la profezia di hannah arendt* oggi e` diventata realta`

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LA PROFEZIA DI HANNAH ARENDT* OGGI E' DIVENTATA REALTA'

GIA' NEL 1958 PREVEDEVA

" UNA SOCIETA’ DEL LAVORO SENZA PIU’ LAVORO"

Penso che il prossimo congresso non possa e non debba ignorare un o.d.g. seguito da una seria, ed approfondita riflessione sul problema perché, con un futuro, non rinnovato, assisteremmo all'estinzione della Cisl e se proprio qualcosa dovesse sopravvivergli sarebbe comunque del tutto diverso da quello che abbiamo conosciuto.

Ho voluto anticipare la conclusione dell’articolo, così da evitare l'onere di leggere il resto, a coloro che ritengono campata in aria una simile lettura della realtà sindacale, in generale e della Cisl in particolare. Dalla rivoluzione industriale ad oggi, il lavoro è stato al centro della storia politica, economica, sociale, dell'occidente ma da qualche decennio non è più così. La "centralità" del lavoro è stata di fatto superata, ma allora mi chiedo: il sindacato in quanto tale (almeno nella forma che conosciamo), ha ancora ragione di esistere? Se si con quale fine? Ed in quale forma?

Se l’automazione, sempre di più ha fatto e farà crescere il reddito delle imprese e con esse la ricchezza nazionale, impoverendo costantemente la maggior parte della popolazione, perché non dovremmo chiedere di garantire a tutti un reddito di cittadinanza per ridurre le abissali distanze che vanno creandosi?

Si obietta che mancano i soldi. Ma non è vero perché molto dipenderebbe da quali e quanti servizi sociali, oggi assicurati dallo Stato, verrebbero eliminati rivedendo l’intero stato sociale, dalle pensioni ai sussidi di disoccupazione, dai crediti di imposta al sistema sanitario nazionale ecc.

Se proprio si vuol cercare il pelo nell’uovo o per meglio dire la trave nell’occhio ci si dovrebbe preoccupare del problema etico che consegue con quello economico perché il lavoro non è soltanto costrizione ma anche formazione della propria personalità, impegno morale, creazione. E dunque cosa fare senza lavoro? Col reddito di cittadinanza si passerebbe da una logica “assicurativa” ad una di “esistenza”. L parte delle prestazioni sociali.

egando la condizione materiale ed esistenziale degli uomini ad un’idea di civiltà fondata sulla necessità e obbligo di garantire la dignità a ciascun essere umano. Un reddito mensile sufficiente per vivere, pagato singolarmente ad ogni persona dalla nascita alla morte, qualunque sia il suo reddito o la sua condizione, sostituendosi alla maggior Reddito che non dovrebbe essere considerato un costo ma un investimento che modifica la distribuzione della ricchezza prodotta, dalla quale trarrebbe beneficio tutta la società. Siamo sempre convinti che le spese sociali siano un costo che non possiamo più permetterci,

fingendo di ignorare che questo comporterebbe la fine della democrazia conosciuta in Europa dal dopoguerra ad oggi?

Come si può ignorare che le politiche sociali, gli interventi redistributivi, sono elementi centrali della democrazia, voluti dai Padri Costituenti con l’obiettivo di garantire uguaglianza di opportunità e diritti sociali, attraverso i quali è possibile rendere concreta l’intangibilità della dignità dell'essere umano.

Gli studi e i dati sull’aumento delle disuguaglianze e sull’aumento delle grandi ricchezze private dimostrano come il problema della povertà in Europa, non consista nella scarsità di risorse in tempi di crisi, ma nel modo in cui la

ricchezza è distribuita, nei tagli al welfare e nella perdita di centralità delle politiche sociali e fiscali come strumento di contrasto alle disuguaglianze. Il nostro sistema di protezione sociale si rivela sempre di più tra i meno efficaci d’Europa, incapace di far fronte al continuo aumento di disuguaglianza e povertà ed al progressivo peggioramento del mercato del lavoro.

E fuori da ogni dubbio penso, che il crollo verticale dell'importanza del lavoro degli ultimi lustri, abbia comportato conseguenze politiche e sociali come: una crisi del legame sociale ad esso collegato e fattore di identità collettiva, approccio al lavoro sempre più soggettivo e differenziato con conseguente svalutazione del sindacato. C'è chi osserva che mai come negli ultimi anni, il lavoro è stato al centro di dibattito, cosa vera, purtroppo però in negativo perché in forte calo e dunque sempre più deprivato di forza contrattuale. Una situazione che ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica problemi che si consideravano debellati per sempre come la povertà, chi ha un po’ di anni, come me, ricorderà in proposito gli elenchi comunali dei poveri degli anni cinquanta; invece la povertà è ritornata in una forma ancora più grave perché oggi la patiscono non solo i disoccupati, come allora, ma anche molti che un lavoro continuano ad averlo, ma retribuito sempre di meno.

Oramai, da quando gli studiosi hanno ritenuto che non esiste più una classe operaia capace di cambiare la società, si parla di fine del lavoro, e declino del sindacato. Oggi si corre verso la quasi totale estinzione del lavoratore produttore e se ne delinea un'altra figura. Ma anche il lavoro che rimane per dirla con Heidegger vedrà gli uomini ridotti a “pastori di macchine”. Certo ha ragione chi sostiene che si creeranno nuovi lavori e dunque nuovi posti (rifacendosi al passato) ma non sarà proprio così perché: i posti che si creeranno saranno abbondantemente meno di quelli che scompariranno e cosa più importante diventeranno sempre

più cognitivi, immateriali, relazionali

ecc. con la novità (comune a tutti) che sarà difficile se non impossibile misurarlo in termini quantitativi come si è fatto finora. In parole povere i lavoro è cambiato e sempre di più richiede una maggiore partecipazione personale dei lavoratori che esprime una manifestazione di chiara soggettività con conseguente trasformazione sociale del lavoro e dei lavoratori, difficile da assimilare in categorie come avviene oggi.

Ecco questo è già un problema enorme, col quale il sindacato del futuro dovrà confrontarsi; come conciliare un lavoro che si atomizza con le aspirazioni di ognuno ad una condizione civile e dignitosa senza coinvolgerli tutti?

Per l’Arendt “il lavoro e il consumo sono due fasi dello stesso processo, imposte all’uomo dalla necessità della vita. Essa scriveva: “qualsiasi cosa facciamo, si suppone fatta per guadagnarci da vivere”; tale è stato il verdetto della società che ha riconosciuto l’artista, rigorosamente parlando, come il solo “creatore di opere” rimasto in una società di lavoratori. Le odierne teorie del lavoro, quasi unanimemente definiscono il lavoro come l’opposto del gioco. Di conseguenza, tutte le attività serie, senza riguardo ai loro frutti, sono chiamate lavoro e ogni attività che non sia necessaria né per la vita dell’individuo né per il processo vitale della società è compresa nel gioco”.

Nella situazione descritta l’emancipazione dell’uomo dal lavoro può apparire una utopia ma non dimentichiamo che essa è emancipazione dalla necessità,

dal consumo, dal metabolismo con la natura che è condizione imprescindibile per la vita umana. Tuttavia gli sviluppi dell’ultimo decennio e le possibilità crescenti dell’incremento dell’automazione, sempre di più riducono l’utopia di ieri ed incrementano la realtà del domani così che, alla fine di questo travaso resterà solo il consumo quale elemento della fatica e delle pene che, almeno fino all’inizio del terzo millennio, hanno connaturato il ciclo biologico della vita umana.

L’Arendt ritiene che le fasi del lavoro e del consumo, possono mutare le loro proporzioni anche al punto che quasi tutta la “forza-lavoro” umana sia spesa nel consumo, con il concomitante grave problema sociale del tempo libero.

In questa ottica va traguardato il futuro, rimodulando i fondamentali della società con nuovi parametri e attività adeguate al livello di evoluzione raggiunto, volte non al produrre beni ma essenzialmente servizi che migliorino ed allunghino la vita degli uomini.

Qui mi fermo non perché ritengo esaurito l'argomento; tutt'altro lo faccio perché le novità che si prospettano sono tante e di portata così stravolgente che ritengo utile affrontarle con calma e separatamente.

A onor del vero mi fermo anche perché avvilito dai fatti, appresi dalla stampa negli ultimi giorni, relativi alle faide di potere scatenatesi nella Cisl che fanno presagire un congresso all'insegna di ben altri ideali (di quelli che propongo) che di sicuro molto poco avranno a che fare con gli iscritti della CISL e ancor meno con le teorie che ho esposto. Ma per mia formazione personale, di certo antiquata per tanti, ma non per me, che non rinnegherò mai perché sento il dovere e rivendico il diritto di esprimere quello che penso. Certo, ammetto che col passare del tempo, sempre con maggiore frequenza, mi chiedo se vale ancora la pena battersi per testimoniare, ricordando e praticando un diverso modo di intendere e vivere il sindacato. Ma la risposta è sempre si perché lo devo ai miei maestri di vita e ai miei figli; lo so che è difficile capirlo specie per i giovani, sempre più illusi di essere liberi pensatori quando invece pensano con la testa degli altri e neanche se ne accorgono. Per tanti cresciuti con l’idea che il Dio della felicità è il denaro e per averlo qualunque nefandezza è lecita. Ecco perché dubito che il congresso si occuperà di ideali ma molto più verosimilmente di potere che poi si traduce in denaro. Mi auguro di essere smentito dai fatti ma ne dubito fortemente.

Luigi Viggiano

, 14 gennaio 2017

* Hannah Arendt, “Il lavoro”,

Vita activa. La condizione umana

, 1958