credo vivo comunico

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P r i m Aot t pu ai lai nt ào
CHIESA E MONDO
di Aurora Nicosia
CREDO
VIVO
COMUNICO
DAL SINODO SULLA NUOVA
EVANGELIZZAZIONE EMERGE
IL VOLTO DI UN CRISTIANESIMO
IN CAMMINO CON L’UOMO DI OGGI
N
on più pulpiti dove c’è chi parla
e chi ascolta, ma social network,
dove si interagisce; non più solo
chiese, ma anche piazze; non più
solo le tonache dei sacerdoti, ma
anche i jeans dei giovani. È cambiato
negli anni il modo di dire al mondo che
Dio ci ama e forse non ce ne siamo sufficientemente accorti. Poi, di tanto in
tanto, succede qualche evento per cui
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argomenti di cui si parla poco o si parla male tornano a imporsi all’opinione
pubblica e alimentano un confronto
aperto. Così è successo, ad esempio,
a proposito della Nuova evangelizzazione a cui è stato dedicato l’ultimo
Sinodo dei vescovi appena chiuso in
Vaticano, che ha visto la partecipazione di 262 vescovi, 45 esperti, 49 uditori
e delegati fraterni di 15 Chiese cristia-
ne. Si è parlato – con grande libertà,
a detta dei partecipanti – di famiglia,
giovani, catechesi, dialogo ecumenico
ed interreligioso, ruolo della donna,
impegno sociale e rinnovamento spirituale, nuovi media. E non si è taciuto
su argomenti “scottanti”, dalle coppie
di fatto agli abusi sessuali, dai divorziati al clero sfiduciato, alla “cristianofobia” vera o presunta.
Domenico Salmaso
Un Sinodo “cattolico” nel senso
di “universale”, una di quelle esperienze che allargano gli orizzonti,
aprono mente e cuore. Parlare di
evangelizzazione in Nigeria, dove
il musulmano, come ha raccontato
John Olorunfemi Onaiyekan, vescovo di Abuja (card. di nuova nomina),
si “scandalizza” se il suo vicino di
casa cristiano la domenica non par-
12 mila giovani hanno partecipato
al Genfest di Budapest.
A fronte: partecipanti al corso
“Attivo la mia diocesi”.
tecipa al culto e gliene chiede conto
(e viceversa), non è la stessa cosa che
parlarne in riferimento a tanta parte
d’Europa dove nessuno si interessa
a quello che fanno i propri vicini; ci
sono Paesi dove l’annuncio del Vangelo non è ancora arrivato e altri dove questo annuncio è così antico da
essere diventato vecchio; nazioni dove si professa liberamente la propria
appartenenza religiosa e altre dove
questo si trasforma in persecuzione.
In una Chiesa i cui confini sono il
mondo – «al Sinodo abbiamo sentito
il battito cardiaco della Chiesa uni-
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INDIMENTICABILI
di Michele Genisio
AP
Attualità
50 ANNI
CON I BEATLES
VEDETTE ALLA SCOPERTA DI UN MONDO NUOVO,
PORTAVOCE DI UNA GENERAZIONE
C
i sono giorni in cui va tutto storto. La Decca Records aveva
invitato a Londra un gruppo di
quattro ragazzi di Liverpool che
stavano facendo bene con la loro musica. Un osservatore della casa
discografica era andato ad ascoltarli
al Cavern, il locale di Liverpool dove
si esibivano, e gli erano piaciuti. Ma
quella era una giornata no.
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John, Paul, George e Pete (era Pete Best il batterista del quartetto di allora) quella notte avevano viaggiato
male, dormito male, erano nervosi, il
loro manager Epstein aveva fatto una
pessima scelta di brani del loro repertorio. Il provino andò come andò
e la Decca decise di non scritturarli:
non sarebbero andati lontano quelli
lì, non valeva la pena rischiare. Scrit-
turarono invece un gruppo londinese,
Brian Poole & The Tremeloes. Errore madornale per quelli della Decca,
che si mangiarono poi le mani per essersi lasciati sfuggire l’affare discografico più colossale immaginabile.
I quattro ragazzi ci rimasero male.
Suonavano assieme da quando avevano quindici o sedici anni, erano stati
un paio d’anni ad Amburgo; insomma, anche se giovani, s’erano fatti
un bel po’ di gavetta. Paul era il più
preparato fra di loro, musicalmente:
col padre che suonava la tromba e il
pianoforte, aveva già composto a sedici anni un paio di canzonette fra cui
una che verrà incisa anni dopo e sarà
un gran successo: When I’m Sixtyfour.
Epstein era convinto delle loro
possibilità. Non si diede per vinto.
Convinse i quattro ragazzi a lavorare
con la musica, a curare di più la loro
immagine, a presentarsi in modo più
professionale. Organizzò un’audizione
Ringo, George, Paul, John: avevano
carisma, naturale sintonia col
pubblico. Erano i ragazzi giusti
al momento giusto. A fronte: vari
momenti della storia dei Beatles
e dei loro dischi.
con la Emi. Ringo Starr era subentrato
alla batteria. Questa volta andò bene.
Così il 5 ottobre 1962 uscì il primo 45 giri dei Beatles, Love Me Do
(lato A) e PS I Love You (retro). 50
anni fa. La Emi investì poco e niente
in pubblicità per il disco: se son rose fioriranno. Love Me Do andò assai
bene come prima uscita, diciassettesima nelle classifiche britanniche. Ma
il loro secondo disco balzò subito al
primo posto e presto i Beatles s’imposero come fenomeno contagioso nel
panorama musicale inglese. Un anno
dopo non c’era più storia, era esplosa
la Beatlemania, il quartetto di Liverpool aveva scatenato autentici entu-
siasmi di massa, non c’era neanche
più bisogno di pubblicizzare i dischi.
La loro musica elettrizzante e spensierata, insieme alla loro immagine ingenua, baldanzosa, sorridente, la loro
pettinatura, i loro vestiti, scatenarono
autentici isterismi fra gli adolescenti
inglesi. Ad ogni concerto le urla delle
fan coprivano le canzoni. Negli anni
che seguirono, i Beatles divennero gli
artisti con il maggior numero di vendite nella storia della musica: oltre un
miliardo di dischi venduti. Il mondo
non fu più lo stesso dopo i Beatles.
Furono le loro canzoni? Certamente sì, anche se alcune erano assai
banali. Ma le loro sonorità accattivanti ed esplosive, alcune idee musicali davvero innovative, brani indimenticabili come Yesterday (confermo: non è del grande Troisi) e Let It
Be, fecero la differenza. Ma tanti altri
cantanti e gruppi composero canzoni
molto belle in quegli anni.
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