Gli analisti hanno gridato al
pericolo di un «nuovo protezionismo» e addirittura di una «minaccia». In realtà, da tempo l’asse della
politica estera statunitense non è più
orientato verso il vecchio continente
A Davos l’annuncio del capo di stato colombiano
Sanità, ambiente e immigrazione i punti chiave dell’agenda interna del tycoon
Accordo per l’avvio
dei negoziati con l’Eln
Svolta radicale
BO GOTÁ, 19. Il presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, ha
reso noto che il suo governo e i
guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) hanno raggiunto un accordo per avviare un
negoziato di pace a partire dall’8
febbraio prossimo. L’annuncio è
giunto durante i lavori del World
economic forum di Davos, al quale
sta partecipando anche il capo di
stato colombiano.
Santos è particolarmente attivo
nell’attività negoziale con i gruppi
ribelli e recentemente è stato insignito del premio Nobel per la pace
a seguito dell’accordo raggiunto
l’anno scorso con le Forze armate
rivoluzionarie
della
Colombia
(Farc), il più numeroso gruppo armato che opera nel paese.
I dettagli dell’intesa con i ribelli
dell’Eln verranno annunciati nelle
prossime ore a Quito. Il governo
dell’Ecuador ha infatti ribadito la
sua disponibilità a ospitare i colloqui di pace tra le autorità di Bogotá e i guerriglieri dell’Eln, che ammontano a circa 1500 unità. Il ministro degli esteri di Quito, Guillaume Long, ha reso noto che
l’Ecuador intendere essere la casa
del dialogo, ricordando che i paesi
garanti del processo di pace saranno Brasile, Cile, Cuba, Norvegia e
Venezuela.
Secondo gli esperti una delle
questioni più delicate da affrontare
sarà quella relativa ai reati commessi dai guerriglieri, una parte dei
quali potrebbero essere interessati
da un’amnistia.
di FAUSTA SPERANZA
Svolta radicale: è questa l’espressione usata più volte da Donald
Trump per definire le decisioni che
prenderà da presidente degli Stati
Uniti in tema di politica interna.
Tante le questioni sollevate: dalla
riforma sanitaria a quella di Wall
Street, dalla politica industriale alle
grandi infrastrutture nazionali. Dopo le parole, dal 20 gennaio il nuovo capo della Casa Bianca passerà
ai fatti. A differenza di Obama,
Trump è un presidente forte della
maggioranza del suo partito al
Congresso, ma è anche vero che il
confronto per le presidenziali ha
portato divisioni nel paese non solo
tra repubblicani e democratici ma
anche all’interno del Grand Old
Party.
Da abolire perché troppo costosa
e, in realtà, fallimentare: la posizione di Trump sulla riforma sanitaria
di Obama è chiara, ma resta da definire la strada da percorrere per assicurare un’alternativa in un campo
che sta molto a cuore ai cittadini
statunitensi. Nei giorni scorsi
Trump ha affermato di avere come
obiettivo «un’assicurazione sanitaria
per tutti», lasciando intendere che
chiarirà presto i punti precisi del
suo piano. E sempre in campo sanitario ha fatto ancora più scalpore
l’annuncio di un nuovo corso nei
rapporti con le case farmaceutiche
che — ha detto il tycoon in un’intervista al «Washington Post» —
«dovranno trattare sui prezzi con il
governo per abbassare i costi».
La riforma sanitaria viene vista
comunque come un singolo aspetto
della questione sociale più vasta, segnata da una crisi che risulta superata negli indici economici, ma è
ancora viva sulla pelle della gente,
soprattutto della classe media. Il
tasso di disoccupazione resta del 5
per cento in un paese abituato a li-
Riunita il 18 gennaio
Comunicato congiunto della commissione bilaterale permanente di lavoro
tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele
La Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele si è riunita il 18 gennaio 2017 in sessione Plenaria, a
Gerusalemme, per continuare i negoziati in base
all’Articolo 10 §2 del Fundamental Agreement
tra la Santa Sede e lo Stato di Israele del 1993.
L’incontro è stato presieduto dal Signor Tzachi Hanegbi, Ministro della Cooperazione Regionale dello Stato di Israele, e da Monsignor
Antoine Camilleri, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati.
La Sessione Plenaria ha accolto i progressi
compiuti dalla Commissione di lavoro riguardante i negoziati in base all’Articolo 10 § 2 e si
compiace che essi si siano svolti in una atmosfera riflessiva e costruttiva. La Plenaria riconosce,
inoltre, il lavoro fatto dal Ministero della Giustizia riguardo l’applicazione dell’Accordo Bilaterale del 1997 sulla Personalità Giuridica. Le Parti
hanno concordato i passi futuri, in vista della
prossima Plenaria prevista per marzo 2017 nella
Città del Vaticano.
Dopo la riunione della Commissione Bilaterale di Lavoro, la Santa Sede e lo Stato di Israele
hanno tenuto una sessione di consultazioni bilaterali presso il Ministero degli Esteri. Le Delegazioni hanno discusso materie di comune interes-
se e hanno esplorato nuove opportunità di cooperazione.
La Delegazione della Santa Sede era composta da:
Mons. Antoine Camilleri, Sotto-Segretario per
i Rapporti con gli Stati;
S.E. Mons. Giuseppe Lazzarotto, Nunzio
Apostolico in Israele;
S.E. Mons. Antonio Franco, Nunzio Apostolico;
S.E. Mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, Vicario del Patriarcato Latino per Israele;
Mons. Lorenzo Lorusso, Sotto-Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali;
Mons. Ionut Paul Strejac, Officiale della Segreteria di Stato;
Mons. Marco Formica, Segretario della Nunziatura Apostolica;
Sig. Henry Amoroso, Primo Consigliere Giuridico;
P. Jacek Jasztal, O.F.M., Vicario della Custodia
di Terra Santa;
P. Ibrahim Faltas, O.F.M., Custodia di Terra
Santa;
Sr. Kathy Zimmermann, F.S.E., Segretaria.
La Delegazione dello Stato di Israele era composta da:
Sig. Tzachi Hanegbi, Ministro della Cooperazione Regionale;
Sig.ra Emi Palmor, Direttore Generale, Ministero della Giustizia;
Sig. Ehud Keinan, Senior Adviser;
Sig. Akiva Tor, Capo dell’Ufficio per gli Affari Ebrei e Religiosi nel mondo (Mae);
Dott. Joseph Draznin, Consigliere del Ministro della Cooperazione Regionale;
Sig.ra Sharon Regev, Direttrice del Dipartimento per gli Affari Religiosi nel mondo (Mae);
Sig.ra Tamar Kaplan, Primo Vice-Procuratore
di Stato e Direttore del Dipartimento per il Diritto Internazionale Generale, Divisione Affari
Legali (Mae);
Sig.ra Karin Dosoretz, Dipartimento per il
Diritto Internazionale Generale, Divisione Affari
Legali (Mae);
Sig. Itai Apter, Dipartimento per gli Accordi
Internazionali, Ministero della Giustizia;
Sig.ra Anat Eilon Ganor, Senior Adviser presso
il Ministero delle Finanze;
Sig. Moshe Golan, Consulente;
Sig. Amir Haran, Senior Adviser del Direttore
Generale, Ministero della Giustizia;
Sig. Gilad Atlacevitz, Dipartimento per gli Affari Religiosi nel mondo (Mae).
velli vicini allo zero. La promessa di
Trump è stata precisa: migliorare la
vita di tutti coloro che si sono sentiti danneggiati dalla globalizzazione. Di qui l’intenzione di rivitalizzare l’imprenditorialità nazionale,
dando avvio al piano per il rinnovamento delle infrastrutture e chiedendo alle imprese di tornare a produrre negli Stati Uniti.
Un altro capitolo importante è
l’ambiente. In campagna elettorale
Trump si è distinto per il pesante
ridimensionamento delle politiche
per arginare i cambiamenti climatici
e ha fatto alcune proposte concrete
in tema di energia: abolire o riformare il Clean Power Plan (la legge
del 2015 sulle energie pulite) e
soprattutto il Clean power plan for
existing power plants (sulla riqualificazione degli impianti), che
potrebbe implicare effetti sulle
emissioni di anidride carbonica.
C’è poi il nodo dell’immigrazione. Molti suoi elettori hanno votato
convinti che gli stranieri mettano in
pericolo il loro standard di vita e,
dunque, si aspettano l’annunciata
espulsione di tre milioni di clandestini e la costruzione del muro per
bloccare gli ingressi irregolari dal
Messico. Ma tutto ciò dovrebbe
reggere alla prova dei fatti.
I media hanno riferito che un
piano per le espulsioni potrebbe
costare seicento miliardi di dollari e
richiederebbe l’uso di un contingente di novantamila persone come
«personale per l’arresto». Sembra
molto difficile da attuare anche se,
bisogna ricordarlo, l’amministrazione uscente ha rimpatriato milioni di
immigrati. Sembra più facile invece
ipotizzare che, come promesso,
Trump decida di sospendere il programma Deferred action for childhood
arrivals promosso da Barack Obama. Il programma permette alle
persone senza permesso di soggiorno che sono state portate nel paese
da bambini di lavorare legalmente
ed essere protetti dall’espulsione. Il
nuovo presidente potrebbe poi sospendere con altrettanta facilità anche il programma per l’accoglienza
dei rifugiati siriani. Obama ha avviato questi programmi emanando
ordini esecutivi, che non sono permanenti come una legge approvata
dal Congresso. Trump potrebbe
quindi cancellarli già nel primo
giorno del suo mandato. Si tratta
comunque di mosse annunciate e,
al momento, restano pagine di storia statunitense ancora da scrivere.
quale partner privilegiato. Da Nixon
in poi la Casa Bianca ha sempre più
avvertito la necessità di considerare
soprattutto il rapporto con l’Asia
quale perno della propria strategia
globale. Una tendenza che si è rafforzata con la fine della guerra fredda e con la presidenza Clinton. In
tal senso, Trump non fa altro che accelerare un processo già iniziato da
tempo e inevitabile. Inevitabile anche perché dall’altra parte, in Europa, la situazione è instabile. Il 2017
sarà un anno elettorale, le tradizionali forze politiche sono in crisi e
l’Unione stessa mostra segni di cedimento non riuscendo a trovare un
consenso efficace su una serie di temi cruciali come l’immigrazione, la
difesa, l’economia e la politica estera. E a questo quadro si aggiunge
infine la linea dura del premier britannico, Theresa May, decisa a realizzare una Brexit senza sconti, dicendo no alla libera circolazione, al
mercato unico e all’unione doganale.
Scelte che Trump ha mostrato di
condividere.
Il secondo dossier riguarda Mosca. Trump preme per il riavvicinamento al Cremlino, seguendo due
strade maestre: la proposta di una riduzione degli arsenali nucleari in
cambio di un allentamento delle
sanzioni e il superamento delle tensioni sulla crisi siriana. Difficile dire
se questo nuovo dialogo riuscirà a
calmierare un Medio oriente in ebollizione come non mai. Le sfide, anche qui, sono molteplici: l’avanzata
dell’Is, l’instabilità turca dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio, il futuro politico della Siria (e il ruolo
del presidente Assad), il caos iracheno, la guerra in Yemen, e l’inasprirsi
della contrapposizione che segna in
profondità il mondo islamico, quella
tra sunniti e sciiti. Trump ha già
chiarito di voler rinegoziare l’accordo sul nucleare iraniano. Prontamente Teheran, la più grande nazione sciita nel mondo, si è opposta alla partecipazione della nuova amministrazione al vertice di Astana per
la pace in Siria.
Il terzo dossier è quello cinese. Ed
è proprio su questo terreno che il
magnate newyorkese potrebbe trovare l’avversario più difficile. A dividere i due giganti sono non soltanto
questioni economiche, con le ripetute accuse statunitensi a Pechino di
svalutare intenzionalmente lo yuan a
spese del dollaro, ma anche politiche. Basti citare le tensioni nel mar
cinese e i rapporti con Taiwan. Con
un tasso di crescita del 6,7, la Cina è
una delle locomotive mondiali, anche se in questo momento soffre un
certo rallentamento e la concorrenza
dell’India, e subisce un’enorme fuga
di capitali (64 miliardi di dollari al
mese nel 2016).
Il Dragone resta comunque un avversario temibile, soprattutto per
due ragioni: detiene gran parte del
debito americano e sta cercando di
uscire da un certo isolazionismo politico, come ha dimostrato il discorso
del presidente Xi Jinping al World
economic forum di Davos. Tanto basta per potere dire che nello scacchiere del prossimo inquilino della
Casa Bianca, Pechino è la vera incognita.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 20 gennaio 2017
Scoprire i molteplici significati del velo
nel corso del tempo
consente un atteggiamento libero da pregiudizi
nei confronti del velo delle donne islamiche
spesso percepito da queste ultime come un diritto
Illustrazione tratta da
«Degli Habiti Antichi et Moderni
di diverse parti del Mondo»
di Cesare Vecellio
Storie di donne e di veli
La tradizione occidentale
del capo coperto
di VALENTINA GIANNACCO
o imaginar fallace /mi condusse a veder
madonna morta; /e quand’io
l’avea scorta, /vedea che donne la
covrian d’un velo; /ed avea seco
umiltà verace, /che parea che dicesse: — Io sono in pace — »: la sublime dolcezza di questi intensi versi
danteschi, tratti dalla Vita Nuova, ci
conduce lontano, in un Occidente
medievale in cui il velo era ritenuto
un elemento irrinunciabile dell’identità della donna cristiana, capace di
evocare, con la sua intrinseca leggiadria e la sua particolare funzione di
copertura del capo, la gentilezza, la
nobiltà e l’umiltà connaturate
nell’animo femminile. Si trattava di
una tradizione antichissima, che la
poesia e l’arte figurativa medievale
contribuirono a perpetuare nel tempo, associando all’immagine della
donna un velo casto e delicato. Ma,
al di là della trasfigurazione letteraria e artistica, qual era il reale signi-
«L
ficato che le donne attribuivano al
velo nella loro vita quotidiana e come evolse l’usanza di indossarlo?
Questa domanda è il filo conduttore dell’ultimo libro di Maria Giuseppina Muzzarelli (A capo coperto.
Storie di donne e di veli, Bologna, il
Mulino, 2016, 214 pagine, euro 16)
che ripercorre le tappe fondamentali
della storia del velo delle donne
nell’Europa cristiana, dai primi padri
della Chiesa agli albori dell’età moderna. Si coglie nel libro anche un
riferimento fuggevole ma significativo alla contemporaneità, in cui il velo si pone come elemento di divisione e, talvolta, di rigida contrapposizione tra Occidente e cultura islamica. Il merito di Muzzarelli è, invece,
quello di risvegliare la memoria di
un passato comune tra le due civiltà,
in cui vigeva, dapprima per le donne
cristiane e poi anche per quelle musulmane, l’obbligo di mostrarsi pubblicamente «a capo coperto».
Nelle società cristiane l’uso del velo fu prescritto per la prima volta da
san Paolo nella prima Lettera ai Corinzi (11, 10: «La donna deve portare
sul capo un segno della sua dipendenza»), ma era in realtà già ben
diffuso presso i pagani, ove era riservato alle vestali. San Paolo si limitò,
quindi, a estenderne l’uso nella cristianità, mantenendone la peculiare
valenza simbolica, come segno del
pudore, del riserbo e della sudditanza della donna all’uomo. Ma il velo,
che nelle intenzioni dell’apostolo doveva consistere in un semplice pannicello, mutò lentamente forma, tessuto e, soprattutto, significato, divenendo sempre più leggero e raffinato
e perdendo il valore conferitogli in
origine.
Il punto fondamentale su cui l’autrice concentra la sua attenzione è
proprio questo, ovvero, la graduale
sostituzione a opera delle nobildonne medievali del grezzo pannicello
con veli ricercatissimi, simbolo di affermazione personale e sociale e di
resistenza alla sottomissione. Una
vera e propria svolta si verificò intorno alla fine del XII secolo, in relazione al nuovo slancio economico e alle
maggiori ricchezze disponibili nelle
civiltà comunali italiane. A partire
da quel momento, il velo assunse
una funzione prevalentemente esornativa, che si sviluppò ulteriormente
nei secoli successivi, tra XIV e XV secolo, fino agli albori dell’età moderna.
Sono le fonti iconografiche del
tardo medioevo e del primo rinascimento ad attestarlo chiaramente, raffigurando veli che adornavano il viso e il corpo della donna, conferendole un tocco di innegabile sensualità. Allo stesso modo, l’opera scritta
nel Cinquecento da Cesare Vecellio,
cugino di Tiziano, Degli Habiti Antichi et Moderni di diverse parti del
Mondo, offre un repertorio fondamentale di immagini e informazioni
sulla storia della moda, testimonian-
do veli di altissima manifattura adagiati su acconciature sempre più
complesse. La legge intervenne proibendo o, almeno, ponendo un limite
al lusso sfoggiato dalle nobildonne.
È sufficiente così scorrere la copiosa
legislazione suntuaria, emanata dal
secondo Duecento in poi, per capire
come fossero elaborati e costosi i copricapo femminili, ornati d’oro e
d’argento, perle e pietre preziose.
I veli furono, dunque, a partire
dalla fine del XIII secolo simbolo di
potere e strumento visibile di distinzione e privilegio sociale. Non a caso, le prostitute erano tenute a
mostrarsi ovunque “a capo scoperto”, in contrapposizione alle gentil-
donne la cui onorabilità e inviolabilità erano emblematicamente rappresentate proprio dal loro diritto a velarsi. Muzzarelli mette ben in luce
questo aspetto: se da una parte il velo perse il nesso con la sottomissione, dall’altra continuò a veicolare
un’immagine femminile positiva, in
sintonia con il pensiero dei primi
padri della Chiesa che associarono il
velo, in Oriente come in Occidente,
a Maria, modello esemplare di vergine e madre in opposizione a Eva.
Nessuna donna dell’ultimo medioevo o della prima età moderna,
tuttavia, era consapevole dell’origine
di questo costume. Il velo era per
loro, prima di tutto, una tradizione
tramandata nei secoli e rimasta poi
in vita in Occidente fino alla metà
del Novecento. Scoprire i molteplici
significati nascosti nel velo nel corso
del tempo consente oggi, come ben
dimostra l’autrice, un approccio diverso, più libero da pregiudizi, nei
confronti del velo indossato dalle
donne islamiche, spesso percepito da
queste ultime come un diritto, e non
soltanto come un dovere. È Muzzarelli stessa a indicarlo: il suo scopo è
quello di indurre il lettore a evitare
un automatico ed esclusivo collegamento del velo alla religione islamica e l’attribuzione meccanica a esso
di significati che «non è detto che
abbia, per esempio quello di subordinazione», come insegnano le stesse
donne occidentali.
Musica, liturgia e unità dei cristiani
di SERGIO MILITELLO*
i ripete spesso che la musica
può costituire un ponte di riconciliazione nel cammino
verso l’unità, essendo un linguaggio universale e un mezzo efficace di esecuzione comune. Ma
questo è ancora più vero in rapporto al
tema dell’unità dei cristiani, per cui tante persone stanno pregando in questi
giorni. È evidente, infatti, che se ci sono
caratteristiche che differenziano le culture e i popoli, l’espressione allo stesso
tempo più universale e comune a tutte
le culture è quella della musica, essendo
presente sotto tutte le latitudini culturali
del mondo, sia pure attraverso forme ed
espressioni diverse. In tal senso, la musica è la più democratica delle arti e anche nel cristianesimo, per secoli, le diverse confessioni hanno costruito la loro
storia sviluppando estetiche proprie.
Spunti interessanti su questo tema possono essere trovati nella raccolta di testi
L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione preparata congiuntamente dal
Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani e la Commissione
fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese.
Le parole di un antico padre della
Chiesa d’Oriente esprimono bene questo comune anelito religioso dell’umani-
S
La più democratica delle arti
tà con cui, anche attraverso il canto, è
possibile percepire il gemito dell’universo e di tutti gli abitanti della terra:
«Quale inno ti potremo cantare? Non ci
sono parole che ti possano esprimere
(...) Il desiderio universale, il gemito di
tutti, aspira a te» (Gregorio Nazianzeno).
Sappiamo che il canto ha da sempre
rivestito un ruolo fondamentale nella liturgia cristiana, tanto che fin dalle origini del cristianesimo l’intento fu quello
di creare una tradizione musicale “nuova”, capace di unificare la christianitas
che veniva a sovrapporsi e a sostituire
l’ellenismo. I successivi rapporti fra Roma e Bisanzio, in seguito al crollo
dell’impero, divennero sempre più difficili, protraendosi per secoli sino a determinare nel 1054 lo scisma tra Oriente e
Occidente, con le conseguenti affermazioni delle tradizioni musicali in lingua
greca e in lingua latina. Ancora più recentemente, nel tempo della Riforma si
sono affermate due traiettorie musicali
in parte divergenti, quella luterana e
quella calvinista.
Il 2017 marca, dunque, il cinquecentesimo anniversario dell’evento chiave,
operato da Martin Lutero, all’interno
dei movimenti di Riforma che hanno
segnato la vita della Chiesa occidentale
per diversi secoli. Alla luce di questa
importante ricorrenza, mi sembra perciò
opportuna una breve riflessione sull’operazione musicale della Riforma, dal
momento che lo stesso Lutero beneficiò
di un’ottima educazione musicale, letteraria e poetica.
Cantore egli stesso, esecutore di alcuni strumenti e compositore di alcuni
brani, Lutero è stato l’”Orfeo con tonaca e tonsura” e il suo inno Ein feste
Burg ist unser Gott diventerà, in certo
qual modo, un emblema della Riforma.
Per oltre un ventennio, tra il 1521 e il
1545, egli redasse canti spirituali, cui
dobbiamo aggiungere le traduzioni in
tedesco del Te Deum e di due sezioni
delle litanie dei santi. Nel primo innario
così formato appaiono diversi carmi latini trascritti in tedesco (Veni Creator Spiritus, Veni Redemptor gentium, O lux beata Trinitas e così via), insieme a preghiere ampliate o parafrasate (come il Padre
nostro) e a precedenti canti religiosi, in
volgare, arricchiti di nuove strofe. La
forma strofica senza ritornello fu una
Dieter Telemans, un coro gospel durante la celebrazione della domenica nella chiesa pentecostal di Johannesburg in Sud Africa
scelta attenta alle esigenze della riforma
“popolare”, di cui i canti spirituali presentano melodie assai cantabili, non
lunghe e incisive. Questo intento pragmatico di Lutero affonda, però, le sue
radici in una precisa e ricca visione teorica, che si colloca nella concezione
agostiniana della musica come donum
Dei, mentre tra le valenze antropologiche della Riforma, desidero sottolineare
quella della funzione unificatrice del
canto: per il suo carattere comunitario,
infatti, il canto corale forgia e rafforza
l’unione tra i suoi esecutori ed è per
questo che, per esempio, al di sopra
delle stesse posizioni confessionalmente
distanti o divergenti, il canto permette
addirittura una specie di ecumenismo
spirituale e pratico al tempo stesso.
Da questo punto di vista, l’introduzione con la Riforma della lingua vernacolare per facilitare ai fedeli la comprensione dei testi liturgici, è stata una scelta d’avanguardia adottata solo secoli
dopo anche dalla Chiesa cattolica romana. Se l’importanza data alla Parola è
principio trasversalmente ispiratore per
tutte le confessioni cristiane, a maggior
ragione, il “libro dei canti” Gesangbuch
diventa nel protestantesimo, assieme alla
Bibbia, uno strumento tradizionale e un
costume ecclesiale e familiare.
La crescita a ritmo impressionante
poi dei repertori e la loro fioritura
quantitativa, non hanno paragoni neanche nel cattolicesimo postconciliare, come si evince, per esempio, da un semplice sguardo alla sola edizione di Lipsia del 1657, comprendente più di cinquemila canti. A ritmo incessante, si
produrranno, infatti, raccolte polifoniche con musiche originali (specialmente
mottetti, salmi, cantici), mentre il Corale sarà sempre la nuova forma del canto
spirituale.
Ugualmente, se è impossibile menzionare tutti i libri di canto succedutisi nelle varie Chiese locali, saranno pure i
cattolici tedeschi a beneficiare, dal punto di vista musicale, del fenomeno avvenuto nel protestantesimo, anche per
l’apporto di molti musicisti cattolici nella loro collaborazione al canto dei riti
riformati. Quasi ecumenismo ante litteram, ben presto dunque, i cattolici elaborarono per loro uso dei cantici protestanti e cominciarono a imitare gli innari evangelici, con testi in lingua volgare,
tanto che potremmo fare una comparazione di canti in comune, sebbene con
diverso testo.
In ambito calvinista l’uso, specialmente domestico, del repertorio, fu
molto diffuso, servendosi di una melodia originaria che a volte riprendeva intonazioni gregoriane o popolari già note. A loro volta, i cosiddetti salmi ugonotti divennero una vera e propria bandiera confessionale, diffondendosi, tradotti nelle rispettive lingue o dialetti, in
diversi paesi d’Europa, e utilizzati anche
in comunità piccole, come la Chiesa
evangelica valdese. Nella seconda metà
del XX secolo, avvenne tuttavia una positiva riscoperta di parecchie melodie
calviniste che, con testi rifatti, entrarono
anche nella liturgia cattolica (tutti conosciamo in Italia canti liturgici come Noi
canteremo gloria a te, Lodate Dio, e così
via).
Abbiamo riportato queste notizie storiche quale esempio per illustrare l’importanza di essere aperti a ciò che an-
Il canto corale
rafforza l’unione tra i suoi esecutori
e permette addirittura
una specie di ecumenismo
spirituale e pratico al tempo stesso
che le altre tradizioni diverse dalla propria hanno da insegnare e concordando
su quanto si legge nei Suggerimenti per
l’organizzazione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nel contesto della commemorazione del cinquecentesimo anniversario della Riforma:
«Il mondo necessita di ambasciatori di
riconciliazione, che facciano cadere barriere, costruiscano ponti, stabiliscano la
pace, e aprano la porta a nuovi stili di
vita, nel nome dell’Unico che ci ha riconciliati in Dio, Gesù Cristo». In queste parole si potrebbe addirittura leggere, da un lato, la diversificazione delle
nostre liturgie e, dall’altro, la possibile e
già effettuata unione attraverso la preghiera cantata.
Lo stesso si potrebbe sostenere a proposito di quanto si legge sul contenuto
della celebrazione ecumenica: «Con salmi e canti ci riuniamo nel nome di Gesù e lodiamo il Signore per le sue opere
meravigliose», indicando una possibile
strada di riconciliazione ecumenica e un
dialogo interreligioso proprio attraverso
il canto comune per il superamento delle divisioni e il conseguimento di una
collaborazione tra i popoli.
* Docente di teologia della musica presso
la Pontificia Università Gregoriana
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 20 gennaio 2017
pagina 5
Una religiosa dell’ordine
guida una visita alla cappella Sistina
Ricchezza della storia domenicana
Studio, predicazione
e inquisizione
di PAOLO VIAN
ati entrambi dal
risveglio evangelico del XII secolo, illustrato da
Marie-D ominique Chenu in quel capolavoro
dimenticato che è La teologia
nel XII secolo (1957), domenicani e francescani hanno in
comune alcune caratteristiche,
pur nella sostanziale diversità
delle rispettive esperienze. Furono certo i grandi alleati, i
provvidenziali strumenti del
papato bassomedievale nella
lotta contro l’eresia e nel rinnovato slancio missionario, interno ed esterno. Domenico è
però un canonico, formato nei
quadri di una cultura clericale
alla quale il laico Francesco è
inizialmente affatto estraneo.
Ne derivano differenze importanti, nell’impianto stesso delle tipologie di vita religiosa.
Fra le tante, i seguaci di Domenico stabiliscono con la
povertà e con gli studi un
rapporto che non appare contrastato e difficile come quello
dei francescani, attraversati,
N
«Papa Onorio
III
approva l’Ordine» (Anonimo del
XVI
persino dilaniati, da dissidi
interni fra le differenti anime
del movimento che i primi
non conoscono, almeno nella
misura triste e straziante dei
secondi. Nelle molteplici diversità, domenicani e francescani condividono però, nell’immaginario collettivo, un
analogo destino: sono ritenuti
sostanzialmente religiosi “medievali”, quasi che la ricchezza della loro storia si esaurisse
nella fase iniziale del loro
cammino.
Merito di due volumi, pubblicati in concomitanza dell’ottavo centenario (1216-2016)
della conferma dell’O rdine
dei Predicatori da parte di
Onorio III, è quello di aiutarci a considerare la storia
dell’Ordine nell’arco completo, multiforme e sorprendente, del suo sviluppo. Le formule sono diverse. Massimo
Carlo Giannini, che è uno
storico dell’età moderna, offre
in otto capitoli un profilo
denso, omogeneo e unitario
della storia dell’Ordine (Massimo Carlo Giannini, I Domenicani, Bologna, Il Mulino,
2016 — Universale Paperbacks, 711 — pp. 236, euro 15).
Gianni Festa e Marco Rainini,
giovani e brillanti storici domenicani (il primo noto per
ricerche su Pietro da Verona e
Giovanni Dominici e per la
curatela di un bel volume sulla «santa dei Gonzaga», la
mantovana Osanna Andreasi,
il secondo specialista di
Gioacchino da Fiore e del suo
ambiente, dal Liber figurarum
a Raniero da Ponza), hanno
invece promosso e curato un
volume a più voci (L’Ordine
dei Predicatori. I Domenicani:
storia, figure e istituzioni [12162016], a cura di G. Festa e
M. Rainini, Bari, Laterza,
2016 — Quadrante — 210, pp.
+ 490, euro 30). Diciannove contributi articolati in tre
sezioni (Storia; Figure; Istituzioni, scritture, pensiero) ripercorrono le vicende e le imprese dell’Ordine. Vengono
così efficacemente rivisitate
non solo figure note, quasi
immancabili «topoi» gravati
dai pericoli di banalizzazione
e ripetizione che sempre minacciano i luoghi comuni
(Domenico
e
Tommaso
d’Aquino, i mistici renani e
Caterina da Siena, Girolamo
Savonarola e Bartolomé de
Las Casas), ma sono anche
presentate figure sconosciute
ai più (Bartolomé dos Mártires, «un vescovo santo al
Concilio di Trento») e a noi
quasi contemporanee (MarieJean-Joseph Lataste, il biblista Giuseppe Girotti, il vescovo di Orano Pierre Claverie,
nei diversi scenari delle carceri femminili del Secondo Impero francese, nel campo di
concentramento nazista di
Dachau, nell’Algeria insanguinata dal fondamentalismo
islamico). La presenza domenicana viene
poi considerata negli
ambiti della predicazione e dello studio,
della vita religiosa
femminile e dell’inquisizione, della mistica e della letteratura italiana, sino al
contributo più propriamente storico e
teologico, dalla Parigi duecentesca alla
scuola di Salamanca,
dal neotomismo di
fine Ottocento all’École biblique di
padre Lagrange, dal
lavoro filologico della Commissione leonina per l’edizione
critica degli scritti di
Tommaso alla vivacità innovativa della
scuola di Le Saulsecolo)
choir,
sino
alla
«nouvelle théologie»
di Marie-Dominique
Chenu e Yves Congar.
Ha sicuramente ragione
Giannini nel sottolineare la
necessità di andare al di là degli stereotipi, come quello fosco dell’inquisitore Bernard
Gui della versione cinematografica de Il nome della rosa
(1986) di Jean-Jacques Annaud. L’istituzione nel tempo
cambia, si adatta, assume
nuove forme e strategie. Ma,
come sottolinea il maestro generale dell’Ordine, Bruno Cadoré, nella presentazione del
volume laterziano, il multiforme servizio domenicano avviene, a ben vedere, nella continuità profonda, nella fedeltà
costante alle intuizioni originarie rimodulate in tempi e
circostanze diverse: annunciare Cristo, servire la Chiesa e
la sede apostolica, difendendo
sempre il popolo cristiano, i
poveri e i diseredati dai molteplici lupi che li minacciano.
XI
rapporto speciale con l’arte. Come vi ispira questa grande peculiarità nel vostro apostolato?
Intervista alla superiora delle missionarie della Divina Rivelazione
L’arte
una via verso la verità
di SOLÈNE TADIÉ
«L’opera d’arte, che partecipa della bontà e
verità di Dio, manifesta al cuore dell’uomo la
bellezza divina e, come un dardo, lo colpisce
e lo orienta al bene». Queste parole sono di
suor Rebecca Nazzaro, madre superiore delle
missionarie della Divina Rivelazione, ordine
fondato da Madre Prisca e approvato nel
2001. Vengono chiamate “suore verdi” in riferimento al colore del loro abito e hanno fatto
dell’arte il punto centrale della loro vocazione
missionaria. Vocazione che ha dato vita
all’iniziativa Catechesi con arte, il cui successo ha portato le suore a diventare delle guide
per turisti e pellegrini a Roma. In questa intervista all’«Osservatore Romano», suor Rebecca spiega la genesi di tale missione e si
sofferma sul rapporto storico dell’arte con la
fede cristiana.
In quale contesto sono nate le Catechesi con arte
e a chi si rivolgono?
Nascono nell’alveo del nostro carisma dedito alla evangelizzazione e all’amore alla Chiesa. Proprio nel cuore di essa, nello splendore
della cattedrale di Roma, San Giovanni in
Laterano, oltre dieci anni fa, è nata l’intuizione di Catechesi con arte. Nella basilica lateranense infatti, noi missionarie della Divina Rivelazione, svolgiamo il servizio di accoglienza
dei pellegrini presso il museo della basilica.
Fu proprio nella navata centrale della cattedrale, ammirando il potere narrativo dell’arte,
che abbiamo iniziato a interpellarci su come
poter tradurre tutto questo ai milioni di pellegrini che ogni anno passano per la città eterna. Ci siamo chieste come dare espressione a
tutto lo splendore artistico di questa città; ci
siamo preoccupate di recuperare ciò che la
storia dei santi, dei martiri e della nostra fede
vi hanno lasciato. Abbiamo veramente desiderato che la bellezza della nostra fede, nascosta
nei grandi capolavori artistici, potesse venir
fuori e continuare a insegnare.
Molto spesso oggi, lontani dal contesto in
cui le grandi opere furono realizzate, dimentichiamo il motivo profondo della loro realizzazione: istruire e trasmettere il messaggio cristiano. Questo perché la bellezza, di cui l’arte
è primaria espressione, è inscritta nel cuore
dell’uomo. Sotto questa chiave, Roma, città
impregnata di arte, si è presentata ai nostri
occhi come un grande campo di evangelizzazione. Catechesi con arte, infatti, non ha destinatari specifici: ai nostri incontri partecipano bambini, adulti, famiglie intere, persone
che fanno un cammino di fede e non; cerchiamo di offrire loro un’occasione per aprire il
proprio cuore alla bellezza. Di fronte allo
splendore delle opere di tanti artisti, le corde
del cuore vibrano, e questo non è altro, lo
sappiamo, che la promessa di Dio all’uomo, il
segno indelebile del nostro bisogno di Lui. Il
cuore infatti avverte che quelle opere riflettono la luce e la bellezza di colui che è il senso
del mondo, della storia e della vita.
Ora siete le guide ufficiali dei Musei vaticani e
della basilica di San Pietro per gli Itinerari di
arte e fede.
Gli Itinerari di arte e fede sono arrivati a
San Pietro nel settembre del 2007, quando il
cardinale Angelo Comastri, presidente della
Fabbrica di San Pietro, venuto a conoscenza
del nostro apostolato di Catechesi con arte
nella città di Roma, chiese di realizzare il testo per un’audioguida da offrire ai milioni di
turisti e pellegrini, che ogni anno visitano la
basilica.
C’era bisogno di un testo capace di dare
una lettura spirituale dell’arte lì presente,
poiché è un’arte che sboccia dalla fede, parla
di essa e continuamente la stimola. Dopo poco tempo, arrivò la proposta di guidare le visite legate agli Itinerari di arte e fede nella
basilica su prenotazione, che ancora oggi
continuano. Nel giugno del 2009 fu indetto
l’anno sacerdotale e i Musei vaticani pensarono di offrire ai sacerdoti e seminaristi l’omaggio di visite gratuite con la nostra collaborazione. Lo stesso è avvenuto per l’anno della
fede (2012-2013) e l’anno della vita consacrata
(2015-2016).
Il cristianesimo, come «religione delle figure», ha
— rispetto agli altri monoteismi iconoclasti — un
L’apostolato di Catechesi con arte si innesta nel tronco bimillenario della tradizione
della Chiesa cattolica, fin dalle origini il cristianesimo ha bene inteso che la trasmissione
della fede doveva passare attraverso l’arte, lo
stesso mistero dell’Incarnazione lo richiede e
lo rende possibile. Il divieto veterotestamentario delle immagini di Dio: «Non ti farai idolo
né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo...» (Esodo 20, 2-5) è alla base dell’aniconismo del monoteismo ebraico e di quello islamico. Non è possibile ridurre la trascendenza
di Dio a una figura umana. Nel Nuovo Testamento viene rivelato l’impensabile: il Verbo
eterno del Padre, prende carne nel seno della
beata vergine Maria. Nella persona di Gesù
di Nazareth la trascendenza abita nell’immanenza, l’universalità nel particolare, l’infinito
nel finito, l’eternità nella storia, al punto che
possiamo dire con l’apostolo Paolo che: «Cristo è l’immagine del Dio invisibile» (Colossesi
1, 15). Possiamo dire che la peculiarità di Catechesi con arte è quella di educare, istruire e
formare le persone, a non “consumare le immagini”, ma a lasciarsi leggere dall’immagine
artistica, che ha saputo dare forma e visione
alla parola di Dio. Nella tradizione della
Chiesa, l’arte non ha mai separato la bellezza
dalla ricerca della verità, l’artista cristiano si
considera un artigiano al servizio della comunità credente, non a caso il patrono delle arti
è san Giuseppe, che insegna al bambino Gesù, non solo il mestiere di artigiano, ma lo
educa, anche, nelle virtù morali. L’opera d’arte diventa quel deposito della fede, buono
per istruire, formare e correggere gli uomini
nella giustizia e nella verità. L’enciclica Lumen
fidei di Benedetto XVI e Papa Francesco nel
2013, sottolinea che «credere significa anche
vedere». È la vita di Cristo che illumina la vita di ogni uomo (cfr. n. 34), quindi, l’arte sacra è fortemente implicata nell’impegno di
rendere visibile e contemplabile la realtà corporea di Cristo.
La bellezza può anche essere sinonimo di inganno. In questo senso, come farne un canale prediletto per portare alla verità?
Allontanandosi da Dio la bellezza diventa
inganno. In origine la relazione tra Dio e
l’uomo è nella verità, ma dopo il peccato originale, l’uomo ha lo sguardo e il cuore ferito.
I suoi occhi guardano alle persone e alle cose
con la lente del dominio e del controllo, e nel
suo cuore valuta tutto, in riferimento alla propria utilità e godimento. La bellezza però è
una via privilegiata per condurre l’uomo alla
verità, se ha come finalità il ripristino della
giusta relazione tra Dio e l’uomo. L’opera
d’arte, che partecipa della bontà e verità di
Dio, manifesta al cuore dell’uomo la sua bellezza, essa come un dardo lo colpisce e lo
orienta al bene. L’artista, che contempla la
verità di Dio nella fede, è capace di imprimere nella sua opera le cose contemplate.
C’è un’opera dalla particolare portata evangelica?
Suor Rebecca Nazzaro con un gruppo di pellegrini
Educarsi alla bellezza
Nella mia personale esperienza di Catechesi con arte, ogni volta, che con le persone mi
soffermo a contemplare la Pietà di Michelangelo nella basilica di San Pietro, faccio l’esperienza di quella bellezza, capace di far vibrare
le corde del cuore. La Pietà rappresenta la
madre che riceve il corpo del figlio, dopo che
è stato deposto dalla croce. Osserviamo il
volto di Maria: è giovane, molto più giovane
del figlio, perché, come Michelangelo stesso
dice, ella è immacolata. Il suo sguardo accarezza il volto di Gesù, è grave e compassionevole, denso di dolcezza e sofferenza, si piega
all’assenso poiché è tutta unita nell’offerta che
il Figlio ha fatto al Padre sulla croce. Maria
continua a offrire il corpo del figlio, con la
mano destra lo stringe contro di sé e con la
sinistra lo offre. Non posso fare a meno di
pensare al momento della consacrazione eucaristica e udire la voce del celebrante che pronuncia le parole di Gesù: «Questo è il mio
Corpo offerto per voi».
Avete in vista nuove prospettive di sviluppo?
Un’indagine sulla formazione del
clero e degli artisti «in vista della
committenza di opere d’arte per il
culto cristiano». È l’ambizioso
progetto promosso dal dipartimento
«Arte e fede» del Pontificio
Consiglio della cultura e dell’Ufficio
nazionale per i beni culturali
ecclesiastici e l’edilizia di culto della
Conferenza episcopale italiana.
Presentata giovedì 19 gennaio presso
il Pontificio Consiglio della cultura
— alla presenza del cardinale
Gianfranco Ravasi, presidente del
medesimo consiglio, e del segretario
generale della Cei, monsignor
Nunzio Galantino — l’iniziativa si
prefigge innanzitutto di valutare il
sistema formativo del clero secolare
e religioso, ma anche di tutti gli
operatori pastorali e culturali delle
diocesi nell’ambito storico e
artistico. Si riconsidereranno allo
stesso modo i percorsi formativi
attualmente disponibili per gli artisti
chiamati a operare per la Chiesa
(architetti, pittori, scultori, musicisti,
orafi, fotografi) con l’intento di
favorire una maggiore sinergia tra le
creazioni artistiche e la diffusione
del messaggio cristiano. I dati
raccolti su tutto il territorio italiano
tramite un apposito sistema
informatico consentiranno
l’elaborazione di una “mappa” sulla
base della quale si potranno adattare
le proposte formative, tenendo conto
delle necessità regionali. L’indagine
— sostenuta dalla Fondazione per i
beni e le attività culturali e artistiche
della Chiesa — prenderà in
considerazione i dati relativi agli
ultimi tre anni, così come tutte le
iniziative svolte a vari livelli (corsi
universitari, master, cicli di
conferenze, convegni, settimane di
studio, riviste e pubblicazioni).
Certo! Catechesi con arte è in continua
espansione! Da qualche mese, abbiamo iniziato gli Itinerari di arte e fede anche nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove siamo
presenti ogni ultimo sabato del mese con visite in tre lingue, italiano, inglese e spagnolo.
Scherzosamente abbiamo denominato “Catechesi con arte in trasferta” le nostre missioni
popolari in varie regioni d’Italia, e all’estero
(Messico, Inghilterra, Texas) dove su invito
di alcune diocesi organizziamo incontri di
formazione di Catechesi con arte per i catechisti e gli operatori nell’evangelizzazione.
Stiamo sviluppando il progetto di evangelizzazione mediante il web attraverso il nostro
sito www. divinarivelazione.org.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
di HYACINTHE DESTIVELLE*
Il 2016 ha segnato un’importante svolta nelle relazioni tra la
Santa Sede e le Chiese ortodosse slave. Il 12 febbraio, per la
prima volta nella storia, un Papa
ha incontrato un patriarca di
Mosca, primate della Chiesa ortodossa principale per il numero
di fedeli. Sorprendente è stato il
fatto che l’incontro tra i capi
delle due Chiese più grandi del
continente europeo non abbia
avuto luogo in Europa, ma a
Cuba. Questa scelta inattesa
non è stata frutto del caso. Il
patriarca Cirillo, nel motivarla,
ha sottolineato l’importanza di
incontrarsi lontano da un continente che potrebbe ricordare
troppo le polemiche e le divisioni tra i cristiani, ovvero, come
afferma la Dichiarazione comune firmata dai due capi di Chiesa, «lontano dalle vecchie dispute del “Vecchio Mondo”». La
scelta di Cuba corrispondeva
anche all’attenzione privilegiata
di Papa Francesco per le periferie del mondo e al suo sguardo
decentrato rispetto all’Europa,
uno sguardo definito giustamente «sguardo di Magellano».
Il fatto stesso che si sia verificato un simile evento ha spesso
relegato in secondo piano la Dichiarazione comune firmata in
tale occasione da Papa Francesco e dal patriarca Cirillo. Tuttavia, è precisamente la Dichiarazione che ha permesso l’incontro e non il contrario. I tentativi
precedenti di organizzare un incontro erano falliti soprattutto a
causa dell’impossibilità di mettersi d’accordo su un testo comune. Un dialogo lungo e approfondito ha consentito di trovare formule accettabili per entrambi i capi di Chiesa. Nell’introduzione del documento, il
Papa e il patriarca constatano
ufficialmente la fine di secoli segnati da polemiche e diffidenze:
«Nella nostra determinazione a
compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze
storiche che abbiamo ereditato,
vogliamo unire i nostri sforzi
per testimoniare il Vangelo di
Cristo e il patrimonio comune
della Chiesa del primo millennio, rispondendo insieme alle
sfide del mondo contemporaneo» (n. 7). Il documento affronta in seguito sei temi di na-
Le relazioni con le Chiese ortodosse slave
Uniti nell’azione pastorale
tura primariamente sociale: la
persecuzione dei cristiani, la libertà religiosa, la solidarietà con
i poveri, la famiglia, i giovani, la
missione.
La Dichiarazione comune deve essere letta come un testo pastorale. Il Santo Padre stesso
l’ha precisato: «non è una dichiarazione politica, non è una
dichiarazione sociologica, è una
dichiarazione pastorale». Sarebbe dunque sbagliato interpretare
questo testo soltanto alla luce di
criteri geopolitici. Né sarebbe
corretto attribuire un’eccessiva
importanza teologica alle parole
utilizzate: l’incontro non si situa
nel quadro del dialogo teologico, che rientra nelle competenze
della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la
Chiesa ortodossa. Esso s’iscrive
piuttosto nel dialogo della carità, e, più precisamente, nell’ecumenismo pastorale, conformemente a quanto espresso da Papa Francesco, che ha parlato di
«due vescovi che si sono incontrati con preoccupazione pastorale». D’altronde, l’introduzione
della Dichiarazione fa emergere
subito questa prospettiva: «La
nostra coscienza cristiana e la
nostra responsabilità pastorale
non ci autorizzano a restare
inerti di fronte alle sfide che richiedono una risposta comune»
(n.7). L’ultima parte del documento, che verte sulla missione,
pone nuovamente l’accento su
questa collaborazione pastorale:
«Nel mondo contemporaneo,
multiforme eppure unito da un
comune destino, cattolici e ortodossi sono chiamati a collaborare fraternamente nell’annuncio
della Buona Novella della salvezza, a testimoniare insieme la
Interventi di Martin Junge e Justin Welby
Ambasciatori
di riconciliazione
GINEVRA, 19. «La grazia incondizionata di Dio ci libera per poter lavorare per l’unità della Chiesa e essere
ambasciatori instancabili di pace e di
riconciliazione in un mondo dove
crescono l’ingiustizia e le divisioni».
È quanto ha sottolineato il pastore
Martin Junge, segretario generale
della Federazione luterana mondiale
(Flm), presentando il tema dell’annuale settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani, incentrato sulla
riconciliazione. Appuntamento che,
come è noto, nel 2017 cade nel pieno
delle celebrazioni per il cinquecentenario della Riforma di Lutero. Non
a caso, fa notare Junge in un testo
diffuso dal sito in rete della Flm, il
materiale liturgico per le celebrazioni ecumeniche dell’ottavario di preghiera è stato preparato dal Consiglio delle chiese tedesche in collaborazione con il Pontificio consiglio
per la promozione dell’unità dei cristiani e il World Council of Churches. E una delle principali celebrazioni è in programma proprio a Wittenberg, la città dove Lutero affisse
le sue 95 tesi riformatrici.
Per Junge il tema della settimana
di preghiera riflette bene l’impegno
assunto dalla federazione luterana e
dalla Chiesa cattolica a «lavorare
congiuntamente dal conflitto alla comunione e riconoscere che ciò che
abbiamo in comune è molto più
grande di ciò che ci divide». Del resto, i sussidi liturgici per la settimana evidenziano come tra le principali
preoccupazioni delle comunità riformate vi sia il riconoscimento del dolore per le divisioni profonde che
hanno afflitto l’unità della Chiesa.
Una prospettiva sottolineata in
questi giorni anche dal primate della
Comunione anglicana, Justin Welby,
che ha rilevato la necessità di purificare la memoria e di chiedere perdono. In una lettera indirizzata alle comunità anglicane in occasione della
settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani, l’arcivescovo di Canterbury, insieme all’arcivescovo di York,
John Sentamu, ha evidenziato come
«la Riforma fu sia un processo di
rinnovamento sia di divisione tra i
cristiani d’Europa». In questo senso,
«ricordare la Riforma deve anche
portarci al pentimento per la parte
che abbiamo avuto nel perpetuare le
divisioni. Un pentimento che dovrà
collegarsi all’azione per incontrare le
altre Chiese e rafforzare i rapporti
con loro».
dignità morale e la libertà autentica della persona, “perché il
mondo creda” (Giovanni, 17,
21)» (n.28). La dimensione pastorale è dunque la chiave di
lettura della Dichiarazione comune.
L’incontro dell’Avana è stato
accolto nel mondo intero come
un segno di speranza in un momento storico oscurato da numerosi conflitti. Ma non sono
mancate le voci critiche. In Russia, il patriarca Cirillo è stato attaccato in alcuni ambienti ecclesiali per il passo compiuto nella
direzione della Chiesa cattolica.
Queste polemiche hanno permesso di comprendere meglio,
in occidente, fino a che punto si
sia trattato di un gesto coraggioso da parte del patriarca. In
Ucraina, anche la Chiesa grecocattolica ha espresso forti riserve
soprattutto in merito ad alcuni
passaggi della Dichiarazione comune. Come nel caso di ogni
evento storico, occorrerà sicuramente del tempo affinché l’incontro dell’Avana e la Dichiarazione comune possano dare i loro frutti. «Abbiamo prospettato
una serie di iniziative, che credo
siano valide e che si potranno
realizzare», ha affermato il Santo Padre alla fine dell’incontro
con il patriarca Cirillo.
Vorremmo menzionare qui tre
possibili direzioni che possono
essere ricollegate all’ecumenismo
pastorale testimoniato dalla Dichiarazione comune: l’ecumenismo dei santi, l’ecumenismo
dell’azione comune e l’ecumenismo culturale.
Uno dei frutti dello storico
incontro dell’Avana è stato
un’intensificarsi delle relazioni
tra la Santa Sede e il patriarcato
di Mosca. Il 13 febbraio all’Avana e il 22 novembre a Mosca, in
occasione del settantesimo genetliaco del primate della Chiesa
russa, il cardinale Kurt Koch ha
incontrato privatamente il patriarca Cirillo, mentre il metropolita Ilarione, presidente del
Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del patriarcato di Mosca, è stato ricevuto in
udienza privata da Papa Francesco il 15 settembre e poi di nuovo il 10 dicembre. È interessante
notare che questi diversi incontri
hanno offerto un’occasione per
praticare l’«ecumenismo dei santi». All’Avana, il Santo Padre ha
offerto al patriarca alcune reliquie di san Cirillo, apostolo degli slavi e patrono del primate
della Chiesa ortodossa russa.
Come “scambio di doni”, il 15
settembre, il patriarca Cirillo ha
offerto a Papa Francesco, per il
tramite del metropolita Ilarione,
alcune reliquie di san Serafino
di Sarov, uno dei santi russi più
conosciuti in occidente. A sua
volta, il Santo Padre ha fatto
dono al patriarca, il 22 novembre, con l’intermediazione del
cardinale Koch, di reliquie di
san Francesco, suo santo patrono e uno dei santi occidentali
più vicini a san Serafino per
l’esperienza della gioia pasquale
e per il desiderio profondo di
pace in tutto il creato. Negli auguri rivolti al patriarca, Papa
Francesco ha scritto: «Possano
questi due straordinari testimoni
di Cristo, già uniti in cielo, intercedere per noi, affinché lavoriamo insieme in maniera sem-
pre più stretta a favore della piena unità per la quale Gesù Cristo ha pregato».
La Dichiarazione comune insiste anche su questo ecumenismo dei santi: «Condividiamo la
comune tradizione spirituale del
primo millennio del cristianesimo. I testimoni di questa tradizione sono la santissima Madre
di Dio, la Vergine Maria, e i
santi che veneriamo. Tra loro ci
sono innumerevoli martiri che
hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati “seme di cristiani”» (n.4). Uno stimolo da trarre dall’incontro
dell’Avana potrebbe essere l’approfondimento di questo ecumenismo dei santi, in particolare
tramite lo scambio di reliquie o
persino tramite un mutuo riconoscimento della santità vissuta
nelle rispettive Chiese, come ha
fatto la Chiesa cattolica nei confronti di Gregorio di Narek, che,
pur appartenendo a un periodo
successivo alla separazione con
la Chiesa armena, è stato proclamato dottore della Chiesa da
Papa Francesco nel 2015. I santi
delle nostre Chiese, già uniti in
cielo, sono i nostri migliori intercessori per realizzare l’unità.
Parallelamente
a
questo
ecumenismo
dei
santi,
la
D ichiarazione comune apre ampie prospettive all’«ecumenismo
dell’azione comune» tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa. Per esprimere solidarietà alle popolazioni del Medio
oriente, esposte alla violenza di
continui conflitti, e vicinanza
spirituale ai cristiani della regione, vittime di persecuzioni, una
delegazione mista composta da
rappresentanti della Chiesa cattolica (tra cui monsignor Paolo
Pezzi, ordinario dell’arcidiocesi
della Madre di Dio a Mosca) e
della Chiesa ortodossa russa si è
recata in Libano e in Siria il 6 e
7 aprile 2016. Altre iniziative potrebbero essere intraprese in
questo contesto e in altri campi
menzionati dalla Dichiarazione,
come quello della libertà religiosa, dell’aiuto ai bisognosi, della
famiglia, dei giovani. Si tratta,
come ha ribadito il Papa alla fine dell’incontro, di un’unità che
si realizza innanzitutto camminando insieme: «Abbiamo parlato delle nostre Chiese, e concordiamo sul fatto che l’unità si fa
camminando».
L’incontro dell’Avana ha già
portato numerosi frutti in quello
che può essere definito «ecumenismo culturale». Il 1° marzo
2016 si è riunito, presso il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il
gruppo misto di lavoro per il
coordinamento dei progetti culturali tra la Santa Sede e la
Chiesa ortodossa russa. Tra le
prime iniziative che sono state
concretizzate, ricordiamo l’organizzazione di visite di studio, sia
a Roma che a Mosca, di giovani
sacerdoti ortodossi e cattolici. In
questo quadro, dal 14 al 21 maggio, dietro invito del Pontificio
consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani, una delegazione di dieci giovani preti ortodossi del patriarcato di Mosca, docenti di vari istituti di
studi superiori della Chiesa ortodossa russa, è venuta a Roma
per conoscere più da vicino la
Curia romana, le università, i
venerdì 20 gennaio 2017
collegi pontifici e i luoghi santi
dell’Urbe. Dal 26 agosto al 4
settembre, un gruppo di dieci
giovani sacerdoti cattolici, studenti di diverse università pontificie romane, è stato invitato dal
Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne della Chiesa
ortodossa russa per una visita di
studio a Mosca e a San Pietroburgo. Per i giovani sacerdoti di
entrambe le Chiese, queste visite
di studio sono occasioni uniche
per superare ogni possibile pregiudizio e per avere un proficuo
scambio sulle rispettive preoccupazioni
pastorali,
seguendo
l’esempio dei loro primati incontratisi all’Avana.
Altre iniziative culturali sono
state organizzate con l’appoggio
del gruppo misto di coordinamento. Un concerto congiunto
della Cappella musicale pontificia Sistina e del Coro sinodale
del patriarcato di Mosca ha avuto luogo l’11 dicembre nella basilica di Santa Maria degli Angeli
e dei Martiri con il patrocinio
del Pontificio consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani e del Dipartimento per le
relazioni ecclesiastiche esterne
del patriarcato di Mosca, alla
presenza dei loro rispettivi presidenti, il cardinale Koch e il metropolita Ilarione. All’inizio di
questo eccezionale concerto, il
cardinale Koch ha spiegato il significato dell’«ecumenismo culturale»: «Questi progetti culturali sono motivati dalla convinzione che la cultura è un aspetto
essenziale del cammino di avvicinamento delle nostre Chiese.
È indispensabile conoscere la
lo stesso periodo, la visita
effettuata in Russia dall’arcivescovo Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa
Romana Chiesa, che ha incontrato i direttori delle biblioteche
pubbliche di Mosca e di San
Pietroburgo e il responsabile
dell’Agenzia degli archivi federali di Russia, per cementare la
collaborazione tra le varie istituzioni.
A conclusione di questa breve
panoramica sul 2016, menziono
volentieri l’intensificarsi delle relazioni della Santa Sede con
un’altra Chiesa slava: il patriarcato di Serbia. Dal 15 al 17 gennaio 2016, una delegazione sinodale della Chiesa ortodossa serba, comprendente il metropolita
Amfilohije del Montenegro e del
Litorale, il vescovo Irinej di Novi Sad e di Bačka e l’ambasciatore Darko Tanasković, è venuta
in Vaticano per delineare più
precisamente, dietro proposta di
Papa Francesco, i compiti e la
composizione della Commissione mista incaricata dello studio
storico della vita del beato Cardinale Alojzije Stepinac prima,
durante e dopo la seconda guerra mondiale. La Commissione si
è riunita per la prima volta nei
giorni 12 e 13 luglio 2016 in Vaticano e, per la seconda volta, il
17 e 18 ottobre, a Zagabria.
L’istituzione stessa di tale Commissione è un segno di speranza. Dobbiamo pregare affinché
il suo lavoro contribuisca alla
«riconciliazione della memoria»
tra ortodossi serbi e cattolici
croati, una riconciliazione alla
quale ci invita l’apostolo Paolo
cultura degli altri per comprendere meglio il modo in cui essi
percepiscono il vangelo. A maggior ragione quando si tratta dei
cattolici e degli ortodossi, mi
sembra che questa conoscenza
reciproca permetta di capire che,
al di là delle legittime differenze
culturali, condividiamo la stessa
fede espressa in modi diversi, a
seconda del genio specifico di
ogni popolo e di ogni tradizione. Nel caso dell’arte sacra,
questo approccio ci permette
addirittura di pregustare già una
certa comunione, che accresce in
noi il desiderio della piena
unità».
Sempre nel campo culturale,
dal novembre 2016 al febbraio
2017, presso la Galleria Tretyakov di Mosca, la mostra «Roma
Aeterna» presenta a un pubblico
straniero, per la prima volta,
quarantadue capolavori della pinacoteca dei Musei vaticani. Essa è stata inaugurata il 25 novembre dal cardinale Giuseppe
Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città
del Vaticano, che, in tale occasione, ha incontrato il patriarca
Cirillo. La mostra, descritta
dall’allora direttore dei Musei
vaticani, Antonio Paolucci, come
un «atto di gratitudine nei confronti dell’antico amore della
Russia per Roma Aeterna», ha
avuto un grande successo in
Russia. Va altresì ricordata, nel-
nella lettera proposta per questa
settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: «Noi fungiamo
quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per
mezzo nostro. Vi supplichiamo
in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Corinzi,
2, 20).
*Officiale per la sezione orientale
del Pontificio consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 20 gennaio 2017
pagina 7
La Red Eclesial Panamazónica contro lo sfruttamento minerario in Ecuador
PANAMÁ, 19. La denuncia delle
situazioni di povertà, della corruzione, delle carenze del sistema educativo insieme ai preparativi della giornata mondiale
della gioventù che Panamá ospiterà nel 2019: questi i principali
argomenti toccati dalla conferenza episcopale panamense riunita in assemblea plenaria nella
capitale. Nella ferma convinzione, come evidenziato in un comunicato sulla situazione ecclesiale e sociale diffuso al termine
dei lavori, che il paese rappresenta un «bene comune» da
«accogliere, proteggere e ingrandire». Un «dono» ma anche
una «responsabilità».
Nel corso dell’assemblea i
presuli hanno iniziato a preparare la giornata mondiale della
gioventù, che con buona probabilità si svolgerà nei primi mesi
dell’anno, e non dunque come
di consueto a luglio o ad agosto, per via della situazione climatica del paese. A questo proposito i vescovi invitano i fedeli
a pregare «perché la giornata
mondiale della gioventù apra le
porte dei propri cuori e delle
proprie case per creare le condizioni spirituali e strutturali per
ricevere centinaia di migliaia di
giovani pellegrini». Un primo
incontro dei giovani panamensi,
in vista del grande raduno mondiale, si terrà a Chitré, capoluogo della provincia di Herrera,
dal 2 al 5 febbraio prossimi.
I vescovi proseguono invitando ad ascoltare la voce di Papa
Francesco e in particolare il
messaggio del Pontefice per la
recente giornata mondiale della
pace. Un invito accorato a scegliere la strada della nonviolenza per «cambiare radicalmente»
la realtà del paese, dato che, avvertono i presuli, «ci troviamo
avvolti da un ambiente violento
in tutti gli ambiti della nostra
vita: in famiglia, nelle strade, nei
mezzi di comunicazione, nei social network».
La seconda parte del comunicato passa in rassegna vari
aspetti della situazione nazionale da tenere sotto controllo: la
Difesa dell’ambiente
e delle comunità indigene
Appello dei vescovi panamensi
Responsabili
del bene comune
famiglia, l’istruzione pubblica, la
diffusione dell’ideologia del
gender, l’aiuto economico internazionale. In particolare, i vescovi panamensi chiedono una
speciale protezione per l’infanzia
e una difesa «dai nuovi Erode»
che rubano ai bambini l’innocenza attraverso il lavoro minorile, la schiavitù, la prostituzione, il rapimento, l’emigrazione
forzata. Nel documento si punta
l’indice sulle bande criminali, i
pandilleros, i mafiosi, i mercanti
di morte. Al tempo stesso si assicura «tolleranza zero» di fronte all’emergere di eventuali nuovi casi di abusi su minori commessi da uomini di Chiesa.
Rispetto alla realtà nazionale,
i vescovi scrivono di vedere
«con preoccupazione i tentativi
di voler imporre l’ideologia di
genere attraverso il sistema educativo». E non mancano di denunciare che proprio il sistema
educativo del paese «è ormai al
collasso», come dimostrato anche dal crescente numero di fal-
limenti scolastici, che «non solo
mettono in evidenza l’insuccesso
dello studente, ma di tutta la società panamense».
In questa prospettiva, l’episcopato torna a denunciare i livelli sempre più alti di corruzione e auspica che il paese riscopra i vincoli di unità e fraternità
verso tutti, a cominciare dai migranti, soprattutto haitiani e colombiani, che giungono nel territorio panamense dai confini
colombiani. Di fonte a un simile
scenario, i presuli invitano a
combattere la povertà con l’impegno a trasformare il semplice
assistenzialismo in «promozione
umana» e la corruzione con una
etica sociale giusta. «Ognuno —
questa l’esortazione — deve essere aperto alle esigenze della solidarietà e del bene comune. La
povertà non è solo una questione economica, è anche una questione morale e culturale. È questa povertà morale e culturale
che ci ha fermato dall’intraprendere i cambiamenti necessari».
QUITO, 19. «Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione e
denuncia sui recenti eventi riguardanti la popolazione Shuar
dell’Ecuador, nella provincia di
Morona Santiago, in particolare
per lo sgombero di coloni, indigeni e contadini della comunità
Nankints». È quanto si legge in
una nota diffusa dalla Red Eclesial Panamazónica (Repam) in
riferimento allo sfruttamento del
territorio a opera di una società
mineraria cinese.
«Contadini e indigeni hanno
condiviso questo spazio per un
lungo periodo di tempo. L’innesco del conflitto attuale — si legge nella nota diffusa dall’agenzia Fides — è chiaramente legato
alla politica di sfruttamento delle risorse naturali che è stata imposta nella regione amazzonica
con la concessione di diritti a
gruppi privati, con la grave violazione dei diritti umani e contro la protezione degli ecosistemi». Pertanto, la Red Eclesial
Panamazónica chiede «il rispetto dei diritti (in particolare quello di consultare prima, in modo
libero e informato, i residenti)».
Oltre a questo, si fa appello al
rispetto di un dialogo ragionevole, a porre fine una volta per
tutte a una logica dell’emergenza che favorisce un clima di
maggiore ostilità e violenza e soprattutto a «dare priorità agli
interessi delle comunità indigene
locali che da sempre hanno vissuto in quei territori rispetto
agli interessi estrattivi di società
esterne».
Il 12 gennaio scorso, il governo del presidente Correa ha prorogato di trenta giorni lo «stato
di emergenza» nella regione a
causa del conflitto fra la comunità Nankints e la società mineraria cinese. Secondo la stampa
ecuadoriana, lo stato di emergenza serve più che altro a militarizzare la zona, a invadere le
case dei contadini o a vietare
adunate di ogni genere. Nei pri-
Le disuguaglianze sociali in India evidenziate dal rapporto Oxfam
Si può fare di più
NEW DELHI, 19. «Le politiche governative stanno aggravando l’emarginazione delle comunità tribali. La
Chiesa deve risvegliare la coscienza
della nazione e dire la verità ai potenti. Non lo sta ancora facendo del
tutto». John Dayal, ex presidente
della Catholic Union of India, sottolinea ad AsiaNews la necessità
che la Chiesa cattolica alzi la voce
contro le disuguaglianze nel paese.
L’esortazione giunge all’indomani
della divulgazione dell’ultimo rapporto internazionale sullo sviluppo,
che pone l’India al di sotto di nazioni come la Cina e il Pakistan. Secondo il dossier pubblicato da
Oxfam, movimento globale di ong
che si occupa di lotta contro la povertà e l’ingiustizia sociale, l’un per
cento della popolazione indiana
possiede il 58 per cento della ricchezza di tutto il paese. Questo fa
dell’India una società ancora più divisa rispetto ai vicini asiatici.
Dayal, che è membro del National Integration Council of India,
osserva che «gli studi pongono il
subcontinente indiano ai più bassi
livelli di crescita inclusiva, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza della classe operaia». In riferimento al sistema di welfare, l’India
«non ha meccanismi di sicurezza
sociale o alcun tipo di assicurazione
medica e sanitaria per i poveri. Ciò
significa che circa due terzi della
popolazione rischiano di morire per
malattia o per mancanza di cure,
nonostante il paese stia emergendo
come uno dei più grandi centri per
il turismo medico, per coloro che
hanno i soldi».
Come detto, il rapporto Oxfam
evidenzia che cinquantasette miliardari indiani hanno in mano la maggior parte della ricchezza, mentre il
70 per cento della popolazione povera fatica a sopravvivere. «Pensare
allo sviluppo in termini di pil è
fuorviante e disonesto. È una sofi-
sticata falsità, perché non prende in
considerazione lo sviluppo e la responsabilizzazione dei cittadini»,
analizza Valson Thampu, ex preside
del Saint Stephen’s College di
Delhi, suggerendo di dare «l’enfasi
maggiore all’educazione. Individui
e società non possono svilupparsi in
maniera significativa senza istruzione». E l’attivista Jugal Kishore
Ranjit ritiene che la disuguaglianza
«sia frutto del sistema braminico
che si basa sulla divisione di casta e
sul capitalismo. I bramini sostengono il capitalismo e viceversa. I proprietari guadagnano grazie al sangue versato dai lavoratori comuni.
Le aziende producono denaro pubblico, ma poi i profitti sono utilizzati per alimentare se stesse».
Un’inversione di marcia positiva,
aggiunge, potrebbe verificarsi solo
se individui e compagnie decidessero di redistribuire i profitti anche
tra i poveri. Secondo padre Ajaya
Kumar Singh, direttore dell’O disha
Forum for Social Action, l’India «si
dichiara un paese socialista e democratico, ma oggi il capitalismo clientelare regna sovrano. Le compagnie
ricche dovrebbero assumersi adeguate responsabilità sociali». Quanto avvenuto di recente con l’eliminazione delle banconote da 500 e
1000 rupie, che ha gettato sul lastrico la classe media e rurale, «dimostra che l’India è un paese per gli
uomini d’affari. Circa millequattrocento miliardi di rupie di debiti di
grandi aziende sono stati cancellati
con un colpo di spugna, ma niente
è stato fatto per il sociale, il welfare
e l’educazione», conclude.
mi giorni di gennaio ci sono stati scontri fra gli abitanti e le forze dell’ordine, con il bilancio di
un militare morto e di molti residenti detenuti.
La Confederazione nazionale
degli indigeni dell’Ecuador (Conaie) ha denunciato che non ci
sono prove contro i contadini
per gli episodi di violenza accaduti nel dicembre 2016 e a gennaio di quest’anno. «L’estensione dello stato d’emergenza per
trenta giorni — si legge nel comunicato della Conaie — è un
chiaro segno di provocazione e
dell’incapacità a risolvere i problemi in modo pacifico. Quello
che ha fatto lo stato è di aver
impedito alle comunità di esercitare i loro diritti». Al riguardo, i
vescovi, in occasione delle elezioni presidenziali che si svolgeranno il prossimo 19 febbraio,
hanno avvertito della necessità
di un «rafforzamento etico del
sistema democratico» e hanno
chiesto ai protagonisti politici,
in particolare ai candidati, ad
agire sempre con rispetto e alla
ricerca del dialogo».
Lettera pastorale ai cattolici della Cambogia
Per una cultura
della misericordia
PHNOM PENH, 19. «Dio è qui,
nel nostro paese, e si fa presente nei più piccoli, nei più poveri, nei disabili gravi, nei senza terra, nei migranti, nelle nostre famiglie, a volte divise a
causa di infedeltà, gioco d’azzardo, violenza, droga. Dio è
nei nostri luoghi di lavoro segnati da rancori distruttivi e
potere. Egli ci invita a diventare costruttori di una cultura
della misericordia, a promuovere “la rivoluzione della misericordia”». È quanto si legge
nella lettera pastorale di monsignor Olivier Michel Marie
Schmitthaeusler, vicario apostolico di Phnom Penh, alla
comunità cattolica che ha vissuto un ciclo di «tre anni di
carità», conclusosi nella celebrazione del giubileo della misericordia.
«Siamo chiamati a promuovere una cultura di misericordia basata sul riscoprire l’incontro con gli altri, una cultura in cui nessuno guarda l’altro
con indifferenza o si allontana
dalla sofferenza dei fratelli. Le
opere di misericordia — spiega
il presule nella lettera diffusa
da Fides — sono una sorta di
prodotti artigianali, nel senso
che sono fatte dalle mani degli
uomini e nessuna è fatta allo
stesso modo. Dio le ispira tutte, e sono tutte dello stesso stile e materiale, ma ognuna assume una forma diversa. Questo è il tempo della misericordia. Ogni giorno del nostro
viaggio è segnato dalla presenza di Dio che guida i nostri
passi con la potenza dello Spirito e lo riversa nei nostri cuori
per renderli capaci di amare».
Guardando al contesto nazionale, monsignor Schmitthaeusler ricorda che, dopo il regime, «l’istruzione, la cultura,
la religione e l’economia sono
stati in gran parte distrutti.
Oggi il 60 per cento della po-
polazione ha meno di 22 anni.
Queste giovani generazioni sono nate da genitori che hanno
vissuto le difficoltà della sopravvivenza» e in tempi in cui
«c’è stata una rottura nella trasmissione dei valori tradizionali». Le nuove generazioni,
spiega la lettera, sono cresciute
guardando ai modelli di famiglie in tv o sui social media,
basati su consumismo, egoismo, individualismo. Per questo è importante oggi «offrire
ai giovani un buon modello di
famiglia».
Infine, il presule si sofferma
sulla povertà che «è radice di
violenza, droga, alcol e dipendenza dal gioco. Attraverso
ong cattoliche e gruppi caritativi in ogni parrocchia, proviamo a dare dignità alle famiglie
più povere per aiutarle a costruire la loro vita, a trovare un
lavoro, a mandare i figli a
scuola e a essere in grado di
prendersi cura di loro».
†
La Segreteria di Stato comunica che è deceduto il
Signor
ANTONIO JUAN
DE WIT FERNÁNDEZ
DE CASTRO
padre del Rev.do Mons. Santiago De Wit
Guzmán, consigliere della Nunziatura Apostolica di Spagna.
I Superiori, i Colleghi e il Personale tutto
della Segreteria di Stato partecipano al dolore
di Mons. De Wit Guzmán e dei suoi Familiari assicurando la vicinanza nella preghiera per
il caro defunto, che affidano all’amore misericordioso del Signore risorto.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 20 gennaio 2017
Messa a Santa Marta
La lotta nel cuore
Il cuore di ogni cristiano è teatro di
una «lotta». Ogni volta che il Padre «ci attira» verso Gesù, c’è
«qualcun altro che ci fa la guerra».
Lo ha sottolineato Papa Francesco
nell’omelia della messa celebrata a
Santa Marta giovedì 19 gennaio,
durante la quale, commentando il
vangelo del giorno (Marco, 3, 7-12)
si è soffermato sulle ragioni che
spingono l’uomo a seguire Gesù. E
ad analizzare come questa sequela
non sia mai priva di difficoltà, anzi
se non si combattesse ogni giorno
con una serie di «tentazioni», si rischierebbe una religiosità formale e
ideologica.
Nel passo evangelico, ha notato
il Pontefice, per ben tre volte «si
dice la parola “folla”: lo seguì molta folla da tutte le parti; una grande
folla; e la folla si gettava su di lui,
per toccarlo». Una folla «calda di
entusiasmo, che seguiva Gesù con
Sandip Roychowdhury, «La lotta della vita»
calore e veniva da tutte le parti: da
Tiro e Sidone, dall’Idumea e dalla
Transgiordania». In tanti «facevano
questo cammino a piedi per trovare
il Signore». E di fronte a tale insistenza viene da chiedersi: «Perché
veniva questa folla? Perché questo
entusiasmo? Di cosa aveva bisogno?». Le motivazioni suggerite da
Francesco possono essere molteplici. «Lo stesso Vangelo ci dice che
c’erano ammalati che cercavano di
guarire» ma c’erano anche molti
che erano giunti «per ascoltarlo».
Del resto «a questa gente piaceva
sentire Gesù, perché parlava non
come i loro dottori, ma parlava con
autorità. Questo toccava il cuore».
Di sicuro, ha sottolineato il Papa,
«era una folla di gente che veniva
spontaneamente: non la portavano
nei bus, come abbiamo visto tante
volte quando si organizzano manifestazioni e tanti devono andare lì
per “verificare” la presenza, per non
perdere poi il posto di lavoro».
Quindi questa gente «andava
perché sentiva qualcosa». Ed erano
talmente numerosi «che Gesù ha
dovuto chiedere una barca e andare
un po’ lontano dalla riva, perché
questa gente non lo schiacciasse».
Ma il vero motivo, quello profondo, quale era? Secondo il Pontefice
«Gesù stesso nel Vangelo spiega»
questa sorta di «fenomeno sociale»
e dice: «Nessuno può venire da me
se non lo attira il Padre». Infatti,
ha chiarito Francesco, se è vero che
questa folla andava da Gesù perché
«aveva bisogno» o perché «alcuni
erano curiosi» il vero motivo si ritrova nel fatto che «questa folla la
attirava il Padre: era il Padre che attirava la gente a Gesù». E Cristo
«non rimaneva indifferente, come
un maestro statico che diceva le sue
parole e poi si lavava le mani. No!
Questa folla toccava il cuore di Gesù». Proprio nel vangelo si legge
che «Gesù era commosso, perché
vedeva questa gente come pecore
senza pastore».
Quindi, ha spiegato il Pontefice,
«il Padre, tramite lo Spirito Santo,
attira la gente a Gesù». È inutile
andare a cercare «tutte le argomentazioni». Ogni motivo può essere
«necessario» ma «non è sufficiente
per far muovere un dito. Tu non
puoi muovere» fare «un passo solo
con gli argomenti apologetici». Ciò
che è davvero necessario e decisivo
invece è «che sia il Padre a tirarti a
Gesù».
Lo spunto decisivo per la riflessione del Pontefice è giunto quando ha preso in esame le ultime righe del breve stralcio evangelico
proposto dalla liturgia: «È curioso»
— ha notato — che in questo passo
mentre si parla «di Gesù, si parla
della folla, dell’entusiasmo, anche
con quanto amore con cui Gesù li
riceveva e li guariva» si trovi un finale un po’ insolito. È scritto infatti: «Gli spiriti impuri quando lo vedevano cadevano ai suoi piedi e
gridavano “Tu sei il Figlio di
D io!”».
Ma proprio questa — ha detto il
Papa — «è la verità; questa è la
realtà che ognuno di noi
sente quando si avvicina Gesù» e cioè che «gli spiriti
impuri cercano di impedirlo,
ci fanno la guerra».
Qualcuno potrebbe obbiettare: «Ma, padre, io sono molto cattolico; io vado
sempre a messa... Ma mai,
mai ho queste tentazioni.
Grazie a Dio!». E invece no.
La risposta è: «No! Prega,
perché sei su una strada sbagliata!» poiché «una vita cristiana senza tentazioni non è
cristiana: è ideologica, è
gnostica, ma non è cristiana». Succede infatti che
«quando il Padre attira la
gente a Gesù, c’è un altro
che attira in modo contrario
e ti fa la guerra dentro!».
Non a caso san Paolo «parla
della vita cristiana come di
una lotta: una lotta di tutti i
giorni. Per vincere, per distruggere l’impero di satana,
l’impero del male». Ed proprio per questo, ha aggiunto
il Papa, che «è venuto Gesù,
per distruggere satana! Per
distruggere il suo influsso
sui nostri cuori».
Con questa notazione finale nel brano evangelico si
sottolinea l’essenziale: «sembra che, in questa scena», spariscano «sia Gesù, sia la folla e soltanto
restino il Padre e gli spiriti impuri,
cioè lo spirito del male. Il Padre
che attira la gente a Gesù e lo spirito del male che cerca di distruggere, sempre!».
Capiamo così — ha concluso il
Pontefice — che «la vita cristiana è
una lotta» nella quale «o tu ti lasci
attirare da Gesù, per mezzo del Padre, o puoi dire “Io rimango tranquillo, in pace”... Ma nelle mani di
questa gente, di questi spiriti impuri». Però «se tu vuoi andare avanti
devi lottare! Sentire il cuore che
lotta, perché Gesù vinca».
Perciò, è la conclusione, ogni cristiano deve fare questo esame di coscienza e chiedersi: «Io sento questa lotta nel mio cuore?». Questo
conflitto «fra la comodità o il servizio agli altri, fra divertirmi un po’ o
fare preghiera e adorare il Padre,
fra una cosa e l’altra?». Sento «la
voglia di fare il bene» o c’è «qualcosa che mi ferma, mi torna ascetico?». E ancora: «Io credo che la
mia vita commuova il cuore di Gesù? Se io non credo questo — ha
ammonito il Papa — devo pregare
tanto per crederlo, perché mi sia
data questa grazia».
Il Papa a una delegazione ecumenica finlandese
Con la semplicità
dei bambini
«Abbiamo bisogno della semplicità
dei bambini, loro ci insegneranno
il cammino verso Gesù». È
quanto ha detto Papa Francesco
nel discorso rivolto giovedì
mattina, 19 gennaio, alla
delegazione ecumenica giunta dalla
Finlandia in occasione della festa
di sant’Enrico.
Cari fratelli e sorelle,
saluto con gioia tutti voi che, in
questa Delegazione ecumenica,
siete venuti pellegrini dalla
Finlandia a Roma in occasione
della Festa di sant’Henrik. Ringrazio il Vescovo luterano di
Turku per le sue cortesi parole
— in spagnolo! Da oltre
trent’anni è una bella consuetudine che il vostro pellegrinaggio
coincida con la Settimana di
Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che ci richiama al riavvicinamento a partire dalla conversione. Il vero ecumenismo infatti si basa sulla conversione
comune a Gesù Cristo come nostro Signore e Redentore. Se ci
avviciniamo insieme a Lui, ci
avviciniamo anche gli uni agli
altri. In questi giorni invochiamo più intensamente lo Spirito
Santo perché susciti in noi questa conversione, che rende possibile la riconciliazione.
Su questo cammino, cattolici
e luterani, da vari Paesi, insieme
a diverse comunità che condividono il cammino ecumenico,
abbiamo percorso una tappa significativa, quando, il 31 ottobre
scorso, ci siamo riuniti a Lund,
in Svezia, per commemorare
l’inizio della Riforma con una
preghiera comune. Questa commemorazione congiunta della
Riforma ha avuto un significato
importante sul piano umano e
teologico-spirituale. Dopo cinquant’anni di dialogo ecumenico ufficiale tra cattolici e luterani, siamo riusciti a esporre chiaramente le prospettive sulle
quali oggi possiamo dirci d’accordo. Di questo siamo riconoscenti. Nello stesso tempo teniamo vivo nel cuore il pentimento
sincero per le nostre colpe. In
questo spirito, a Lund è stato ricordato che l’intento di Martin
Lutero, cinquecento anni fa, era
quello di rinnovare la Chiesa,
non di dividerla. Quell’incontro
ci ha dato il coraggio e la forza
di guardare avanti, nel nostro
Signore Gesù Cristo, al cammino ecumenico che siamo chiamati a percorrere insieme.
Preparando la commemorazione comune della Riforma,
cattolici e luterani hanno preso
maggiormente coscienza anche
del fatto che il dialogo teologico rimane essenziale per la riconciliazione e va portato avanti
con impegno costante. Così, in
quella comunione concorde che
permette allo Spirito Santo di
agire, potremo giungere a ulteriori convergenze sui contenuti
della dottrina e dell’insegnamento morale della Chiesa e
potremo avvicinarci sempre più
all’unità piena e visibile. Prego
mune della Chiesa, dell’Eucaristia e del ministero ecclesiale.
Il 2017, anno commemorativo
della Riforma, rappresenta dunque per cattolici e luterani
un’occasione privilegiata per vivere in maniera più autentica la
fede, per riscoprire insieme il
Vangelo e per cercare e testimoniare Cristo con slancio rinnovato. A conclusione della giornata commemorativa di Lund,
guardando al futuro, abbiamo
tratto coraggio dalla nostra testimonianza comune di fede davanti al mondo, quando ci siamo impegnati a sostenere insieme coloro che soffrono, coloro
che sono nel bisogno, coloro
che sono esposti a persecuzioni
e violenze. Nel fare ciò, come
cristiani non siamo più divisi,
ma siamo uniti nel cammino
verso la piena comunione.
Mi è caro inoltre ricordare
che i cristiani finlandesi festeggiano quest’anno il centenario
del Consiglio Ecumenico Finlandese, che è un importante
Invochiamo l’unità dei cristiani,
perché invochiamo Cristo.
Vogliamo vivere l’unità, perché vogliamo
seguire Cristo, e vivere il suo amore.
(@Pontifex_it)
il Signore affinché accompagni
con la sua benedizione la Commissione di dialogo luteranacattolica della Finlandia, che sta
lavorando con dedizione ad una
interpretazione sacramentale co-
Testimonianza comune
Ricordando l’importanza della preghiera per ottenere da Dio
il dono dell’unità, perché il mondo creda nell’amore e nella
sua misericordia, il vescovo luterano Kaarlo Kalliala ha salutato Papa Francesco a nome della delegazione ecumenica.
Parlando in spagnolo il presule ha aggiunto che «questa è la
testimonianza che il mondo attende da noi» perciò occorre
crescere nella comunione più stretta per essere fedeli a Gesù
Cristo, che ha inviato i suoi discepoli. Oltre alla numerosa
rappresentanza della Chiesa evangelica di Finlandia, componevano la delegazione il metropolita della Chiesa ortodossa
di Finlandia, Elia of Oulu, e un gruppo di cattolici guidati e
da monsignor Teemu Sippo, vescovo di Helsinki, e dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani (che nel pomeriggio di
mercoledì 18 aveva partecipato a una celebrazione ecumenica
nella chiesa luterana di Roma). Il pellegrinaggio romano dei
finlandesi si conclude nel pomeriggio di giovedì 19, nella basilica di Santa Maria sopra Minerva, con la commemorazione
di sant’Enrico, alla presenza del vescovo Brian Farrell, segretario del dicastero per l’unità.
strumento per promuovere la
comunione di fede e di vita tra
di voi.
Nel 2017, infine, la vostra Patria, la Finlandia, compie cento
anni come Stato indipendente.
Possa tale anniversario incoraggiare tutti i cristiani del vostro
Paese a professare la fede nel
Signore Gesù Cristo — come fece con grande zelo sant’Henrik
— testimoniandola oggi davanti
al mondo e traducendola anche
in gesti concreti di servizio, di
fraternità, di condivisione.
Mentre auspico che questo
vostro pellegrinaggio contribuisca a rafforzare ulteriormente la
buona collaborazione tra ortodossi, luterani e cattolici in Finlandia e nel mondo, e che la comune testimonianza di fede,
speranza e carità, con l’intercessione di sant’Henrik, porti frutti
abbondanti, invoco di cuore la
grazia e la benedizione di Dio
per tutti voi.
E, caro fratello Vescovo, io
voglio ringraziarLa per il buongusto di portare i nipotini: abbiamo bisogno della semplicità
dei bambini, loro ci insegneranno il cammino verso Gesù Cristo. Grazie, grazie tante!
Udienza agli organizzatori della mostra sulla storia dei giubilei tenutasi nel senato italiano
La misericordia è il cuore di ogni anno santo
Gentili Signore e Signori,
Grazie di essere venuti. Vi saluto
cordialmente, ad iniziare dal Signor Presidente del Senato, Onorevole Pietro Grasso, che ringrazio per le sue cortesi parole.
Questo incontro mi offre l’occasione di esprimervi la mia viva
riconoscenza per la Mostra riguardante la storia dei Giubilei,
che ha avuto luogo presso il Senato della Repubblica lo scorso
anno. Essa ha documentato molteplici aspetti degli Anni Santi, a
La bolla «Antiquorum habet»
«C’è un elemento essenziale, il cuore di ogni Anno Santo, che non va
mai perso di vista: nel Giubileo si incontrano la bontà di Dio e la
fragilità dell’uomo»: lo ha ribadito il Papa nell’udienza agli
organizzatori della mostra «Antiquorum habet» sulla storia dei
giubilei, tenutasi nel senato della Repubblica italiana da marzo a
giugno 2016. Il Pontefice li ha ricevuti nella tarda mattinata di
giovedì 19 nella Sala del Concistoro.
partire dal primo, indetto da Papa Bonifacio VIII con la Bolla Antiquorum habet. Dal 1300 in poi,
ogni Giubileo ha segnato la storia di Roma: dall’architettura
all’accoglienza dei pellegrini;
dall’arte alle attività assistenziali e
caritative. Ma c’è un elemento essenziale, il cuore di ogni Anno
Santo, che non va mai perso di
vista: nel Giubileo si incontrano
la bontà di Dio e la fragilità
dell’uomo, che ha sempre bisogno dell’amore e del perdono del
Padre. Infatti è proprio di Dio
usare misericordia, e specialmente
in questo si manifesta la sua onnipotenza. Lei [si rivolge al Presidente Grasso] parlava dell’accoglienza come del nocciolo di ogni
Giubileo; e questa è la grande accoglienza: quando Dio ci accoglie, senza domandare tante cose,
ci perdona, ci abbraccia, ci bacia
e ci dice questa bella parola: “figlio mio, figlia mia”.
Nel ringraziare gli organizzatori e i volontari della Mostra, e il
Senato che l’ha ospitata, per
l’opera di sensibilizzazione stori-
ca e culturale offerta a vantaggio
dei visitatori, auguro a ciascuno
di continuare a trarre dall’esperienza giubilare frutti spirituali
abbondanti e duraturi. Lo ottenga la Vergine Maria, Madre della
Misericordia.
Grazie, Signor Presidente, per
questa visita. Prego per il Suo alto servizio istituzionale e per il
lavoro di tutti voi. Vi benedico
insieme ai vostri cari. E anche
voi, per favore, pregate per me.
Grazie tante.
Nel saluto del presidente Pietro Grasso
Regola della gratuità
Esiste la «regola della gratuità» che anche le istituzioni laiche come
il senato della Repubblica italiana possono abbracciare. Lo ha detto il presidente, Pietro Grasso, salutando Papa Francesco all’inizio
dell’incontro. Grazie a questa regola, in occasione del giubileo, dipendenti in servizio e quelli in pensione, hanno scelto volontariamente di donare ai pellegrini la possibilità di «vedere, leggere,
ascoltare, toccare con le mani e con gli occhi le testimonianze di
storia, cultura, tradizioni» degli anni santi nella città di Roma, con
una mostra aperta a tutti. Il presidente ha sottolineato come la forza del giubileo sia proprio la solidarietà materiale e spirituale.
«Questa storia antica e preziosa — ha aggiunto — è stata raccontata
anche da chi non ha familiarità con una sensibilità religiosa».