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PRIMO PIANO
Venerdì 13 Gennaio 2017
Nella sentenza della Corte Costituzionale sul referendum proposto dalla Cgil sul Jobs Act
C’è, evidente, la mano di Amato
Alla Consulta si respira attualmente una nuova aria
LA LETTERA
I pasticci giuridici del Policlinico di Milano
I
l Policlinico di Milano ha adottato un «Regolamento delle funzioni
di gestione da parte dei dirigenti …».Punto critico l’art. 4. Primo
comma: «Nell’attuazione della delega dei
poteri gestionali, ivi compreso quello di
firma, ai dirigenti responsabili vengono
riconosciute le competenze e la titolarità dell’adozione degli atti amministrativi
compresi gli atti conclusivi che impegnano la ondazione verso l’esterno per i quali
i medesimi abbiano curato l’istruttoria e
abbiano ottenuto l’autorizzazione a procedere del direttore generale, fatto salvo
i casi in cui è espressamente stabilita la
competenza di altri organi della Fondazione, così come dettagliato nell’art. 1 …».
In realtà, l’articolo da richiamare è il
2: «Ai dirigenti responsabili sono conferiti
…» (cioè attribuiti, non delegati) «tutti i
poteri di gestione finanziaria, tecnica e
Vignetta di Claudio Cadei
DI
DOMENICO CACOPARDO
S
e il buon giorno si
vede dal mattino,
possiamo dire che la
sentenza della Corte
costituzionale sul referendum proposto dalla Cgil contro il Jobs act costituisce un
buon viatico per la prossima
decisione sulla legge elettorale denominata «Italicum».
Dobbiamo metterci l’animo
in pace e accettare il fatto
che la Corte costituzionale è
un organo politico, composto
da persone con cultura giuridica. Come si sa, il diritto
è come la pelle degli attributi: è, in effetti, la disciplina
(umanistica) più opinabile e
discutibile che ci sia insieme
alla filosofia e alla sociologia.
Tutte materie strettamente
legate alla visione politica e
interconnesse tra loro. Prima
che illusorio, è stupido immaginare quindi un consesso (la
Corte) dedito al culto e alla
celebrazione di un entità superiore, il DIRITTO. Nella
realtà, come la storia della
Repubblica dimostra, è un
organismo generalmente devoto al penultimo presidente
della Repubblica (come dimostrò il pessimo Oscar Luigi
Scalfaro con l’immissione di
giudici appartenenti a una
specifica frazione del pensiero cattolico) e alla penultima
maggioranza parlamentare.
Quindi, volta a volta, progressista o conservatore, a
seconda della fase politica
attraversata dal Paese.
Oggi, occorre dire che
l’esperienza, la scienza giuridica, la capacità politica e
negoziale di Giuliano Amato, lo hanno fatto diventare
uno dei punti di riferimento
della Corte, in collegamento
permanente (ed efficace) col
Quirinale: la sua mano si
vede (e viene riconosciuta)
nella decisione sul referendum Cgil (vale la pena di
ricordare che proprio Amato
-agli albori della sua attività
politica- operava nell’Ufficio
studi di quel sindacato). Infatti, nonostante le rigidità
di alcuni esponenti ancorati
alla decisione del 2003, che
ammise il referendum, poi
fallito, sull’art. 18 (con allargamento della platea dei
beneficiari) la maggioranza
ha accettato di riconoscere
l’esistenza dell’insuperabile
ostacolo dell’impossibilità
(varie volte smentita con
sentenze spesso molto discutibili) di sostituirsi al Parlamento, ponendo in essere,
di fatto, una vera e propria
nuova legislazione.
Questa posizione ha
sbarrato il passo a una
consultazione sulle modifi che apportate (col Jobs act)
all’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori, lasciando aperta
la strada al referendum sui
voucher e sugli appalti (la
demenziale disciplina che
vigeva prima del Jobs act che
gravava l’appaltatore delle
violazioni della normativa
previdenziale da parte del
subappaltatore, una vera e
propria traslazione delle responsabilità civili, amministrative e penali che, di per
sé, presenta vari profili di
possibile incostituzionalità).
A parte l’eventualità, annunciata, di modifiche alle norme sui voucher e di elezioni
anticipate, è facile prevedere
che il referendum rimasto in
piedi avrà scarse possibilità
di raggiungere il quorum,
rimanendo quindi confinato
nell’ambito dei tanti «vorrei
ma non posso» che gravano
amministrativa compresa l’adozione di
tutti gli atti che impegnano la Fondazione
verso l’esterno mediante l’esercizio di autonomi poteri di organizzazione … e nei
limiti dei poteri propri rientranti nelle
funzioni dirigenziali a cui si è deputati,
ovvero nei limiti delle deleghe conferite
e del budget assegnato.»
Qui emerge la confusione giuridica tra delega e attribuzioni intrinseche
al ruolo dirigenziale e connesse all’incarico conferito. La delega è un trasferimento
provvisorio di poteri che non sono in capo al
dirigente delegato ed è sottoposta al controllo del delegante. I «poteri gestionali» sono
invece propri dell’incarico ricoperto e non
sono delegati, ma attribuiti, esplicitamente
e implicitamente, con l’atto di conferimento
dell’incarico.Per evitare contenziosi e confusioni serve una correzione.
Ambrogio Rovidetti Detti
sulla storia delle proposte di
consultazione popolare.
Perciò, a questo punto,
cosa possiamo aspettarci dalla
prossima decisione della Corte
costituzionale sull’Italicum?
Se l’accaduto ha un senso
compiuto (e lo ha), dobbiamo
aspettarci una sentenza strettamente ancorata al testo di
questa legge elettorale che ritaglierà, espungendole, le parti (non molte) che presentano
evidenti vizi di illegittimità
costituzionale. Il punto critico è il rapporto tra eletti ed
elettori che non potrà essere
travolto dall’uso (eccessivo o
limitato) di listini preconfezionati.Ci stiamo inoltrando
troppo, però. Non è giusto
anticipare eccessivamente
le sensazioni che la Corte
ha diffuso con la decisione
sull’art. 18. È più corretto
attendere l’udienza e la pubblicazione della sentenza.
Ma, nell’attesa, al posto
di Renzi mi sentirei ottimista sulla tenuta dell’impianto
generale di una legge elettorale maggioritaria. Ma pessimista sulla pessima idea di
portare, correndo, gli italiani
alle elezioni generali.
www.cacopardo.it
PUNTURE DI SPILLO
Il quesito della Cgil era scritto con i piedi
DI
P
GIULIANO CAZZOLA
are che l’Occhionero ce lo abbia
fatto la Cia.
***
La Consulta ha bocciato il quesito della
Cgil in materia di licenziamenti individuali. Nelle motivazioni scriverà certamente che, tra i tanti motivi di inammissibilità, ve ne era uno di carattere
preliminare: per formulare i quesiti si
devono usare le mani (e possibilmente
anche il cervello), non… i piedi. È sufficiente leggere, sul sito della Confederazione, lo speech con il quale veniva
presentato ed argomentato il quesito.
Leggiamo insieme: «Secondo la normativa vigente, un licenziamento ingiustificato prevede il pagamento di un’indennità che cresce con l’anzianità di servizio,
con un minimo di 4 e un massimo di 24
mensilità. La Cgil chiede il referendum
per il reintegro nel posto di lavoro in caso
di licenziamento disciplinare giudicato
illegittimo, estendendolo anche per le
aziende sotto i 15 dipendenti, fino a 5
dipendenti. Nelle aziende con meno di 5
addetti il reintegro non sarà automatico
ma a discrezione del giudice. In caso di
reintegro, sarà il lavoratore a scegliere il
risarcimento congruo o il rientro».
***
Se abbiamo letto con attenzione lo
speech e facciamo la stesso cosa con il
quesito ci accorgiamo di alcune vistose
discrepanze. In primo luogo la normativa vigente citata si applica soltanto
ai nuovi assunti dal 7 marzo 2015, non
a tutti i dipendenti. Nel quesito, non
veniva, poi, manomessa soltanto la disciplina del licenziamento disciplinare
(per giusta causa o giustificato motivo
soggettivo), ma anche quella del recesso
per motivo oggettivo (ovvero per motivi
economici attinenti all’organizzazione
dell’impresa). In sostanza, il confine
dell’applicabilità si sarebbe spostato
da 15 a 5 dipendenti anche per questa
fattispecie. Così pure, non vi è traccia,
nel quesito, della facoltà del giudice di
sancire la reintegra anche nelle aziende
con meno di 5 dipendenti.
***
Proprio perché il pressapochismo e l’incompetenza hanno un limite (la Cgil,
per quanto decaduta, non è il M5S) ci
è venuto il dubbio che, nello speech, la
più importante confederazione italiana
tracciasse le linee della disciplina dei licenziamenti prefigurata nel progetto di
legge d’iniziativa popolare definita «Carta dei diritti universali dei lavoratori»
(proprio così: Susanna Camusso si è
messa in concorrenza con Eleonor Roosevelt, che patrocinò la Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo), alle cui
presa in considerazione ed approvazione
da parte del Parlamento erano finalizzati, come stimolo, gli stessi referendum.
***
Bene. Prendiamo per buona questa
spiegazione. Con alcune considerazioni.
Una di carattere tecnico: se il referendum fosse stato ammesso, e svolto con
voto favorevole, la frittata sarebbe stata
fatta come indicato dal quesito (incluso
quindi il licenziamento economico). Ma
l’aspetto più grave è ancora un altro.
Ammettiamo pure che sia sacrosanto
tutelare meglio il lavoratore in caso di
licenziamento disciplinare illegittimo
e che la Cgil perseguisse solo questo
obiettivo. Ma la su proposta (si veda
lo speech) arrivava ad imporre la reintegra, al posto del risarcimento patrimoniale, anche per i datori con più di
5 dipendenti. Non solo, al di sotto di
quel limite, la sanzione tra reintegra
e risarcimento veniva affidata alla discrezionalità del giudice. Ogni ulteriore
commento ci sembra superfluo. Ci basti,
solo, far notare al salumiere sotto casa
quale rischio avrebbe corso nel licenziare il suo unico commesso che è solito
arrivare in ritardo.