7/1/2017 - studio ducoli

Download Report

Transcript 7/1/2017 - studio ducoli

11111
Sabato, 07 gennaio 2017
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
Compliance garantibile
dal sistema di
gestione
ACE rilevante per la tassazione delle riduzioni
dei debiti
/ Guglielmo GUGLIELMI
L’organizzazione e la gestione
dell’impresa richiedono all’organo
gestorio, oltre alle capacità manageriali, anche la conoscenza di norme,
regolamenti e disposizioni che regolano il funzionamento dell’attività e
ne condizionano il suo sviluppo.
Con il termine “compliance” ci si riferisce alla conformità delle attività
aziendali a norme e regolamenti,
procedure relative ai sistemi di gestione assunti volontariamente, misure imposte da normative di settore (es. misure di autocontrollo per la
disciplina igienica degli alimenti),
codici di autoregolamentazione, modello di gestione ex DLgs. 231/2001.
Lo sforzo che l’azienda deve operare
per assicurare la conformità è giustificato dall’obiettivo di non incorrere
in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie, danni reputazionali.
Nelle piccole e medie aziende la conformità alle norme di sicurezza del
lavoro e ambiente costituisce, unitamente al rispetto delle disposizioni
espressamente riferibili [...]
La deduzione di periodo e le eccedenze concorrono alla formazione
dell’ammontare tassabile delle sopravvenienze da esdebitamento
/ Michele BANA
L’art. 1 comma 549 lett. b) della L.
232/2016 (legge di bilancio 2017), in
vigore dal 1° gennaio 2017, ha sostituito il secondo periodo dell’art. 88
comma 4- ter del TUIR, applicabile
alle riduzioni di debiti emerse a
causa di concordato di risanamento,
accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (art. 182- bis del RD
267/1942), piano attestato di risanamento pubblicato presso il registro
delle imprese (art. 67 comma 3 lett.
d) del RD 267/1942) o procedure
estere equivalenti.
In particolare, è stato stabilito che le
corrispondenti sopravvenienze attive – da imputarsi alla voce C.16.d
del Conto economico, in quanto proventi derivanti da una ridefinizione
delle passività (OIC 12, par. 92) – non
concorrono alla formazione del reddito d’impresa esclusivamente per
la quota eccedente la sommatoria di
tre componenti negativi di reddito:
- le perdite pregresse e di periodo di
cui all’art. 84 del TUIR, senza considerare il limite dell’80%. A tale fine,
rilevano anche le perdite trasferite al
consolidato fiscale nazionale di cui
all’art. 117 del TUIR, e non ancora utilizzate;
- la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’ACE ex art. 1 del DL
201/2011 e DM. 14 marzo 2012 (novità
della L. 232/2016);
- gli interessi passivi ed oneri finanziari assimilati di cui all’art. 96 comma 4 del TUIR, ovvero indeducibili nel
periodo d’imposta, poichè eccedenti il
30% del Risultato Operativo Lordo
(ROL) della gestione caratteristica, e
scomputabili negli esercizi successivi, in caso di capienza del 30% del ROL
di competenza di tale periodo d’imposta.
È rimasto, quindi, invariato il primo
periodo dell’art. 88 comma 4-ter del
TUIR, secondo cui non si considerano
sopravvenienze attive le riduzioni dei
debiti dell’impresa in concordato fallimentare o preventivo liquidatorio o
di procedure estere equivalenti – previste in Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio [...]
PAGINA 2
PAGINA 3
IN EVIDENZA
PROTAGONISTI
Sospensione dei 90 giorni negata se il contribuente non “attiva”
Dieci domande a Gerardo
Longobardi
l’adesione
Gli avvisi per il contributo annuale dei revisori legali viaggiano on
line
Nell’esecuzione fiscale, si può far valere il venir meno del diritto di
escutere
ALTRE NOTIZIE
/ DA PAGINA 9
/ Savino GALLO
Dalla manifestazione di protesta dello scorso 14 dicembre (e lo scioperò
nazionale che, con ogni probabilità,
ne costituirà la prosecuzione) alla
riorganizzazione del Consiglio nazionale, passando per gli [...]
PAGINA 6
ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Compliance garantibile dal sistema di gestione
Contributo proficuo nelle PMI dei sistemi caratterizzati da preventiva analisi dei rischi aziendali
/ Guglielmo GUGLIELMI
L’organizzazione e la gestione dell’impresa richiedono
all’organo gestorio, oltre alle capacità manageriali, anche la conoscenza di norme, regolamenti e disposizioni che regolano il funzionamento dell’attività e ne condizionano il suo sviluppo.
Con il termine “compliance” ci si riferisce alla conformità delle attività aziendali a norme e regolamenti,
procedure relative ai sistemi di gestione assunti volontariamente, misure imposte da normative di settore
(es. misure di autocontrollo per la disciplina igienica
degli alimenti), codici di autoregolamentazione, modello di gestione ex DLgs. 231/2001.
Lo sforzo che l’azienda deve operare per assicurare la
conformità è giustificato dall’obiettivo di non incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie, danni reputazionali.
Nelle piccole e medie aziende la conformità alle norme di sicurezza del lavoro e ambiente costituisce, unitamente al rispetto delle disposizioni espressamente
riferibili alla disciplina prevista per l’attività di cui
all’oggetto sociale, imprescindibile esigenza al fine di
assicurare la continuità aziendale. È sufficiente esaminare le sanzioni previste per l’inosservanza di tali norme, nonché i possibili pesi di natura economica conseguenti al verificarsi degli eventi lesivi per infortuni o
malattie professionali o ai danni di natura ambientale,
per avvertire la serietà delle argomentazioni in esame.
Per assicurare una corretta compliance aziendale nelle aziende di una certa dimensione è a volte presente
all’interno del sistema di controllo una specifica funzione. Nelle PMI remota è, invece, la possibilità di individuare una risorsa da destinare alla verifica del rispetto dell’operatività aziendale alle norme. È pur tuttavia indispensabile assicurare il rispetto della normativa, dei regolamenti, delle prescrizioni di natura amministrativa che regolano l’attività; e rappresenta certamente un valore strutturare l’attività aziendale attraverso l’adozione di procedure adeguate per la “conformità”.
Appare pertanto proficuo il contributo derivante
dall’assunzione di sistemi di gestione aziendale: si
pensi alla certificazione ISO 9001, ai sistemi Uni-Inail
od OHSAS 18001 in tema di sicurezza, ai sistemi Emas
o ISO 14001 in materia ambientale. Sistemi tutti che, in
relazione alla materia cui si riferiscono, si caratterizzano per una preventiva analisi dei rischi aziendali e
alla conseguente predisposizione di un sistema che disciplini correttamente l’operatività con l’adozione di
procedure ed attività di controllo.
Certo l’adozione di un sistema di gestione non pare “in
primis” ispirata alla ricerca della conformità normativa che, se mai, è presupposto del sistema stesso. CioEutekne.Info / Sabato, 07 gennaio 2017
nondimeno la compliance può essere garantita
dall’adozione di tali sistemi, come dimostra l’esistenza
di requisiti specifici volti ad identificare con apposite
procedure le prescrizioni legali applicabili e la relativa
informazione ed aggiornamento (cfr. punto 4.3.2 OHSAS 18001:1999).
Tema ulteriore è quello inerente la relazione tra il “modello 231” e la conformità aziendale. Ancor prima di
adottare il modello, si dovrà verificare la conformità
dell’operatività aziendale alla normativa interessata
dall’ambito del DLgs. 231/2001. Ciò anche in virtù
dell’analisi dei rischi di reato astrattamente commissibili nella specifica realtà aziendale.
A ben vedere, proprio in occasione dell’attività di mappatura deputata all’eventuale implementazione del
corpo procedurale, potrà/dovrà essere proficuamente
svolta una preliminare attività di analisi e verifica
dell’impianto organizzativo alla compliance.
L’esemplificazione sul punto è agevole ove si ponga
mente al contenuto dell’art. 30 del DLgs. 81/2008 in
materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Il primo comma dell’art. 30 richiede l’adozione di un “sistema aziendale per l’adempimento di
tutti gli obblighi giuridici” relativi ad una serie di attività disciplinate anche dettagliatamente dalle norme di
settore. Insomma con il modello organizzativo si adotta un sistema volto al rispetto delle disposizioni di cui
al T.U. della sicurezza sul lavoro (valutazione del rischio, sorveglianza sanitaria, formazione etc.) che, proprio con l’adozione del sistema/modello, vengono assicurate/mantenute nel tempo.
Ulteriore osservazione riguarda la compliance rispetto
a materie sottratte all’ambito di operatività del “modello 231”.
Dovrebbe essere sempre più avvertita l’utilità per
l’azienda di assicurare, con l’adozione di misure adeguate all’analisi del rischio, la conformità a norme e/o
diposizioni regolamentari che, pur estranee all’ambito
del DLgs. 231/2001, siano foriere di rilevanti sanzioni
penali o amministrative o di altre conseguenze di natura patrimoniale e reputazionale. Si pensi al mancato
rispetto della normativa fiscale o contributiva, alla
commissione di una turbativa d’asta o dell’omessa bonifica ex art. 452-terdecies c.p., non ricompresi nel catalogo dei reati presupposto di cui al DLgs. 231/2001.
La funzione di compliance (anche con l’utilizzo di risorse esterne) può essere valutata quale indicatore di
adeguatezza dell’assetto organizzativo, consentendo
all’organo amministrativo di programmare adeguatamente la gestione operativa e all’organo di controllo di
disporre di uno strumento di verifica del rispetto della
normativa.
/ 02
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
ACE rilevante per la tassazione delle riduzioni dei
debiti
La deduzione di periodo e le eccedenze concorrono alla formazione dell’ammontare tassabile delle
sopravvenienze da esdebitamento
/ Michele BANA
L’art. 1 comma 549 lett. b) della L. 232/2016 (legge di bilancio 2017), in vigore dal 1° gennaio 2017, ha sostituito
il secondo periodo dell’art. 88 comma 4-ter del TUIR,
applicabile alle riduzioni di debiti emerse a causa di
concordato di risanamento, accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (art. 182-bis del RD 267/1942),
piano attestato di risanamento pubblicato presso il registro delle imprese (art. 67 comma 3 lett. d) del RD
267/1942) o procedure estere equivalenti.
In particolare, è stato stabilito che le corrispondenti sopravvenienze attive – da imputarsi alla voce C.16.d del
Conto economico, in quanto proventi derivanti da una
ridefinizione delle passività (OIC 12, par. 92) – non concorrono alla formazione del reddito d’impresa esclusivamente per la quota eccedente la sommatoria di tre
componenti negativi di reddito:
- le perdite pregresse e di periodo di cui all’art. 84 del
TUIR, senza considerare il limite dell’80%. A tale fine,
rilevano anche le perdite trasferite al consolidato fiscale nazionale di cui all’art. 117 del TUIR, e non ancora utilizzate;
- la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’ACE
ex art. 1 del DL 201/2011 e DM. 14 marzo 2012 (novità
della L. 232/2016);
- gli interessi passivi ed oneri finanziari assimilati di
cui all’art. 96 comma 4 del TUIR, ovvero indeducibili
nel periodo d’imposta, poichè eccedenti il 30% del Risultato Operativo Lordo (ROL) della gestione caratteristica, e scomputabili negli esercizi successivi, in caso
di capienza del 30% del ROL di competenza di tale periodo d’imposta.
È rimasto, quindi, invariato il primo periodo dell’art. 88
comma 4-ter del TUIR, secondo cui non si considerano sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti
dell’impresa in concordato fallimentare o preventivo
liquidatorio o di procedure estere equivalenti – previste in Stati o territori con i quali esiste un adeguato
scambio di informazioni – o per effetto della partecipazione delle perdite da parte dell’associato in partecipazione.
Rispetto alla previgente formulazione dell’art. 88 comma 4-ter del TUIR, è stata, pertanto, aggiunta la rilevanza degli importi ascrivibili all’Aiuto alla crescita
economica non ancora usufruiti, ai fini della determinazione della quota imponibile delle sopravvenienze
attive derivanti dalla riduzione dei debiti nell’ambito
degli strumenti di soluzione della crisi alternativi al
fallimento, diversi dal concordato fallimentare o preventivo liquidatorio.
Eutekne.Info / Sabato, 07 gennaio 2017
Si ricorda, inoltre, che le suddette disposizioni si applicano anche alle rinunce dei soci ai crediti, ordinariamente disciplinate dal precedente comma 4-bis, effettuate nell’ambito di uno dei suddetti strumenti di soluzione della crisi d’impresa.
Nonostante l’intervento normativo, restano, tuttavia,
alcuni dubbi operativi, tra i quali quello riguardante
l’individuazione del “concordato di risanamento”. A
questo proposito, si dovrebbe attribuire preferenza a
un’interpretazione fondata su un “criterio soggettivo”,
per effetto del quale il concordato di risanamento deve considerarsi sussistente esclusivamente nell’ipotesi della prosecuzione dell’attività d’impresa da parte
del debitore, ovvero nella sola fattispecie del c.d. “concordato preventivo con continuità diretta”, con espressa esclusione delle altre ipotesi previste dall’art. 186bis del RD 267/42 (cessione d’azienda in esercizio e
conferimento della stessa in società preesistenti o di
nuova costituzione), aventi natura fiscalmente realizzativa, che possono, invece, beneficiare dell’integrale
non imponibilità delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti.
Si osservi, inoltre, che l’art. 88, comma 4-ter, secondo
periodo del TUIR continua a richiamare alcune disposizioni fiscali operanti unicamente nei confronti dei
soggetti IRES, sebbene gli strumenti di soluzione della
crisi in esso citati siano utilizzabili da contribuenti differenti, come imprese individuali, snc e sas di cui
all’art. 1 del RD 267/42.
Tali soggetti, nel caso di realizzo di sopravvenienze attive contabili, applicano l’art. 88 comma 4-ter del TUIR,
ma non la disciplina degli interessi passivi di cui
all’art. 96 comma 4 del TUIR, né quella delle eccedenze
pregresse riportabili prevista dall’art. 84 del TUIR, salvo il caso di quelle prodotte in un momento in cui il debitore era costituito in forma di società di capitali e si
è, poi, trasformato in snc o sas.
In altri termini, la società di persone – naturalmente
subordinata al principio di imputazione ai soci delle
perdite per trasparenza (artt. 5 e 8 comma 2 del TUIR) e
alla normativa degli interessi passivi stabilita dall’art.
61 del TUIR – potrebbe non disporre di perdite di cui
all’art. 84 del TUIR, né degli interessi passivi regolati
dall’art. 96 del TUIR, con l’effetto che beneficerebbe
dell’integrale esclusione da imposizione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, e i soci potrebbero utilizzare le perdite riportabili dalla stessa attribuite loro in base al predetto principio di trasparenza.
/ 03
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Sospensione dei 90 giorni negata se il contribuente
non “attiva” l’adesione
Occorre sempre un atteggiamento collaborativo e ispirato alla buona fede
/ Alessandro BORGOGLIO
Una delle problematiche maggiori riguardanti il procedimento di accertamento con adesione attiene alla sospensione di 90 giorni dei termini per il ricorso, ordinariamente previsti in 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento ex art. 21 del DLgs. 546/1992.
Ai sensi dell’art. 6, comma 3 del DLgs. 218/1997, infatti, i
termini per l’impugnazione sono sospesi per un periodo di 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza
del contribuente (si tratta, quindi, di 150 giorni per
l’adesione dalla notifica dell’avviso di accertamento:
60+90).
Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’atto di definizione si
deve formalizzare nel lasso di tempo intercorrente fra
la notifica dell’accertamento e il termine di scadenza
per la relativa impugnazione, ovvero nel periodo massimo di giorni 150 dalla data di notifica dell’accertamento, o superiore cumulando il periodo di sospensione feriale quando torna applicabile (cfr. Nota del 1° ottobre 1997 della DRE Piemonte).
Si ricorda, al riguardo, che, se il contribuente presenta
istanza e l’Ufficio lo invita al contraddittorio, ma la
transazione non va a buon fine e viene redatto un processo verbale negativo dell’adesione, secondo la Cassazione rimangono comunque validi i 150 giorni dalla
notifica dell’atto per presentare ricorso (così Cass. n.
2859/2012 anche se in fattispecie riguardante i tributi
locali).
Recentemente, la C.T. Prov. di Caltanissetta, con l’interessante sentenza n. 1023/1/16, ha stabilito che l’effetto
sospensivo che discende dalla presentazione
dell’istanza di adesione va necessariamente valutato
ex post (e non ex ante) in relazione al comportamento
tenuto dal contribuente dopo la proposizione
dell’istanza stessa. Infatti, per legittimare quest’ultima,
il contribuente deve dare alla stessa un contenuto concreto ed effettivo, dimostrando di avere una reale volontà di avviare un dialogo con l’Amministrazione finanziaria.
Un’istanza, a cui non faccia seguito una proposta (almeno scritta) o la presentazione presso gli Uffici
dell’Agenzia delle Entrate che abbia convocato il contribuente, è dunque in contrasto con l’art. 10 della L.
212/2000, per cui i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede: in questi casi,
quindi, l’istanza di adesione è da ritenersi tamquam
non esset, non avendo assolto alla funzione conferitale dalla legge (il tentativo, cioè, di prevenire una con-
Eutekne.Info / Sabato, 07 gennaio 2017
troversia tributaria); con la conseguenza che, in siffatte ipotesi, l’istanza deve ritenersi non idonea a sospendere per 90 giorni il decorso del termine ordinario di 60
giorni per il ricorso.
In effetti, la giurisprudenza di merito sembra consolidarsi in tal senso, atteso che già la C.T. Reg. di Bari
aveva stabilito che l’istanza di adesione non è da sola
sufficiente a conseguire la fruizione del beneficio della sospensione dei termini di 90 giorni, necessitando
dell’effettiva fase dell’espletamento del contraddittorio, che se non intervenuto, per fatto imputabile al contribuente, gli fa perdere il relativo diritto di sospensione, con l’effetto conseguente che l’eventuale ricorso
avverso l’avviso di accertamento deve essere proposto
nel rispetto dei termini ordinari di 60 giorni dalla notifica dell’atto impositivo (cfr. sentenza n. 209/11/14).
La domanda non va strutturata come un’autotutela
Si attesta sulla medesima posizione anche la C. T.
Prov. di Bergamo, secondo cui è inammissibile la proposizione del ricorso avvenuta tardivamente rispetto
al decorso dei 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, se il contribuente ha fatto affidamento sugli effetti
dell’istanza di adesione proposta unicamente con l’intento di sospendere l’esecutività dell’atto impositivo
(sentenza n. 319/10/14).
Infine, si ricorda, per completezza, che, secondo la C.T.
Prov. di Milano, la sottoscrizione dell’atto di adesione
preclude al contribuente l’impugnazione dell’atto impositivo, giacché l’atto di adesione ha natura di transazione conservativa che si sostituisce all’accertamento
originariamente emesso. Nell’istituto dell’accertamento con adesione, il pagamento delle imposte ha una valenza meramente esecutiva, mentre le norme che lo
regolano non autorizzano rinunzie o ripensamenti dopo la conclusione dell’accordo e non prevedono la revocabilità, di talché, il ricorso contro l’avviso di accertamento, dopo la sottoscrizione dell’atto di adesione, è
inammissibile (sentenza n. 7915/40/15).
Per l’Agenzia delle Entrate, invece, qualora il contribuente nei 20 giorni dalla sottoscrizione dell’atto di
adesione non esegua il versamento delle somme dovute o della prima rata, rimane comunque la sua facoltà
di presentare ricorso, purché entro il termine di 150
giorni calcolati dalla data di notifica dell’avviso di accertamento (circ. n. 1 del 15 febbraio 2013, § 2.5).
/ 04
ancora
PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
Gli avvisi per il contributo annuale dei revisori legali
viaggiano on line
Sono in corso di spedizione all’indirizzo elettronico comunicato al Registro e saranno disponibili anche
on line nell'area riservata
/ Barbara SESSINI
Quest’anno i consueti avvisi di pagamento, in corso di
invio, del contributo annuale 2017 per gli iscritti al Registro dei revisori legali, saranno inviati dal Ministero
dell’Economia tramite la CONSIP all’indirizzo elettronico (PEC o posta elettronica ordinaria) comunicato da
ciascun iscritto al Registro, ovvero a mezzo posta. Inoltre, l’avviso sarà disponibile anche on line nell’area riservata del portale della Revisione legale. In caso di
mancata ricezione dell’avviso, dunque, accedendo con
le proprie credenziali sarà possibile reperirlo alla voce
“contribuzione annuale”.
Si ricorda che il contributo annuale, da versare in
un’unica soluzione entro il 31 gennaio 2017, è di 26,85
euro, così come stabilito dal DM 5 dicembre 2016. È dovuto dai revisori legali e dalle società di revisione legale che risultano iscritti nelle sezioni A e B del Registro
alla data del 1° gennaio di ogni anno. Il decreto, inoltre,
illustra le modalità di pagamento elettronico attraverso il Nodo dei pagamenti SPC o con i convenzionali
strumenti di pagamento offerti dagli intermediari autorizzati (si veda “Fissato il contributo annuale dei reviosri legali per il 2017” del 20 dicembre 2016).
Il contributo può essere versato:
- sul sito web della revisione legale, dove è disponibile
il sistema pagoPA®;
- tramite banche, Poste e altri prestatori di servizio pagamento aderenti a pagoPA®;
- con bonifico bancario;
- mediante bollettino PA bianco.
Per quanto riguarda il pagamento sul sito web
www.revisionelegale.mef.gov.it, accedendo alla propria area riservata alla voce “contribuzione annuale” si
può scegliere tra gli strumenti disponibili: carta di credito o debito o prepagata, oppure il bonifico bancario o
il bollettino postale nel caso si disponga di un conto
corrente presso banche, Poste e altri prestatori di servizio di pagamento aderenti all’iniziativa. Il servizio è
sempre attivo eccetto dalle ore 00:30 alle 01:30 per manutenzione giornaliera.
Come si è detto, è possibile effettuare il pagamento
presso le banche, Poste e altri prestatori di servizio di
pagamento aderenti all’iniziativa pagoPA® tramite i
canali da questi messi a disposizione (come ad esempio: tabaccherie e ricevitorie autorizzate, home banking, ATM, APP da smartphone, sportello, ecc). L’elenco degli operatori abilitati a ricevere pagamenti tramite pagoPA® è disponibile sul sito dell’AGID.
In questo caso, per poter effettuare il pagamento occorre utilizzare il “Codice avviso di pagamento” oppure
Eutekne.Info / Sabato, 07 gennaio 2017
il QR Code o i Codici a Barre presenti sulla stampa
dell’avviso.
Infine, il pagamento potrà essere effettuato con bonifico, utilizzando l’IBAN IT57E0760103200001009776848,
intestato a Consip S.p.A. Anche in questo caso è necessario avere il “Codice avviso di pagamento” contenuto
nell’avviso di pagamento, da riportare nella causale, il
codice fiscale ed il numero di iscrizione del revisore.
Con tali dati è possibile compilare il bollettino PA bianco “TD 123”, disponibile presso gli uffici postali sul c/c
n. 1009776848 intestato a Consip S.p.A.
Con la notizia del recapito degli avvisi di pagamento,
pubblicata sul sito della Revisione legale, viene ricordato anche l’obbligo di accreditamento all’area riservata, nella quale è possibile consultare lo stato dei pagamenti pregressi, scaricare, come si è detto, copia
dell’avviso di pagamento ed aggiornare i propri dati
anagrafici e di contatto, incluso l’indirizzo PEC. La raccomandazione era stata fatta anche nel 2015, quando
si indicava l’indirizzo di posta elettronica certificata
come utile nella prospettiva di una graduale riduzione
delle comunicazioni cartacee, tra cui l’invio del bollettino premarcato (si veda “In arrivo gli avvisi di pagamento per il contributo annuale dei revisori legali” del
22 dicembre 2015).
Si ricorda che l’art. 27, comma 2 del DLgs. 17 luglio 2016
n. 135 ha esteso ai revisori legali l’obbligo di dotarsi di
una casella PEC valida da comunicare al soggetto incaricato alla tenuta del Registro. A tal proposito, si segnala l’aggiornamento della sezione FAQ del sito della
revisione legale alla circolare n. 21 del 29 settembre
2016 del Ragioniere Generale dello Stato, che ha precisato le modalità con cui procedere alla comunicazione
di tali caselle e previsto, in fase di prima applicazione,
il termine del 30 novembre 2016 per l’assolvimento (si
veda “Per i revisori PEC da comunicare al Registro entro il 30 novembre” del 30 settembre 2016).
PEC “consigliata” ai tirocinanti
Le FAQ precisano che, sebbene la PEC non sia obbligatoria anche per i tirocinanti, è comunque consigliato a
questi ultimi di dotarsi di un indirizzo elettronico certificato da comunicare al Registro del tirocinio.
Invece, coloro che intendono iscriversi nel Registro devono avere in dotazione una casella PEC. Il recapito
elettronico di posta certificata dovrà essere indicato
nella modulistica di iscrizione.
/ 05
ancora
PROTAGONISTI
STUDIO DUCOLI
Dieci domande a Gerardo Longobardi
In vista delle elezioni nazionali di lunedì 9 gennaio, Eutekne.info ha intervistato il Presidente uscente
dei commercialisti
/ Savino GALLO
Dalla manifestazione di protesta dello scorso 14 dicembre (e lo scioperò nazionale che, con ogni probabilità, ne costituirà la prosecuzione) alla riorganizzazione del Consiglio nazionale, passando per gli incentivi
all’aggregazione degli studi professionali e il sostegno
alla parte più debole della professione, i giovani. Sono
gli argomenti che Eutekne.info ha affrontato con il
Presidente uscente del CNDCEC, Gerardo Longobardi,
al quale, in vista delle elezioni nazionali in programma lunedì 9 gennaio, abbiamo rivolto 10 domande.
La manifestazione del 14 dicembre è stata un momento a suo modo storico per la professione. Perché si è
dovuti arrivare a tanto? Che cos’è che non ha funzionato?
“È noto il disappunto della professione per l’ultimo
smacco ricevuto dal DL 193/2016 che, prevedendo un
aggravio di adempimenti fiscali rappresentati soprattutto dal cervellotico spesometro trimestrale, è riuscito a mettere in ombra il pacchetto di semplificazioni
fiscali ivi contenuto e a cui il Consiglio Nazionale aveva lavorato nei mesi scorsi nel tavolo tecnico condiviso con MEF, Agenzia delle Entrate e le principali organizzazioni imprenditoriali. L’introduzione dello spesometro trimestrale, contraddicendo le indicazioni del
FMI e dell’OCSE, lede l’immagine e le competenze dei
commercialisti, ormai stanchi di essere vessati oltre
che di essere considerati semplici esecutori del fisco e
pertanto malvisti dai contribuenti”.
Dopo la manifestazione, sostenuta con forza dal Consiglio nazionale, arriverà probabilmente il primo sciopero di categoria. In caso di successo elettorale, il
“suo” CNDCEC appoggerà anche lo sciopero?
“Qualora le interlocuzioni nel frattempo avviate col
MEF e l’Agenzia delle Entrate non dovessero tradursi
in una consistente semplificazione degli adempimenti previsti dal nuovo decreto, sarà senz’altro necessario sostenere la protesta, con la consapevolezza degli
evidenti disagi che ne conseguiranno”.
Nel suo programma si parla di una riorganizzazione
del Consiglio nazionale. In che cosa dovrebbe consistere?
“Come chiarito, si tratterà di ridefinire ruoli e funzioni
dei suoi organi, contenuti delle aree di delega, attività
delle Commissioni di studio, della FNC e delle SAF, e di
riordinare, infine, le modalità di funzionamento
dell’Assemblea degli Ordini Territoriali”.
Restando sul programma, si parla di spinta verso la
digitalizzazione, che però ha dei costi per gli studi. Si
può, in qualche modo, “alleviare” questo processo?
“Certamente il mezzo più idoneo per ridurre i costi di
attuazione di questo processo sarà quello della realizEutekne.Info / Sabato, 07 gennaio 2017
zazione di strumenti che siano riconducibili all’impiego di un software unico; in questo modo, potendosi evitare il ricorso a più sistemi operativi, si potranno contenere sensibilmente le relative spese di gestione”.
È davvero possibile creare una lobby istituzionale che
permetta ai commercialisti di “contare” nel momento
dell’adozione dei provvedimenti normativi?
“L’istituzione di una lobby della Professione, fatta alla
luce del sole, non è un’utopia. Occorre che il Consiglio
Nazionale istituisca un presidio stabile presso le Istituzioni, realizzando un progetto strutturato di comunicazione incisiva e garantendo una presenza costante
della nostra professione su tutte le tematiche di interesse tecnico e politico degli Iscritti. La presenza e la
partecipazione del CNDCEC all’iter dei provvedimenti
legislativi che abbiano in qualche misura riflesso sulla
nostra attività è ormai ineludibile”.
Tutti concordano sulla necessità di riformare il D lgs.
139/2005. In che modo e, soprattutto, con quali tempi?
“La riforma del nostro Ordinamento professionale è
un’esigenza avvertita da tempo e divenuta ormai improcrastinabile, anche alla luce delle questioni che i difetti interpretativi hanno generato nei mesi scorsi, proprio a monte dell’avvio della complessa macchina elettorale. Il nostro programma delinea dettagliatamente
gli ambiti di intervento, in particolare precisando la
necessità della riduzione del pletorico numero - attualmente 21 - dei componenti il CNDCEC con conseguente revisione dei criteri di composizione e di voto, e prevedendo, al pari di quanto disposto per gli Ordini territoriali, una quota di minoranza in seno al Consiglio Nazionale. Nella riforma dell’Ordinamento professionale
dovranno poi trovare spazio la previsione legislativa
delle specializzazioni e l’introduzione dei parametri
per la determinazione dei compensi, come è avvenuto
per gli avvocati. Quanto ai tempi di realizzazione saranno quelli richiesti dall’attenzione occorrente a confezionare un testo condiviso con gli Ordini territoriali e
che non si esponga a dubbi interpretativi. E comunque
sarà una delle priorità su cui dovrà lavorare il nuovo
Consiglio.
È possibile indurre i colleghi, da sempre abituati a lavorare, nella maggior parte dei casi, in studi piccoli e
individuali, all’aggregazione?
“È anche questo uno degli obiettivi del nostro programma; stimolare l’aggregazione tra olleghi può risultare,
soprattutto in periodi di crisi, un valido rimedio per ridurre i costi di gestione degli studi professionali ma
anche per favorire l’accesso alla professione ai giovani nonché garantire la parità di genere. Per questi motivi il nostro programma prevede il riconoscimento di
/ 06
ancora
STUDIO DUCOLI
incentivi alle aggregazioni, la rimozione delle restrizioni fiscali esistenti e la messa a regime degli interventi per le imprese che oggi sono applicabili solo sulla carta ai professionisti (l’accesso alla garanzia pubblica del Mediocredito Centrale per ottenere i finanziamenti necessari all’avvio o al potenziamento dell’attività professionale; l’accesso ai bandi e ai fondi della
Comunità Europea)”.
Cosa si può fare, in concreto, perché i giovani “contino di più”, sia nella politica di Categoria che nello
svolgimento delle attività professionali?
“I giovani vanno anzitutto incentivati a scegliere questa professione, riducendo quanto più possibile le barriere che ancora persistono al suo accesso. Mi riferisco in particolare ad interventi che ne riducano l’impegno economico, quali, ad esempio la previsione di una
Polizza RC modulata in base alle variabili che interessano i giovani (ad esempio la clientela ridotta), e la realizzazione di un software unico per gli Iscritti, anche i
meno giovani, con l’intervento economico del CNDCEC. La valorizzazione delle competenze dei giovani
potrebbe invece essere realizzata destinando loro una
formazione più indirizzata alle specializzazioni professionali, a costi realmente contenuti, nei cui ambiti
risiedono certamente maggiori prospettive di lavoro e
di incremento del prestigio professionale”.
Eutekne.Info / Sabato, 07 gennaio 2017
Negli ultimi giorni del 2016, ha tenuto banco la questione del mancato contributo alla FNC. Qual è la sua
visione in merito al futuro della Fondazione?
“Richiamando l’apologo di Menenio Agrippa, la Fondazione è paragonabile ad un organo vitale, indispensabile per il funzionamento dell’organismo CNDCEC.
L’attività della FNC dovrà sostanzialmente essere indirizzata sia alla produzione scientifica di documenti ed
elaborati che verranno messi a disposizione di tutti gli
iscritti, sia al supporto dell’attività del CNDCEC nelle
varie aree in cui si svolge la sua attività istituzionale. A
tal proposito penso al contributo che la FNC ha offerto
durante il nostro mandato a tutti i Consiglieri Nazionali nell’espletamento delle loro deleghe, accrescendo
anche la considerazione mediatica nei nostri confronti. Nel nostro programma elettorale è perciò previsto
un incremento dell’attività della FNC, che comprenda
anche l’organizzazione di attività di formazione e di
servizi a favore degli iscritti, oltre ad un potenziamento della sua banca dati, il Portale delle Conoscenze”.
In ultimo, qual è la prima cosa che ha intenzione di fare se dovesse vincere le elezioni?
“Sono fortemente scaramantico, ma prometto che lo
dirò a cose fatte! In ogni caso, sogno di andare a vedere l’alba del nuovo giorno in riva al mare”.
/ 07
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Nell’esecuzione fiscale, si può far valere il venir meno
del diritto di escutere
Il divieto di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi non opera in questo caso
/ Alfio CISSELLO
Dal punto di vista del contenzioso, tutto ciò che succede dopo la notifica dell’intimazione ad adempiere, o
meglio, a partire dal pignoramento, rientra nella giurisdizione ordinaria e non più in quella tributaria (in
questo senso l’art. 2 del DLgs. 546/92).
Fa, in un certo senso, “eccezione” la fattispecie in cui il
contribuente, a causa di un vizio nella notifica degli atti presupposti (cartella di pagamento o accertamento
esecutivo), sia edotto della pretesa solo con il pignoramento, immobiliare, mobiliare o presso terzi.
La più recente giurisprudenza ritiene che, altresì
nell’ipotesi esposta, la giurisdizione sia quella ordinaria, ancorché si lamenti l’omessa notifica di un atto autonomamente impugnabile dinanzi al giudice tributario (si veda “Opposizione all’esecuzione se manca la
notifica della cartella di pagamento” del 12 dicembre
2016).
Può però accadere che, all’interno della fase espropriativa vera e propria, venga meno il diritto di procedere
ad esecuzione sulla base di un fatto sopravvenuto.
Si pensi all’intervenuta prescrizione del debito erariale,
o al decesso del debitore, a cui segue la rinuncia
all’eredità.
È naturale che in tal caso, se ci si fermasse alla portata
estrinseca dell’art. 57 del DPR 602/73 (che in sostanza
vieta sia l’opposizione all’esecuzione sia le opposizioni agli atti esecutivi, se non per la pignorabilità dei beni), il contribuente sarebbe privo di tutela.
In altri termini, egli dovrebbe subire l’esecuzione senza rimedi giudiziali.
Naturalmente, in uno Stato di diritto si tratta di una soluzione assolutamente inaccettabile, non a caso la
Corte di Cassazione ha subito posto dei paletti a una
tale interpretazione.
Nel nostro caso, siamo in presenza di un fatto successivo alla formazione del titolo esecutivo (rinuncia
all’eredità), che non viene rinnovato all’apertura della
Eutekne.Info / Sabato, 07 gennaio 2017
successione.
Si veda la sentenza n. 14641 del 2014, ove si è affermato che l’opposizione all’esecuzione va esperita quando
il titolo esecutivo viene meno, nella specie in ragione
dell’adesione al condono ex art. 12 della L. 289/2002.
Bisogna rammentare che, in ragione di un principio ormai consolidato, Equitalia agisce in nome e per conto
del creditore, e “subisce direttamente gli eventi delle
vicende (modificative e/o estintive) che possono interessare il rapporto obbligatorio del mandante” (Cass. 29
settembre 2006 n. 21222).
Dunque, l’eventuale rinuncia all’eredità, comportando
l’impossibilità di azionare il credito, ha effetto diretto
nei confronti dell’agente della riscossione.
Possibile far valere la rinuncia all’eredità
Ad uguali conclusioni si deve pervenire per la prescrizione, con la differenza che, in tal caso, magari l’ente
creditore nemmeno deve ritenersi coinvolto più di tanto; il decorso del tempo può infatti essere stato causato dalla mancanza di atti interruttivi che avrebbero potuto/dovuto provenire da Equitalia.
È possibile presentare all’ente impositore un’istanza di
sgravio, o un’istanza di sospensione/abbandono della
riscossione alla stessa Equitalia.
Invece, non appare utilizzabile lo strumento dell’autodichiarazione ex art. 1 commi 538 e ss. della L.
228/2012, con cui il debitore, chiedendo l’annullamento del debito, causa nei fatti un’automatica sospensione della riscossione.
A seguito delle modifiche apportate dal DLgs. 24 settembre 2015 n. 159 alla norma, tra i motivi alla base
dell’autodichiarazione (intervenuto pagamento, sgravio, sentenza) non è più compresa “qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso”.
/ 08
ancora
LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO DUCOLI
Spettano all’utilizzatore gli incentivi per disabili in
somministrazione
Ai fini del calcolo della quota di riserva, se la somministrazione dura almeno 12 mesi il disabile viene
computato nel suo organico
/ Luca MAMONE
Con la risposta ad interpello n. 23 del 30 dicembre 2016,
il Ministero del Lavoro ha chiarito che gli incentivi
economici previsti dall’art. 13 della L. 68/99 per favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità,
in caso di assunzione di lavoratori disabili in somministrazione vanno fruiti dall’utilizzatore, in quanto a
quest’ultimo va riferita la condizione dell’incremento
occupazionale netto sulla media dei lavoratori occupati nei 12 mesi precedenti.
Inoltre, nel medesimo intervento di prassi è stato altresì chiarito che il lavoratore disabile viene computato, ai fini del calcolo della quota di riserva, in riferimento all’utilizzatore se la somministrazione ha una
durata di almeno 12 mesi.
Giova ricordare che gli incentivi per le assunzioni di
lavoratori disabili sono disciplinati dall’art. 13 della L.
68/99, così come riformulato in chiave Jobs Act dal
DLgs. 151/2015. In sintesi, si ricorda che secondo la
nuova disciplina la durata totale del beneficio è di 36
mesi, nella misura del 70% della retribuzione imponibile a fini previdenziali se l’assunzione a tempo indeterminato riguarda un soggetto con una riduzione della
capacità lavorativa superiore al 79%. La misura del bonus scende poi al 35% se la riduzione della capacità lavorativa è compresa tra il 67% e il 79%.
Ancora, la misura dell’incentivo è fissata al 70% in caso di assunzione di disabile intellettivo o psichico con
riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%. In
quest’ultima ipotesi, l’agevolazione è riconosciuta per
60 mesi, mentre se l’assunzione avviene con contratto
a termine di almeno 12 mesi il beneficio è riconosciuto per la durata del contratto.
Infine, si ricorda che dal 1° gennaio 2016 non sono più
le Regioni a erogare gli incentivi, bensì l’INPS mediante il sistema del conguaglio contributivo.
Ciò premesso, nell’interpello n. 23/2016 l’Associazione
nazionale delle Agenzie per il lavoro ha formulato una
duplice richiesta di chiarimenti.
Innanzitutto è stato chiesto se, in caso di assunzione
di un lavoratore disabile in somministrazione, ferma
restando la presenza dei requisiti previsti per la fruibilità degli incentivi, la condizione dell’incremento occupazionale netto sulla media dei lavoratori occupati nei
12 mesi precedenti vada riferita all’Agenzia del lavoro
ovvero all’impresa utilizzatrice.
Inoltre, si richiede se, ai sensi del disposto ex art. 34
comma 3, secondo periodo del DLgs. 81/2015, il lavora-
Eutekne.Info / Sabato, 07 gennaio 2017
tore disabile inviato in somministrazione per missioni
di durata non inferiore a 12 mesi, venga computato
nell’organico dell’utilizzatore ai fini della copertura
della quota di riserva di cui all’art. 3 della 68/99.
Ricordiamo che, ai sensi del citato art. 3, i datori di lavoro sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili nelle seguenti misure: un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti; 2 lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; il 7% dei lavoratori occupati,
se i dipendenti sono più di 50.
Nel fornire la soluzione al primo quesito, i tecnici ministeriali richiamano quanto previsto in materia di
principi generali per la fruizione degli incentivi
dall’art. 31, comma 1 DLgs. n. 150/2015, laddove, alla lettera e), si prevede che con riferimento al contratto di
somministrazione i benefici economici legati all’assunzione o alla trasformazione di un contratto di lavoro sono trasferiti in capo all’utilizzatore e, in caso di incentivo soggetto al regime de minimis, il beneficio viene computato sempre in capo a quest’ultimo.
Calcolo dell’incremento occupazionale con il criterio
convenzionale ULA
Inoltre, la medesima norma, alla successiva lettera f),
stabilisce altresì quali siano le modalità di calcolo per
la determinazione dell’incremento occupazionale netto della forza lavoro mediamente occupata nei dodici
mesi precedenti, che con riferimento alla somministrazione deve essere effettuato rispetto ai lavoratori
occupati dall’impresa utilizzatrice secondo il criterio
convenzionale di derivazione comunitaria dell’unità di
lavoro annuo (ULA).
Invece, con riferimento alla seconda questione, il Ministero del Lavoro evidenzia come l’art. 34, comma 3 del
DLgs. 81/2015, stabilisca che il lavoratore somministrato disabile vada computato nell’organico dell’utilizzatore ai fini della copertura della quote di riserva ex art.
3 della L. 68/99, nella misura in cui l’impiego nella medesima azienda utilizzatrice non risulti inferiore a 12
mesi.
In altri termini, se l’Agenzia del lavoro invia in missione per almeno 12 mesi un dipendente disabile ai sensi
della L. 68/99, lo stesso viene computato nell’organico
dell’utilizzatore, per il periodo di durata della missione,
ai fini dell’adempimento delle assunzioni obbligatorie
di cui all’art. 3 della della predetta legge.
/ 09
LETTERE
STUDIO DUCOLI
Non c’è conflitto di interessi tra i commercialisti e gli
esperti contabili
Gentile Direttore,
ho notato che in questi giorni si è tornato a parlare della figura degli esperti contabili e della loro iscrizione
alla Cassa nazionale di previdenza dei ragionieri (si
veda “Il riequilibrio della Cassa non passa dal lieve aumento degli esperti contabili”).
La vicenda, che lo scorso anno ha ottenuto un riconoscimento legislativo, nasce da un protocollo di intesa
firmato tra la CNPR e la Cassa dei dottori commercialisti durante il mio mandato come Presidente di
quest’ultima. Ritengo giusto, quindi, fare chiarezza su
questo tema.
L’accordo era condiviso tra i due Istituti e chiariva finalmente l’inquadramento previdenziale degli esperti
contabili, una categoria professionale rimasta scoperta da una copertura riferibile ad una Cassa di previdenza. Si arrivava quindi a definire che le demografie degli attuali iscritti al CNDCEC erano da riferire: per
quanto attiene i dottori commercialisti, alla Cassa Dottori Commercialisti; per quanto attiene i ragionieri già
iscritti e gli esperti contabili abilitati o che si dovessero abilitare, fino a quando rimangono esperti contabili,
alla Cassa Ragionieri.
Il protocollo di intesa permetteva quindi di avere finalmente chiaro l’orizzonte di azione di tutti gli iscritti al
Consiglio nazionale. Le due Casse, di comune accordo,
stabilito che ognuno avrebbe proseguito per la propria
strada, avevano risolto il nodo degli esperti contabili,
che peraltro andavano a versare fior di contributi al
settore pubblico, nonostante fosse previsto dalla legge
che il professionista debba avere una Cassa di previdenza privata o privatizzata di riferimento.
Sulla base di questo protocollo è avvenuto poi il già citato riconoscimento legislativo grazie all’emendamento inserito all’interno della legge di stabilità. Quello che
succederà in futuro attiene al presidente di Cassa
Commercialisti Walter Anedda, al presidente di Cassa
Ragionieri Luigi Pagliuca e a chi dal 9 gennaio avrà la
responsabilità di guidare il Consiglio nazionale.
A tal proposito, se all’interno della nostra categoria esistono i dottori commercialisti e gli esperti contabili, ritengo che un buon presidente del Consiglio nazionale
debba valorizzare tanto i primi quanto i secondi, preoccupandosi di tutelare in maniera adeguata entrambe le
categorie, tra le quali non sussiste alcun conflitto di interessi.
Renzo Guffanti
Past President Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Dottori Commercialisti
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL’8 FEBBRAIO 2010
Copyright 2017 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO