Elisa Montessori testo di Ilaria Gianni

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Transcript Elisa Montessori testo di Ilaria Gianni

Elisa Montessori
Ogni cosa è un’altra
A volte antiche conoscenze relegate ai margini del nostro cervello riaffiorano, ma è necessario che
siano le voci opportune a risvegliarle. Quella di Elisa Montessori mi ha rammentato che secondo
Plinio il Vecchio la pittura ebbe origine quando una donna tracciò il profilo dell'amato attorno
all'ombra proiettata dal suo viso, facendo così la propria comparsa sotto il segno di un’assenza /
presenza. Ha riportato alla mia memoria il postulato fondamentale di Lavoisier, che recita: Nulla si
crea, nulla si distrugge, tutti si trasforma. E poi, ancora, mi ha ricordato l’esistenza del Libro dei
Mutamenti e dell’ontologia taoista di Lao-tzu e Chuang-tzu. L’ombra, la metamorfosi, il vuoto,
sono tutti elementi che ricorrono nella grammatica dell’arte rapida e ritmata, passarella tra due
mondi e culture, che nell’artista genera il segno e il conseguente disegno.
Entrando nel suo studio a Via della Lungara, dinnanzi ai lavori che escono da armadi, cassetti,
rastrelliere, si è colpiti dalla coerenza di un lungo percorso folto e sfaccettato, a tratti interrotto dagli
eventi della vita, eppure impossibile da considerare discontinuo. A partire dagli anni cinquanta,
Elisa Montessori fa uso di linguaggi e tendenze stilistiche diverse, utilizzando una cifra minimale
tra astrazione pura e evocazione figurativa, senza mai assoggettarsi ad una tendenza, un movimento,
una moda. La sua è la storia della costruzione di un linguaggio indipendente, seduttivo, forte,
generante; e al contempo un percorso di emancipazione femminile basata su una libertà creativa e
politica che non ha mai creduto in una differenziazione di gender inscritta nella definizione di un
immaginario e di uno stile, piuttosto nel diverso modo di osservare, relazionarsi e tradurre la
visione.
La poetica di Elisa Montessori parte proprio dall’atto del guardare e rapportarsi con il mondo in
quanto corpo e sguardo, rifacendosi alla prima scrittura della mano, compulsiva, libera, a tratti
violenta, che porta a riprodurre non ciò che si vede dinnanzi a sé ma ciò che si conosce. Una mano
che sa più dell’occhio, con una memoria che non traduce la realtà ma registra l’esperienza. Il segno,
come lo sguardo, è un’incisione in costante trasformazione e quello di Elisa Montessori è un tratto
cumulativo e sottrattivo, che spinge, avanza, sposta l’orizzonte sempre più lontano. Cattura le linee
interne delle cose e fissa le relazioni tra di esse, da qui l’importanza delle forme stagliati contro un
fondo che rappresenta l’ignoto, che danno spazio alla metamorfosi.
Il suo segno deriva dalla natura: struttura e imprimitura di ogni lavoro dell’artista. Una natura
composta da respiri vitali che animano l’universo, intesa nel suo incessante divenire, nella sua
costante germinazione e tradotta in gesto automatico. E’ la trasformazione del paesaggio, un
paesaggio vegetale, a volte evidente, altre appena suggerito, che gioca con la linea e con i tanti modi
di interromperla, dedicandosi a variazioni spontanee e impercettibili. Elisa Montessori è interessata
all’imperfezione, al casuale, all’irregolarità, alle sorprese e ai rischi. Ogni sua opera cela
l’imprevedibile, racchiude un segreto.
Nulla si crea, tutto si distrugge, tutto si trasforma. Ne sono un esempio i Tropismi (1975) esposti a
Parma per la prima volta e poi presso lo Studio Lia Rumma a Napoli nel 1977, tre grandi lavori
149x148 cm ciascuno, composti di tanti cartoncini quadrati incollati leggermente distanziati su una
base di garza. I disegni a china di trame astratte quasi reticolari lasciano il posto a una serie di
aereofotogrammetrie a formare un intreccio di immagini, una morfologia naturale di terreni visti
dall’alto. I Tropismi, termine preso in prestito dalla botanica, dalla psicologia e dalla musica,
sviluppano una percezione visiva lenticolare, una combinazione, tra il paesaggio-ideogramma dai
tipici tratti illusivi e rarefatti del disegno orientale e quello documentato meccanicamente. Lo spazio
aereo permette di muoversi in un paesaggio senza punto focale, o meglio con una prospettiva
sempre in un divenire relazionale. Le opere testimoniano un percorso tra vista e visione mentale, tra
l’impalpabile e l’esistente.
Calligrafico eppure intriso di un bagaglio culturale proveniente dall’arte occidentale di paesaggisti
come Gaspard Dughet o Hercules Pieterszoon Seghers è 14142 x 14142 = 2 square meters of art
(1976), dove un segno insistente e attivo costruisce a poco a poco lo spazio occupato dal mondo
vegetale. Una selva, a volte trasparente, altre fitta e minacciosa, composta dall’insieme di inchiostro
su cartoncino e collage di foto, genera un’interdipendenza tra il pieno e il vuoto. Il vuoto,
fondamenta dell’ontologia taoista, è inteso così anche esso proprio come segno. E’ respiro, è ritmo,
è azione. Sembra ripotare alla luce l’interdipendenza tra presenza e assenza, insito nel rapporto tra il
tratto e la sua ombra, riflesso proprio di quella citata nascita della pittura secondo Plinio il Vecchio.
Un dualismo evidente nella celebre opera La terra dei Masai, esposta alla Biennale di Venezia nel
1982. Una terra lontana dove l’orizzonte fatto di calda sabbia ocra, le nuvole, il riflesso del sole,
costruiti da una sinfonia di segni compositivi leggeri, si distinguono su un fondale di aria pura e
trasparente, descrizione del vuoto, dell’assenza, dell’ignoto, generando un paesaggio al limite tra il
verosimile e l’onirico. Leggerezza, trasparenza, vuoto, sono anche alla base dei Paesaggi
trasparenti (1977), piccoli fogli leggeri di plastica stropicciati e lasciati cadere a formare un’opera
bidimensionale che si fa scultura. Un lavoro ripreso nei Kew Gardens (2015), in cui l’artista utilizza
grandi fogli di cellofan su cui disegna, appoggiati a formare una sorta di serra. Ambigua,
imprevedibile e in trasformazione, ogni cosa è un’altra. Non è solo la natura o il mito ad essere
oggetto di metamorfosi, ma lo stesso processo del vedere, dell’esperire e del costruire.
Nel cammino di Elisa Montessori, che ha discretamente e indipendentemente attraversato la storia
dell’arte italiana con un’inimitabile integrità e coerenza, ogni opera è un percorso sfaccettato,
personale e relazionale, avviato da un gesto accennato capace di aprire una successione di eventi e
pensieri. La sua poesia è un incessante lavoro di scavo, la sua mano e i suoi occhi si riempiono di
esperienze fisiche e mentali, alla ricerca di un intreccio tra uomo e mondo, nella consapevolezza
che l’arte sia sacra pur senza religione, ponendosi in una zona liminare che apre “una porta sul
buio” (Seamus Heaney). Elisa Montessori è un’artista che vive il mondo. Lo vive e lo guarda
scavandone la superficie, traducendola attraverso una gamma di tratti che ci rivelano che ciò che ci
si trova dinnanzi non è univoco, che un quadro racchiude sempre una domanda, aperto alla sguardo
altrui, che vedere una cosa equivale sempre a trovarne un’altra.
Ilaria Gianni