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GIUSEPPE LEONE
IL VIAGGIO
“MEDITERRANEO”
RACCONTI SU CONCHIGLIA
Palazzo della Meridiana - Genova
Uberto Bowinkel Editore
Organizzazione:
Amici di Palazzo della Meridiana
Il Simposio delle Muse
Premio Penisola Sorrentina Arturo Esposito® - Comunicare l’Arte
Con il patrocinio di:
Mostra a cura di:
Arch. Caterina Viziano
Coordinamento:
Emanuele Leone Emblema
Testi:
Luigi Caramiello
Angela Cerritello
Francecso Gallo (Mazzeo)
Giuseppe Leone
Michele Sovente
Referenze fotografiche:
Donato Martino
Progetto Grafico:
Marilde Mirra
Un particolare ringraziamento per la collaborazione della ceramista
Alessia Belperio
© Uberto Bowinkel Editore
Via S.Lucia, 25 - 80132 NAPOLI
Tel/fax 081 7640739
email: [email protected]
ISBN
978-88-95768-07-6
Printed in Italy
Il nostro fantastico mare Mediterraneo non finisce di essere fonte di belle sorprese: in una ideale navigazione da Genova a Sorrento e da Sorrento a Genova, ecco una nuova splendida e genuina “chicca”
fatta di conchiglie pescate in mare!!
I magnifici cammei disegnati da Giuseppe Leone e magistralmente realizzati dagli artigiani di Torre
del Greco fanno bella mostra a Genova a Palazzo della Meridiana: è una nuova puntata di un percorso
ideale che unisce territori lontani geograficamente, ma straordinariamente vicini per storia, tradizione
e cuore!!
È un percorso iniziato nel 2004 quando Genova era Capitale Europea della Cultura, che si è rinsaldato
e cementato in una sincera e reciproca stima con gli amici Sorrentini.
E che dire dell’estro e della fantasia di Giuseppe Leone? Dopo la bella mostra che fece anni addietro
alla Accademia Ligustica questo nuovo “passaggio” a Palazzo della Meridiana consolida una presenza Genovese fatta di grande capacità artistica, ma anche di doti umane di straordinario valore.
Le opere d’arte di questa mostra sono un microcosmo fantastico che mani esperte hanno reso possibili
per la gioia degli occhi!!
Non mancano i richiami usuali dei quadri di Giuseppe Leone: le barche, Narciso, il Vesuvio e più in
generale il tema del Viaggio così caro all’Artista.
Sarà un bel vedere per Genova!! Giuseppe Leone riuscirà a meravigliarci, stupirci ed ingolosirci ancora una volta: grazie Peppe, sei proprio unico!!
Ing. Davide Viziano
Questo è il risultato maturo di un progetto che viene da lontano, quando con l’artista Giuseppe Leone
decidemmo di tradurre su conchiglie-cammei di Torre del Greco il logo che l’Associazione culturale “Il Simposio delle Muse” gli aveva commissionato per una manifestazione organizzata a livello
nazionale: il Premio “Penisola Sorrentina Arturo Esposito”®. Fu così che nel corso di vari anni statuette con cammei hanno accompagnato una lunga e prestigiosa teoria di nomi della cultura e dello
spettacolo, insigniti del riconoscimento: Lino Banfi, Carlo Lucarelli, Giulio Scarpati, Leo Gullotta,
Pippo Baudo, Luca Barbareschi, Mario Orfeo, Roberto Napoletano, solo per citarne alcuni. Un cammeo che vale un premio!
Oggi quella stessa manifestazione ha superato le ventuno edizioni, continua ad assegnare cammei-premi ed inaugura il nuovo anno facendo tappa a Genova, con una speciale iniziativa dedicata a turismo,
beni culturali, arte e artigianato. Doveroso e sentito va il ringraziamento alla famiglia Viziano e agli
amici tutti di Palazzo Meridiana per la collaborazione e per l’ospitalità.
Assisteremo ad un “Viaggio” su conchiglia e disegni di Giuseppe Leone, tra miti e civiltà, in un crocevia controverso e convergente dove i profili dell’antico incrociano i presagi del moderno, dove la
Campania (quella marinaia di Sorrento, Napoli e il Golfo, ma anche quella dell’entroterra del Sannio)
fa mostra di sé in un abbraccio ideale con la Liguria, sulle sponde del Tirreno. Uno scambio culturale
che, come la conchiglia, nasce dal mare.
Se si prova, per un attimo, ad abbozzare o ad immaginare un abbraccio a venirne fuori per prima è
l'idea di un arco. Quella stessa forma che segna lo spazio della Liguria sulla cartina geografica. L’arco
in base al quale -secondo tradizione- Penelope poté riconoscere Ulisse. Su questa metafora -ritengopoggino il significato e la mèta più vera del “Viaggio” che Leone ci racconta: un invito alla scoperta
della nostra identità di ulissidi mediterranei, tra segreti e rimandi di una civiltà, di una storia e di una
geografia personali e collettive, di cui continuiamo ad essere -allo stesso tempo ed inconsapevolmente- eredi e genitori.
Non mi resta, allora, che augurarvi “buon Viaggio”!
Mario Esposito
Direttore artistico Premio “Penisola Sorrentina Arturo Esposito”
L’eccellenza nella lavorazione del cammeo è uno dei volani su cui deve puntare la nostra regione. Si tratta qui del superamento di una pura e raffinata dimensione artigianale che la conchiglia come materia e la preziosa lavorazione offrono per raggiungere un risultato artistico,
scaturito dal confronto stimolante tra il programma iconografico da me ideato e l’abilità
narrativa dei maestri incisori e orafi di Torre del Greco. Ho lanciato con energia questa sfida
culturale per offrire ai giovani artisti e alle economie locali nuova linfa nella riscoperta del
fare e nell’invito a percorrere la via di un artigianato che possa farsi arte e viceversa, nella
piena integrazione tra tecnica e idea, creatività e materia.
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MEDITERRANEO: RACCONTI SU CONCHIGLIA
Il VIAGGIO
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Dramma Riflesso
Conchiglia, Lato Sinistro
Il bacio del Serpente
Tentazione
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METEORE
Una meteora la si scorge mentre infiamma il cielo e si consuma d’un
tratto, veloce, rapidissima nel suo
guizzo di luce, tanto che ci si scopre a domandarsi se la si è vista o meno. Le Prodigiose Meteore di Giuseppe Leone hanno quella velocità,
seppur eternata nel tratto, e non suscitano meno
sgomento per la felicità, nonché facilità formale, della narrazione. Nascono, più di vent’anni
fa, sui tavoli luminosi della redazione di Napoli
Oggi di Via Monte di Dio. “Trovai nella camera
oscura un cartone di pellicole bruciate che dovevano essere gettate via perché avevano preso
luce. Pensai che era uno spreco perdere quella
bella superficie lucida e nera. Ne presi una e la
misi sul tavolo luminoso, con il taglierino cercai di inciderla, ma senza esito. Provai allora ad
inumidirla con una spugnetta e notai che il tratto
scorreva, in questo modo, più facilmente facendo
trapassare la luce. Naturalmente il segno non era
pienamente controllabile, dunque doveva essere
rapido: tutto andava fatto di getto, senza ripensamenti, altrimenti la pellicola si sarebbe asciugata”, racconta Leone, spiegando come oggi, dopo
molti anni dalla nascita delle sue Meteore, abbia
L’Incanto
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Prometeo (Particolare)
Conchiglia, Lato Destro
Gioco
Primavera Sannita
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cercato di far rivivere quelle poderose immagini mitologiche su conchiglia, grazie all’aiuto dei
maestri dell’incisione del corallo e del cammeo
di Torre del Greco. In particolar modo è assieme
alla collaborazione con il maestro incisore Francesco Scognamiglio che si è giunti a quella sintesi ideale dove, interfacciando arte e artigianato, si
vanno scandagliando le diverse opportunità che
la materia può offrire. Se le Meteore nascevano
come esperimento, guizzo rapido e ferino, i cammei da esse scaturiti si affermano come pura sperimentazione artistica nel momento in cui quello
che fu celere pensiero creativo si ammansisce
nel gesto minuzioso e sapiente dell’incisore. Le
opere di Leone sono un richiamo all’imperitura
amicizia e al continuo scambio intellettuale tra
l’artista e il poeta Michele Sovente, scomparso
nel 2011. Fu infatti Sovente, nel 1993, a scrivere a proposito delle Prodigiose Meteore: “Sembrano provenire direttamente da un altro mondo. Non tanto perché una solfurea mitologia ne
rappresenta l’asse portante, ma soprattutto per il
modo in cui s’intrecciano segni e forme, figure
e scene, umori beffardi e trame favolistiche. (...)
La gemmazione spontanea di figure (o figurine?), la fantasmagorica e rutilante giostra tra
terra e cielo, tra sotto e sopramondo, il felice e
sontuoso vagabondare nel paese delle meraviglie
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Allusione Erotica
Dolce Allusione
-una Benevento che si fa scuotere e avviluppare
dalle sornione o veementi lave vesuviane- mai
perdono il controllo dell’impianto compositivo,
della struttura narrativa, del disegno.” L’immaginario di Giuseppe Leone sembra palesarsi e
prendere forma in un contesto contaminato. Con
occhi da sannita, che portano in sé la genetica
di un mondo contadino e magico, Leone scopre
e ridisegna le terre vesuviane: eden dove si avviluppano storie di satiri e sirene, creature animalesche, divinità pagane, fiere antropomorfe. E
così gli elementi squisitamente vesuviani, quello
stesso Vesuvio che in altra produzione di Leone
si fa magmatico e brillante di rossi incandescenti e neri d’ossidiana, qui si mescolano alla tradizione iconografica sannita. Compaiono tori e
colonne, reminescenze di una Magna Grecia che
inglobò anche il territorio Sannio, fecondandolo
con il suo immaginario mitico e allegorico. Ecco,
l’allegoria sembra porsi qui come una chiave di
lettura imprescindibile, con una potenza tale che
quasi ricorda le storie dei martiri della prima cristianità o ancora, per la realizzazione in bassorilievo, la tradizione scultorea romana. Solo se ci
voltiamo indietro scorgiamo noi stessi e Leone
qui si riconosce nei rilievi marmorei dell’Arco
Traiano sulle cui colonne si affacciano scene di
trionfi e battaglie. Certo, qui non sono che una
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eco: alle scene di età imperiale Leone sostituisce
i lievi boschi fortorini su cui degrada possente
il vulcano partenopeo. Le e Prodigiose Meteore
di Giuseppe Leone si trasformano, su una preziosa conchiglia interamente intagliata, in forme
baroccheggianti che, attorniando l’intero guscio,
offrono all’osservatore la possibilità di leggervi
un racconto, una storia complessa tanto quanto
particolareggiata. La struttura stessa della valva, superficie artistica dalla storia antichissima,
si presta a divenire linguaggio moderno, quasi
cinematografico. Promuove, infatti, quell’idea
visiva di sequenza e di lettura lineare che ben
si addice ad un cortometraggio, ad un caleidoscopio o ad una lanterna magica, per essere più
precisi. Quella ideata da Leone è una conchiglia
che, per sua stessa natura, fa sfoggio del guscio,
così minuziosamente inciso, ma si avvolge su sé
stessa celando il suo interno. È conchiglia madre,
è ventre fecondo, cavità misterioso, novello vaso
di Pandora. Sul fondo torna la scrittura indecifrabile e firma di Leone su cui si adagia un altro suo
elemento consueto: la barchetta. Una barchetta non solo incisa, ma che in questa occasione,
farà anche da supporto marmoreo alla preziosa
conchiglia. Non poteva del resto non essere che
una barca a traghettare, per così dire, il progetto dell’artista sannita che a questo elemento ha
13
Il tempo e l’attesa
sempre affidato l’archetipo del viaggio, dell’andare, del raccontar e portar con sé storia lontane,
incontri inconsueti. L’archetipo di un viaggio che
è anche tornare, seppur diversi da quando si era
partiti, con gli occhi pieni di fatiche e meraviglie, come accadde ad Ulisse, viaggiatore atavico.
Ecco quanto è denso quel substrato miologico,
culturale, simbolico a cui Leone continuamente e instancabilmente attinge, per raccontarci di
un mondo antichissimo, ancestrale, favolistico
eppur non così lontano dal nostro. Sullo sfondo,
incombente, sempre il Vesuvio seppur non narrato con linguaggi tipici della napoletanità, ma con
incursioni esterne o semplicemente più ampie.
Leone non racconta semplicemente il napoletano, così come non racconta semplicemente il suo
Sannio, Leone ha lo sguardo rivolto, in un’ottica
assai più larga, al Mediterraneo tutto che, come
conchiglia, è ventre materno di civiltà, luogo dei
luoghi, paesaggio familiare di racconti fantastici.
Leda
Angela Cerritello
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IL CAMMEO DELLA CONOSCENZA
Omaggio al passato? Pura espressione
fantastica? Ricerca di nuove strade?
Le domande, davanti ad un’operazione, così complessa ed affascinante, che vede
strettamente connessi gli sperimentalismi della
modernità e le rituali tecniche della tradizione,
possono essere tali e tante e tali e tante le risposte, ma nessuna domanda e nessuna risposta, può
essere in grado di esaurire la querelle della definizione dell’arte, come poetica e come tecnica
in flagranza del convivere di una gioiosa e “pasticciona” originalità, che non si ferma davanti a
nulla, mettendo in discussione se stessa e tutto, in
nome di una emozionalità, sempre in sovra codice, di continua trasformazione, in questa nostra
epoca di modernità avanzata, liquida, capace di
confrontarsi con tutte le espressioni dell’attività umane, con creatività e spirito di adattamento
che nessuna altra epoca ha posseduto, in questa
misura.
Peppe Leone, artista di grande mestiere e di
grande spettacolarità, evocato da questa traccia
introduttiva, che a lui si ispira, propone l’adatta-
Ulisse
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mento della sua indole creativa, nell’evoluzione
delle tecniche artistiche, storiche, a contatto con i
bisogni e le esigenze d’oggi, come dimostra l’invenzione formale proposta per il cammeo materializzata nella serie de L’Uomo e Vesuvio, la cui
pittoricità è stata pensata per essere trasferita negli esemplari unici, di un oggetto di valore.
È partendo da qui che si comprende l’importanza
e l’originalità del progetto portato avanti da Giuseppe Leone, in collaborazione con il maestro incisore del cammeo e del corallo Francesco Scognamiglio di Torre del Greco, a cui ha affidato la
difficile manipolazione della preziosa conchiglia:
una tradizione che affonda le proprie radici nel
tempo della storia e trova in queste occasioni la
possibilità di lavorare sul nuovo, rinsanguando
la propria qualità, al di fuori di una ripetizione
prestigiosa sicuramente, ma in imminente pericolo di monotonia di attenersi al tema, ma nello
stesso tempo, con l’arguzia barocchesca del particolare, interpretato a partire dalla propria psicologia e sensibilità, tanto è vero che l’esito è ogni
volta inaspettato, dimostrando che in arte, non
si volta mai pagina, ma si prende e si dà, senza
intermissione, perché ogni invenzione non può
fare a meno di un passato, del passato come essenzialità e metafisica del linguaggio, che traduce l’invisibile o il possibile in trama e ordito del
L’Approdo di Plinio
Il Mito e l’Antimero
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nuovo, del fantastico reale. Questo perché l’arte
non è tecnica e basta, ma emblema della civiltà
materiale sublimazione del visibile, nel nome di
un progetto artistico di alto profilo, come questo
che Peppe Leone propone, nell’iconografia di un
vulcano, in gioiosa eruzione, con una barchetta di
carta che solca le sue prossimità e il volto di un
Plinio, che in ogni epoca e in ogni realtà, si trova
per narrare e fondare memoria, della gioia e del
dolore, della commedia e della tragedia.
Tutto si tiene, come sempre, nel concerto della
diversità, della particolarità che è una incommensurabile risorsa ed energia, che esprime un
movimento multi direzionale orientato alla ricerca della qualità, il tutto tenuto insieme nella regia ferma e discreta di questo artista il cui pregio
maggiore è la trasparenza, la leggerezza, che si
mette in scena e mette a disposizione degli altri
il proprio effetto di padronanza, che è delicato,
rispettoso, armonizzante, quanto deciso e risolutivo.
Francesco Gallo (Mazzeo)
L’Uovo di Virgilio
La Mano di Prometeo
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Tentazione di Zeus
Incanto
Ammonimento
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Le PRODIGIOSE METEORE di Giuseppe Leone
Queste particolarissime opere grafiche di Giuseppe Leone sembrano provenire direttamente da un
altro mondo.
Non tanto perché una solfurea mitologia ne rappresenta l’asse portante, ma soprattutto per il modo in
cui s’intrecciano segni e forme figure e scene, umori beffardi e trame favolistiche.
Chi colloquia con i reperti di un mondo antico, le cui vestigia sono tutt’ora visibili nei luoghi carichi
di archeologia, e un magico evocatore, un incantatore di serpenti, un esploratore del fantastico all’ennesima potenza, del surreale.
Manovrando e spostando i fili di un fascinoso teatrino, Leone fa incontrare fauni e angeli ribelli, animali danzanti e donne ammaliatrici.
Il tutto in un’aura di sortilegio, con passi di danza leggiadri o stupefatte movenze, brividi di pagana
e febbrile vitalità.
Si potrebbe pensare a questo punto che l’artista si sia fatto prendere la mano dai suoi personaggi e che
non sia più in grado di dominarli, tanta e tale è la dovizia di apparizioni e di gesta.
Nulla di più improbabile, anzi di falso.
La gemmazione spontanea di figure (o figurine?), la fantasmagorica e rutilante giostra tra terra e cielo,
tra sotto e sopramondo, il felice e sontuoso vagabondare nel paese della meraviglie -una Benevento
che si fa scuotere e avviluppare dalle sornione o veementi vampe vesuviane- mai perdono il controllo dell’impianto compositivo, della struttura narrativa, del disegno; e disegno è dire poco. Incisioni,
sculture, miniature: così appaiono queste spettrografie, questi sogni ad occhi aperti, queste prodigiose
meteore immaginarie del pittore di Buonalbergo.
Per il quale la notte nasce dal giorno e la luna è -leopardianamente?- figlia della rimembranza.
Napoli marzo 1993
Michele Sovente
Pensiero Riflesso
Particolare base conchiglia
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L’ARTE DEL VIAGGIO
Nel 2012, la mia produzione artistica si è fatta ancora più attuale e vicina ai temi storici contemporanei portando alla luce il ciclo intitolato “Il Grande Esodo” riguardante l’immigrazione.
Ciò non mi ha allontanato dal mito, che mi ha permesso di analizzare un fenomeno così presente attuando un parallelismo con la figura mitica di Ulisse. Il migrare oggi non è un approdo su
nuove terre ma in una società già consumata, in un benessere utopico, dove la barchetta non è
più quella di “Nessuno”, ma la tragedia dei gommoni è più vera e tragica del viaggio Omerico.
21
Partenza
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Giuseppe Leone: l’ARTE DEL VIAGGIO
Il viaggio è uno dei motivi primigeni e caratteristici dell’identità umana. Una dimensione, reale e immaginaria, che è connaturata al modo
di essere di Sapiens. Giuseppe Leone, in questo ciclo interessante e suggestivo del
suo viaggio di artista, ci propone una sua ermeneutica, assai complessa, sul terreno squisitamente concettuale e di grande seduzione, sul piano immediatamente estetico. Al centro della sua
ricerca vi è “L’esodo”, una categoria che sopporta una memoria semantica spaventosa e sublime,
un termine dalla valenza universale e diacronica,
che ha un fondamentale valore generativo, in
rapporto all’identità del mondo mediterraneo, e
che assume un connotato, ancor più particolare,
in relazione ai percorsi accidentati sui quali si
sono costruite la storia e il carattere dell’Occidente. Ma la “lettura” del fenomeno, che Giuseppe Leone ci propone, non guarda semplicemente
al mito, anche se questo è sempre sullo sfondo
della sua ricerca. L’artista volge il suo sguardo,
anche e non marginalmente, ai significati che il
viaggio assume nella declinazione contempora23
nea. La sua osservazione è attenta e partecipe.
Egli prende di petto la questione, nella drammaticità con la quale essa si manifesta oggi, fra una
cronaca che è già storia e una storia che non riesce a sottrarsi al cannibalismo della cronaca.
Giuseppe Leone affronta il tema alla sua maniera,
con gli strumenti, i codici e lo stile di quell’espressività artistica, sincera e violenta, che gli è
propria. Eppure, il suo racconto si snoda attraverso momenti, intrisi, in ogni punto, di una profonda umanità. Ma è l’uso della simbologia, coniugato a spunti di brutale iperrealismo, il cuore
del suo discorso. Le barche di disperati che partono dall’Africa, dal Medio Oriente, dirette sulle
coste europee del mediterraneo, divengono, nelle sue opere, le barchette di carta, che ogni bambino ha fatto navigare nel bagnetto della sua infanzia. Ma il riferimento infantile, naif, non deve
trarre in inganno, esso non vuole, in alcun modo,
ridimensionare la portata del dramma di questi
anni. Su quelle barchette, su quelle “navi”, su
quelle carrette del mare, che Giuseppe propone
in tutte le opere di questo ciclo, vi sono a bordo
individui autentici, bambini, donne, uomini, che
nasconderlo o per edulcorarla. Europa,
come una sirena del mito, è lì seducente,
ed è verso di lei che si tendono le braccia
di questi disperati. L’Europa, questa affascinante creatura fisica e immaginaria,
ha un profilo nitido e delicato, che lascia
presagire la sua grande bellezza interiore,
ma è una silhouette di stile magrittiano,un disegno che mostra solo i contorni,
dentro c’è un vuoto. È una vacanza di
senso, un deserto di significati, un vuoto
di valori? Oppure semplice e colpevole
inanità? Non saprei dirlo. È il fruitore,
con il suo finish, che si deve fare protagonista, che deve dare il suo contributo,
per fornire significati all’opera. Una cosa
è certa queste mani che si protendono
verso la vecchia-giovane Europa, non
sono tutte candide e immacolate. Vi sono
anche mani rosse, sporche, grondanti di
sangue. Forse è lo stesso sangue che coApprodo
lora tragicamente anche il mare, oppure
che scorre, attraverso rivoli sottili, come
soffrono e spesso muoiono, annegati, brutalizzati quello che può sgorgare dal foro prodotto su un
da spietati mercanti di carne umana, sparati, a corpo, da un colpo di fucile o di revolver, che si
bruciapelo,da questi criminali sfruttatori del do- intuisce più volte nei quadri di Giuseppe Leone.
lore, annegati, asfissiati nelle stive. Oppure, get- E fra quelle mani, protese verso Europa, ve ne
tati in mare dai loro stessi “compagni” di viaggio, sono di ogni genere, vi sono quelle che vogliono
perché scoperti “infedeli”. È una faccenda estre- abbracciare, congiungersi, trovare accoglienza,
mamente complicatae Giuseppe non fa nulla per come un bambino che si rifugia fra le braccia
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amorevoli di una madre, ma vi sono anche
mani violente, criminali, che vogliono invece ghermirla, stuprarla, assassinarla, nel corpo e nello spirito. Giuseppe Leone lo sa e la
sua opera non lo nasconde. Anzi lo rivela,
con uno stile che mette in campo il ragionamento e contemporaneamente parla alle
emozioni. Un modo di comunicazione, intrinsecamente artistico, che rifugge ogni retorica. E in questo vi è uno dei pregi maggiori della sua creazione. Non vi è ridondanza
nell’opera di Leone, non vi è mai, anche
quando ci propone un’immaginaria lingua,
coi suoi segni vagamente orientali, un alfabeto fantastico, che spesso si imprime su uno
sfondo nero, come certe bandiere cupe che
vediamo in tanti filmati, vecchi e nuovi, alla
televisione, il che ci fa pensare, ancora una
volta. Insomma, Giuseppe Leone, ci dice che,
di fronte alle tragedie sconvolgenti in atto,
abbiamo bisogno di fare spazio nella nostra
testa, abbiamo necessità di aprire la nostra
mente. Ma aprirla come? Come un dispositivo di comprensione, analisi, conoscenza, che è
capace di discernere ciò che è utile e buono, o
come una bocca che, ingenuamente ingorda, si
prepara a inghiottire qualunque boccone, anche
quello avvelenato? Oppure, peggio ancora ritrovarcela divisa in due, da un colpo di accetta? Anche qui, l’artista fa il suo mestiere. Scopre uno
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Europa
scenario di riflessione, apre uno squarcio, pone
una domanda, e ci costringe tutti a riflettere. Del
resto gli oggetti, tutti, organici e inorganici, materiali e immateriali, fisici e concettuali, sono
quasi sempre innocenti. Colpevole è l’uso che di
essi facciamo, la funzione che vi attribuiamo, di
volta in volta. Persino un filo spinato, può diveni-
può spezzarsi per consentire alla libertà, all’amore, di vincere, di trionfare, di passare. Ma se
a entrare nel “dipinto”, a tentare di invaderlo,
colonizzarlo, brutalizzarlo è la cultura, l’ideologia, la logica di un mondo, inconfondibilmente
evocata dalla mano mozzata, se a invocare, con
presupposti levantini, l’accoglienza, è questa
concezione della vita, allora il quadro resta e
deve restare impenetrabile. Altrimenti per Europa è la fine. È chiaro che certi sistemi di pensiero, certe Weltanshaung, continueranno a immaginarsi come utopia e mito, idea nobile e astratta,
di mondi perfetti e puri, come gli sfondi e le
strisce dorate che Giuseppe Leone mette nei
quadri del suo “Esodo”. Ma Europa ha già sperimentato sulla sua pelle come, quelli che per
alcuni sono sogni meravigliosi, nobili utopie, si
rivelano, tragicamente e per tutti, come gli incubi peggiori, i più terrificanti che si possa immaginare. Meglio allora riferirsi al mito del viaggio, che sempre e ineluttabilmente è duro,
difficile, periglioso, come quello di Ulisse, e di
centinaia di generazioni greche, che su una barchetta, forse poco più grande di quelle che rappresenta Giuseppe Leone, volsero la prua ad
Occidente e vennero a dare il loro radicale contributo alla creazione del “nostro” mondo. Su
quelle barchette che dalle coste dell’Ellade, arrivavano nel nostro Sud, viaggiavano la filosofia,
la moneta, e l’embrione della democrazia. Dob-
Divora-menti
re una corona di spine, che evoca, ineluttabilmente, la vicenda di un Dio, che si fece uomo,
per insegnarci, col suo estremo sacrificio, la via
per la salvezza, per regalarci il verbo universale
della solidarietà. E così, quello stesso filo spinato, che, srotolato attorno ai campi di sterminio, è
il segno indelebile della crudeltà e dell’infamia,
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biamo molto a quegli immigrati. All’emigrazione greca e poi a quella giudaico-cristiana dobbiamo tutto quello che siamo: la
libertà, l’eguaglianza, la vita. E l’arte?
Può ritenersi estranea a questa vicenda?
Può immaginarsi avulsa da questa grande
epopea? Io non lo credo affatto. E Giuseppe Leone neppure. egli sa che l’arte non
può rimanere sorda davanti ai drammi del
reale e del mondo. Forse per questo sulla
sua tavolozza ha disseminato tanti cotton
fioc. Abbiamo bisogno di aprire molto
bene le nostre orecchie e metterci all’ascolto delle tragedie della contemporaneità. Abbiamo bisogno di capire e di scegliere. Di essere vigili e pronti. Il dramma
in atto, le minacce di fronte ai nostri occhi,
sono tali da far tremare i polsi. E l’arte
non può ignorare la realtà dell’Olocausto,
quello già visto, quello immanente e possibile. Disse un cattivo filosofo, in un suo
momento di lucidità e di saggezza, che
dopo Auschwitz non era più possibile fare
“poesia”. Io credo, invece, che si debba fare ancora poesia, il genere di poesia che è da fare, dopo
una tragedia di questo genere. Ovvero, penso che
la poesia sia necessariamente cambiata dopo
quella vicenda, dopo quell’orrore. Oggi la poesia
ha il compito di non permettere mai più che accada. Quello così come altri orrori. E l’arte che
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Avviso ai Naviganti
cos’è se non “creazione”, ovvero poesia? Forse è
questo che Giuseppe Leone vuole dirci, con il
suo pennello attaccato alla tavolozza, immobile,
ingabbiato, impedito nel movimento, imprigionato dal filo spinato, e con un buco di proiettile,
dal quale fuoriesce, ancora una volta, il sangue.
Il colore vermiglio, vivido, inconfondibile, della
Utopia
vita e della morte. No, l’arte non è morta. L’autore non vuole comunicare questo. Forse il titolo
migliore per quell’opera sarebbe stato: “questa
non è una tavolozza”, no, è, piuttosto, uno stimolo, una sollecitazione a ripensare un’estetica del
mondo. Insomma, Giuseppe Leone vuole dirci,
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“semplicemente”, che l’arte ha di nuovo, come
sempre, un compito fondamentale da assolvere.
E lui sta, con passione e coraggio, facendo la sua
parte.
Luigi Caramiello
Napoli, 8 novembre 2015
Narciso
Il tema del Viaggio rimane immutato anche nella mitologia del Narciso. Il Narciso è, a suo modo,
un esploratore. Un viaggiatore. Un migrante. Migra dal Sé verso il Sé. L’Io per il Narciso è punto
di partenza e di approdo. Un viaggio non meno tormentato. Nel Narciso non si tratta di raggiungere
un eden lontano, una terra promessa carica di speranze, ma di ricongiungersi alla propria stessa
identità. In entrambi casi è un viaggio verso la bellezza. Il Narciso diventa un Ulisse che ritorna
a casa. Un Magellano che naviga in tondo. Anch’egli ha una nave. La sua nave è un volto riflesso
nell’acqua, una vanità che ha i contorni di una uguale tragedia. I Migranti d’oggi viaggiano su due
navi. I barconi malfermi, con cui attraversano fisicamente il mare. E poi un telefono cellulare, un
cordone ombelicale mai reciso. A cui affidano continuamente il compito di compiere un metafisico
viaggio a ritroso. Verso le case da cui sono partiti. Verso l’identità che si apprestano a perdere, verso
la propria personale memoria. Come Narciso, un viaggio dal Sé al Sé.
Narciso e Liriope
Le Linee della Conoscenza
La Mano di Tiresia
Narciso Némesi
Eco e Narciso Selfie
La Profezia di Tiresia
Biografia
Giuseppe Leone nasce a Buonalbergo (BN) nel 1948.
La sua carriera coniuga da sempre una continua ricerca pittorica con un’intensa attività a tutto campo nel mondo della cultura. Artista, giornalista, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e più recentemente
apprezzato divulgatore e conferenziere. La sua prima personale è del 1979 alla Certosa di San Giacomo di
Capri. Leone presenta le opere del “Ciclo di Esther”. Scrive, in quest’occasione, il poeta Michele Sovente:
“Lo spazio pittorico è vasto, scandito con una pulizia meticolosa quanta pulizia vi è nel mondo di Esther - e al
centro, come su un trono, domina la cartolina... Incorniciata dall’oro. Un colore di una tragicità e di una cattiveria assoluta. Che non strizza l’occhio al kitsch ma si rivela nella sua forma di mimesi rovesciata”. Già nel
1981 vede la luce un nuovo ciclo che prenderà il nome di “La Luna, la Chiave e …” in mostra nello stesso
anno agli Arsenali della Repubblica di Amalfi con la curatela di Massimo Bignardi. È ancora il meccanismo
narrativo di Esther - quello che l’artista stesso definirà del “teatrino” ma che viene ora esasperato, trasposto
dal piano del vissuto personale a quello del desiderio collettivo. “La ricerca artistica di Giuseppe Leone, nel
corso degli anni passati era stata acutamente sollecitata dalla possibilità di innestare sul tronco dell’immagine la linea del discorso verbale e della parola scritta. Ma rapidamente nel corso di una esperienza pittorica
divenuta via via più intensa e ricca di risultati l’artista è venuto neutralizzando la dimensione semantica della
parola (o dell’oggetto) inseriti nel contesto del quadro, e ne ha sviluppato, invece, il momento di libertà gestuale, di presenza percettiva rapida ed immediata”. Così scriveva Vitaliano Corbi nel 1983 in occasione della
mostra curata da Bruno Corà alla Dehoniana di Napoli. Nel solco di una lucida consapevolezza compositiva e
coloristica, (quella “capacità psico-espressiva del colore” di cui scriverà ancora Massimo Bignardi nel 1988)
l’artista si concentra in questi anni sull’aspetto gestuale e spesso materico del fatto pittorico. Lo spazio del quadro perde progressivamente di geometria, acquistandone però in rigore: Leone traduce in pittura il linguaggio
e la metrica della grafica editoriale che in quegli anni andava analizzando nel suo lavoro presso le redazioni
delle maggiori testate giornalistiche italiane: è quello che Corà definisce in un suo scritto dedicato all’artista “il
Teorema emotivo dello spazio” nel 1983.”Non pongo limiti alla mia attività artistica: può essere il figurativo
o ancora l’astrazione, l’oggetto della mia ricerca... Mi sento come un esploratore in cerca di nuove verità, di
altri fattori della conoscenza”. Così Leone in un’intervista del 1986. Leone nel corso degli anni ’80 è artista
di primissimo piano nell’effervescente panorama artistico napoletano. Ma è anche intellettuale a tutto tondo e
le sue opere sono l’espressione, se non il distillato, di un dibattito che è teorico e sociale e di cui egli stesso è
promotore ed interlocutore di rilievo.
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Di questa carriera che è fatta di opere ma anche di scambi d’idee, dialogo e discussione con i maggiori intellettuali italiani, è degna di nota l’amicizia con l’artista poeta Luciano Caruso nel corso degli anni Novanta.
Amicizia che diventerà poi una vera e propria comunione d’intenti per una serie di opere eseguite a quattro
mani. In questa collaborazione Leone rende la sua superficie pittorica, da sempre attratta dal dato grafemico,
disponibile alla poesia di Caruso. Si innesta così, senza soluzione di continuità, un tratto che è segno, oggetto,
scrittura, ora muta ora significante.
Sempre a partire dagli anni Novanta l’artista ricopre la cattedra di Tecniche Pittoriche all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Non è una deviazione dalla stringente analisi dell’oggetto quadro che caratterizza tutta la
sua pittura. Quella di Leone è, di fatto, una pittura tecnica. Per molti aspetti coltissima e di mestiere. Sempre
coerente nei meccanismi teorici a dispetto dei continui mutamenti narrativi e formali. In questa attività di insegnamento Leone sviluppa un metodo didattico personalissimo, improntato al dialogo con gli studenti e alla
costante pratica sul campo. Iniziative che spesso travalicano i confini scolastici per tramutarsi in eventi internazionali come il recente progetto “Cina Cina Cina” in collaborazione con le accademie d’arte di Pechino.
Anche gli anni a cavallo tra la fine degli anni Novanta ed i primi Duemila sono segnati da numerose personali:
“Segni e Magia”, “II Tempo l’Anima e le Forme” e “Nello Spazio come nel Tempo” succedutesi fino al
2003 in varie sedi italiane.
Nell’ultimo decennio Leone è giunto a posizioni di sintesi stilistica su tutta quanta è stata la sua produzione.
Il suo quadro è diventato, negli anni, una sorta di membrana permeabile all’Impressione. La sua è una ricerca,
che indaga tanto le ragioni dei contenuti che quelle dei linguaggi e delle tecniche. Leone giunge a concepire
un’opera recettiva. Recettiva degli spazi, delle tradizioni così come degli eventi più attuali. Quadri, interventi
site specific, oggetti e manufatti, in grado di fissare di volta in volta uno spirito del tempo che è sempre uguale
eppure sempre cangiante. Per la sua pittura lo storico dell’arte Luciano Caramel parlerà di una permanente
“Mitopoiesi” in cui si sublimano in mitologia tanto la classicità che la moda del momento. Tanto un passato
arcaico che un futuro che è sempre più tecnologico. Di questa evoluzione sono esempio la mostra “Unità Mito
e Storia”, che lo stesso Caramel cura all’Accademia Licustica di Genova nel 2005. La vasta antologica che
il Museo Arcos di Benevento gli dedica nel 2011 e il ricco volume “Oro, Petrolio, Alchimie” che segna una
accurata ricognizione documentaria dell’intero corpus dei suoi lavori. Ancora nel 2011 un importante riconoscimento verso la sua ricerca arriva dalla casa editrice Electa Mondadori che pubblica uno dei suoi Narcisi nel
volume dedicato alla storia del disegno per la collana I Generi dell’arte a cura di Marco Bussagli. Tra le iniziative più recenti, la performance con lo Chef Pietro Parisi “l’Arte del Gusto - il Gusto dell’Arte” all’Expo
Universale di Milano del 2015.
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Finito di stampare nel mese di gennaio 2017
nella litografia