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Instant report: LUOGHI
Antonio Longo, Politecnico di Milano
Maria Chiara Tosi, Università Iuav di Venezia
Temi
Nella mattinata di lavoro sono state presentate 8 tesi in una sequenza concordata in base
ad analogie e possibili punti di contatto. Elisa Brusegan, Serena Orlandi, Giuseppe Resta,
Michela Tettamanti hanno presentato lavori di ricerca rispettivamente sulla tradizione
americana della bay area letta attraverso la costruzione critica di Lewis Mumford, sulle
relazioni tra architettura europea e colombiana lette attraverso l’opera di Bruno Violi,
sulle tipologie dello spazio moderno esito della rapidissima attività di costruzione delle
città nel periodo dell’occupazione italiana in Albania, sui progetti di Rudolph Schwarz nella
città di Colonia in periodo post bellico. Si tratta di lavori differenti per caratteristiche e
stato di avanzamento ma che accostati hanno permesso di riflettere sul rapporto tra
oggetto principale delle ricerche e gli elementi di supporto e contestualizzazione. Nel
lavoro di Elisa Brusegan la contestualizzazione struttura la ricerca ed emerge nel
convergere del racconto verso l’invenzione del “ bay region style” inteso come contesto
culturale esito di un percorso di costruzione critica e di interpretazione consapevole da
parte dei suoi stessi protagonisti attivi. Negli altri lavori, in forma diversa e al momento
meno avanzata, il rapporto con il contesto si definisce attraverso le relazioni tra il
protagonista principale (Schwarz, Violi) o un evento specifico (la brevissima stagione della
modernizzazione delle città in Albania ad opera degli uffici del protettorato Italiano) e
diversi sfondi, criticamente meno strutturati, formati dalle città in cui si situano le
architetture, i riferimenti teorici tecnici e culturali.
Da questa prima discussione i luoghi sono emersi come specifici elementi del contesto: si
tratta dell’orografia, del paesaggio, del clima e dell’ambiente assunti come materiali
operabili del progetto, transcalari, utilizzati per indirizzare l’organizzazione di interi
comparti urbani tanto quanto i singoli dettagli, la poetica o lo specifico stile architettonico.
Le ricerche condotte in questo primo gruppo hanno fatto emergere anche un altro aspetto:
l’uso di fonti d’archivio per ricostruire i progetti consentono, anche se non
intenzionalmente e quindi come esito non atteso dalla ricerca, di ricostruire la circolazione
delle idee tra soggetti e luoghi descrivendo movimenti più generali sullo sfondo dei quali
poter collocare i singoli autori, opere, luoghi.
Domenica Bona, Olivia Sara Carli, Rossella Ferrorelli, Mirko Pellegrini hanno presentato
ricerche rispettivamente sulla nuova cultura architettonica cinese e il ruolo delle nuove
professionalità indipendenti dalle agenzie di stato, sulla nascita del mito di Spalato antica
attraverso la scoperta e il restauro del nucleo antico di Spalato tra Otto e Novecento, sulle
configurazioni dello spazio pubblico esito della diffusione della rete e delle pratiche ad essa
legate, all’insorgere (e al consolidarsi e mutare) di nuove forme insediative intermedie tra
urbano e rurale descritte attraverso mappe e atlanti esplorativi. Il secondo gruppo di
lavori, pur nella loro evidente distanza, è parso accomunato dall’osservazione e dalla
ricostruzione di contesti (nazionali, di tradizione di ricerca, progettuali e geografici)
complessi, stratificati che non sono funzionali alla ricerca ma ne sono, in vario modo, la
tessitura principale.
Il paradigma indiziario è stato ampiamente usato da queste ricerche per esplorare la
contemporaneità e provare a costruirne nuove narrazioni. Elenchi, atlanti eclettici e altre
forme di descrizione sperimentali sono state usate al fine di restituire una condizione
generale di grande cambiamento in cui i luoghi, la loro dimensione fisica e architettonica
costituiscono un campo sensibile perché capace di opporre inerzia al cambiamento sociale,
economico, finanche culturale, essendo caratterizzati da specifiche temporalità, più lente e
non sempre allineate con gli altri processi di trasformazione. Se il confronto diretto tra
lavori di ricerca, proprio perché differenti e con diversi livelli di maturazione, è utile pur
nel tempo breve di un seminario ci pare interessante rilevare a seguito di questa occasione
alcune conferme di merito, qualche osservazione e un conseguente suggerimento
operativo.
Alcune conferme di merito
La conferma di merito riguarda la possibilità di fare emergere in modo non scontato le
qualità e i punti di forza di ciascun lavoro e ovviamente i punti di fragilità e necessario
approfondimento in modo non direttivo e in un contesto dialogico, offrendo chiavi di
miglioramento e adattamento dei lavori che ciascuno può individuare ed elaborare. Il
confronto eclettico, che nella rapidità dei tempi a disposizione può anche includere alcune
aporie e fraintendimenti, innesca un processo di apprendimento reciproco molto efficace.
Se ciò è utile per ciascun interlocutore che potrà cogliere ciò che ritiene più utile per lo
sviluppo del proprio lavoro, vi è poi la possibilità che emergano concetti e temi trasversali
che non sono al centro di ricerche specifiche ma che sono in grado di dare una chiave di
lettura, attualità, e originalità e, inaspettatamente, disegnano una linea di collegamento tra
ricerche diverse e possibili aperture e indicazioni di approfondimento o articolazione. E’ il
caso, ad esempio, del concetto di densità dello spazio pubblico (o meglio dello spazio
pubblico come luogo della densità delle relazioni), per come nel corso della discussione
della tesi di Rossella Ferrorelli si è ridefinito in modo originale in relazione alla diffusione
delle nuove tecnologie e al rapporto tra concretezza degli spazi e smaterializzazione delle
reti, ma ha permesso di interpretare per analogia alcune delle questioni poste dalle tesi dei
colleghi (densità della stratificazione delle immagini e delle mitologie nella indagine su
Spalato, delle opzioni e articolazioni insediative nel contesto territoriale friulano, ecc.).
Interdisciplinarietà/solitudine
Quanto fin qui osservato non può però prescindere da un’osservazione iniziale condivisa
dai ricercatori presenti al tavolo: le modalità con cui oggi all’interno dei dottorati spesso
vengono sviluppati i percorsi di ricerca sono sempre meno inquadrate all’interno di gruppi
di lavoro consolidati, guidate da figure di riferimento, orientate da temi di ricerca
univocamente riconosciuti e condivisi. Ne consegue una grande libertà nell’individuare i
percorsi di ricerca e il loro sviluppo fino al possibile eclettismo delle ricerche all’interno dei
dottorati. E tuttavia, il più delle volte, ciò corrisponde ad una profonda solitudine di chi fa
ricerca. E la solitudine in un contesto di ricerca, come per qualunque pratica di
apprendimento, è una condizione inefficiente e improduttiva. Le ragioni di questa
condizione, in parte accennate, sono certamente articolate e forse risiedono più in generale
negli stili e nelle modalità della formazione, dalla scuola superiore in poi, e in una generale
disattenzione ai metodi di interazione nelle forme della didattica e della ricerca dei
ricercatori più giovani, orientata per ragioni di selezione al prodotto e alla sua misurazione
e diffusione secondo criteri standardizzati più che al senso e al significato operativo dello
stesso lavoro. Non occorre sottolineare quanto ciò sia preoccupante per le discipline del
progetto.
Difficile nei limiti di questa nota andare oltre la constatazione preoccupata della
condizione.
Un suggerimento pratico
Un possibile suggerimento per una diversa socialità nella ricerca e per migliori condizioni
di confronto viene forse dalla declinazione del concetto di interdisciplinarietà in chiave
relazionale. Scuole di dottorato interdisciplinari che sappiano ridurre la solitudine dei
dottorandi nelle loro condizioni di ricerca sono quelle in cui si riduca la relazione biunivoca
con il relatore, in cui la moltiplicazione di occasioni di interazione sia legata al
coinvolgimento diretto dei dottorandi nell’organizzazione di confronti con portatori di
conoscenze, discipline e approcci diversi non solo per acquisire nuove conoscenze ma per
mettere a confronto le proprie, per innescare processi di conoscenza inaspettati entro
traiettorie che altrimenti rischiano di adattarsi a percorsi predefiniti. E’ quanto nella
sessione Luoghi dell’iniziativa La ricerca che cambia, così come in altre di cui si è discusso
nella sessione plenaria, ci sembra sia almeno in parte accaduto.