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Giuseppe Bergomi
Campione del mondo a diciotto anni: è un segno del destino, inequivocabile.
Un impegno che diventa esempio, storia. Per noi italiani è diventato
leggenda; l’azzurro della Nazionale si è perfettamente impastato con i colori
interisti per comporre un’immagine ad altissima fedeltà che ancora illumina i
nostri cuori e li protegge, da insuperabile difensore.
Melania Gabbiadini
Attaccante prolifica e leader silenziosa, dalle giovanili ai grandi palcoscenici
internazionali non ha mai smesso di segnare e di farsi apprezzare per le sue
doti umane. Nella sua carriera, ricca di successi, ha scritto pagine indelebili
del calcio femminile italiano contribuendo in maniera determinante al suo
sviluppo e alla sua maggiore notorietà. Classe e abnegazione sono due segni
distintivi del suo essere calciatrice, come d’altronde il desiderio di migliorarsi
sempre. Per descriverla non ci sono parole più belle di quelle del fratello
minore Manolo, oggi attaccante della Nazionale italiana: “Sono diventato
calciatore perché volevo essere come mia sorella”.
Paolo Rossi
"Hombre del partido", incubo di una generazione di brasiliani e anche- per
lungo tempo -italiano più famoso nel mondo. Paolo Rossi detto Pablito è uno
dei migliori prodotti di sempre della scuola azzurra, persino al di là della
magia del mondiale vinto da capocannoniere a Spagna '82 e del susseguente
Pallone d'Oro. Un posto nella Hall of Fame del calcio gli spetta di diritto:
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senso del gol unito a classe cristallina, ha vinto anche scudetti, coppa dei
Campioni e coppa delle Coppe. Il nostro riconoscimento però va a Rossi
anche per un altro, eccellente, motivo: con i suoi gol e il suo sorriso è stato la
copertina di un'Italia felice.
Nils Liedholm
Ha insegnato a generazioni di calciatori italiani come giocare a pallone.
Innovando con intelligenza, anche tattica. Fu Liedholm a portare in Italia, tra i
primi, la difesa a zona, sbloccando il nostro calcio dalla sua mentalità
difensivistica. Grande calciatore, già medaglia d'oro con la maglia della
Svezia alle Olimpiadi del ’48 e colonna del Milan, ebbe una grande carriera
da allenatore sulle panchine proprio del Milan ma anche del Verona, del
Monza, del Varese, della Fiorentina e della Roma, conducendola fino alla
finale di Coppa di Campioni contro il Liverpool. Nella Capitale, città
passionale ed avvolgente, stemperò ogni tensione ricorrendo alla sua
proverbiale ironia. Semplicità e umanità sono due tra le sue doti umane più
apprezzate: il calcio sarebbe migliore se tutti lo affrontassimo con questo
spirito.
Giulio Campanati
Lo chiamavano il Presidentissimo perché nessuno più di lui ha contribuito alla
crescita e al prestigio della classe arbitrale italiana. Giulio Campanati,
appunto il “presidentissimo”, è entrato nella storia del nostro calcio più per le
sue grandi doti manageriali e di dirigente illuminato, che per le 166 partite
dirette in serie A dal 1952 al 1966. Arbitro di classe, vincitore del prestigioso
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premio “Mauro”, smise di arbitrare in anticipo, a 42 anni, per dedicarsi alla
carriera dirigenziale. Dopo essere stato designatore, ha presieduto l’AIA per
ben 18 anni, dal 1972 al 1990. Un record che difficilmente sarà superato.
Cesare Maldini
Tre volte grande: così è stato Cesare Maldini (5-2-1932/3-4-2016). Da
calciatore, difensore dallo stile impeccabile, terzino poi libero sia del Milan
che dell'Italia. Primo italiano a sollevare la Coppa dei Campioni, nel 1963, da
capitano dal Milan, in cui militò dal 1954 al 1966 prima di chiudere nel Torino.
Da allenatore, vice di Enzo Bearzot nel vittoriosomondiale del 1982, tre volte
campione
d'Europa
con
l'Under
21
e
Ct
della
nazionale maggiore dal 1996 al 1998. Infine da padre di Paolo Maldini, forse
il più completo difensore del calcio italiano. Stessa eleganza di Cesare ma
maggiore concentrazione.
Paulo Roberto Falcao
Un grandissimo. Quando arrivò alla Roma, nel 1980, non accese inizialmente
gli entusiasmi perché era un brasiliano atipico: non abusava del colpo di
tacco, non si divertiva con le punizioni a foglia morta, ma badava alla
sostanza e all’efficienza del prodotto. Impiegò pochi mesi a imporre la sua
estrema e straordinaria originalità. Regista sublime, trascinatore irresistibile,
leader indiscusso, abbinava la capacità organizzativa all’abilità nella
finalizzazione. Non sbagliavano molti compagni di avventura a definirlo non
solo un esempio e una guida, ma soprattutto un calciatore universale e un
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allenatore in campo: Falcao era cervello, cuore e gambe delle sue squadre.
Un genio senza sregolatezza.
Claudio Ranieri
The NormalOne, uno di noi. Anzi, uno dei migliori di noi. Dategli una panchina
malferma, un gruppo di bucanieri affamati di rivincita (non a caso la fascia di
capitano ce l’ha uno che si chiama Morgan), una palla per farli sfogare, e
scoprirete quanto aveva ragione Lucio Dalla in quel famoso verso che dice
“l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. La cavalcata del suo
Leicester è una favola, non un miracolo. Una lezione di vita prima che di
calcio. Celebra la normalità, virtù sfuggente in questo mondo di eccessi, e gli
straordinari traguardi che consente di raggiungere quando esalta la
saggezza, la concretezza, la determinazione. Dopo un diluvio di plausi e
riconoscimenti da tutto il mondo, entra anche nella Hall of Fame del Calcio
Italiano King Claudio Ranieri.
Diego Armando Maradona
Per aver elevato il calcio ad arte pura e verso vette inaccessibili di qualità.
Per aver entusiasmato bambini, anziani, interi continenti con un’abilità più
vicina alla divinità che al gesto umano. Per aver portato la prima volta lo
scudetto a Napoli, una città che lo ha adorato anche con accenni ultraterreni:
“Non sapete che vi siete persi” fu la scritta comparsa sulle mura del cimitero
di Napoli all’indomani di quella impresa datata 10 maggio 1987. Per essere
stato l’ultimo vero uomo squadra avendo trascinato la sua nazionale,
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l’Argentina, a un mondiale nel 1986 e avendone sfiorato un secondo (fra le
lacrime) proprio in Italia nel 1990. Ha vinto tutto, poteva vincere molto di più,
ma non è mai sceso a patti con se stesso. Maradona è l’essenza del calcio,
da esporre come un Van Gogh, è magia, è sorpresa perenne, è talento
cristallino. In Italia ha fatto conoscere al mondo le meraviglie della sua innata
genialità, l’Italia gli rende omaggio per quello che ha regalato a tutti.
Silvio Berlusconi
Con i 29 trofei (16 nazionali e 13 internazionali) è il Presidente più vincente
della storia del calcio. C'è un “prima” e un “dopo” Silvio Berlusconi nel mondo
del pallone. Generosità, spirito imprenditoriale, intuito e lungimiranza: con
queste caratteristiche Berlusconi ha portato il Milan a dominare in Italia, in
Europa e nel Mondo. La sua ultima idea di investire su giocatori italiani e
giovani per il Milan si è rivelata vincente e ha ancora una volta anticipato la
tendenza di altri grandi club. Trentuno anni di gloria che meritano un posto
definitivo nella storia del nostro calcio.
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