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EDITORIALE
Antonio Gaspari
Con Frammenti di pace scateniamo il paradiso
Viviamo tempi che appaiono duri. Se si guardano le prime pagine dei quotidiani, dei telegiornali,
o si ascoltano i radiogiornali, le prime notizie trattano sempre di guerre, attentati terroristici, crisi
economica, suicidi, violenza gratuita, disastri, migrazioni di massa, donne e bambini che scompaiono in mare. Sembra quasi che non ci sia scampo al male che miete vittime ogni giorno. Sembra
che il destino dell’uomo sia quello di farsi del male, e che nessuno riesca a sfuggire alla sofferenza.
Eppure il mondo non è tutto buio, l’umanità non è solo dominata dai malvagi che vessano i deboli. Dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia, diceva san Paolo. In effetti, a guardare bene,
per ogni azione poco buona ce ne sono tante di più amorevoli. Per uno che chiede di morire ce ne
sono milioni che chiedono di vivere. Per tanti che muoiono ce ne sono di più che nascono. Per un
gesto di rifiuto a una richiesta di aiuto ce ne sono miliardi di carità eroica. C’è chi alza i muri e chi
costruisce i ponti.
Ed è proprio per raccontare il tanto bene che ha dato vita e alimenta la nostra civiltà; per alimentare la cultura del dono; per realizzare la rivoluzione della tenerezza – come ci chiede papa Francesco – che insieme a un gruppo di amici abbiamo deciso di dare vita a “Frammenti di pace”. Siamo
convinti, come diceva san Paolo, che solo il bene può vincere il male. A tal proposito san Josemaría
Escrivá de Balaguer ha scritto: «Non si tratta di far campagne negative, né di essere “antiqualcosa”.
Compito del cristiano è annegare il male nella sovrabbondanza del bene».
Con “Frammenti di pace” intendiamo offrire un ampio spazio alla cultura della speranza e della vita. Vogliamo dare voce a coloro che accolgono tutto come un dono e che sanno dire grazie. A
quelli che danno prima di avere. A quelli che investono gratuitamente nell’umanità, perché sanno
che la crescita umana e spirituale di ognuno è ricchezza per tutti. A quelli che non si lamentano. A
quelli che amano l’umanità. A quelli che hanno piedi per terra ma occhi rivolti al cielo. A quelli che
cercano l’infinito e non gli basta.
Il nostro motto è “Scateniamo il paradiso”.
Non siamo ingenui, né illusi, sappiamo bene che la vita non è facile, che insieme a tante gioie ci
sono tante preoccupazioni, sofferenze e dolori, ma sappiamo anche che gli uomini e le donne sono
capaci di compiere azioni di amore e bellezza. Il nostro pianeta è vivo, esiste, cresce e si rinnova
grazie alle azioni di amore gratuito di miliardi di uomini e donne che fraternamente si aiutano
e compiono tante piccole azioni di eroismo che alimentano la speranza per un mondo migliore.
È questa la buona novella che ogni giorno si rinnova. Sono queste le storie che vogliamo trovare
e raccontare. Ed è con queste voci che noi intendiamo alimentare e far crescere l’ottimismo e la
speranza.
Senza buone notizie l’umanità non vive, non ha futuro. Senza alimentare il sogno e il cuore, l’uomo non intraprende nessuna azione coraggiosa. Ha scritto Anna Frank: «Ognuno di noi ha dentro
di sé un pezzo di buone notizie. La buona notizia è che non si sa quanto grande può essere! Quanto
si può amare! Che cosa si può realizzare! E quanto è grande il suo potenziale!». Sullo stesso tema
santa Madre Teresa di Calcutta affermava: «Se mai diverrò una santa proverò ad accendere la luce
di quelli che si trovano nell’oscurità». Il laicissimo scrittore Ugo Ojetti ha sottolineato: «L’amore
assomiglia a Dio: per raggiungerlo bisogna crederci». E Giovanni Paolo II ha affermato: «Maria ci
conduce ad apprendere il segreto della gioia cristiana, ricordandoci che il cristianesimo è innanzitutto “buona notizia”».
Se cerchi verità, giustizia e bellezza, se vuoi alimentare la speranza frequentando amici ottimisti, se non ti bastano le cose terrene e cerchi l’infinito, se vuoi intraprendere un cammino verso
suggestioni celesti, questo è il tuo giornale. Leggici, scrivici, abbonati e… vieni con noi.
Frammenti di pace - 01/2017 Editoriale
1
FRAMMENTI DI PACE
FRAMMENTI DI PACE
Anno 1 n. 1
Gennaio 2017
w w w. f r a m m e n t i d i p a ce . i t
DIRETTORE RESPONSABILE ED EDITORIALE:
Antonio Gaspari
48
VICE DIRETTORE:
Adele Giordano
GRAFICA:
Hexcogito
REDAZIONE:
Annalisa Cartuccia, Federico Cenci, Chiara Del Rosso,
Maria Gentile, Barbara Giannini, Valentina Giorgetti,
Lucia Palpacelli, Paola Pasquarelli.
PROPRIETÀ ED EDITORE:
Editrice SHALOM
Via Galvani, 1- 60020
Camerata Picena (AN)
www.editriceshalom.it
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Salvatore Cernuzio, Francesco Coccopalmerio,
Maria Cristina Corvo, Maria Gabriella Filippi,
Antonio Intergugliemi, Luca Marcolivio,
Massimo Nardi, Agnese Pellegrini,
Gianfranco Ravasi, Rita Ricci.
Foto Papa Francesco © Catholic News Service
Illustrazioni Papa Francesco di Carmelo Raco
L’Editrice Shalom rimane a disposizione per eventuali
aventi diritto che non è stato possibile identificare
e/o contattare.
TIPOGRAFIA:
G. Canale & C. - Via Liguria, 24
10071 Borgaro Torinese (TO)
Registrazione presso il Tribunale di Ancona n. X/XXXX
del XX xxxxx XXXX. Iscrizione nel Registro degli
Operatori di Comunicazione al numero 15607.
Spedizione in abbonamento postale - Taxe Perçue
Tassa riscossa Ufficio Postale di Bologna (Italia).
SOMMARIO
4
Relazione all’Ambasciata Italiana
presso il Vaticano
C’è più gioia nel dare che nel ricevere
6
Il linguaggio del cuore
Il martirio laico del poeta Visar Zhiti
9
Una boccata di ossigeno
La rivoluzione dell’ozono
12
Seconda guerra mondiale
Quando Pio XII cercò di fermare Hitler
15
Maria nel mondo
Cronache mariane
18
Suor Rosemary Nyirumbe
La suora che “ricuce” borsette
e la vita delle bambine soldato
20
Da chitarrista di Vasco
a musicista Francescano
Nando Bonini
22
Datemi le gambe e vedrete!
Bebe Vio
25
Fede, storia e bellezza
delle Confraternite
Di monsignor Antonio Interguglielmi
27
Cura dell’anima
Come e quando è nata
la Confessione?
30
Padre Piero Gheddo
Inviato speciale agli estremi confini
della fede
PAG. 70
AMORIS
LAETITIA
COMMENTO AL CAPITOLO OTTAVO
DELLA ESORTAZIONE APOSTOLICA
POST SINODALE
2
GENNAIO 2017
FRAMMENTI DI PACE
6
58
33
La Chiesa di Bergoglio
Un ciclone di nome Francesco
41
Cara prof ti scrivo
La storia di Aisha
Il suicidio: la tentazione estrema!
44
Associazione Amici di Celeste
Una bambina insegna:
«La vita è preziosa»
46
José Gabriel Brochero
Evangelizzare camminando,
camminando, camminando
48
Cristiana Pegoraro
Musica in forma di donna
50
Don Roberto Dichiera
Da tossicodipendente a “sacerdote di
strada”
52
Il senso del Pane
Quei detenuti che “impastano”
la salvezza degli uomini
54
Assisi
Sui passi di san Francesco
22
56
Il buono e il bello
L’ingrediente del mese: la zucca
58
Ennio Morricone
Un compositore “mistico e sacrale”
60 La chiamata di Dio
Il mio nuovo manuale di ingegneria: il
Vangelo
64 La più bella e buona notizia
Notizie varie
67 Libro consigliato
“Le domande grandi dei bambini”
68 Film consigliato
“Suffragette”
69 Canzone consigliata
“In my time of dying” (Bob Dylan)
Frammenti di pace - 01/2017
3
Relazione all’Ambasciata Italiana presso il Vaticano
C’È PIÙ GIOIA NEL DARE
CHE NEL RICEVERE
di cardinal Gianfranco Ravasi
Il tema della gratuità, e quindi della giustizia e solidarietà, è stato spesso considerato come accessorio
nelle relazioni economiche e sociali. In realtà esso è
strutturale perché quelle relazioni sono componenti capitali della stessa antropologia e della cultura. È
significativo che alcune nostre parole fondamentali
come libertà, figlio, felicità, beatitudine si basano su
una radice indoeuropea (the -/ fe -/ be) il cui significato radicale originario è “allattare”.
L’evocazione rimanda, quindi, alla madre che nutre:
essa, come segno più alto di donazione, può persino
superare la pura legge primaria, rappresentata anche
dalla Bibbia, dell’amore per se stessi, “ama il prossimo
tuo come te stesso”, dando la vita per la sua creatura.
È lo stesso Cristo a ricordarlo quando affermerà che «non c’è amore più grande di colui che dà la
vita per la persona che ama». Dentro ciascuno di noi
risplende, comunque, la luce primordiale del dono di
sé all’altro. Essa si incarna nella “libertà” di donare che
genera “felicità”. Bellissima, al riguardo, è l’unica frase
di Gesù non presente nei Vangeli, ma citata da san Paolo negli Atti degli Apostoli: «C’è più gioia nel dare che
nel ricevere».
La stessa antropologia culturale procede in questa
linea quando s’interroga sul passaggio dal primate
all’homo sapiens. Il processo è complesso, e la teoria
dell’evoluzione cerca in qualche modo di delinearlo.
Secondo gli antropologi, però, il momento in cui non
prevale più la feritas, la “fiera”, e comincia ad affacciarsi
l’humanitas, è l’istante in cui la persona umana inizia a
esercitare l’arte, il gioco, la stessa religiosità, dedicandosi a qualcosa di più “inutile”, di bello, che diventa
dono per l’altro.
4
Frammenti di pace - 01/2017 La cultura del dono
Per sottolineare l’importanza di questa “gratuità”
simbolica è suggestivo il testo di uno scrittore dell’inizio del secolo scorso, Kakuzo Okakura (1862-1913),
il quale definiva così la pienezza dell’atto evolutivo:
«L’uomo primordiale trascese la propria condizione
di bruto offrendo la prima ghirlanda alla sua fanciullo. Elevandosi al disopra dei bisogni naturali primitivi,
egli si fece umano. Quando intuì l’uso che si poteva
fare dell’inutile, l’uomo fece il suo ingresso nel regno
dell’arte» (Lo Zen e la cerimonia del tè).
In quel momento, infatti, l’uomo non realizzava
un’operazione economica, né perseguiva mire di brutale conquista o di possesso, ma compiva un gesto libero, creativo e spontaneo, un atto umano. Quali sono,
allora, le due grandi “malattie” che mettono a rischio
questa dimensione antropologica? Da un lato l’egoismo che spinge a rinchiudersi in se stessi e, dall’altra
parte, una sindrome reale, una malattia drammatica,
l’“autismo spirituale”.
Nella chiusura personale si consuma la tragedia del
non poter uscire da sé per offrire qualcosa all’altro: è
l’essenza dolorosa di qualsiasi relazione. Nell’egoista,
invece, agisce il tarlo della bramosia, del possesso e
dell’auto-idolatria.
Per continuare a percorrere il sentiero delle parole,
ricordiamo che il cristianesimo ha adottato, per designare l’amore di donazione, una parola non molto usata nel mondo greco, anzi piuttosto rara, agapé.
Essa evoca di sua natura la reciprocità, intendendo
che già la presenza dell’altro è un dono. Questa sfumatura del termine agapé ci consente di illustrare lo
stile del donare e del ricevere. Da un lato, è necessaria
una sorta di educazione a ricevere i segni della gratuità
altrui.
Pensiamo, per esempio, al fenomeno dell’assistenzialismo, che genera vere e proprie forme di sfrutta-
mento di quanto lo Stato offre in servizi e solidarietà.
Dall’altro lato, si presenta l’urgenza di educare al donare, attraverso molteplici modalità, per impedire che
questo atto si trasformi in un gesto di superiorità nei
confronti dell’altro. Ci aiuta a comprendere meglio
questo tema una frase di Ignazio Silone, che nel suo
romanzo Fontamara metteva in bocca a un contadino
abruzzese questa amara convinzione: «Se è gratis c’è
l’inganno».
Perciò anche il donare deve caratterizzarsi per uno
stile particolare, e la tenerezza potrebbe esserne il volto, soprattutto quando si qualifica nell’offrire cose che
non sono solo quelle delle necessità apparentemente
primarie per la vita. Pensiamo, ad esempio, all’impegno
per l’istruzione, la formazione, la cultura, l’arte.
In questo senso, allora, potremmo affermare che
uno dei doni da offrire è anche la bellezza. Perché pure
il povero ha diritto a posare il suo sguardo e vivere in
realtà armoniose, frutto di valori spirituali, portatrici di
serenità nell’esistenza. Per il povero non esiste solo il
pane da mettere sulla tavola, perché anch’egli ha diritto di volgersi a orizzonti di più ampio respiro.
Per questo è significativo che in un’economia più
umana e giusta – che sia veramente legge (nómos)
della casa (óikos) comune del mondo – è necessario
anche il dono della bellezza, della sapienza e della conoscenza. Come afferma un antico aforisma orientale:
«Se hai due pani in più, l’uno donalo al povero e l’altro
vendilo per comprare e regalargli un fiore».
Relazione all’Ambasciata Italiana presso il Vaticano.
Messaggio del cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente
del Pontificio Consiglio della Cultura, all’incontro “Verso
un’economia più umana e più giusta. Un nuovo paradigma
economico inclusivo in un contesto di disuguaglianze
crescenti” - Palazzo Borromeo, 21 settembre 2016.
Frammenti di pace - 01/2017 La cultura del dono
5
Il linguaggio del cuore
IL MARTIRIO LAICO
DEL POETA VISAR ZHITI
di Massimo Nardi
Cinquanta miglia: questa l’ampiezza del tratto di
mare che separa l’Italia dall’Albania. Una distanza che
un aliscafo può percorrere in un’ora e che un campione
di nuoto è riuscito a percorrere in 24 ore. Eppure, per
lunghi anni, questa distanza è stata incolmabile.
Mentre in Italia vivevamo una stagione di crescita
economica, in Albania il cibo era razionato. E se una
madre di famiglia avesse osato lamentarne la scarsezza, la conseguenza sarebbe stata il carcere duro.
Ma la follia del regime non si fermava qui. Ogni
semplice espressione del pensiero veniva avvertita
come una minaccia. E stroncata con brutale ferocia.
Quella che stiamo per raccontare è una storia di
aberrazione totale e, al tempo stesso, un’esperienza di
fede che testimonia la forza della fragile creatura umana.
6
Frammenti di pace - 01/2017 Il linguaggio del cuore
Negli anni bui della dittatura, un giovane poeta – Visar Zhiti, il cui talento letterario viene oggi riconosciuto a livello internazionale – ebbe un’idea che avrebbe
sconvolto la sua esistenza. Inconsapevole del rischio,
coltivava la speranza di pubblicare una raccolta di poesie alla quale aveva conferito un titolo originale e delicato: Rapsodia della vita delle rose. Nulla che potesse
alludere a implicazioni di carattere politico. E invece…
E invece i suoi versi furono intercettati dalla polizia
segreta che li sottopose al giudizio della magistratura. Il verdetto fu durissimo: le poesie di Zhiti vennero
considerate colpevoli di propaganda anticomunista. E
la condanna che ne seguì fu altrettanto inappellabile:
dieci anni di prigionia in un carcere isolato e i lavori
forzati nelle miniere di rame.
Era il 1980, e iniziò così il martirio laico del poeta
Visar Zhiti. Nell’inferno della prigione tra i ghiacci e
nelle profondità buie della miniera, i detenuti si dicevano addio ogni giorno, nell’incertezza di arrivare al
giorno dopo.
Molti dei suoi compagni di sventura perirono di
maltrattamenti e malnutrizione, oppure persero la ragione a causa delle condizioni disumane di vita.
Visar riuscì invece a resistere, aggrappandosi all’unico ancoraggio che rimane all’uomo quando ogni altra
cosa è perduta: la fede in Dio.
Nella sua opera poetica resta scolpita la testimonianza di quella drammatica vicenda: «Di notte, / nella
notte del Signore, / dentro la notte cavernosa / mi lasciarono solo. / Caricavo di rame i vagoni e da solo. /
Anche la mia ombra fuggì e restai più solo».
Questi versi sono tratti dalla poesia intitolata Il messaggio dell’acqua, il cui valore letterario risulta anche
più commovente ove si pensi alle condizioni estreme
in cui venne composta. Se i carcerieri avessero trovato
un testo scritto, sarebbe stata morte certa. Ragion per
cui il poeta imprimeva nella memoria tutti i suoi versi,
nella quotidiana lotta per sopravvivere e conservare un
barlume di speranza.
Una speranza che alla fine divenne realtà. Nel 1991
in Albania vi fu la svolta democratica e per Visar Zhiti
fu il momento del riscatto: ebbe la possibilità di soggiornare in Italia, dove si dedicò al giornalismo, collaborando, tra l’altro, con il quotidiano cattolico Avvenire;
divenne ministro della Cultura e oggi è ambasciatore
dell’Albania presso la Santa Sede.
Ecco ciò che, nel 1998, scriveva di lui il futuro cardinale Gianfranco Ravasi sulla prima pagina di Avvenire: «Vogliamo oggi proporre un giovane poeta, Visar
Zhiti, nato a Durazzo nel 1952: l’abbiamo conosciuto
attraverso le sue poesie, presentate dal grande poeta
Mario Luzi e pubblicate nel volume Croce di carne (Ed.
Oxiana)».
«Abbiamo scelto questi versi – continua Ravasi –
che parlano di sofferenza in modo molto umano. Spesso, infatti, abbiamo vergogna di mostrarci in pubblico
mentre piangiamo.
E invece Zhiti giustamente ci ricorda che c’è una
grandezza nel saper piangere, nell’esprimere con sincerità la propria intimità lacerata, nel vivere con immediatezza i propri sentimenti. Cristo è arrivato al punto
di proporre come modello proprio chi piange: beati voi
che ora piangete, perché riderete». Papa Francesco,
Per legge è vietato piangere,
ma io piango.
Piango dalla gioia
che so ancora piangere.
Con le mani piagate
raccolgo le mie lacrime.
Sono terse come
la luce del giorno.
Frammenti di pace - 01/2017 Il linguaggio del cuore
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