Il legittimo affidamento del proprietario e il Ius

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2 8 D I C E M B R E 2 0 1 6 Il legittimo affidamento del proprietario e il

Ius aedificandi

di Marcello Di Francesco Torregrossa Dottore di ricerca in autonomia individuale e autonomia collettiva Università degli studi di Roma “Tor Vergata”

Il legittimo affidamento del proprietario e il

Ius aedificandi

*

di Marcello Di Francesco Torregrossa

Dottore di ricerca in autonomia individuale e autonomia collettiva Università degli studi di Roma “Tor Vergata”

Sommario

:

1.

Il legittimo affidamento nel diritto amministrativo.

2.

Il legittimo affidamento nel diritto urbanistico.

3.

La proprietà e il

ius aedificandi

. La sentenza n. 5/1980 della Corte costituzionale (“relativamente ai suoli destinati dagli strumenti urbanistici all’edilizia residenziale privata”).

1. Il legittimo affidamento nel diritto amministrativo

All’interno dell’ordinamento giuridico, l’istituto del legittimo affidamento ha inizi almente assunto una connotazione prevalentemente civilistica (

rectius

, in materia di diritti relativi), non solo in ragione della posizione paritaria che le parti contrattuali rivestono nelle varie fasi preparatorie e costitutive del rapporto obbligatorio, ma soprattutto in ragione della necessaria cooperazione altrui per il soddisfacimento dell’interesse sotteso a quest’ultimo. In ambito amministrativo, la presenza dell’interesse generale e dei principi che regolano l’azione della pubblica amministrazione sembrava eliminare qualsiasi spazio alla posizione di legittima aspettativa del soggetto privato, la quale era destinata a soccombere nel confronto con l’interesse primario di natura pubblica. Il pieno riconoscimento dell’efficacia di tale posizione sogg ettiva nei riguardi della P.A. è avvenuto, successivamente, attraverso la disciplina comunitaria, per opera della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea 1 . L’elaborazione giurisprudenziale di quest’ultima, influenzata dagli studi della dottrina t edesca 2 , ha determinato un riconoscimento di carattere trasversale del legittimo affidamento in campo * Articolo sottoposto a referaggio. 1 La Corte di Giustizia europea, con la decisione Töpfer del 3 Maggio 1978, ha per la prima volta sancito che “ il 2 principio della tutela dell'affidamento fa parte dell'ordinamento giuridico comunitario ”; cfr. Corte di Giustizia, sentenza 3 Maggio 1978, causa C-12/77. Gli studiosi tedeschi hanno da sempre riservato particolare attenzione al principio dell’affidamento del cittadino, non solo nei confronti di altri soggetti privati, ma anche degli enti pubblici, considerando tale figura giuridica come un postulato del più ampio principio della certezza del diritto (Rechtssicherheit). La Corte costituzionale della Repubblica Federale Tedesca, rilevata la meritevolezza di tutela della posizione del privato che abbia legittimamente confidato nel perdurare di una condizione per lui vantaggiosa, lo ha definito come un principio fondamentale dello Stato di diritto. Cfr. BVerfGE, 3, 237 (sent. n. 15 del 18 Dicembre 1953); 2

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amministrativo e legislativo, rilevando come l’istituto in esame operi in diversi ambiti del diritto, riconducibili sia alle relazioni intercorrenti tra privati e amministrazioni europee e nazionali, sia a quelli tra Stati membri ed istituzioni comunitarie 3 . Inoltre, la Corte di Giustizia europea ha posto particolare attenzione ai presupposti legittimanti tale posizione giuridica soggettiva, determinando che la tutela del legittimo affidamento si concretizzi in un sindacato giurisdizionale sulla presenza, o meno, di quest’ultimi, e non quindi in un bilanciamento di interessi contrapposti. Nello specifico, tali presupposti afferiscono ad un elemento di tipo soggettivo, inteso come la fiducia che il soggetto destinatario dell’atto favorevole poteva riporre nella stabilità di questo, e ad un elemento oggettivo, relativo all’atto o al comportamento posto alla base dell’affidamento 4 . Nel diritto interno, il principio del legittimo affidamento è stato eminentemente considerato come postulato del principio di buona fede, al punto che, nel progetto di riforma della legge n. 241/1990, esso era presente tra i canoni fondamentali dell’azione amministrativa, ma, in sede d i approvazione parlamentare, non si è ritenuto opportuno formulare una specifica disposizione al riguardo 5 . Solamente attraverso l’opera di ricostruzione giurisprudenziale, con diverse pronunce della Corte costituzionale, il principio in esame ha esteso il proprio ambito applicativo, come già in precedenza riconosciuto nel diritto europeo. 3 BVerfGE, 7, 89 ss. (sent. n. 14 del 24 Luglio 1957); BVerfGE, 15, 319 (sent. n. 30 del 14 Marzo 1963); BVerfGE, 25, 167 ss. (sent. n. 20 del 29 Gennaio 1969); BVerfGE, 27, 297 ss. (sent. n. 28 del 16 Dicembre 1969); BVerfGE, 60, 267 (sent. n. 20 del 20 Aprile 1982); BVerfGE, 86, 268 II, 327 (sent. n. 15 del 3 Giugno 1992). V. B. CONFORTI,

Buona fede e diritto internazionale

, in Il principio di buona fede, Milano 1987, 87 ss.; F. MANGANARO,

Il principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche

, Napoli 1995, 34 ss.; L. LORELLO,

La tutela del legittimo affidamento tra diritto interno e diritto comunitario

, Torino 1998, 154 ss. 4 Dal punto di vista giurisprudenziale

, ex multis

, Corte di Giustizia, 21 settembre 1983 in cause riunite 205-215/82; Corte di Giustizia, 19 maggio 1983, causa 289/81; Corte di Giustizia, 17 aprile 1997, causa C-90/95; Corte di Giustizia, 26 febbraio 1987, causa 15/85, e Corte di Giustizia, 20 giugno 1991, causa C-248/89. In particolare, cfr. Trib. CE, 22 gennaio 1997, n. 115, in Riv dir. Internazionale, 1997, 817, secondo cui il principio di buona fede è una norma di diritto internazionale consuetudinario che vincola la Comunità. Il principio di buona fede è il corollario, nel diritto internazionale pubblico, del principio di tutela del legittimo affidamento che fa parte dell'ordinamento giuridico comunitario. V. Corte di Giustizia, 15 luglio 2004, C-37 e 38/02. 5 Nel nostro ordinamento, ruolo fondamentale per l'elaborazione del principio è stato svolto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa. V. F. MERUSI,

Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta” all’“alternanza”

, Milano 2001, 131 ss. Per una dettagliata analisi delle pronunce della Consulta, cfr. P. CARNEVALE,

« ... Al fuggir di giovinezza ... nel doman s’ha più certezza» (Brevi riflessioni sul processo di valorizzazione del principio di affidamento nella giurisprudenza costituzionale),

in Giur. cost., 1999, 3643 ss. 3

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In primo luogo, le motivazioni di diritto formulate dai giudici costituzionali hanno evidenziato la stretta relazione tra il principio del legittimo affidamento con quelli di principi di legalità, di certezza del diritto e di uguaglianza, comuni a tutti i moderni Stati di diritto 6 . In particolare, la stessa Corte, seppur con riferimento alla materia pensionistica, ha riconosciuto, da un lato, la facoltà per lo Stato di v ariare con leggi i rapporti in corso e, dall’altro, ha ribadito come “dette disposizioni, però, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente ed incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto” 7 . A differenza della elaborazione costituzionale, che in analogia con quella comunitaria ha individuato la

ratio

dell’affidamento nella certezza del diritto, in ambito amministrativo la dottrina e la giurisprudenza hanno ricondotto la rilevanza giuridica del legittimo affidamento all’interno del principio della buona fede, come ha evidenziato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 14198 del 28 luglio 2004, stabilendo che “il rispetto dei principi di regolarità dell’azione amministrativa integra se del caso i canoni di correttezza e buona fede, stando a significare che, per il caso oggetto di giudizio, il mancato rispetto dei termini del procedimento e la mancata conclusione del procedimento stesso, ha di certo comportato la violazione del principio dell’affidamento” 8 . In tal senso, il principale passaggio normativo nella materia

de qua

, ai fini dell’estensione applicativa del legittimo affidamento al diritto tributario – e conseguentemente al diritto amministrativo – è rappresentato dall’emanazione della legge n. 212/20 00 (Statuto del Contribuente), in quanto,

in primis

, viene previsto esplicitamente la soggezione dell’azione amministrativa ai principi dell’ordinamento 6 V. Corte cost., 26 luglio 1995, n. 390, in Giust. civ., 1995, I, 326; Corte cost., 11 giugno 1999, n. 229, in Giust. civ., 1999, I, 2919; Corte cost., 4 novembre 1999, n. 416, in Giust. civ., 2000, I, 973; Corte cost., 22 novembre 2000, n. 525, in Rass. trib., 2000, 1889. 7 V. Corte cost., 17 dicembre 1985, n. 349, in Giur. it., 1986, I, 1, 1585. In altre sentenze la Corte costituzionale ha considerato il legittimo affidamento come un criterio da tenere in considerazione per la valutazione di costituzionalità delle leggi, ma non in maniera autonoma, bensì assieme ad altri parametri, come la ragionevolezza della scelta discrezionale operata dal legislatore (

Inter alia

, V. Corte cost., 23 novembre 1994, n. 397, in Giur. cost., 1994, 3535). Sul punto, V. A. CELOTTO,

Un importante riconoscimento del principio di "affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica"

, in Giur. cost, 1999, p. 3641 ss.; P. CARNEVALE,

Più ombre che luci su di un tentativo di rendere maggiormente affifabile lo scrutinio della legge sotto il profilo del legittimo affidamento

, in Giur. cost., 2002, p. 3666 ss. 8 Cass., 28 luglio 2004, n. 14198, in Giust. civ., 2004, I, p. 2559 ss., e in Contratti, 2005, p. 555 ss., con nota di M. CARNEVALE,

Contratto condizionato e buona fede

; più recente, Cass. 13 febbraio 2009, n. 3559, in Fisco, 10/2009, p. 1547 ss., con nota di P. TURIS,

Struttura organizzativa dell’Amministrazione finanziaria e principi di collaborazione e buona fede

, il quale considera la correttezza un dovere dell’amministrazione, in quanto tenuta a operare, nella prospettiva del servizio, come «assistente dei cittadini» (

Helfer des Bürgers

). Del resto, se già il principio costituzionale del buon andamento richi ede la partecipazione e il consenso, anziché l’autorità, tale impostazione è ancor più valorizzata dall’ingresso nella Costituzione del principio di sussidiarietà (art. 118), «segnatamente laddove impone di fare spazio ai cittadini nell’esercizio diretto d i attività di interesse generale» (V. CERULLI IRELLI,

Amministrazione pubblica e diritto privato

, Torino, 2011, p. 21) 4

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comunitario e, su altro versante, viene sancito che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora lo stesso si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione” (cfr. artt. 1 e 10, legge n. 212/2000). In definitiva, stante il tenore letterale delle previsioni dello Statuto del Contribuente, la figura del legittimo affidamento ha trovato pieno riconoscimento, anche se in via indiretta, nell’ordinamento giuridico, determinando così una tutela verso una data situazione giuridica, indotta dal precedente comportamento della P.A., la quale abbia generato nel cittadino una legittima aspettativa circa il conseguimento di un risultato favorevole 9 . In considerazione di ciò, e soprattutto degli impulsi provenienti dagli organi legislativi e giudiziari comunitari, la Corte di Cassazione 10 ha fornito in maniera univoca i criteri di individuazione del legittimo affidamento, con particolare riferimento ai principi generali dell’azione amministrativa, prevedendo che i presupposti necessari, per integrare una situazione di legittimo affidamento, siano riconducibili ad una condotta della P.A., idonea a determinare una situazione di apparente legittimità e coerenza verso un atto favorevole, alla buona fede del soggetto privato interessato ed, infine, ad eventuali circostanze indicanti la sussistenza o meno delle precedenti condizioni 11 . 9 V. F. MERUSI,

Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta” all’“alternanza” ,

Milano 2001, 131 ss.; F. SATTA,

La riforma della legge 241/90: dubbi e perplessità

, in Giustizia amministrativa. Rivista di diritto pubblico (www.giustamm.it), n. 4/2005; V. CERULLI IRELLI,

Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90

, ivi; F. FRANCARIO,

Dalla legge sul procedimento amministrativo alla legge sul provvedimento amministrativo (sulle modifiche ed integrazioni recate dalla legge 15/2005 alla legge 241/1990)

, in Speciale sulla riforma della legge 241/90 - www.giustamm.it. 10 Cfr. Cass. civ., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Foro it., 2003, I, p. 1104 ss. Il ragionamento giuridico effettuato dai giudici di legittimità pone le proprie basi sulle considerazioni effettuate dalla Corte costituzionale nel 1999 (Corte Cost. 4 novembre 1999, n. 416, in Giur. cost., 1999, 3625 ss.), secondo cui il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica - quale elemento essenziale dello Stato di diritto - viene ricondotto al principio di eguaglianza dinanzi alla legge, ed in particolare nel rispetto del canone della ragionevolezza, di cui all'art. 3, comma primo, Cost. Tale principio, infatti, sarebbe immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico. 11 Secondo la Corte di Cassazione, il terzo elemento costituisce un indice di rilevanza dei due presupposti riferibili ai comportamenti dell'amministrazione e del cittadino, in quanto idonei a rilevare la sussistenza o l'insussistenza dei predetti presupposti. Fra tali "circostanze" vanno annoverate, ad esempio, "la situazione normativa astrattamente idonea a disciplinare la concreta fattispecie, nella quale si inseriscono le condotte dell'Amministrazione finanziaria e del contribuente e sulla (interpretazione ed applicazione della) quale potrebbe incidere il principio del legittimo affidamento; ovvero, lo stesso fluire del tempo, quale indice della coerenza dell'azione amministrativa tributaria e/o dell'affidamento del contribuente e/o del consolidamento della situazione giuridica soggettiva favorevole a quest'ultimo. 5

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Con particolare riferimento a quest’ultimo presupposto, giova segnalare come la giurisprudenza amministrativa abbia riconosciuto quale indice di coerenza ed affidamento per il soggetto interessato il maggiore, o minore, lasso di tempo intercorrente tra l’atto ampliativo della posizione giuridica soggettiva e l’eventuale intervento in autotutela della pubblica amministrazione. Infatti, qualora il provvedimento di secondo grado fosse emanato dopo un significativo periodo temporale, tale da consolidare la posizione acquisita, l’amministrazione sarebbe obbligata a motivare l’esercizio del potere di riesame in maniera approfondita e puntuale, bilanciando l’attualità dell’interesse pubblico in raffronto con il consolidamento dell’interesse privato sotteso. Alla luce di ciò, il legittimo affidamento, seppur in presenza delle condizioni descritte, non è necessariamente destinato a prevalere sulle altre posizioni correlate, dovendosi pertanto comparare con gli altri interessi in gioco e assumendo un carattere preminente solo dopo un opportuno bilanciamento con gli altri interessi pubblici, con la conseguenza che l’Amministrazione dovrà comunque fornir e una motivazione congrua, ragionevole e immune da censure sul piano del sindacato giurisdizionale 12 . In definitiva, il principio del legittimo affidamento, seppur riconosciuto, non presenta carattere assoluto, in special modo nei settori ove sia previsto in capo alle amministrazioni una certa discrezionalità e ove esista la necessità di un bilanciamento degli interessi. Tale considerazione evidenzia come la tutela del principio in esame, ed il relativo sindacato giudiziario, sia particolarmente differente, dal punto di vista qualitativo, a seconda che il soggetto danneggiato agisca dinanzi alle corti europee o dinanzi ai tribunali interni: a differenza di quanto avviene nel diritto comunitario, in cui, come anticipato, la verifica della sussistenza dei presupposti legittimanti la posizione giuridica soggettiva risulta di carattere centrale (e di norma esaurisce la relativa verifica), nell’ordinamento nazionale il bilanciamento del legittimo affidamento all’interno degli interessi pubblici coinvolti costituisce il cuore della tutela, con la conseguenza che gli elementi identificativi (come l’elemento soggettivo ed il fattore temporale) non si atteggiano a meri presupposti, ma concorrono a commisurare il giudizio di ragionevolezza. 12 V. M. GIGANTE,

Mutamenti nella regolazione dei rapporti giuridici e tutela del legittimo affidamento, tra diritto comunitario e diritto interno

, Milano, 2008, 26; M. GIGANTE,

Il principio di affidamento e la sua tutela nei confronti della pubblica amministrazion e. Dell’albero e del ramo

, in Dir. e. soc., 3/2009, p. 442; F. TRIMARCHI BANFI,

L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino

, in Dir. amm., 2005, p. 843 ss.; M. IMMORDINO,

Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento

, Napoli, 1999, p. 4 ss. 6

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2. Il legittimo affidamento nel diritto urbanistico

In materia urbanistica, come è noto, le scelte, in quanto connotate da un tasso di discrezionalità significativamente elevato, non necessitano di altra motivazione oltre quella che è dato evincere dall’esame dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione degli atti di pianificazione 13 . Tuttavia, la giurisprudenza ha poi individuato una serie di casi specifici nei quali sussiste un obbligo di motivazione rafforzato in capo all’Amministrazione, casi tra i quali spicca proprio quello della sussistenza di un affidamento qualificato del privato, cioè la situazione nella quale la pubblica amministrazione ha posto in essere una serie di atti o comportamenti dai quali “si genera l’affidamento, cioè l’aspettativa che il successivo com portamento dell’affidante sia coerente con quello che, in precedenza, ha generato l’altrui fiducia” 14 , riconoscendo, implicitamente, come non esista alcun principio di stabilità delle previsioni adottate 15 . In tal senso, come confermato stessa giurisprudenz a amministrativa, l’efficacia del titolo abilitativo è, almeno per un certo tempo, legata al mancato esercizio del potere di autotutela da parte dell’autorità che lo rilascia, la quale conserva la piena discrezionalità nella revisione della regolamentazione urbanistica del proprio territorio, incontrando quale unico limite l’obbligo di motivare le proprie statuizioni. La P.A. è tenuta, conformemente ai principi regolatori dell’attività amministrativa, ad un uso misurato di tale discrezionalità, il cui esercizio passa attraverso la congrua e ragionevole motivazione del provvedimento finale 16 . 13 V. S. COGNETTI,

Interessi e pianificazione urbanistica

, Perugia, 1986, 301 ss. e L. MAROTTA,

Pianificazione urbanistica e discrezionalità amministrativa

, Padova, 1988, pp. 104 ss.; P. STELLA RICHTER,

Profili funzionali dell’urbanistica

compresenti. , Milano, 1984, pp. 17 ss. Cfr. R. MONTEFUSCO, 1986, I, 1105)

La motivazione degli atti di pianificazione urbanistica: atti amministrativi generali?

, in Foro amm. TAR, 2002, IX,. 2861 ss. Tali posizioni soggettive “consolidate”, nel giudizio di bilanciamento, si connotan o per la loro rilevanza in sede istruttoria, nell’ambito della ponderazione e comparazione con gli ulteriori interessi Del resto, anche nelle pronunce giurisprudenziali (Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 1986, n. 582, in Cons. St., , si è ha affermato che “la pianificazione urbanistica, finalizzata all’ordinato assetto complessivo del territorio, con tutte le attività che vi si svolgono, coinvolge una pluralità di interessi rispetto ai quali l’ordinamento non pone alcuna gradazione, né fissa criteri per la scelta. Ne deriva che rientra nell’ampia discrezionalità dell’amministrazione l’impostazione da dare alla pianificazione, soprattutto [...] in relazione alle individuazioni delle aree da assoggettare al vincolo di pia no ed all’assetto degli interessi collettivi da realizzare” . 14 Cons. St., adunanza plenaria, 22 dicembre 1999, n. 24, in Foro amm., 1999, p. 2383. 15 Cons. St., sez. IV, 21 giugno 2001, n. 2651, in Foro amm., 2000, p. 1725. 16 Per quanto attiene all'istituto della motivazione, cfr. MIELE, idoneo ad incidere negativa

L’obbligo di motivazione degli atti amministrativi

, in Foro amm., 1941, p. 125 ss., secondo cui il potere autoritativo ed esecutorio della pubblica amministrazione, mente sulla sfera giuridica del destinatario, comporta che “l’Amministrazione deve non solo fare un uso legittimo, ma anche renderlo plausibile a coloro cui l’atto si indirizza: il che si raggiunge [...] con l’esposizione dei motivi da cui [...] si è lasciata guidare nell’ emanazione dell’atto”. Principio ribadito dalla stessa Consulta (Corte Cost. 5 novembre 2010, n. 310, in www.giurcost.it), la quale ha specificato che "l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, 7

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Perciò, qualora la posizione del cittadino non possa considerarsi consolidata, l’Amministrazione non è tenuta ad una particolare confutazione e corroborazione delle proprie scelte 17 , con la conseguenza che il legittimo affidamento non sarà suscettibile di ponderazione con gli altri interessi correlati, che saranno destinati a prevalere.

Ex adverso

, una specifica e logica motivazione risulterà necessaria quando la posizione del privato si presenti qualificata da una vera e propria aspettativa, ingenerata da una fase avanzata e dettagliata della programmazione territoriale stessa. Infatti, secondo la giurisprudenza costante del Consiglio di Stato, è riconosciuto il carattere pieno ed effettivo della discrezionalità amministrativa circa la previsione di correzioni urbanistiche, salvo l’obbligo di motivare adeguatamente le ragioni delle modifiche apportate, le quali non sono precluse da “precisi affidamenti del proprietario dell’area sulla sua edificabilità” 18 . La programmazione territoriale, quindi, è il risultato della combinazione fra criteri di razionalità e motivazioni tecniche, di talché le relative decisioni sono tutte controllabili, sia all’interno del procedimento amminis trativo, necessario per l’approvazione degli strumenti urbanistici, sia in sede giurisdizionale per verificare il loro tasso di aderenza all’interesse pubblico generale.

Il potere di pianificazione urbanistica della pubblica amministrazione, quindi, si manifesta attraverso gli strumenti urbanistici, quali il Piano regolatore generale, il cui utilizzo incide direttamente sulle posizioni giuridiche soggettive (

inter alia

, sul legittimo affidamento dei soggetti privati), con la conseguenza ulteriore che, all’interno dell’analisi finora svolta, assume particolare rilevo la relazione intercorrente tra la natura intrinseca di tale istituto e l’affidamento ingenerato dall’atto amministrativo. Per quanto attiene il primo profilo, il Piano regolatore generale rappresenta lo strumento giuridico, di natura precettiva o programmatica, attraverso cui l’ente di competenza provvede alla organizzazione e alla disciplina del proprio territorio, mediante la c.d. zonizzazione (intesa come suddivisione del dell’azione amministrativa. Esso è radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, consente al destinata rio del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale”. 17 Cons. St., sez. IV, 21 giugno 2001, n. 3334, in Riv. giur. edilizia, 2001, I, p. 984, secondo cui si è ritenuto legittimo il provvedimento di annullamento d'ufficio di un piano particolareggiato ad iniziativa pubblica per contrasto con lo strumento urbanistico generale, anche se non rechi alcuna motivazione e comparazione circa l'interesse pubblico all'annullamento e l'interesse privato alla conservazione dello strumento pianificatorio, laddove i proprietari delle aree interessate dal piano annullato non possano vantare alcun affidamento qualificato alla conservazione del piano medesimo; nella fattispecie il collegio ha qualificato l'interesse dell'appellante alla conservazione del piano come mero interesse generico, da cui discende la prevalenza dell'interesse pubblico alla caducazione dell'atto invalido. 18 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 1985, n. 27, in Foro amm. Cons. St., 1980, I, p. 1270. Le scelte effettuate dalla P.A. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono caratterizzate da una profonda valutazione discrezionale e, in quanto tali, insindacabili nel merito, salvo che per errori di fatto, abnormità, irrazionalità o manifesta irragionevolezza (cfr. Foro amm. Cons. St. 2002, p. 364; Cons. St., sez. IV, 27 luglio 2010, n. 4920, in Foro amm. Cons. St., 2010, 7-8, p. 1442).

ex plurimis

Cons. St., sez. IV, 6 febbraio 2002, n. 664, in 8

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territorio comunale in aree omogenee, con la previsione delle zone destinate alla espansione urbanistica e la determinazione dei vincoli da osservare in ciascuna di esse) o la c.d. localizzazione (

id est

, l’individuazione delle aree da destinare all’edilizia pubblica e privata, nonché ad opere ed impianti di interesse culturale, politico o sociale) 19 . Secondo una costante giurisprudenza amministrativa, il P.R.G. è un atto complesso 20 , alla cui formazione concorrono le volontà di due diversi enti, il Comune, il quale ha competenza sull’iniziativa e sulla definizione dei contenuti in sé dell’atto di pianificazione, e la Regione, che deve provvedere alla definitiva approvazione dello strumento urbanistico. Questo articolato procedimento di formazione determina una diretta conseguenza sulla natura giuridica dello strumento urbanistico, in quanto, come specificato dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, attraverso la decisione n. 2985 del 16 giugno 2015, “pur dandosi atto della concorrente partecipazione delle due anzidette amminis trazioni nondimeno si può e si deve parlare di atto complesso di tipo diseguale, che vede nel procedimento di formazione sotto un profilo sostanziale – oltreché procedimentale – un ruolo differenziato dei predetti enti, dovendosi attribuire all’ente locale di primo livello, nella regolazione degli interessi urbanistici comunali, una posizione preponderante”, sulla base dei principi costituzionali, aventi ad oggetto l’attribuzione della funzione primaria della pianificazione urbanistica all’amministrazione c omunale. Tuttavia, l’autorità regionale non ricopre un mero ruolo di ausilio e/o di apporto istruttorio e neppure solo quello di esame e controllo dell’attività di iniziativa ed elaborazione delle scelte urbanistiche svolte dal Comune, potendosi, con riferimento agli interessi sovracomunali (intesi come quelli regionali coinvolti nella pianificazione territoriale del Comune), riconoscere una funzione di co-pianificazione urbanistica. In virtù delle considerazioni finora svolte, si registra in dottrina ed in giurisprudenza un intenso dibattito interpretativo circa la reale natura del Piano regolatore generale. Un primo indirizzo, sulla base della funzione di organizzazione e pianificazione del territorio comunale, riconosce ad esso natura regolamentare e, di conseguenza, normativa. Una seconda corrente di pensiero, per contro, ritiene che il Piano regolatore generale rientra nell’istituto dell’atto amministrativo generale, in quanto, da un lato, il 19 R. CRUCIL,

Il piano regolatore generale

, in Riv. giur. edil., 1992, II, p. 99 ss.; G. TORREGROSSA,

Il piano regolatore fra mito e realtà

, in Riv. giur. edil., 1992, II, p. 37 ss. 20 La natura complessa del P.R.G. è stata per la prima volta affermata da M. S. GIANNINI,

Sull’imputazione dei piani regolatori

, in Giur. completa Cass. civ., 1950, p. 882 ss. (ora anche in M. S. GIANNINI, a ricordare G. MORBIDELLI,

Pianificazione territoriale ed urbanistica

di diritto urbanistico, quali, a titolo esemplificativo: F. SALVIA – F. TERESI,

Diritto urbanistico Scritti

, 1949-1954, vol. III, Milano, 2003, p. 237) e successivamente ripresa da molti altri autori, tra i quali ci si limita, in questa sede, , in Enc. giur., XXIII, Roma, 1990, p. 40. La qualificazione del P.R.G. come atto complesso è ancora largamente condivisa e presente nei più diffusi manuali , VII ed., Padova, 2002, 85, nt. 28; G. PAGLIARI,

Corso di diritto urbanistico

, III ed., Milano, 2002, p. 130; P. URBANI e S. CIVITARESE MATTEUCCI,

Diritto urbanistico, organizzazione e rapporti

, III ed., Torino, 2004, p. 129; N. ASSINI, in

Diritto urbanistico

, Padova, 2003, p. 107. 9

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P.R.G. contiene prescrizioni e vincoli immediatamente efficaci (come ad esempio, i vincoli di inedificabilità ed i vincoli preordinati all’esproprio) e, su altro versante, si rappresenta come esso fornisca chiaramente i destinatari di tali prescrizioni, avendo ad oggetto beni immobili determinati o determinabili, e pertanto identifica i titolari dei relativi diritti reali 21 . Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale dominante

in subiecta materia

considera il Piano regolatore generale un atto c.d. misto, contenente sia previsioni di carattere programmatico (di natura normativa), sia prescrizioni di contenuto precettivo, alle quali viene riconosciuta natura provvedimentale e, in quanto tali, idonee a ledere direttamente le posizioni giuridiche correlate all’esercizio della potestà pubblica (tra le quali rientra ormai anche il legittimo affidamento del proprietario). Il sindacato giurisdizionale sul suddetto strumento urbanistico, quindi, necessita uno studio concreto e specifico delle singole previsioni dello strumento urbanistico, dovendo l’organo giurisdizionale o amministrativo operare una valutazione sulla singola prescrizione, la cui verifica ha ad oggetto la potenziale natura programmatica – la quale non incide direttamente sulle posizioni soggettive e non necessita, pertanto, di congrua motivazione – o la natura precettiva, che,

ex adverso

, potrebbe ledere le posizioni soggettive correlate, con la conseguenza che le scelte amministrative dovranno essere accompagnate da una adeguata confutazione e corroborazione, attraverso l’inserimento degli interessi privati all’in terno del bilanciamento con gli altri pubblici contrastanti 22 . Tale sindacato, tuttavia, non si limita alla valutazione del contenuto intrinseco della singola prescrizione, ma, riconosciuto un potere di co-pianificazione della Regione, lo studio delle problematiche inerenti alla lesione delle posizioni giuridiche soggettive (

rectius

, il legittimo affidamento) comprende anche la possibilità che essa derivi dalle modifiche apportate al PRG dalla stessa autorità regionale. Infatti, atteso che l’ordinamento giuridico legittima la Regione, all’interno della pianificazione territoriale, ad esercitare un potere di revisione delle scelte attraverso l’introduzione di modifiche d’ufficio, nei limiti che tali varianti abbiano ad oggetto interessi sovracomunali coinvolt i nella 21 Cfr. A. M. SANDULLI, e futuri di diritt

Sugli atti amministrativi a contenuto non normativo

, in Scritti giuridici in memoria di V. E. ORLANDO, Padova, 1956, p. 453. Il provvedimento in esame non si rivolge ad una generalità non specificata di soggetti, avendo, al contrario, come tutti gli atti che operano conseguenze nel campo dei diri i su tali beni”. In tal senso, V. anche R. MONTEFUSCO, tti reali, “la funzione di interessare, ciascuno in modo peculiare, beni immobili specificamente determinati, e i titolari presenti

La motivazione degli atti di pianificazione urbanistica: atti amministrativi generali?

, in Foro amm. TAR, 2002, IX, pp. 2861 ss. Sulla questione relativa alla natura giuridica del P.R.G., peraltro, la dottrina non ha raggiunto una posizione univoca, risultando, ad oggi, prevalente la tesi della natura mista, che considera il piano dotato di una parte a contenuto normativo e di un’altra a contenuto di atto generale. Per un resoconto su questo dibattito si rinvia a F.

CARINGELLA,

Corso di diritto amministrativo

, Milano, 2001, pp. 153 ss.; PAGLIARI,

Corso di diritto Urbanistico

, Milano, 1999, pp. 128 ss. 22 Sulle differenti capacità lesive delle prescrizioni contenute all’interno del P.R.G. e sui conseguenti regimi di impugnabilità, V. R. M. PELLEGRINI,

Impugnabilità dei provvedimenti in materia urbanistico-ambientale tra onere di notifica, obbligo di motivazione e sindacabalità dell’esercizio di discrezionalità tecnica

, in Foro amm. Cons. St., 2008, pp. 3444 ss. 10

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precedente pianificazione comunale (coincidenti, di norma, con i vincoli ambientali, paesaggistici idrogeologici oltreché quelli connessi ad opere e strutture di interesse regionale), tali scelte regionali potrebbero comunque ledere

ex se

e direttamente gli interessi privati connessi. Di conseguenza, una ulteriore valutazione spetta in capo all’organo giudicante, che deve necessariamente distinguere tra varianti normative, varianti specifiche e varianti generali. Le varianti normative hanno ad oggetto soltanto le norme di attuazione del Piano regolatore generale, non anche le planimetrie e, quindi, l’assetto urbanistico del territorio 23 . La differenza tra varianti specifiche e varianti generali si fonda non già su un criterio funzionale, bensì su un criterio spaziale di delimitazione del potere di pianificazione urbanistica concretamente esercitato dall’Amministrazione: invero, le varianti specifiche interessano esclusivamente una parte del territorio comunale; le varianti generali, invece, si s ostanziano in una nuova disciplina generale dell’assetto del territorio, resasi necessaria in ragione della indeterminata efficacia temporale del Piano regolatore generale, il quale deve essere sottoposto a revisioni periodiche 24 . La diversa delimitazione spaziale del potere di pianificazione urbanistica delle amministrazioni si riverbera non solo sull’obbligo di motivazione, ma anche sul sindacato di legittimità spettante al giudice amministrativo 25 . 23 V. S. VINTI,

Natura e presupposti della variante di piano regolatore

, in Riv. Giur. Edil., 1989, p. 350; Cfr. A. DI MARIO,

Le varianti al Piano Regolatore e l’obbligo di motivazione

, in Urb. e app., 1997, p. 1153; R. POLITI,

La variante al p.r.g. Comparazione degli interessi pubblici e privati ed obbligo di motivazione

, in Il corriere Giuridico, 1994, p. 1159. 24 Cons. St., sez. IV, 6 febbraio 2002, n. 664, in www.giustizia specifiche e quelle generali si fonda su di un criterio spaziale di delimitazione del concreto potere esercitato di pianificazione urbanistica, nel senso che mentre le varianti specifiche interessano soltanto una parte del territorio comunale (e rispondono quindi all’esigenza di rispondere a sopravvenute necessità urbanistiche parziali e localizzate), le varianti generali consistono, resasi necessaria perché il piano regolatore generale ha durata indeterminata e quindi deve essere soggetto a revisioni periodiche”.

Sul punto, R. POLITI amministrativa.it: “la differenza tra le varianti in sostanza, in una nuova disciplina generale dell’assetto del territorio,

, La variante al p.r.g. Comparazione degli interessi pubblici e privati ed obbligo di motivazione

, in Il corriere Giuridico, 1994, p. 1159, “la variante generale al piano regolatore generale costituisce atto pianificatorio del territorio comunale che comporta radicali modifiche al piano vigente, dal che la revisione di direttive urbanistiche pregresse per realizzare un processo di adeguamento, potenziamento, e modernizzazione delle strutture territoriali esistenti si traduce in nuove scelte urbanistiche che, in vista di obiettivi generali da raggiungere, ben possono sacrificare interessi specifici di privati” . 25 V. Cons. St., sez. IV, 2 luglio 1983, n. 483, in Riv. Giur. Edil, 1983, I, p. 579; Cons. St., sez. IV, 30 giugno 1993, n. 642, in Cons. St., 1993, I, p. 1261: “l’adozione di una variante al piano regolatore a carattere generale è sufficientemente motivata allorchè la motivazione si trae dalle linee generali della programmazione urbanistica posta a base della valutazione, senza necessità di spiegare specificamente il mutamento di destinazione d’uso di aree determinate”. I n tal senso, Cons. St.

, sez. IV, 6 febbraio 2002, n. 664, cit., ove si afferma che “Ai fini della legittimità di una variante è sufficiente, sotto il profilo della motivazione e dell’istruttoria, l’accertata esi stenza di problematiche, anche di ordine generale, purchè concrete ed attuali, non arbitrarie o illogiche, che incidono in senso negativo sulle condizioni di vita dell’intera cittadinanza (quali ad esempio quelle dei parcheggi, della viabilità, del verde pubblico,etc.), problematiche che medio tempore si siano aggravate, non essendo per contro sufficiente una rinnovata indagine su ogni singola area al fine di giustificarne la sua specifica idoneità a soddisfare esigenze pubbliche”.

11

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Ne deriva, in linea generale, che la preesistente destinazione urbanistica non preclude l’introduzione di previsioni opposte, le quali rappresentano la concreta applicazione dell’esercizio del

ius variandi

da parte dell’amministrazione competente, con la conseguenza che non risulta pos sibile configurare a carico dell’ente locale un obbligo di specifica motivazione in ordine alla variazione urbanistica dell’area, ben potendo soccorrere al riguardo l’esposizione delle ragioni di carattere generale sottese alle scelte di gestione del territorio 26 . Tuttavia, sebbenel’adozione di una variante generale non richieda un’apposita motivazione, risulta comunque necessaria una indicazione congrua delle diverse esigenze che con la variante si è inteso affrontare 27 . Ove si tratti, al contrario, di varianti specifiche, aventi per oggetto – come già accennato – una porzione limitata di territorio, la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di fornire all’interessato una motivazione specifica ed analitica, poiché, in questo caso, ci si trova dinnanzi ad atti che incidono su situazioni giuridiche differenziate e qualificate 28 .

3. La proprietà e il ius aedificandi. La sentenza n. 5/1980 della Corte costituzionale (“relativamente ai suoli destinati dagli strumenti urbanistici all’edilizia residenziale privata”)

L’effettiva portata applicativa della discrezionalità amministrativa in

subiecta materia

risulta proporzionalmente influenzata dalla nozione di proprietà elaborata dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 5 del 1980, la quale costituisce ancora oggi un passaggio logico e giuridico costantemente presente nelle motivazioni di diritto delle decisioni afferenti alla risoluzione delle controversie tra il proprietario privato e l’esercizio del potere amministrativo in tema d i diritto urbanistico. La Corte costituzionale, nella sentenza 5/1980, afferma che il diritto a edificare

(ius aedificandi

) inerisce alla proprietà stessa e che tale diritto, però, può essere esercitato solo entro i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici, con la conseguenza che il relativo provvedimento amministrativo (concessione a edificare, ora permesso a costruire) non è attributivo di diritti nuovi, ma presuppone facoltà preesistenti, sicché sotto questo profilo non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell’originaria licenza, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall’ordinamento per l’esercizio del diritto, nei limiti in cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la consistenza. Il continuo richiamo a tale decisione, e al contenuto di essa, denota come dopo circa trenta anni non sia stata fatta chiarezza, dalla giurisprudenza stessa e dal legislatore, riguardo alla relazione tra

ius aedificandi

26 V. Cons. St., adunanza plenaria, 22 dicembre 1999, n. 24, in Foro amm., 1999, p. 2383. 27 V. Cons. St., sez. IV, 3 luglio 2000, n. 3646, in Cons. Stato, 2000, I, p. 1614. 28

Ex pluribus

: Cons. st., sez. V, 23 maggio 2000, 2982, in Cons. St., 2000, I, p. 1315; Cons. St., sez. IV, 23 marzo 2000, n. 1561, ivi, 2000, I, p. 653; Cons. St., sez. IV, 6 marzo 1998, n. 382, in Foro. Amm. CDS, 1998, p. 658; Cons. St., sez. IV, 5 dicembre 1994, n. 992, in Cons. St., 1994, I, p. 1680; 12

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e diritto proprietà 29 . Né vale, come prova giuridica, la natura del permesso di costruire (prima concessione) per affermare l’inerenza del diritto a edificare al diritto di proprietà, in quanto la configurazione giuridica del permesso è solo una diretta conseguenza dell’interpretazione, più generale, del

ius aedificandi

e della proprietà. Infatti, il confronto fra potere dell’amministrazione e facoltà del proprietario deve essere riferito più “a monte” del momento del rilascio della concessione (ora permesso), ossia nel momento di esercizio del potere di pianificazione urbanistica della P.A., relativo all’individuazione delle aree edificabili, nonché alla misura e alle modalità. Nello specifico, la Corte costituzionale statuisce che, nonostante le innovazioni della l. 10/1977, “... il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà...” e che la “... concessione ad edificare non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti, sicché sotto questo profilo non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell’antica licenza...” 30 . Sebbene tale affermazione fosse incidentale rispetto al

thema decidendum

della sentenza 31 , le reazioni del tempo furono particolarmente “accese”. Una lettura più serena della sentenza, però, porta verso considerazioni meno sconvolgenti. Innanzitutto, occorre premettere che, al fine di pervenire alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme relative alle indennità di espropriazione, non era necessaria l’affermazione dell’inerenza del

ius aedificandi

al diritto di proprietà, e pertanto essa era superflua rispetto all’economia della decisione.

In secondo luogo, la connessione fra il diritto a edificare e il diritto di proprietà è stata affermata dalla Corte “... relativamente ai suoli destinati dagli strumenti urbanistici all’edilizia residenziale privata...”. Da questa lettura completa della frase, risulta chiaro come sia fatto salvo il principio secondo il quale solamente lo strumento urbanistico attribuisce carattere edificatorio al terreno. La sentenza n. 5/1980 della Corte costituzionale, infatti, limita l’inerenza della facoltà a edificare solamente a quelle aree che gli strumenti urbanistici destinavano all’edilizia privata, dimostrando una posizione ancor più progredita rispetto alle interpretazioni che consideravano lo sfruttamento edificatorio contenuto nel diritto di proprietà. 29 V. M. TAMPONI,

Il contenuto del diritto di proprietà alla luce dell’art. 42 Cost

., in I rapporti economici nella Costituzione, III, Milano 1989, p. 165; T. PASQUINO,

Il contenuto minimo del diritto di proprietà tra codice civile e Carta costituzionale

, in I rapporti patrimoniali nella giurisprudenza costituzionale, a cura di TAMPONI e GABRIELLI, Napoli 2006, p. 38; F. SALVIA,

Il contributo di A. Sandulli alla ricostruzione della proprietà alla luce della costituzione repubblicana

, in A. Sandulli (1915-1984) attualità del pensiero giuridico del maestro, Milano, 2004, p. 455; A. M. SANDULLI,

I limiti alla proprietà privata nella giurisprudenza costituzionale

, in Giur. cost., 1971, p. 962. In tema, si veda M. A. SANDULLI,

Trent’anni dopo: l'impatto delle sentenze della corte costituzionale n. 55 e 56 del 1968 sull'ev oluzione successiva dell'ordinamento giuridico e dell'urbanistica

, in Riv. giur. edil., 1998, 6, II, p. 255. 30 N. Lipari,

Osservazione a Corte cost. 30 gennaio 1980, n. 5

, in Giur. Cost., 1980, I, p. 23 ss. 31 La Corte costituzionale era stata adita circa i criteri di determinazione dell’indennità di espropriazione introdotti dalla l. 22 ottobre 1971, n. 865, e modificati dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10. 13

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A maggior riprova del carattere esclusivo dello strumento pubblico come unica fonte attributiva della facoltà di edificare, è necessario considerare l’ipotesi, prevista dalla stessa sentenz a, della espropriazione per pubblica utilità e del conseguente indennizzo 32 . Infatti, nel caso specifico di qualifica del terreno come residenziale privato, non si può sfuggire alla seguente alternativa: o i terreni rimangono destinati dallo strumento urban istico all’edilizia privata e qualsiasi procedimento diretto all’espropriazione deve considerarsi illegittimo; o viene variata la loro destinazione e la realizzazione di un’opera pubblica viene prevista nello stesso strumento urbanistico. Qualora, in concreto, la fattispecie descritta dalla Corte costituzionale si verificasse ugualmente, l’anomalia giuridica sarebbe dovuta da un mancato esercizio del

ius variandi

e non dal collegamento o meno della posizione soggettiva del privato 33 . La dottrina, quindi, partendo da una visione parziale della sentenza della Corte costituzionale, ha tentato (e ancora oggi tenta) di riesumare la vecchia concezione del contenuto minimo della proprietà presente nel codice del 1865 all’art. 436, discostandosi profondamente dai principi enunciati nella stessa sentenza in esame e in quelle successive ad essa: nella decisione n. 5/1980, la Corte limita l’inerenza del

ius aedificandi

al diritto di proprietà solamente per quelle aree destinate dagli strumenti urbanistici all’edilizia p rivata; nella sentenza successiva, la n. 92 del 1982 (in materia del carattere permanente della l. 1187/1968), la stessa Corte ha precisato che “... la cessazione del vincolo farà venir meno soltanto lo specifico onere relativo e il titolare del bene si troverà quindi nella medesima situazione di tutti gli altri aventi un diritto reale sui beni, restando così assoggettato a tutto quanto la legge e gli strumenti urbanistici, compreso il programma pluriennale di attuazione, dispongono” 34 . L’espresso riferiment o alla legge e agli strumenti urbanistici determina una chiara posizione di natura opposta rispetto alle tesi che tendono a considerare inerente la facoltà di edificare con il diritto di proprietà: questa natura, infatti, per la Corte costituzionale, non è espressione del diritto reale sui beni, ma la sua disciplina (ed il suo riconoscimento) deve desumersi dal quadro complessivo della normativa urbanistica. Nel ragionamento logico e giuridico impostato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che vogliono inerente il

ius aedificandi

e il diritto di proprietà, è portato come prova il cambio del

nomen iuris

apportato 32 Sul tema espropriativo e sulla relativa giurisprudenza costituzionale,

ex multis

, V. C. SALVI,

Il contenuto del diritto di proprietà

, in Codice civile Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1994, sub artt. 832-833, p. 19 ss.; E. DAMIANI,

Il nuovo vriterio per la fissazione dell'indennità di esproprio per i suoli edificabili,

in Riv. giur. ambiente, 1993, p. 415 ss.; V. CARBONE,

La nuova indennità di esproprio per i suoli edificatori

, in Corriere giur., 1992, p. 1149 ss.; D. SORACE,

Gli indennizzi espropriativi nella Costituzione: fra tutela dell'affidamento, esigenze risarcitorie e problemi della rendita urbana

, in Riv. crit. dir. priv., 1989, p. 405 ss. 33 V. G. TORREGROSSA,

Introduzione al diritto urbanistico

, Milano, 1987, p. 61 ss. 34 Corte cost., 12 maggio 1982, n. 92, in Giust. civ., 1982, I, p. 1683 ss. 14

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dal D.P.R 380/2001, nel quale il titolo “concessione edilizia” è stato cambiato con “permesso di costruire”. Pur ammettendo che si sia trattato di una modifica meramente terminologica, in quanto sostanzialmente l’istituto è rimasto il medesimo, non si è voluto constatare che la configurazione giuridica del titolo abilitativo sia una diretta e naturale conseguenza dell’estensione delle facoltà riconosciute al diritto di proprietà. Secondo questo ragionamento, il permesso di costruire ha natura autorizzatoria, attraverso cui la discrezionalità amministrativa costituisce solamente momento di accertamento della conformità del progetto. Tale concezione, comunque, si scontra con le previsioni del D.P.R. stesso. Infatti, l’art. 12, comma secondo, pone a presupposto del permesso di costruire la necessità dell’esistenza delle opere di urbanizzazione, in mancanza richiedendo che siano previste dal Comune nel triennio o siano da assumersi da parte del privato nel contesto dell’intervento edilizio 35 . Di conseguenza, attraverso le condizioni previste all’art. 12, il permesso di costruire non presenta un carattere di controllo meccanico fra la costruzione da realizzare e le norme dello strumento urbanistico. Pertanto, il giudizio discrezionale circa la congruenza di queste rispetto alla costruzione stessa mette in evidenza gli aspetti pubblicistici del fenomeno edilizio-urbanistico ed esclude, conseguentemente, il libero esercizio delle facoltà del proprietario. In definitiva, non appare convincente l’orientamento dottrinale che, per affermare l’inerenza del diritto di edificare al diritto di proprietà, argomenta partendo dalla natura giuridica del permesso di costruire. Infatti, il confronto tra potere della P.A. e facoltà del proprietario deve avere un connotato più generale rispetto al momento del rilascio del permesso, ossia al momento in cui la P.A. esercita il potere di pianificazione urbanistica; tale potere è talmente discrezionale da escludere che il

ius aedificandi

sia contenuto nel diritto di proprietà. Tuttavia, il potere di pianificazione urbanistica, per quanto discrezionale, incontra i limiti previsti dalla razionalità dell’azione amministrativa, non potendo adottare scelte che siano in contrasto con l’interesse pubblico perseguito, come specificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 38 del 14 maggio 35 Il rilascio del permesso di costruire in assenza dello strumento urbanistico attuativo presuppone che le aree interessate all’edificazione siano dotate delle opere di urbanizzazione primaria già realizzate al servizio delle stesse e costituite dalle reti idrica, fognante, telefonica e di pubblica illuminazione e che il progetto non sia in contrasto con le prescrizioni urbanistiche generali (Cons. Stato, Sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 268, in Red. Amm. CDS, 2008, p. 1). Ai fini del rilascio di una concessione edilizia in assenza del piano attuativo, la valutazione circa la congruità del grado di urbanizzazione di un’area, rimessa all’apprezzamento di merito dell’amministrazione, deve essere effettuata alla stregua della normativa sugli standards urbanistici di cui al combinato disposto del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e dall’art. 17, L. 6 agosto 1967, n. 765 (Cons. Stato, Sez. IV, 1 agosto 2007, n. 4276, in Foro amm. CDS, 2007, 7-8, p. 2174). 15

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1966, ed il relativo ipotetico giudizio di illegittimità non sarebbe giustificato dalla lesione del diritto dei proprietari, ma dal pregiudizio all’interesse pubblico della razionalità delle scelte urbanistiche.

In conclusione

, nemo potest personam diu ferre.

Occorre maggiore chiarezza riguardo i limiti dell’ingerenza privatistica all’interno di tematiche di interesse pubblico, ed in particolar modo nella materia oggetto d’esame, dove il continuo processo di interpretazione determina una confusione ermeneutica, la cui

ratio

è facilmente spiegabile dalla stretta connessione degli interessi politici, economici e sociali con l’istituto della proprietà, in un continuo tentativo di liberalizzare il processo edificatorio nazionale, salvo poi ricorrere all’intervento pubblico nell’eventuale (ma, come spesso accade, probabile) fase patologica . 16

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