1 Abrogazione tacita del coacervo ai fini dell`imposta sulle

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Abrogazione tacita del coacervo ai fini dell’imposta sulle successioni
di Valeria Mastroiacovo, 11 gennaio 2017
1 (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, 6 dicembre 2016, n.24940)
(Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, 16 dicembre 2016, n. 26050)
Con due sentenze (molto simili seppure non identiche nelle argomentazioni) depositate a pochi giorni di
distanza (nn. 24940/2016 e 26050/2016, ud. 24 novembre) la Corte di cassazione sembra avere
definitivamente concluso per l’abrogazione implicita dell’art.8, comma 4, del testo unico dell’imposta sulle
successioni e donazioni (d.lgs.n.346/1990) “per incompatibilità applicativa di una disposizione per effetto della
formale modificazione del regime impositivo di riferimento contenuto in un’altra disposizione” (Cass.
24940/2016).
A ciò si giunge attraverso un’interpretazione rigorosa dei frammenti di disposizioni esito delle stratificate
vicende normative che hanno interessato il tributo negli ultimi sedici anni (dalla riforma introdotta con l’art.69
della legge n.342/2000, alla soppressione dell’imposta ad opera della legge n.383/2001, alla re-istituzione della
stessa con l’art.2, commi da 49 a 52, del d.l. n.262/2006, così come convertito dalla legge n.286/2006).
Nessuno spazio dunque per un’interpretazione adeguatrice o sistematica, ma una necessitata interpretazione
formale dell’infelice disciplina “per rinvio” rinvenibile all’esito dell’ultimo intervento normativo in materia.
Un’interpretazione che parte della dottrina aveva già prospettato nei medesimi termini oggi posti a
fondamento delle citate pronunce di Cassazione, tuttavia evidenziando, al contempo, che tale ricostruzione
“coerente con quanto risulta dalle modifiche al dato normativo, urta senz’altro con un’interpretazione
sistematica delle norme e porterebbe con ogni probabilità a un vizio di costituzionalità per difetto di
ragionevolezza” (FRIEDMANN, GHINASSI, MASTROIACOVO, PETTERUTI, Studio del Consiglio nazionale del
notariato, n.168-2006/T, Prime note a commento della nuova imposta sulle successioni e donazioni, par.2.3;
MASTROIACOVO, Il cumulo di donatum e reclictum nella nuova imposta successoria, in Corr. Trib., 2007, 1719).
Proprio sulla scorta di tale irragionevolezza, del resto, parte della dottrina aveva comunque ritenuto di poter
aderire, mediante un’interpretazione sistematica, alla posizione prospettata dall’Agenzia delle entrate (C.M.
n.207/E del 2000 e circ. n.3/E del 2008) per cui il riferimento doveva essere inteso ai fini dell’erosione di
un’unica franchigia da verificare in sede di imposta di successione (cfr. GHINASSI, L’istituto del “coacervo” nella
nuova imposta sulle successioni e donazioni, in Rass. Trib., 2007, 737; da ultimo, IDEM, La fattispecie impositiva
del tributo successorio, Pisa, 2014, 17). Fin dalla C.M. n.207/E del 2000 l’amministrazione affermò che il
coacervo, di cui al comma 4 dell’art.8, doveva essere effettuato esclusivamente ai fini dell’erosione della
franchigia, considerando ciò in linea con l’eliminazione della progressività delle aliquote e il venire meno
dell’unica massa imponibile. Tale posizione, confermata nei successivi documenti di prassi (Circ. n.3/E del 2008
e 18/E del 2013), è stata da ultimo ribadita nelle istruzioni al modello di dichiarazione di successione e
domanda di volture catastali trasmissibile per via telematica approvato il 27 dicembre 2016 dal Direttore
dell’Agenzia delle entrate.
La questione trae origine dalla contestazione di avvisi di liquidazione per il pagamento della maggiore imposta
di successione derivante da dichiarazioni presentate notificati dall’Ufficio fiscale nel presupposto della
permanente applicabilità alle successioni dell’istituto del coacervo tra relictum e donatum anche a seguito della
re-istituzione del tributo nel 2006.
La Cassazione accoglie il ricorso del contribuente ritenendo fondato (e assorbente) il motivo con cui si assume
“superata e svuotata di ogni contenuto e residua sfera di possibile applicabilità” la previsione del citato comma
2 4 dell’art.8 ai sensi della quale “il valore globale netto dell’asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della
determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art.7, di un importo pari al valore attuale complessivo di
tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari (…); il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli
legati è maggiorato, agli stessi fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o
legatario. (…)”. Ciò in quanto – argomenta la Suprema corte – il cumulo giuridico delle donazioni era
espressamente limitato ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art.7 (ovverosia
delle aliquote progressive di cui alla tariffa allegata al d.lgs. n.346/1990, venute meno già in forza della citata
riforma del 2000 che aveva introdotto aliquote fisse in ragione del grado di parentela).
Si tratta allora di un passaggio interpretativo ulteriore rispetto a quello già precedentemente compiuto dalla
Cassazione (sentenze nn.29739/2008; 5972/2007 e 8489/1997) con cui si era affermato che il menzionato
comma 4 dell’art.8 non era finalizzato a ricomprendere nella base imponibile anche il donatum (oggetto di
autonoma imposizione), ma unicamente a stabilire – in funzione antielusiva – una riunione fittizia nella massa
ereditaria dei beni donati, ai soli fini della determinazione dell’aliquota da applicare per calcolare l’imposta sui
beni relitti, in un sistema di imposizione progressiva. Ed infatti, “fermo restando che il cumulo non sortiva
effetto impositivo del donatum, ma soltanto effetto determinativo dell’aliquota progressiva, si ritiene logica e
coerente conseguenza che, eliminata quest’ultima in favore di un sistema ad aliquota fissa sul valore non
dell’asse globale ma della quota di eredità o del legato, non vi fosse più spazio per dar luogo al coacervo. Né,
una volta differenziate le aliquote del legge sulla base del criterio primario non dell’ammontare crescente del
compendio ereditario, ma del rapporto di parentela, poteva residuare alcuna ratio antielusiva”.
La Corte oggi infatti aggiunge a tali argomenti, quello testuale della formale abrogazione dell’art.7 commi da 1 a
2 quater che costituiva il riferimento e presupposto imprescindibile per l’applicazione del citato comma 4
dell’art.8. Osserva la Cassazione che “è vero che la disciplina qui applicabile richiama per quanto non disposto
dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 le disposizioni del d.lgs. n.346/1990 in quanto compatibili, ma le ragioni di
incompatibilità del cumulo ex art.8 permangono e trovano conferma anche alla luce della disciplina della
reintrodotta imposta di successione (…) Né può ritenersi che il cumulo ex art.8 sia tuttora vigente al residuale
fine di individuare la base imponibile al netto della franchigia esente da imposta”. Concludono infatti i giudici
affermando che “da un lato la lettera e la ratio dell’art.8 comma 4 erano inequivoche nel limitare la rilevanza
del cumulo ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili, e non altrimenti; dall’altro la legge
n.286/2006 ha rimodulato il regime di franchigia sull’imposta di successione e sulle donazioni, anche mediante
abrogazione della disposizione che precludeva la fruizione della franchigia sulla prima imposta qualora già fatta
valere, e fino a concorrenza del valore di fruizione, sulla seconda” (Cass. 26050/2016).
Sulla base di queste motivazioni – afferma la Suprema corte – “non è pertanto qui in discussione il principio
generale di irretroattività della norma impositiva, quanto – se mai – quello di abrogazione implicita per
incompatibilità applicativa di una disposizione per effetto della formale modificazione a seguito della quale essa
non ha più ragione, né modo, di operare” (in questi termini Cass. n.24940/2016).
Conseguenziale alle conclusioni della Cassazione è l’affermazione di due distinte e autonome franchigie. Tale
ricostruzione tuttavia evidenzia quella asistematicità già sopra menzionata per cui nel corretto tentativo di
espungere dal quadro normativo “frammenti” di disposizioni orami privi del loro originario significato, si giunge
attraverso una interpretazione rigorosa a ricomporre un sistema irragionevole innanzitutto quanto al
presupposto, che in questa prospettiva sembrerebbe duplicato (successioni/donazioni) o addirittura triplicato
3 (avuto riguardo anche all’asserita autonomia dei vincoli di destinazione).
Si tratta tuttavia di dubbi di ragionevolezza che difficilmente verranno sollevati presso la Corte costituzionale
poiché comportano certo un’applicazione del tributo in misura più lieve per il contribuente, la quale avrà
tuttavia un rilevante impatto economico andando ad ampliare l’ambito di “erosione della fattispecie
imponibile” attraverso appunto la duplicazione delle franchigie.
Nonostante l’interpretazione desumibile dalle sentenze della Cassazione sia chiara e possa definirsi oramai
consolidata, sembra difficilmente prevedibile un adeguamento ad essa da parte dell’Agenzia delle entrate. Del
resto, proprio in considerazione della denunciata irragionevolezza di una pur “necessitata” interpretazione e
delle ingenti conseguenze in termini economici, sembra prevedibile nel prossimo futuro un intervento del
legislatore: chissà se addirittura con una legge di interpretazione autentica al fine di “produrre” una
retroattività degli effetti, rispetto alla quale (non ne saremo sorpresi!) successivamente sarà finanche sollevata
questione di legittimità costituzionale, così aggiungendo ad irragionevolezza disuguaglianza ...
Quanto poi alla riferibilità temporale dell’interpretazione desumibile dalle pronunce si osserva che, la relativa
argomentazione, pur avvalorata dalle modifiche da ultimo intervenute nel 2006, trova la sua ratio nella
modifica del sistema impositivo (da progressivo a proporzionale) così da poter trovare analogo fondamento già
alle successioni apertesi nel vigore dell’art.69 della legge n.342/2000.
Pare in ogni caso opportuno ribadire che stante la diversa formulazione dell’art.57, primo comma, rispetto a
quella del citato art.8, comma 4, non pare possibile negare che il valore globale netto dei beni e dei diritti
oggetto della donazione è maggiorato di un importo pari al valore complessivo dei tutte le donazioni
anteriormente fatte dal donante al donatario, anche al fine di valutare l’eventuale erosione della relativa
franchigia, non sembrando correttamente argomentata la posizione di coloro che ritengono che da tale
interpretazione giurisprudenziale possa discendere addirittura la frammentazione delle donazioni in vista di
plurime reiterate franchigie sui singoli atti.