L`azienda nello studio

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DAL 2004 IL MERCATO LEGALE
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Review
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ANNO XIII - N. 1 - dicembre/gennaio 2017
Ricerca legal counsel sul rischio
Summit 1: il professionista manager
Summit 2: le gare pubbliche
Il 2016. Riassetti e strategie
Caso di impresa: Sorgenia
La partita Africa di BonelliErede
L’ECCELLENZA DAL 2007
La storia delle premiazioni più esclusive
e ambite del comparto legale
sommario
Incontri
Intelligenza artificiale
Protagonisti da Bird & Bird i rischi e le opportunità della rivoluzione
tecnologica
I NOSTRI PUNTI VENDITA
BARI Via Cairoli, 140
BENEVENTO Via Ruffili, 10
6
BOLOGNA Via Castiglione, 1/C
BRESCIA Piazza Duomo, 15
BUSTO ARSIZIO Via Marsala, 46
Il tema
Ricerca general counsel
Cresce l’impatto della compliance e si ampliano i rischi
8
CAGLIARI Corso Vittorio Emanuele, 370
CAMPOBASSO Via Capriglione, 42 CA
CATANZARO Via Indipendenza, 8
CREMONA Corso Capitano del Popolo, 10/A
TopLegal Summit - Milano
Il professionista manager. Sfide ed esperienze a confronto
12
FIRENZE Via Alfani, 84/86/R
GENOVA Galleria Martino, 9
LECCE Piazza Arco Trionfo, 7/A
TopLegal Summit - Roma
Beauty contest. La nuova frontiera del settore pubblico
19
Copertina
I TopLegal Awards compiono 10 anni
Tutti i protagonisti e le innovazioni che ne hanno segnato la storia
24
MILANO Via Bocconi, 8
Via V. M. Coronelli, 6
Via F.Filzi, 9
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Via Freguglia, 4
Via Manara Luciano, 7
MODENA Corso Canalgrande, 66-62/A
PADOVA Via Marzolo, 28
PALERMO Piazza Orlando Vittorio Emanuele, 44
TopLegal Awards 2016
Avvocati sul red carpet
Oltre 700 professionisti e 100 studi alle premiazioni di riferimento
del comparto legale
Il 2016 in rassegna
I riassetti organizzativi e le strategie oltre confine degli studi legali
PARMA Via Farini, 34/D
PESCARA Via Parini, 20
R. EMILIA Piazza della Vittoria, 1/H
32
Scenario
50
ROMA Viale Carso, 55/57
Via Degli Scipioni, 292
Via Marianna Dionigi, 26
SIENA Via Sant’Agata, 24
TORINO Corso Francia 64/A
VERONA Via Costa, 5
L’anno che verrà
Tecnologia, internazionalizzazione e istituzionalizzazione
tra i temi caldi
VICENZA Viale Roma, 14
56
Operazione dell’anno
Bpm – Banco Popolare
Focus sull’operazione simbolo della riforma degli istituti popolari
60
Casi di impresa
Sorgenia
I ruoli e i processi ridefiniti dal direttore affari legali Angelica Orlando
BonelliErede
Stefano Simontacchi spiega la strategia di espansione in Africa
65
Strategie
68
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Affari e legali
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TOPLEGAL Review dicembre/gennaio 2017 • 5
il tema
editoriale
TOPLEGAL SUMMIT 2016 | EDIZIONE MILANO
L’azienda nello studio
Avvocati e aziende dialogano sulle sfide manageriali
delle insegne: acquisizione di nuove competenze, retention dei
talenti, sviluppo del marketing ed efficacia della comunicazione
di Elena Bonanni
12 • TOPLEGAL Review dicembre/gennaio 2017
ricerche
il tema
T
OGLIERSI IL CAPPELLO DI LIBERO
professionista e indossare quello di manager. Un esercizio non semplice, che chiede
all’avvocato di ragionare non più e non solo
in termini di tecnica del diritto, di mandati e
di soluzioni legali innovative. Ma di acquisire
nuove competenze: capacità di leadership, costruzione del gioco di squadra e allineamento
a valori comuni, retention dei talenti, sviluppo strategico del business, comunicazione e
marketing efficaci. Tutte sfide che occupano
i testi di management. Ma non quelli di giurisprudenza. Eppure è ciò che il mercato legale,
sempre più competitivo e avviato verso nuove
logiche, chiede al professionista di domani. O
almeno, lo chiede alle insegne che vogliono
crescere ed essere redditizie nonostante un Pil
italiano ancora in folle, che puntano a espandersi a livello geografico e di servizi, a sottrarsi alla soffocante logica della commodity, ad
anticipare i nuovi trend di mercato e della domanda, a garantire il proprio posizionamento
sul mercato.
Ecco perché il TopLegal Summit, che si è
svolto a Milano il 26 ottobre, ha voluto avviare
una riflessione strutturata sull’argomento riunendo un panel di figure apicali di grandi insegne legali e i manager delle aziende. Al Summit, dal titolo “Il professionista manager. Sfide
ed esperienze a confronto”, hanno partecipato:
Luca Arnaboldi, senior partner di Carnelutti;
Massimiliano Mostardini, chairman di Bird
& Bird; Stefano Simontacchi, co-managing
partner di BonelliErede; Federico Sutti, Italy
managing partner di Dentons; Filippo Troisi,
senior partner di Legance. Sul fronte aziendale, sono intervenuti: Tommaso Bossi, group
general counsel di Valtur; Marco Fraquelli,
partner di Sec; Gianluca Liotta, a capo delle
risorse umane e dei legal affairs di 3M Italia;
Gabriella Vedani, hr business partner after
market e acquisti di Magneti Marelli.
Arriva il Cfo
A metà degli anni Novanta, pochissimi studi
in Italia contavano più di 10/15 avvocati, oggi i
primi 50 studi contano oltre 50 professionisti.
Si tratta ormai, anche per il fatturato generato,
di numeri da Pmi. Al crescere delle dimensioni, e delle sfide connesse all’espansione dello
studio, cambiano anche le logiche organizzative e gestionali. Si stanno ormai facendo strada figure manageriali fino a oggi non comuni
per le insegne, come il chief financial officer
(Cfo), così come manager specializzati per la
comunicazione e per le risorse umane. Negli
studi legali la gestione delle persone ha un’importanza preponderante: il capitale umano
rappresenta il patrimonio intellettuale e monetario primario (e forse unico). Si pongono
così tutti quei temi che sono ormai sempre
più all’ordine del giorno delle aziende: l’efficacia della valutazione in sede di recruiting,
gli strumenti per trattenere e far crescere i talenti, la necessità di andare oltre al pacchetto
economico nel posizionamento sul mercato
del lavoro.
Allo stesso tempo negli studi si aggiunge
però la peculiarità della doppia anima delle
persone che ci lavorano: da un lato ci sono i
professionisti, gli avvocati, dall’altro una parte
sempre più consistente di staff, fondamentale
per far girare la macchina. Ed è proprio nella
distinzione marcata fra dipendente e chi produce reddito, ancora spesso fortemente radicata, che si misura tutta la distanza che separa
lo studio legale dall’impresa.
Emerge quindi la necessità di saper fare
squadra, non solo tra professionisti, ma anche
tra professionisti e manager: il team, anche
trasversale nello studio, diventa strumento di
marketing e base per costruire una corporate identity comune, elemento imprescindibile
delle insegne che guardano all’istituzionalizzazione.
TOPLEGAL Review dicembre/gennaio 2017 • 13
ilricerche
tema
Il cambio di approccio
TOMMASO BOSSI, VALTUR
«È necessario imparare diversi linguaggi
e fare un passo indietro come specialisti»
Il TopLegal Summit svoltosi a Milano il 26 ottobre
Il salto culturale
A due decenni circa dall’arrivo delle insegne internazionali, le best practice gestionali hanno attecchito in modo disomogeneo tra gli studi italiani.
C’è certamente un tema di implementazione di
processi: il monitoraggio e la misurazione strutturata delle attività permette di parlare un linguaggio comune e condividere le valutazioni all’interno della struttura manageriale. Così come si pone
l’importante tema della governance, il meccanismo decisionale da cui poi discende tutta la serie
di altre variabili operative. A chi affidare la gestione dello studio legale? Qual è il valore del lavoro
dedicato alla gestione rispetto all’attività professionale? Quanto tempo dedicarci? È qui, a livello
di governance, che si iniziano a costruire i delicati
equilibri tra le varie componenti dello studio e si
riescono a gestire quelle spinte individualiste che
mettono a repentaglio lo sviluppo della coesione
e della squadra.
Su tutto emerge la necessità di un salto psicologico e culturale. Dalla specializzazione propria
della formazione da giurista si deve allargare la
preparazione ai temi gestionali e imparare nuovi
linguaggi per comunicare con tutte le aree dello
studio. Una direzione che chiede di andare oltre le
competenze e guardare alle attitudini, che chiede
capacità direttive specifiche, tempo, sensibilità e
pazienza. E la necessità di comprendere che, sebbene non “billable”, le soft skill come la capacità di
leadership e il training, sono ormai parte integrante del lavoro del professionista.
14 • TOPLEGAL Review dicembre/gennaio 2017
Togliersi il cappello da giurista e mettersi quello di
manager. Vuol dire cambiare in parte il modo di ragionare: dalla specializzazione e dal procedimento
analitico, si deve ampliare il campo di conoscenze
al di fuori degli aspetti legali e giuridici. «Significa
occuparsi di risorse umane e parlare diversi linguaggi con i diversi player e dipartimenti che ci
sono in azienda – dice Tommaso Bossi, group general counsel di Valtur – Il che vuol dire imparare
questi nuovi linguaggi abbandonando il linguaggio
tecnico e cercare di comprendere le esigenze all’interno dell’azienda». Un percorso che molti partner
degli studi stanno facendo. Ma su cui per Bossi è
necessario evidenziare una criticità, un cambio di
approccio alla professione: la necessità di fare un
passo indietro. «In questo percorso – aggiunge –
non ci si può più vendere come specialisti, bisogna
fare un passo indietro e dire che gli specialisti sono
i nostri collaboratori. E prendere dei collaboratori
che ne sanno più di noi». Il manager, d’altra parte,
per definizione deve saper allargare gli orizzonti.
«Dobbiamo gestire le risorse, umane e finanziarie,
che sono scarse. E sulle risorse umane è la selezione
la sfida più grande che hanno anche le aziende, non
solo gli studi legali. Uno dei temi oggi principali in
questo ambito è l’ormai diffusa consapevolezza in
azienda che è necessario selezionare non solo le
competenze ma anche le attitudini, come quel soggetto agirà all’interno del team». Allo stesso tempo
esiste una sfida speculare: capire come far crescere
degli specialisti senza che diventino manager, mettendoli in grado di dedicarsi alla formazione di altri
specialisti e dei giovani.
ricerche
awards
il tema
Le nuove figure manageriali
Soft skill sotto i riflettori
FILIPPO TROISI, LEGANCE
MASSIMILIANO MOSTARDINI, BIRD & BIRD
«Anche nello studio è importante inserire figure aziendali come il Cfo»
«Non tutti possono essere manager, i
corsi di leadership sono importanti»
Negli studi legali, rispetto alle aziende, le risorse
umane viaggiano su un doppio binario: da un lato,
gli avvocati, che non sono dipendenti ma collaboratori; dall’altro, lo staff, che non produce reddito
ma è di supporto fondamentale per il funzionamento dello studio. «Crediamo siano molto importanti
entrambe. Un’insegna deve avvicinarsi a un’azienda
anche rispetto ad alcune tipologie di risorse che non
sono tipiche di uno studio – afferma Filippo Troisi,
senior partner di Legance – Quando ci siamo costituiti abbiamo assunto un chief financial officer, una
figura non comune in uno studio e che per noi ha,
con il suo staff, una funzione molto importante: è
colui che elabora tutti i numeri dello studio, rendiconta ai soci, segue l’andamento della fatturazione e
degli incassi ma soprattutto fornisce al management
dati e indicatori che possono essere di guida per le
scelte strategiche». Dall’altro lato, tema chiave su cui
si interrogano gli studi è la gestione del rapporto con
i professionisti, dalla loro selezione alla retention, ossia la capacità di trattenere le risorse migliori. Spesso
i collaboratori sono allettati da offerte economiche
più alte e a volte sono premiati dalle contingenti
strategie di altri studi in espansione. Dinamiche di
mercato, certo. Per Troisi la strada del rilancio economico non può essere la soluzione. «È necessario
creare attaccamento alla maglia – dice Troisi – E
questo lo si fa innanzitutto con un ambiente di lavoro piacevole, dove i ragazzi non si sentono vessati
ma incoraggiati, stimolati e valutati a dovere. In secondo luogo, dando prospettive, non con le parole
ma con gli esempi, come una partnership che si apre
e si sviluppa».
Quando ci sono 200 avvocati la struttura dell’organizzazione diventa fondamentale tant’è che nelle
più grandi strutture internazionali si contano diversi esperti. «Quando hai migliaia di persone non
può che essere così – dice Massimiliano Mostardini, chairman di Bird & Bird – Quando si tratta di
una realtà più piccola forse la responsabilità delle
Hr può essere attribuita anche a un socio e non
a un manager specialista. Però ci vuole un po’ di
fortuna perché deve avere per natura certe capacità». Si fanno così strada, come nelle aziende, i corsi
di formazione manageriale. «A livello internazionale abbiamo una serie di corsi di leadership per i
partner – spiega Mostardini – Nelle aziende sono
ovviamente normali ma negli studi legali non sono
così presenti. In particolare, nel nostro programma scegliamo partner di vari Paesi, alcuni giovani,
alcuni super senior, alcuni con ruoli manageriali
importantissimi, alcuni che hanno appena cominciato. Li mettiamo insieme, 3-4 giorni, con degli
esperti per formarli a fare il manager. È necessario
fare un salto psicologico: gli avvocati devono capire che le soft skill come la capacità di leadership
e il training sono parte ormai integrante del loro
lavoro, è un salto culturale che va fatto». Non mancano gli effetti collaterali: soci che tendono a fare i
manager per il 100% del loro tempo, con il rischio
di impattare sul fatturato. «Se uno studio ha già
uno staff importante di specialisti – conclude Mostardini – allora la parte manageriale dei partner
deve essere un po’ più concentrata per evitare che
si perda il contatto con il cliente e l’attenzione allo
specialista».
TOPLEGAL Review dicembre/gennaio 2017 • 15
ricerche
il tema
Per un governo inclusivo
La sfida sui talenti
LUCA ARNABOLDI, CARNELUTTI
GABRIELLA VEDANI, MAGNETI MARELLI
«Coinvolgere nella gestione tutti i partner, anche quelli di maggior successo»
«Per i giovani non basta il pacchetto economico, serve il senso di appartenenza»
Gestire le persone richiede tempo, sensibilità e pazienza. «I partner – spiega Luca Arnaboldi, senior
partner di Carnelutti – desiderano giustamente essere ascoltati, altrimenti ne risentono motivazione
e performance. Questa è la priorità che deve avere
qualunque managing partner: deve essere pronto e
disponibile ad ascoltare le problematiche e le istanze, ma anche le opportunità e le idee che i partner
vocalizzano. Altrimenti l’organizzazione pagherà un
dazio, anche pesante, a questa incapacità e indisponibilità all’ascolto». Questione di background dello
studio, ma anche di come si sceglie di rispondere
alle sollecitazioni a cui le grandi insegne sono sottoposte. Il nodo centrale per un’organizzazione complessa è infatti la governance, sottolinea Arnaboldi
che in Carnelutti coordina un comitato di gestione
indicato ed eletto annualmente dall’assemblea dei
soci, per gestire lo studio. Un organo collegiale in cui
vengono prese la maggior parte delle decisioni e che
«è bene che coinvolga direttamente anche i partner
di maggior successo e autorevolezza». Da un lato
perché sono in genere i soci con migliore capacità
organizzativa pratica e mentale e poi perché sono
quelli a cui tutti i membri dell’organizzazione guardano come punti di riferimento. Dall’altro, perché
tendono, per la loro posizione di peso, a pretendere
di avere voce in capitolo sulle principali decisioni.
«Se lasciati fuori – dice Arnaboldi – rischiano di
diventare un elemento di disturbo, di resistenza al
cambiamento, al contrario è fondamentale portarli
a misurarsi con le fatiche e le problematiche di una
gestione collegiale e armonica, mettendo al servizio
di tutti la loro energia e i loro talenti».
Piani di successione, retention, indicatori per misurare l’efficacia del recruiting, mentoring e coaching. Sono termini di un linguaggio aziendale
che sempre più riguarda anche le insegne. «Perché
non pensare che anche lo studio al proprio interno
possa lavorare in una logica di coaching?», si chiede Gabriella Vedani, Hr business partner dell’after
market e acquisti di Magneti Marelli. «Ora il coaching è un po’ sulla bocca di tutti, spesso si tratta
di un approccio superficiale – continua Vedani – al
contrario se fatto in modo scientifico, all’interno di
un sistema con tempi sempre più stretti ed esigenze
di performance sempre più accentuate è uno strumento che può migliorare in maniera incredibile la
produttività della risorsa. Così come il mentoring,
che diventa uno strumento per fare osmosi tra la
persona più esperta e quella meno creando una
sorta di autoalimentazione dell’organizzazione».
Un dossier su tutti si trova però sulle scrivanie sia
dei manager aziendali sia dei managing partner: attrarre e trattenere i giovani talenti. «Non si può più
solo parlare di pacchetto economico, occorre parlare di senso di appartenenza – fa notare Vedani –
L’azienda tutti i giorni si confronta con la necessità
di avere dipendenti che sposino la causa. Per quanto riguarda i giovani, puntiamo a coinvolgerli in situazioni diverse per fare team building e sviluppare
il senso di appartenenza. Magneti Marelli, molto
attiva nell’ambito del racing, invita per esempio i
ragazzi al Gran Premio di Monza: vedere il proprio
marchio riprodotto all’interno di un circuito automobilistico è un valore che i giovani si portano dietro, raccontandolo e invitando gli amici».
16 • TOPLEGAL Review dicembre/gennaio 2017
ricerche
il tema
La chiave è nel linguaggio
Il marketing è di squadra
GIANLUCA LIOTTA, 3M ITALIA
STEFANO SIMONTACCHI, BONELLIEREDE
«Attenzione ai processi, strumento fondamentale per parlare la stessa lingua»
«Avvocati e marketing lavorano in team
con un piano di sviluppo e un budget»
«La nostra azienda è guidata da numerosi processi, un tema per noi fondamentale: sono un modo
comune di parlare, di misurare la performance e di
valutare le attività sotto forma di step, passaggi, ruoli
e responsabilità molto ben definite e controllate». È
questa per Gianluca Liotta, a capo dell’area human
resources and legal affairs di 3M Italia, la marcia in
più della gestione manageriale di un’organizzazione.
Avere processi applicati alle risorse umane significa,
per esempio, misurare e monitorare in modo strutturato e organizzato il clima interno, un indicatore
importante del coinvolgimento e della produttività,
così come studiare le metriche del turnover e realizzare le exit interview. «Sistematicamente – spiega
Liotta – a chi lascia l’azienda, anche ai bad leaver,
facciamo delle exit interview. Non si tratta di una
semplice chiacchierata. Le informazioni vengono
gestite secondo un processo strutturato e organizzato: vengono registrate, ufficializzate, ragionate,
digerite. Per essere poi condivise e valutate con il
management a diversi livelli». In azienda si presta
poi sempre più attenzione alla valorizzazione delle
persone come potenziale, alla capacità di poter fare
cose diverse, assieme al tema della valorizzazione
dei comportamenti, anche nell’ottica del lavoro di
squadra. «Abbiamo definito dei Leadership Behaviour – dice Liotta – per esempio “Foster collaboration and teamwork”, un elemento qualificante della
capacità di lavorare come team. Non sono elementi
soft ma guidano anche la compensation e i piani di
incentivazione: una parte significativa della parte variabile viene determinata dalla capacità delle persone di dimostrare questi comportamenti».
Lavorare in team è importante anche nelle strategie di approccio al cliente. Affinare il marketing e
la comunicazione può, quindi, voler dire rimettere
mano alle logiche con cui i professionisti lavorano. È il caso di BonelliErede che ha introdotto i
focus team. «Il fiscalista, lo specialista Ip e il giuslavorista, per esempio, non lavorano più solo per
dipartimenti ma in modo multidisciplinare nell’ottica di creare valore per il cliente – spiega Stefano
Simontacchi, co-managing partner di BonelliErede
– i professionisti esperti di uno specifico settore
si trovano periodicamente e lavorano insieme al
marketing, hanno un piano di sviluppo basato sulla
creazione di valore per il cliente e un budget». Una
riorganizzazione parte di un più ampio processo.
«Seguendo un ragionamento manageriale e di rottura col passato – dice Simontacchi – BonelliErede è
già al suo secondo piano triennale: piani che prevedono una serie di azioni ogni trimestre con verifiche
e assegnazione delle azioni alle persone competenti
per portarle a termine». Ovviamente è necessario
gestire le spinte individualiste. «Abbiamo rivisto la
remunerazione dei soci, in modo da neutralizzare
il più possibile i comportamenti dei singoli – dice
Simontacchi – abbiamo introdotto i client care
team, soci che gestiscono i clienti nell’interesse
dello studio, che sono valutati in base agli obiettivi dati dallo studio, e lo staffing centralizzato: le
capacità, i carichi di lavoro, le esperienze, le lingue
parlate, i clienti, tutto è mappato su database, ed
è lo studio a livello centralizzato, non i soci, che
individua le migliori persone per un determinato
lavoro».
TOPLEGAL Review dicembre/gennaio 2017 • 17
ricerche
il tema
Le logiche della comunicazione
La reputazione che fa la differenza
FEDERICO SUTTI, DENTONS
MARCO FRAQUELLI, SEC
«Comunicare significa soprattutto creare il consenso tra i colleghi»
«Attenzione, la comunicazione non è un
obbligo ma una leva da usare con coerenza»
L’Italia è uno dei più grandi mercati dell’Europa
continentale per numero di avvocati ma rimane ancora molto autoreferenziale e poco strutturato. Per
Federico Sutti, Italy managing partner di Dentons,
questa complessità si riverbera sia sulla gestione dei
professionisti sia sulla comunicazione. «Il problema
– dice Sutti – è che molti avvocati non comunicano.
Quando lo iniziano a fare, spesso, vogliono comunicare su tutto. Bisogna invece dare delle regole per
evitare che ci si spinga a trattare temi non di competenza, quali quelli economici e/o politici, finendo
solo per sbagliare e/o comunque passare messaggi
non corretti». Un secondo tema è la direzione. «Nelle
grandi organizzazioni – afferma – è complicato far sì
che tutti i professionisti vadano nella stessa direzione: il messaggio deve comunque essere coerente e i
professionisti dovrebbero occuparsi solamente delle
aree di loro competenza. Altrimenti si creano delle
sovrapposizioni difficilmente comprensibili all’esterno». C’è però un aspetto che viene da molti sottovalutato: nel mondo legale la comunicazione indiretta
è forse più importante di quella diretta. Se in Scandinavia è difficile trovare differenze tra uno studio
e un’azienda, da noi le logiche della grande impresa non sono applicabili, l’approccio è ancora basato
sull’intuitu personae. «Bisogna mettere in atto – dice
Sutti – una strategia che consenta di mantenere da
una parte un approccio istituzionale, e dall’altra la
comunicazione destinata per lo più al mondo legale. Infatti il posizionamento di uno studio, almeno in
Italia, dipende in primo luogo dal posizionamento e
posizione dello studio stesso fra i colleghi».
Perché la comunicazione è ormai importante per
gli studi tanto quanto per le aziende? Per Marco Fraquelli, partner dell’agenzia Sec, sono due i
temi da considerare. Da un lato il problema della
distintività riguarda ormai tutti; dall’altro, c’è la
tendenza a intendere i servizi professionali come
una commodity. «Ecco perché – dice Fraquelli – la
comunicazione può fare la differenza nella misura in cui valorizza la reputazione. Se l’esigenza è
quella di comunicare distintività, che significa le
abilità e le qualità, allora la reputazione è un asset
fondamentale». Certo è che la comunicazione non
è obbligatoria. «Può essere una leva che aiuta nella
competizione, una risorsa a supporto da usare con
coerenza, senza debordare in temi che non sono,
plausibilmente, di competenza». Oggi però la sfida
della comunicazione è più difficile. «La disintermediazione resa possibile dalle nuove tecnologie,
e quindi dai nuovi media (i social su tutti), rende
più complicato governare quella tendenza a intervenire su tutto che fa a pugni con l’obiettivo di
creare attorno al professionista e allo studio legale
una leadership di opinion maker. Vero è che se non
posso proporre a un avvocato di parlare di petrolio, però certamente devo valorizzare oltre alle sue
competenze specifiche il suo essere un protagonista della realtà economico finanziaria». Bisogna poi
fare un distinguo tra qualità e quantità. «Non credo –
conclude Fraquelli – che i grandi brand legali abbiano
bisogno di uscire tutti i giorni sui giornali per acquisire autorevolezza. L’autorevolezza e la reputazione
richiedono qualità più che quantità».
18 • TOPLEGAL Review dicembre/gennaio 2017