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Domenica, 8 Gennaio 2017
L’operazione
«Centinaia di colpi esplosi non
da cani sciolti ma dai membri di
una vera organizzazione»:
racket eolico, l’allarme della
Procura
Arrestate due persone, tra Canosa e
Trinitapoli, ritenute responsabili di quattro
attentati avvenuti, tra il luglio e l’ottobre del
2015, a danno degli impianti di produzione di
energia di proprietà di due diverse imprese,
nel territorio di Lacedonia. Cinque mesi di
indagini particolarmente complesse che
aprono la strada ad un’inchiesta destinata a
proseguire per la vastità del fenomeno
Autore: Giulia D’Argenio
Data di pubblicazione: Mercoledì, 28 Dicembre 2016
Conferenza stampa presso la sede della Compagnia dei Carabinieri di Sant’Angelo dei Lombardi, sull’operazione
realizzata, nella giornata di ieri, dai militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino e della
Compagnia santangiolese, coadiuvati dagli uomini delle Compagnie di Barletta e Cerignola, che, nel territorio tra
Canosa e Trinitapoli, hanno tratto in arresto due uomini considerati responsabili degli attentati ai parchi eolici di
Lacedonia.
L’operazione è scattata sulla scorta di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. di Avellino,
su richiesta della Procura della Repubblica, a carico dei due che si ritiene siano membri di un’associazione a
delinquere responsabile di azioni di danneggiamento, a scopo estorsivo, di alcune strutture per la produzione
energetica collocate nel territorio del piccolo centro altirpino.
Ed è proprio questo il dato messo in risalto, nel corso della conferenza, dal Procuratore Capo presso il Tribunale di
Avellino, Rosario Cantelmo, il quale ha sottolineato come «il dato allarmante emerso da questa indagine», che fa
riferimento a quattro episodi verificatisi nel territorio di Lacedonia, «è la presenza di una vera e propria
organizzazione, responsabile di azioni finalizzate ad estorsioni in danno alle imprese operanti in questa parte di
territorio dell’Alta Irpinia. Non si tratta, quindi, né di “cani sciolti” né di criminalità locale o di piccola delinquenza»
Queste le conclusioni a cui gli inquirenti sono giunti al termine di un’indagine particolarmente complessa, come
sottolineato dallo stesso Cantelmo, tanto da richiedere l’intervento anche degli uomini del Reparto Investigazioni
Speciali che hanno permesso di individuare i responsabili «attraverso comparazioni di intercettazioni telefoniche e
una consulenza antropometrica che ha riguardato le registrazioni di una telecamera a partire dalla quale si è
arrivati ad individuare uno dei responsabili. Al momento siamo alla contestazione di quattro episodi – ha
proseguito il Magistrato – avvenuti tutti nel territorio di Lacedonia. La prospettiva investigativa, tuttavia, è quella
di essere di fronte ad una organizzazione criminale il che significa che ci sono ancora altri step da fare». Oltre ai
due provvedimenti eseguiti nel corso dell’operazione di ieri, la Procura aveva chiesto di procedere anche nei
confronti di una terza persona «richiesta che – ha spiegato il procuratore – ci è stata respinta dal GIP. Decisione
che rispettiamo pur non condividendola ragion per cui stiamo valutando cosa fare rispetto a quest’ultima
posizione».
Più in generale, l’inchiesta prosegue proprio per la vastità di una vicenda che non ha mancato di creare un certo
allarme sociale. Le indagini sono partite lo scorso mese di luglio 2015 e sono durate per oltre 5 mesi ed hanno
preso le mosse da un primo attentato che aperto poi la strada ad una serie di azioni intimidatorie che sono tutti
avvenuti in località Calaggio. Si è trattato di episodi che, tra il 2 luglio ed il 3 di ottobre 2015, hanno interessato
impianti di proprietà di due differenti società, con un danno per centinaia di migliaia di euro, oltre alle perdite
determinate dal blocco delle stesse strutture.
A colpire anche il modus operandi degli esecutori materiali degli atti intimidatori che giravano, armati di fucili
migratori AK-47 kalashnikov, in pieno giorno, assolutamente incuranti di eventuali rischi e che non hanno certo
fatto economia di munizioni particolarmente rare come quelle delle armi utilizzate negli attentati. «I RIS - hanno
dichiarato gli inquirenti - hanno dovuto analizzare centinaia di bossoli, a differenza di quel che solitamente accade
quando ad essere utilizzate sono armi di questo genere con al massimo un paio di colpi, non di più». Una
condizione che ha finito per determinare non poca preoccupazione tra le comunità locali, inducendo i Carabinieri
a mettere in campo più stringenti attività di controllo del territorio, accanto a quelle di natura di carattere
squisitamente investigativo. Un’azione la cui efficacia è stata dimostrata dall’azzeramento degli episodi
intimidatori.
L’attività di indagine pare comunque destinata a proseguire, andando al di là dei fatti specifici, imputabili
esclusivamente a questo gruppo.
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organizzazione»: racket eolico, l’allarme della Procura