Anno LVII | n. 12 | 25 giugno 2013

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Transcript Anno LVII | n. 12 | 25 giugno 2013

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/31/2012; “TAXE PERÇUE” “TASSA RISCOSSA”
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I LIBRETTI
STORIE
ESSERE APPROFONDIMENTI
ATTUALITÀ
FAMIGLIA
Una collana originale nel panorama editoriale italiano
single
allegato al n. 10
allegato a questo numero
le spie rosse
dell’amore
di Rino Ventriglia
Che fare quando
nella coppia
le cose vanno male?
Come ritrovare
senso e speranza?
per
abbonamenti o copie arretrate
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casa
allegato al n. 13/14
UN
F
2013 FRIZZANTE...

suore (Alessandra Smerilli)

legalità (Gianni Bianco)

non c’è più (Emanuela Megli)

adozioni (Giovanna Pieroni)

le stagioni della donna (Sara Fornaro)
Il punto
LA SQUADRA DI CITTÀ NUOVA
di Michele Zanzucchi
UNA CONTAGIOSA
PASSIONE CIVICA
Michele Zanzucchi
«L
a mia passione non è nata d’improvviso,
ma è maturata dalla lettura della nostra
rivista e dalla convinzione che l’Italia,
il mio amatissimo Paese, ha bisogno di
un’iniezione di fiducia e coraggio. Quella
fiducia e quel coraggio che vedo esplicitati sulle
colonne di Città Nuova e sulle schermate di Città
Nuova Quotidiano online, così come sui libretti
PassaParola o addirittura su Il Vangelo del giorno.
La mia è una passione civica, e non un modo per
occupare il mio tempo o per rispondere a un impulso
esclusivamente spirituale». Così Franca, una dei 150.
Sì, nel weekend a cavallo tra maggio e giugno,
a Nemi, luogo incantevole sulle alture a picco
sull’omonimo lago dei Castelli romani, 150
uomini e donne dai 30 agli 80 anni, incaricati
della promozione della nostra rivista e dei prodotti
culturali del Gruppo editoriale Città Nuova da
Aosta a Vittoria, si sono riuniti per fare un bilancio
dell’anno sociale che sta concludendosi e per
programmare quello che inizierà dopo l’estate.
Non c’era la minima illusione nei presenti: la situazione del comparto editoriale dell’economia italiana
rasenta la bancarotta, con crolli delle vendite e
aumento dei costi postali, riduzione dei contributi
all’editoria e esuberi di personale a migliaia. Non
è insomma il tempo del facile ottimismo. Ma è il
tempo della passione civica.
È apparso evidente come quest’anno i giornalisti,
i collaboratori e i diffusori dei prodotti del Gruppo
editoriale Città Nuova seguano tre parole d’ordine:
apertura, diversificazione, partnership.
Apertura: il pubblico delle riviste del gruppo, gli
acquirenti dei libri dell’editrice e i “navigatori” sul
web dei nostri siti hanno chiaro come la soluzione
dei problemi attuali della società vada ricercata
guardando oltre le mura del nostro fortino, cercando
linguaggi e argomentazioni sempre più universali.
Diversificazione: se una volta nel nostro Gruppo
c’erano solo la rivista quindicinale e buone collane
di libri, oggi i nostri prodotti si moltiplicano.
Così abbiamo le riviste Nuova Umanità, Unità e
carismi, Gen’s (da quest’anno) e Sophia, accanto
al quindicinale Città Nuova, a Città Nuova
Quotidiano online, al settimanale online CN7, ai
libretti PassaParola, a Il Vangelo del giorno, agli
inserti semestrali Spaziofamiglia e Economia di
Comunione. Mentre sono in dirittura d’arrivo (regali
natalizi!) una rivista-sito per bambini tra i 5 e gli 8
anni (Big, bambini in gamba) e una per ragazzi dai
13 ai 16 anni (Teens). Dal lato editrice, sono state
aperte nuove collane (“Vite vissute”, restyling di
“Vita vissuta”, e “Borderline”), mentre ci si lancia
nel web d’alta cultura con Primi secoli.
Partnership: nello spirito della condivisione che è
parte integrante della nostra mission, cerchiamo a
tutti i livelli collaborazioni con aziende e gruppi
esterni che ci permettano di allargare il nostro
uditorio, di varare operazioni comuni anche
economicamente produttive e di mettere assieme
entità e persone anche diverse.
Apertura, diversificazione partnership che sono
esemplificate dai nostri stessi lettori: perché ci
consentono di guardare lontano come tante “antenne”
nella società, di raggiungere pubblici d’ogni genere
e sempre nuovi e che sono i nostri primi partner. Con
passione civica.
PAGINA
PAGINA
18
30
Ambiente Orti nelle città: un progetto
a favore di piccole produzioni locali
di Aurora Nicosia
In copertina: Suore,
una rivoluzione silenziosa e
formidabile è in atto (pagg. 8-12)
Foto AP
Opinioni
3
6
13
81
82
Estate In vacanza o in città,
l’importanza di riscoprire un sano
riposo di Aurelio Molè
Sommario
Attualità
52
61
62
Aperture dall’Iran di Roberto Catalano
14
I colori del cambiamento
di Anna Granata
16
Un reddito di cittadinanza
di Carlo Cefaloni
21
Editore di frontiera
a cura di Giulio Meazzini
23
Non è mai troppo tardi
di Raffaele Cardarelli
Ping Pong
di Vittorio Sedini
28
Grandiosa bellezza
di Giuseppe Distefano
Basta taglie da fame di Sara Fornaro
Riparliamone
a cura di Gianni Abba
32
Democrazia e potere della finanza
a cura di Carlo Cefaloni
24
25
26
Penultima fermata
di Elena Granata
45
Cinquant’anni fa su Città Nuova
a cura di Gianfranco Restelli
Invito alla lettura di Elena Cardinali
27
Bambini e media di M. Rosa Pagliari
Il Punto
di Michele Zanzucchi
Editoriali
di Pasquale Ferrara
Gennaro Iorio
e Alberto Lo Presti
Quindicinale di opinione del Movimento dei focolari
fondato nel 1956 da Chiara Lubich
con la collaborazione di Pasquale Foresi
DIRETTORE RESPONSABILE – Michele Zanzucchi
CAPOREDATTORE RIVISTA – Paolo Lòriga
REDAZIONE Sara Fornaro – Maddalena Maltese - Giulio Meazzini
Aurelio Molè - Aurora Nicosia – Oreste Paliotti
EDITORIALISTI – Vera Araújo – Gianni Bianco - Luigino Bruni – Vincenzo
Buonomo - Gianni Caso – Roberto Catalano – Fabio Ciardi - Pietro Cocco
Piero Coda – Paolo Crepaz – Michele De Beni – Pasquale Ferrara - Alberto
Friso – Lucia Fronza Crepaz - Alberto Ferrucci - Anna Granata - Elena
Granata - Gennaro Iorio - Alberto Lo Presti – Iole Mucciconi - Nedo Pozzi
Alessandra Smerilli
Allarme vulcano di Giulio Meazzini
Media di Claudia Di Lorenzi
Famiglia e società
Cittadinanza di Paolo De Maina
Lo psicologo di Ezio Aceti
A tu per tu con i giovani
di Francesco Châtel
COLLABORATORI – Ezio Aceti – Chiara Andreola - Raffaele Arigliani
Paolo Balduzzi – Mariagrazia Baroni - Giovanni Bettini - Maria Chiara
Biagioni – Riccardo Bosi – Elena Cardinali – Cristiano Casagni – Giovanni
Casoli – Marco Catapano – Francesco Châtel – Giuseppe Chella – Franz
Coriasco – Mario Dal Bello - Paolo De Maina – Raffaele Demaria – Claudia Di
Lorenzi - Giuseppe Distefano – Costanzo Donegana - Marianna Fabianelli
Luca Fiorani – Daniele Fraccaro - Tonino Gandolfo – Annamaria Gatti
Michele Genisio - Letizia Grita Magri - Benedetto Gui - Annalisa Innocenti
Pasquale Ionata - Walter Kostner - Maria Rosa Logozzo - Pasquale
Lubrano – Andrea F. Luciani – Roberto Mazzarella - Fausto Minelli Tanino
Minuta – Eleonora Moretti – Enzo Natta - Cristina Orlandi - Maria Rosa
Pagliari – Vito Patrono – Vittorio Pelligra - Lauretta Perassi - Maddalena
Petrillo Triggiano – Giovanna Pieroni – Adriano Pischetola - Stefano
Redaelli - Daniela Ropelato - Caterina Ruggiu – Lorenzo Russo - Maria e
Raimondo Scotto - Vittorio Sedini – Lella Siniscalco – Loreta Somma
CORRISPONDENTI DALL’ESTERO – Alberto Barlocci (Argentina)
Michel Bronzwaer (Olanda) – Luigi Butori (Thailandia) - Ed Herkes
(Belgio) – Antonio Faro (Brasile) – Carlo Maria Gentile (Filippine)
Frank Johnson (Gran Bretagna) – Silvano Malini (Uruguay)
Javier Rubio Mercado (Spagna) Jean–Michel Merlin e Alain Boudre
(Francia) - Liliane Mugombozi (Kenya) – Djuri Ramac (Slovenia)
Joachim Schwind (Germania) - Clare Zanzucchi (Stati Uniti)
CORRISPONDENTI IN ITALIA – Loreta Somma (Campania) – Tobia
Di Giacomo (Piemonte) - Silvano Gianti (Lombardia) – Patrizia Labate
(Calabria) – Emanuela Megli (Puglia) – Tiziana Nicastro (Emilia–Romagna)
Stefania Tanesini (Toscana)
PROGETTO GRAFICO – Umberto Paciarelli
GRAFICA E FOTOGRAFIA – Umberto Paciarelli
Priscilla Menin - Domenico Salmaso - Raffaella Pediconi
SEGRETERIA DI REDAZIONE – Carlo Cefaloni (responsabile)
Edoardo Mastropasqua – Luigia Coletta – Luciana Cevese - Roberta Ruggeri
ABBONAMENTI, PROMOZIONE E DIFFUSIONE – Marta Chierico
Silvia Zingaretti – Desy Guidotti – Antonella Di Egidio
COLLABORATORI SITO – Elena Cardinali – Paolo Friso – Paolo Monaco
Valentina Raparelli – Franco Fortuna - Antonella Ferrucci
PAGINA
PAGINA
PAGINA
34
56
46
Giovani artisti Il poeta bulgaro
Reportage Dove va l’Australia? Storia, Coppa America Luna Rossa
Svilen Angelov si racconta
di Silvano Gianti
spazi infiniti, modernità, immigrazione
di Michele Zanzucchi
Dal vivo e spiritualità
36
38
Osvaldo, prete rom di Oreste Paliotti
40
Giuseppe, la Skoda e l’olio
di Giuseppe Alimandi
41
42
44
A spasso con fr’alcetto
di Mariagrazia Baroni
Perché una “eccezione” al perdono?
di Pasquale Foresi
Un amore gratuito e universale
di Chiara Lubich
Con la tenerezza della carità
di José María Poirier
Vita sana
54
Quel rondone così puntuale
di Fausto Minelli
58
Buon appetito con… di C. Orlandi
Salute di Vittoria Siciliani
DIREZIONE e REDAZIONE
via Pieve Torina, 55 | 00156 ROMA
tel. 06 3203620 r.a. | fax 06 3219909
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UFFICIO PUBBLICITÀ
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UFFICIO ABBONAMENTI
via Pieve Torina, 55 | 00156 ROMA
tel. 06 3216212 - 06 96522231 | fax 06 3207185
[email protected]
59
76
Alimentazione di Giuseppe Chella
Educazione sanitaria
di Andrea F. Luciani
Fantasilandia | A sognare gli errori
di Annamaria Gatti
Arte e spettacolo
63
Cannes, giochi prevedibili
di Ennio De Robertis
64
65
Televisione di Paolo Balduzzi
66
67
Cinema di Cristiano Casagni,
Raffaele Demaria e Giovanni Salandra
Teatro di Giuseppe Distefano
Musica leggera di Franz Coriasco
CD e DVD novità
rilancia la sfida per tentare la vittoria
di Paolo Candeloro
Cultura e tendenze
68
71
72
74
75
Tutto è eterno di Fabio Dipalma
Guide Rosse Touring di M. Genisio
L’invidia nel lavoro di E. Megli
Il piacere di leggere
a cura di Gianni Abba
In libreria a cura di Oreste Paliotti
In dialogo
78
79
81
La posta di Città Nuova
Incontriamoci a Città Nuova...
Riparliamone a cura di Gianni Abba
Musica classica di Mario Dal Bello
Appuntamenti a cura della Redazione
Questo numero è stato chiuso in tipografia
10-6-2013. Il numero 11 del 10-6-2013
è stato consegnato alle poste il 3-6-2013
Segnaliamo su www.cittanuova.it
CHIESA
Papa Francesco visto da vicino di Aurelio Molè
PERSONAGGI
Franca Rame: una vita a teatro di Elena D’Angelo
ASIA
Gandhi e i giovani indiani di Roberto Catalano
E d i tA ot truiaal iltià
Turchia
Società digitale
di Pasquale Ferrara
di Gennaro Iorio
Quando si parla di democrazia si rischia
di camminare sulle sabbie mobili delle
definizioni. È la Turchia, oggi, un Paese
democratico? Certamente sì, dal punto di vista
Nella società dell’informazione il potere si
esercita attraverso il controllo della comunicazione. L’ultima conferma ci viene dallo
scandalo denunciato dal Guardian e dal Washing-
elettorale e della divisione dei poteri. Tuttavia le cose
si complicano – anche per i nostri stessi Paesi “occidentali” – quando si esercita la democrazia “dopo” il
voto. Intendiamoci: nessuno rimpiange i governi “forti” e “laici” di stampo kemalista che hanno preceduto
l’era di Erdogan e il successo del suo partito, “Giustizia e sviluppo”. Se la democrazia raramente nasce dalle
piazze, sono però proprio le piazze uno dei test democratici più importanti.
Abbiamo tutti imparato, con la crisi dell’Eurozona,
che le banche dovrebbero essere pronte a fronteggiare eventi inattesi e critici, e quindi a tutelare il risparmiatore: il famoso stress test. Ecco, i giovani ribelli di
piazza Taksim rappresentano uno stress test per la democrazia turca. La ragione è semplice, e va ben oltre le
motivazioni contingenti della protesta (impedire l’abbattimento di 600 alberi a Istanbul per far posto a un
centro commerciale): si tratta in realtà di sondare la capacità della politica turca di andare oltre la regola della
maggioranza, e cioè chi vince governa, punto e basta.
Il mondo è diventato talmente complesso che, anche se
si ottengono forti maggioranze, si deve poi comunque
imparare a governare “con il proporzionale”. Lo stress
test della democrazia turca è in realtà una prova di pluralismo, che resta un punto fermo ben oltre ogni vittoria elettorale di una parte.
La posta in gioco, tuttavia, è ben più alta. L’esperimento turco di declinazione della democrazia con i
princìpi dell’Islam costituisce un punto di riferimento
per le “transizioni arabe”. Oggi vediamo che in alcuni di questi Paesi la democrazia non si associa sempre a una libertà più ampia, nonostante i formidabili
miglioramenti rispetto ai regimi autoritari precedenti.
Insomma, la democrazia è solo l’inizio; è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per una politica
inclusiva.
ton Post riguardo a Prism. È il programma usato dall’intelligence statunitense per controllare il flusso di comunicazioni che avviene sui principali server di internet: Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, Paltalk, AOL, Skype,
YouTube e Apple. In realtà non è affatto inedita questa deriva liberticida. Già nel 2000 il Congresso americano aveva stanziato 70 milioni di dollari per un programma analogo denominato Carnivore. Lo scandalo segue quello che
ha visto spiati giornalisti, indagati dal fisco esponenti della
destra americana, o milioni di utenti telefonici.
L’opinione pubblica ha scoperto che le tecnologie digitali
non sono solo fonte di libertà e democrazia, ma sono la
radice del nuovo autoritarismo, quando viene intaccato il
diritto alla riservatezza. Le nostre società tecnologicamente avanzate, più che sconfiggere il pericolo autoritario del
Grande Fratello, ci hanno introdotto nel controllo di una
miriade di Piccole Sorelle: l’uso del telefono, le tracce
lasciate dal cellulare, l’impiego del bancomat, delle carte
di credito, del telepass autostradale, della carta di identità
elettronica, la tv digitale, i sistemi di allarme e protezione,
la navigazione in Internet, ne sono solo alcuni esempi.
L’argomento a giustificazione delle intrusioni è sempre
lo stesso: la “ragione superiore” della difesa della sicurezza nazionale. L’ha usato Obama, lo usa la Cina e il
Bahrein per vietare, oscurare, osservare ciò che fanno
i propri cittadini. È evidente che il diritto alla privacy
nell’era digitale è il limite oltre il quale le società contemporanee possono trasformarsi in regimi totalitari. La
privacy diventa il fondamento della cittadinanza. Per
difendere questo diritto abbiamo bisogno che sia costituzionalizzato e il tema deve articolarsi non solo nella
dimensione della riservatezza, ma anche nella possibilità
del controllo di chi possiede i nostri dati e di conoscere
quale uso ne faccia. Non è molto, ma almeno immaginiamo dei limiti al potere: invisibile e per questo condizionante le nostre vite.
Tra democrazia
e pluralismo
6
Città Nuova - n. 12 - 2013
E la chiamano
piena libertà
Vantaggi politici
Un governo
a resp. lim.
di Alberto Lo Presti
Continuano le
manifestazioni
di piazza
in Turchia.
Il controllo
della
comunicazione
va regolato
per limitarne
il potere.
Epifani e
Alfano stanno
assicurando
al governo
un clima
disarmato.
(2) LaPresse
ni amministrative, quanto mai soporifere. Spentasi la
verve polemica e ideologica, stanno affiorando alcune
subculture parlamentari. La prima è quella dello “stavamo meglio quando stavamo peggio”. Si rimpiangono
i bei momenti della lira, delle convergenze parallele,
della scala mobile, quando di spread non si parlava e
le notizie finanziarie erano in appendice al tg. Certo, la
storia insegna parecchio: soprattutto, però, indica l’utilità di voltare pagina.
Una seconda è quella che ritiene “inutile mandare avanti
questa baracca. Solo un cambiamento radicale potrà risollevare le sorti del Paese. Via baracca e burattini, al loro posto… non è dato saperlo. Di sicuro, l’incerto esordio parlamentare della compagine grillina ha mostrato
come chi di baracca ferisce di baraccone perisce. La terza, onnipresente, tentazione: “speriamo che qualcuno ci
tiri fuori dal pantano”. Il presidenzialismo come rimedio
ultrainvocato, perché troppa democrazia fa male.
Questo pensiero deve essere temuto. Il dibattito sulla
migliore forma di governo non può essere all’insegna
della speranza che un leader sappia tirarci fuori dalla
crisi, per cui meglio provvedere a non imbrigliarne l’iniziativa. Guardiamo, invece, all’opportunità che abbiamo di fronte: quello di Letta è chiaramente un governo
a responsabilità limitata, dal punto di vista elettorale.
Cioè, la ricaduta delle sue scelte, sui partiti politici che
lo sostengono, è indiretta, elettoralmente attenuabile.
E siccome le sfide che abbiamo di fronte invocano misure drastiche, ben venga una situazione nella quale si
può procedere col coraggio dell’incoscienza elettorale.
Scontentiamo qualcuno, per favorire l’equità. Aboliamo
privilegi, per dare pari opportunità. Introduciamo lo ius
soli, irrigidiamo le condizioni del lavoro precario, facilitiamo quelle dell’occupazione stabile. Qualcuno storcerà
il naso: bisognerà fare i conti con una certa impopolarità. Ora o mai più, però.
V. Ghirda/AP
Il governo Letta ha portato gli acerrimi
nemici attorno allo stesso tavolo, creando un inedito clima disarmato, che ha
avuto un effetto visibile nelle recenti elezio-
Città Nuova - n. 12 - 2013
7
P r i m Aot t pu ai lai nt ào
LA CHIESA AL FEMMINILE
di Maddalena Maltese
P
apa Francesco, lo scorso maggio, nell’aula Nervi, ha incontrato 800 madri generali di 75
Paesi, riunite sotto la sigla Uisg, Unione internazionale delle superiore generali. Le ha incoraggiate per il loro lavoro, ne ha lodato
l’impegno, ma alla fine ha lanciato
una provocazione che in breve ha
fatto il giro del mondo: «Siate madri
e non zitelle». L’espressione, usata
in modo allusivo e ironico per indicare donne non sposate, avanti negli
anni e magari un po’ acide e scontrose, non ha particolarmente scalfito le religiose presenti e neppure
le assenti. «Le provocazioni fanno
bene», sostengono alcune, e costringono a fare seria autocritica senza
però fermarsi ai termini: queste donne sfidate quotidianamente dalla vita e dai disagi non vogliono perder
tempo, perché è sul campo che va
provata la loro maternità e la loro leadership, ispirata più al Vangelo che
ai manuali di management.
Minestre e malati
Suor Stella, polacca, responsabile
del personale e caposala per 27 anni
in una delle più famose cliniche private romane, confessa che a un certo
punto della sua vita temeva di diventare “zitella”. È quindi benvenuta la
sollecitazione del papa. «Ho lasciato
il mio lavoro perché i medici si erano
orientati verso parametri etici contrari alla vita e al rispetto della persona
e così mi son ritrovata in un ospedale, in un’altra città italiana dove le
condizioni igieniche e di assistenza erano penose». La sua malattia,
contratta qualche anno prima, non le
consentiva però di reggere questi ritmi e quindi suor Stella ha lasciato la
corsia per occuparsi dei lavori domestici nella casa di un prelato.
«Questo è stato il mio avanzamento di carriera», commenta scherzando,
8
Città Nuova - n. 12 - 2013
DONNE
DI FRONTIERA
E NON “ZITELLE”
SONO PIÙ DI 700 MILA LE CONSACRATE
CENSITE DAL VATICANO. LEADER, MISSIONARIE,
TEOLOGHE, CONDUCONO UNA RIVOLUZIONE
SILENZIOSA NEL NOME DI DIO E DELL’UOMO
ma si coglie dalla voce che non è stata una passeggiata. «Lì mi è ritornata
la vena femminista che avrebbe fatto
le barricate se non avessi incontrato
il mio ordine, le Ancelle dell’Immacolata, e invece non è importante il
grembiule che indossi ma cosa ci metti dentro. Io posso servire una minestra o trovarmi accanto ai pazienti che
muoiono, che hanno paura, ed essere
sempre di Dio: essere una regina».
Un gruppo di religiose al termine
di un corso di teologia. In basso
a sin.: l’assistenza e la missione
sono i campi di impegno di migliaia
di religiose; in basso a des.: Matilde,
missionaria figlia della fede,
durante un campo estivo.
B. Cronis/AP
P. Paolo Cito/AP
Matilde invece rimpolpa le scarne
cifre sulle giovani che scelgono la vita consacrata. Aveva i roller ai piedi
quando una delle Missionarie figlie
della fede le ha chiesto di insegnarle
a pattinare. L’aveva appena intravista
la sera prima in parrocchia durante
la missione popolare, ma non immaginava di incontrarla di nuovo, né di
Città Nuova - n. 12 - 2013
9
DONNE DI FRONTIERA
Il cardinale João Braz de Aviz guida da più di
due anni la Congregazione per gli istituti di
vita consacrata e le società di vita apostolica: quasi un milione e mezzo di consacrate
e consacrati, un esercito a servizio del bene
schierato in tutti i continenti. Brasiliano, solare e positivo anche di fronte a sfide di non
poco conto, scruta l’orizzonte assieme a
questo stuolo di uomini e donne, avamposti
della Chiesa in tante realtà critiche.
D. Das/AP
Senza le donne
manca metà Chiesa
Qual è la sua lettura del presente e del futuro della vita consacrata?
«I religiosi e le religiose sono il tesoro della Chiesa, ma non sono i suoi padroni. Lavorano per
perfezionarla. Le vocazioni sono in calo ma Dio suscita i carismi, non per farli morire ma per
metterli a servizio del suo popolo. I religiosi diminuiscono e spesso tante strutture e istituti
sono vuoti. Purtroppo questo patrimonio non è messo in comune tra i vari ordini. Talvolta si
tiene da parte una somma ragguardevole per assicurare il futuro dei pochi membri di un istituto rimasti e si smarrisce l’orizzonte della comunione e della condivisione. Invece è proprio
sul cammino di comunione che bisogna crescere, come nell’ascolto, nell’accoglienza, nel dare.
Bisogna amare tutti i carismi e chi ama fa sempre il primo passo».
Donne e uomini nella Chiesa. Non è facile vivere l’eguaglianza?
«Dio creò uomo e donna, ma purtroppo la storia è diventata maschile. Credo sia giunto il momento
di camminare insieme e sviluppare relazioni sane, perché le nostre relazioni diventano malate
quando assumono come unici parametri il potere e l’autorità, non l’uguaglianza. I concetti di obbedienza e autorità vanno riformati, per non rischiare di avere anche nella vita consacrata donne
imperatrici o uomini despoti. Paolo VI, osservando i partecipanti al Concilio Vaticano II, diceva che
senza le donne manca il 50 per cento della Chiesa. Dobbiamo lavorare di più in questa direzione».
continuare a vederla nei giorni a seguire. «Io davo la Chiesa per spacciata. E poi a vent’anni avevo il mio tirocinio da geometra, gli amici, il nuoto,
ma quella spontaneità, quell’allegria
hanno lasciato il segno».
10
Città Nuova - n. 12 - 2013
Matilde ha fatto i bagagli per varie
missioni popolari in Veneto e in Calabria. Ora è tornata in Veneto, dove
la sua comunità conta due professoresse di lingue, una baby sitter e lei
che è geometra a tutti gli effetti. Non
la preoccupa di essere tra le poche
italiane senza capelli bianchi ad aver
scelto una vita di consacrazione. «Bisogna star dietro a Dio e non guardare le statistiche – è la sua risposta –.
Il papa ci ha messo in guardia dal di-
ventare religiose che vivono una vita
con il freno a mano tirato, dentro ruoli che non appartengono all’oggi. La
gente ci vede serie, statiche, e invece
bisogna ascoltare i bisogni, e le attese
delle persone, e mostrare la felicità».
I numeri della crisi
Eppure questa scelta di felicità non
arruola seguaci. Le statistiche colle-
Suore
L. Pitarakis/AP
Cosa caratterizza la vita, la
vocazione e la missione di
una suora oggi? Rispondono alcune religiose pioniere, splendide
nella loro semplicità.
Dal libretto di Alessandra Smerilli, in abbonamento con la rivista ad agosto 2013.
gate all’Annuario pontificio 2013 parlano di numeri in vertiginosa discesa.
anche se è difficile poter avere cifre
dettagliate. Le religiose nel mondo
sono più di 700 mila, distribuite in
2100 ordini religiosi. In questi dati
non sono contemplate le congregazioni diocesane, quelle nate cioè per
volontà dei vescovi. Sembra che nella
sola America Latina ne esistano circa
800. Il calo generale si attesta sul 22
per cento e tocca in modo preoccupante gli istituti di vita contemplativa,
mentre qualche lieve segno positivo
riguarda gli istituti secolari.
L’età media avanzata è stato
anche uno dei temi di riflessione
dell’assemblea delle madri generali,
che non hanno nascosto i problemi
legati all’assistenza delle suore anziane e alla gestione di case e strutture del Vecchio continente dedicate
alla formazione o alla cura di malati,
quando non ci sono forze sufficien-
India, Messico, Gran Bretagna:
le battaglie pacifiche delle suore
sono spesso a favore dei più poveri
ed emarginati. In alto a fronte.: papa
Francesco e il card. Braz de Avis
salutano una delle madri generali.
ti. Gran parte delle nuove vocazioni
arriva dall’Asia e dall’Africa, ma
«non si può illudere queste giovani
promettendogli formazione teologica in Occidente, quando di fatto
nella comunità si trovano a fare le
badanti». . Un nodo non di facile
soluzione è anche quello del riconoscimento pontificio: spesso i vescovi
preferiscono tener legati a sé i nuovi
ordini e gestire proprietà e religiose
secondo i piani pastorali diocesani
senza tener in debito conto il carisma dei fondatori.
Progettare non da sole
Il numero ridotto di forze ha fatto
cercare nuove soluzioni alle emergenze e alle frontiere che sfidano costantemente governi e Chiesa. In Brasile
ad esempio, in alcune favelas, lavorano più suore di diversi ordini religiosi. Vivono insieme, seguono ciascuna
la propria spiritualità, si confrontano
però in un percorso di comunione e
di condivisione non solo dei campi
pastorali ma anche della specificità di
una scelta, per imparare ad amare il
carisma altrui come il proprio, racconta suor Fiorenza delle Figlie di Maria
missionarie, tra le pioniere di queste
convivenze. «In questo modo chi ha
una propensione alla vita contemplativa dona equilibrio a chi si impegna
esclusivamente per le azioni sociali e
viceversa, così valorizziamo le persone e non tanto o solo le opere».
Questo lavoro a squadra è la base
del progetto Talita Khum che, con
la collaborazione di circa duemila
suore, lavora contro la tratta. Suor
Estrella Castalone, filippina, ne è la
responsabile internazionale. «Abbiamo 22 reti di religiose impegnate nel
soccorso di donne, uomini, bambini
vittime di sfruttamento e instradati
alla prostituzione. Ogni anno questi mercanti umani guadagnano 32
miliardi di dollari e sottrargli merce
lucrosa è un rischio». In Kenya una
religiosa arriva a seguire anche duemila persone in una zona povera. Ma
questo impegno così complesso non
snatura i vari carismi? «Non è contro
la nostra identità di consacrate lavo-
Città Nuova - n. 12 - 2013
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rare su questi temi. Gesù predicava la liberazione a chi non era
libero e noi vogliamo far sperimentare questa libertà».
A Padova le Francescane dei
poveri hanno aperto le porte a
donne sfruttate e clochard, alcuni dalle storie irripetibili, ma
non ci si tira indietro di fronte
alle emergenze: cibo, assistenza medica e psicologica, oltre a
documenti e un lavoro. Investire
e lavorare sul micro è quello che
sta dietro al progetto Sud Sudan
dove religiose e religiosi lavorano alla formazione di leader, insegnanti, ostetriche e agricoltori:
basi indispensabili alla vita del
Paese più giovane del mondo.
Oltre gli ostacoli
Se sull’assistenza e l’istruzione i carismi femminili giocano su
un terreno ben battuto, non accade lo stesso su ruoli tipicamente
maschili come quello teologico.
Le superiori maggiori stesse hanno ammesso di aver per troppo
tempo dubitato delle capacità interne e hanno chiesto all’esterno.
La novità della plenaria 2013
ha visto sul tavolo di presidenza
tante suore di consolidata esperienza teologica e sociologica con
eccellenze anche in economia,
pedagogia, management, psicologia. E non manca una spiccata
propensione al web 2.0: dotate di
iPad e smarthphone, queste donne chattano e inviano messaggi
alla Rete del loro ordine per coglierne in tempo reale reazioni e
proposte. Uno dei punti cardine
del documento finale è dedicato alle moderne tecnologie. Del
resto, la nuova evangelizzazione
non esclude i social, come dimostra l’esperienza di suor Elvira
Maria de Witt, carmelitana, che
online tiene collegati più di seicento ragazzi su fede e affini.
Altro tema complesso è la
rappresentanza nei dicasteri vaticani: ancora irrisoria rispetto agli
uomini, anche se il card. João
Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita
consacrata, sta lavorando perché
nel suo dicastero ci sia almeno
un sottosegretario donna.
Pesa come un macigno la situazione delle suore americane
riunite sotto la Leadership conference of women religious (Lcwr),
che non sempre hanno approvato
le posizioni espresse dalla gerarchia americana su questioni
etiche e dottrinali. La non piena
convergenza dei piani d’azione
ha inasprito posizioni, anche se
i cinque anni a venire diranno se
le aperture della Santa sede porteranno a rivedere le posizioni delle
religiose statunitensi.
Osservatori di frontiera
«Se talvolta c’è un rapporto alla
pari con l’istituzione, altre volte si
fa fatica a vivere nella comunione,
nella corresponsabilità, nella fiducia», è il commento di Matilde.
«Il legame spirituale deve avere
il sopravvento sull’organizzazione». Suor Imelda delle Piccole
ancelle del Sacro Cuore, guarda
con ottimismo a questa fase della
vita consacrata: «L’età che avanza
ci spinge a valorizzare risorse sopite e a non considerarci più solo
una forza lavoro. I rapporti non
semplici con la gerarchia devono
riscoprire la coessenzialità di carismi e istituzioni. Siamo un osservatorio di frontiera della Chiesa,
dove a meno numeri può corrispondere più qualità e più vita».
Maddalena Maltese
ANCHE I SASSI PENSANO
Ping Pong
di Vittorio Sedini
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IMMIGRATI CHE RIENTRANO IN PATRIA
SENZA AVER FATTO FORTUNA
Romania
I colori
del cambiamento
Vadim Ghirda/AP
S
otto un cielo azzurro macchiato
da nuvole bianche, un uomo
all’orizzonte sventola la bandiera
blu, gialla e rossa della Romania.
Ai suoi piedi il più grande baluardo
mai cucito prima, che, con i suoi 349,4
metri quadrati (circa 3 volte un campo
da calcio), è entrato nel Guinnes dei
primati. Siamo a Clinceni, 35 chilometri
a Sud-est di Bucarest, un’area
aeroportuale in grado di accogliere
l’enorme bandiera sotto gli occhi
dell’intera comunità internazionale.
Il clima mutevole e i tratti trionfali
dell’iniziativa ci raccontano di un
Paese che, tra contrasti e difficoltà,
è sottoposto a rapidi mutamenti.
Non è più soltanto, come l’abbiamo
conosciuto negli ultimi anni, terra
d’emigrazione per i suoi abitanti, ma
luogo d’approdo per numerosi cittadini
stranieri provenienti da Paesi asiatici ed
europei che qui cercano di costruirsi un
futuro migliore. Non pochi sono poi gli
“immigrati di ritorno”, delusi da Paesi
come Italia e Spagna, che non hanno
saputo offrire loro le opportunità e
l’accoglienza attese. Il loro tornare è
il segno più tangibile di una geografia
delle migrazioni che cambia in fretta e
di un mondo in cui gli equilibri economici
e le dinamiche occupazionali risultano
essere sempre meno scontati.
Anna Granata
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PROPOSTE SOCIALI
di Carlo Cefaloni
R. Monaldo/LaPresse
Attualità
S
ul treno chi è senza biglietto, e
non può pagare la multa, scende
comunque alla prossima stazione e non può risalire. Non è
questione di nascita o di colore
della pelle. Chi non ha soldi resta a
terra. In tutti i sensi. L’esempio brutale esprime l’esigenza da cui nasce
il dibattito sul reddito di cittadinanza
rilanciato dal Movimento 5 Stelle e
da una proposta di legge popolare,
ma già al centro di un dibattito che
dura dalla Commisione Onofri, del
1997, sulla spesa sociale ed è argomento comune tra gli economisti
come testimonia il confronto su Lavoce.info.
Il muratore siciliano rimasto senza
reddito, che si è dato fuoco per non
subire lo sfratto dalla sua abitazione,
ipotecata per diecimila euro di debito, è un caso eclatante dell’Italia del
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UN REDDITO
DI CITTADINANZA
CON LA CRISI TROPPE PERSONE RESTANO SENZA
LE RISORSE NECESSARIE PER VIVERE. IL DIBATTITO
SU UN PROGETTO APPLICATO IN EUROPA
2013. Certi ristoranti e locali raffinati
continueranno a rimanere pieni, ma
crescono i tassi di crescita della povertà, relativa e assoluta. Secondo il
rapporto sul lavoro commissionato
dalla Conferenza episcopale italiana,
si ipotizza una certa ripresa nel 2020.
Il recentissimo rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro
(Oil) contabilizza in un milione e settecentomila il numero dei nuovi posti
di lavoro necessari per tornare almeno
al livello di pre-crisi. Con questo andamento, secondo il centro studi della
Cgil, l’obiettivo si può raggiungere
nel 2076, mentre gli esperti di Confindustria, con già 54 mila aziende manifatturiere chiuse in 4 anni, prevedono
nuovi licenziamenti.
Futuro incerto
e dovere pubblico
L’Aspi, la nuova misura introdotta
dal governo Monti per assorbire, man
mano, l’indennità di disoccupazione
e quella di mobilità, ha esteso l’area
dei beneficiari ma prevede, dopo
un periodo di transizione, la corresponsione, dal 2017, di una somma
mensile per 12 mesi, che diventano
18 per chi ha più di 55 anni. Con i
nuovi tempi richiesti per andare in
pensione, non è difficile immaginare
lo scenario di uomini e donne, spesso
con responsabilità familiari, che si
troveranno senza reddito. Come con-
Esiste già in Europa
tinuerà ad avvenire per i lavoratori
autonomi, i titolari di partite Iva e i
collaboratori a progetto.
Dal 2017, sempre secondo la riforma Fornero-Monti, verrà meno
sia la cassa integrazione guadagni
straordinaria nei casi di chiusura
dell’azienda sia quella in deroga.
L’idea guida è quella di smettere di
finanziare posti di lavoro inesistenti
e di ricollocare il lavoratore. Ma cosa
accadrà davvero a chi resta fuori dai
cancelli?
Non si risolve con la solidarietà
privata. Occorre rimediare, inoltre, all’antica discriminazione che
esclude da ogni indennità chi non ha
lavoro. Senza l’aiuto delle famiglie,
già sotto stress, molti ragazzi, con
gli attuali tassi di disoccupazione
giovanile del 40 per cento, dovrebbero dormire sotto i ponti.Migliaia di
laureati trovano fortuna all’estero. E
gli altri? Non è esplosa la rivolta dei
precari come ipotizzava il presidente
dell’Inps. Almeno finora.
AP
A fronte: lavoratori di aziende in crisi. Come fare senza reddito?
Sotto: scenari del crescente disagio sociale nelle città.
Per i fautori di un reddito di cittadinanza “incondizionato” bisogna
assicurare a chiunque, ricco o povero, una certa quota di sussitenza.
Le ragioni appartengono a scuole di
pensiero contrapposte tra loro (dai
socialisti utopici ai liberisti radicali).
Una storica raccomandazione del
Consiglio della Comunità europea del
1992 riguarda, invece, l’introduzione
di un reddito di cittadinanza “condizionato” (chiamato anche “reddito minimo garantito”) all’esistenza di certe
situazioni personali che impongono di
riconoscere «il diritto fondamentale
della persona a risorse e a prestazioni
sufficienti per vivere conformemente
alla dignità umana». Esiste negli altri
Paesi dell’Unione europea con costi
sostenibili. Variano gli importi, ma un
valore che ricorre è quello di 600 euro
a persona, da integrare in caso di figli.
Restano fuori Italia, Grecia e Ungheria. Sono in gioco, secondo le stime
più contenute per il nostro Paese, 15
miliardi di euro, conteggiati al netto
degli attuali sussidi.
Tracce di un discorso da approfondire. Secondo il presidente delle
Acli, Gianni Bottalico, interpellato da
Città Nuova, la misura proposta è da
prendere in considerazione ma non va
mitizzata, perché «se non si cambia in
modo sostanziale un sistema che si è
rivelato in questi anni “spogliatore”
della dignità del lavoro e delle risorse
delle famiglie, delle imprese e degli
enti pubblici a favore delle grandi
banche d’affari internazionali, il reddito di cittadinanza finisce per essere
come la rugiada che cade su un grande
incendio», con un rischio più grande e
cioè che «sia funzionale alle attuali disuguaglianze, avvalorando il progetto
di coloro che pensano a un’ulteriore
precarizzazione del lavoro, in cambio di briciole di welfare per le masse
di lavoratori esclusi o estromessi dal
mondo del lavoro».
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Attualità
AMBIENTE
di Aurora Nicosia
Q
uando si dice sacrificarsi. Prima
di arrivare nella località dove
trascorriamo abitualmente
qualche giorno di vacanza con
alcune amiche, non possiamo
sottrarci – e ne siamo ben felici – ad
una tappa obbligata: il pranzo a casa
dei parenti di una di noi. Qui c’è Liliana che, oltre ad essere una cuoca
bravissima e creativa, ha la fortuna
di prendere direttamente dal suo
orto le verdure che poi cucina e, non
contenta di questo, allieta la nostra
permanenza coi profumi e i sapori
di prodotti che nel resto dell’anno
diventeranno per noi un lontano ricordo. Siamo nel cuneese, la provincia granda, com’è definita per le sue
dimensioni, dove non è raro scorgere
angoli di terreno coltivato dietro le
case, scenario non proprio abituale
per chi arriva da Roma, ad esempio.
Eppure qualcosa potrebbe cambiare
– e sembra stia cambiando – anche
in queste grandi città.
È nato nel 2006, inizialmente proposto da Italia Nostra – una onlus
impegnata nella protezione dei beni
culturali ed ambientali –, il “Progetto nazionale orti urbani”, che ha
visto nel 2008 l’adesione dell’Anci
(Associazione nazionale dei comuni
italiani) e ha registrato lo scorso 20
febbraio anche la firma del ministero
per le Politiche agricole al protocollo
d’intesa che intende rilanciare e sviluppare il progetto stesso.
Di cosa si tratta? È un progetto
con diversi obiettivi: favorire e diffondere la cultura del verde e dell’agricoltura tra i cittadini sia nelle città
che nelle aree periurbane, cioè delle
periferie attorno, riqualificare aree
degradate, valorizzare le produzioni
locali spesso in via di estinzione,
migliorare la qualità dell’ambiente.
Ha delle regole ben precise espresse
nel protocollo che prevede tra l’altro
nuove attività di censimento dei terreni inutilizzati e disponibili per l’i-
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Città Nuova - n. 12 - 2013
RI-TROVIAMOCI
NELL’ORTO
NELLE GRANDI CITTÀ E NEI PICCOLI CENTRI,
DAL NORD AL SUD DEL PAESE,
DECOLLA UN PROGETTO A FAVORE
DI PICCOLE PRODUZIONI LOCALI
niziativa e la creazione di un sito web
informativo. Tutto ciò nell’ottica di
tutelare sempre meglio il paesaggio
agrario sottraendolo alla cementificazione e alla speculazione edilizia.
Quindi regole etiche condivise, da
nord a sud per costituire un’unica
rete nazionale.
«Una vecchia novità», qualcuno
l’ha definita. E in effetti quella degli
orti è una tradizione che affonda radici in tempi lontani – basterebbe
pensare a quanta produzione letteraria vi fa riferimento – e che qua
e là è possibile scorgere nel nostro
Paese. Di nuovo c’è che quello che
era il risultato dell’iniziativa spontanea diventa qualcosa di più organizzato e viene addirittura promosso
dalle amministrazioni locali. E se la
crisi da un lato e una maggiore at-
Un’anziana nell’orto. Sotto:
raccolta di pomodori nell’ambito
dell’iniziativa “Orto in condotta”.
A fronte: lezione per preparare
il terreno alla messa a dimora.
tenzione al cibo sano dall’altro possono certamente favorire il proliferare di produzioni in proprio, non
si può dire che l’aspetto economico
o quello salutista costituiscano gli
unici incentivi alla realizzazione del
progetto.
Attorno all’idea dell’orto in città
stanno tornando all’attenzione altri
elementi. L’esigenza di dare qualità
al tempo libero, ad esempio, la vicinanza con la natura, l’aspetto didattico, la dimensione spirituale, quella
culturale, fino alla pratica sempre più
diffusa dell’“ortoterapia”. Sembra
infatti che prendersi cura di un orto
contribuisca a migliorare lo stato di
salute fisica e psicologica in persone
che soffrono di stress, depressione,
ansia ma anche di problemi di socializzazione legati all’autismo o a
stati paranoici o più semplicemente
all’anzianità, all’anonimato delle
grandi città, alla solitudine. Non di
rado, infatti, la loro gestione, che
sia ad opera di cooperative locali o
di un circolo di anziani, è condivisa,
e favorisce così l’incontro con altre
persone.
Le iniziative sono molto diverse
fra di loro: si va dall’ “orto senza bua”
ideato dalla Fondazione dell’ospedale Meyer di Firenze per stimolare
la guarigione dei bambini ricoverati
nel centro di cura a quello dell’abbazia benedettina di Assisi con valenza
storica e spirituale, dall’orto di Genova che recupera un’aria degradata
a quello di Roma che valorizza il
Parco dell’Appia antica.
Il progetto sembra destinato ad
aver successo. Sono già numerose,
infatti, le città che hanno aderito,
dalle metropoli ai piccoli centri, per
un totale di quasi 500 mila metri
quadrati di terreni coltivati in città.
Evidentemente maggiore socialità,
migliore vivibilità urbana e recupero
del contatto con la natura sono ancora fattori vincenti.
Città Nuova - n. 12 - 2013
19
Attualità
Cosa significa fare l’editore?
«Prima di tutto riuscire a capire in
anticipo quali messaggi culturali circoleranno nella società di domani e con
quali strumenti verranno veicolati. Poi
incidere su tale scenario, aggiungendo
idee nuove e vitali al tessuto sociale».
Non sembra che la cultura oggi abbia molto spazio…
«È vero, ma non solo per la crisi
economica: cambiano anche gli usi
e i costumi sociali. Penso per esempio al self publishing (l’auto pubblicazione dei testi), per cui si discute
se siano ancora necessari gli editori.
Il mondo è in trasformazione veloce.
Resta da chiedersi cosa intendiamo
per cultura, per evitare di confonderla con forme leziose di erudizione».
Come rispondere a queste sfide?
«L’editore è il garante dei contenuti che circolano. La differenza tra
comunicazione via Internet e libro
stampato è che chi mette il copyright
si assume la responsabilità di quello
che pubblica, garantendo qualità e
serietà dei contenuti. Di più: dietro
l’azione dell’editore c’è uno scenario culturale organico, ricco e complesso. Il singolo libro può essere un
caso commerciale, ma l’editoria è un
mondo che si muove in rapporto alla
società e agli interessi dei lettori».
Città Nuova nei prossimi anni come sarà?
«La nostra missione è costruire
ponti. Vogliamo capire la relazione
che esiste tra le dimensioni religiosa e
laica della vita, senza che laica significhi anti-religiosa. Credo che la dimensione religiosa sia qualcosa di più
della semplice fede positiva: essendo
connaturata all’uomo ha bisogno di
esprimersi. Città Nuova ha nel suo
Dna la ricerca di ciò che è religioso
nella vita dell’essere umano, ma in un
dialogo vivo con la società reale, che
oggi è fondamentalmente laica».
20
Città Nuova - n. 12 - 2013
TRA CARTA E DIGITALE
a cura di Giulio Meazzini
EDITORE
DI FRONTIERA
COLLOQUIO A 360 GRADI
CON LUCA GENTILE, DIRETTORE
DI CITTÀ NUOVA EDITRICE,
SUL SUO RUOLO, LE SFIDE
APERTE E LA PASSIONE
PER QUESTO MONDO
piste da percorrere, di decodificazione della realtà quotidiana».
Tolleranza attiva
Non correte il rischio di perdere i
valori della vostra tradizione?
«Città Nuova è e rimane fedelissima ai valori di quando è nata: fraternità e unità. Non mi sembra che
ce ne stiamo allontanando, anzi».
«Poiché viviamo in società pluralistiche, dove convivono diverse opzioni
morali, fedi religiose o laiche, a volte
conflittuali, riteniamo che la scelta più
saggia sia prendere acriticamente in
considerazione la posizione etica differente o antagonista, per valutare se e
come è possibile un livello di tolleranza
attiva che metta in luce le verità e i limiti della propria posizione e che individui, se possibile, un massimo comune
denominatore etico, che porti a norme
pubbliche idonee a promuovere il massimo bene comune e una convivenza
eticamente accettabile».
Dall’introduzione al volume Quando finisce la vita? di Valter Giantin, primo testo
della collana “Borderline”.
Il mondo però è conflittuale…
«E noi vogliamo essere proprio
lì, sulla frontiera, dove ci sono i problemi, le piaghe, le sofferenze; ma
anche dove si trovano le speranze
e le sfide dell’umanità. Intendiamo
essere spazio di dialogo (vedi box),
accogliendo i contributi che vengono da qualsiasi realtà umana e che
convergono nella direzione del bene
comune. Questo significa pensare
che la società di domani può essere
migliore di quella di oggi. Siccome
l’atteggiamento dilagante è invece
pessimistico, serve qualcuno che
creda che l’uomo ha la capacità, anche grazie alla cultura, di rifondare
la realtà, senza accettare passivamente le cose che non funzionano».
Città Nuova ha, tra il suo pubblico
di lettori, un gruppo privilegiato, il
Movimento dei Focolari…
«Avere un proprio pubblico ben
definito e fedele è sicuramente un
grande vantaggio, ma la vera domanda è se quello che Città Nuova
oggi fa sia universale e interessi l’umanità nel suo insieme. Nella nostra
mission c’è l’idea e la prospettiva
dell’unità del mondo. Quindi dobbiamo parlare proprio a tutti».
(2) Domenico Salmaso
Sarete sempre connotati come “editrice cattolica che pubblica patristica”?
«Le gloriose tradizioni non si abbandonano. Continueremo a pubblicare patristica per la ragione, sempre
attuale, di trovare il senso profondo
della nostra fede. Cambieranno forse
le modalità di fruizione, ma non le
radici. In parallelo, però, cercheremo
di rendere più incisivo il nostro impatto a livello sociale. Per esempio
nella collana “Vite vissute”, inserendo storie di vita dove emerga l’uomo
nella sua interezza, nel suo comunicare con gli altri, non necessariamente a partire dalla fede. Altre collane
che stiamo attivando dialogano su argomenti attuali, come “Borderline”.
L’obiettivo è rispondere alle esigenze
della quotidianità offrendo piste di
orientamento, perché c’è una forte richiesta di chiarezza, di indicazione di
Il valore aggiunto del Gruppo
editoriale Città Nuova è il suo
grande patrimonio culturale e
“relazionale”. Nella foto alcuni
redattori.
Città Nuova - n. 12 - 2013
21
At t ualità
RIFONDARE LA REALTÀ
Il digitale sta distruggendo molti
editori.
«La questione è controversa.
Tanta gente ormai legge su tablet e
smartphone, utilizzando archivi elettronici (database) piuttosto che ricorrere alle enciclopedie cartacee. Si
tratta di capire come lavorerà l’editore domani, di quali mezzi si servirà.
Col digitale già oggi si lavora molto
bene (e si guadagna) in alcuni ambiti – ad esempio le grandi basi dati –,
in altri no. Bisogna però aggiungere
che quando si legge su supporto digitale sembra sia più difficile assorbire
le informazioni, perché la soglia di
attenzione è più bassa. Sono solo primi risultati da approfondire, ma non
a caso i ricercatori spesso stampano
i testi o le pagine più interessanti per
meglio fissarle nella memoria e conservarle. C’è insomma un cambiamento ancora tutto da capire».
Quali le prime risposte di Città
Nuova?
«L’editrice ha lanciato “Primi Secoli”, una “piattaforma digitale di
ricerca” innovativa e di assoluto rilievo, con un motore evoluto. Porta
di accesso interattiva alle fonti della
cultura europea, disponibile per gli
studiosi di tutto il mondo, è un tentativo professionale, unico in area
cattolica, di esplorazione dei nuovi
media. Poi abbiamo rinnovato il no-
22
Città Nuova - n. 12 - 2013
Le copertine e i contenuti degli
ultimi titoli usciti per Città Nuova
editrice testimoniano la volontà
di una maggiore presenza a livello
sociale.
stro sito web per una comunicazione più efficace ed avviato la sezione
ebook (libri digitali). Siamo produttori di contenuti: volta per volta valuteremo il modo migliore di renderli disponibili».
Oggi i lettori chiedono soprattutto
“emozioni”. Proverete ad entrare
nel settore della narrativa?
«Bisognerebbe capire di quali
emozioni parliamo. Personalmente mi piacerebbe trovare sentimenti
che contribuiscano alla persona nella sua integrità. Pubblicare romanzi
di questo tipo è molto più difficile
che sfumare di rosso, nero o grigio
i propri racconti. In ogni caso, stiamo cercando romanzi che vadano in
questa direzione».
Su quali collane cartacee puntate?
«Vogliamo mettere insieme contenuti scientificamente fondati, con
una comunicazione adatta a tutti.
Per esempio le inchieste storiche di
“Misteri svelati” veicolano in linguaggio giornalistico una qualità
scientifica alta. E si leggono come
romanzi. Penso alla collana “Minima” che, a costo contenuto, offre
al pubblico testi fondamentali del
pensiero religioso: Agostino, Pascal, Giovanni della Croce, Edith
Stein. Essenziale per noi anche il livello accademico, con la serie multidisciplinare “Idee” e la collana
di filosofia medioevale diretta dal
prof. D’Onofrio. Altre pubblicazioni di rilievo sono le ricerche della
scuola Abbà, il Centro studi dei Focolari, e i testi dell’Istituto universitario Sophia».
Luca Gentile si chiede mai “chi me
lo ha fatto fare di accettare questa
responsabilità” in tempi di grave
crisi di mercato?
«Me lo chiedo quotidianamente.
Ma allo stesso tempo sono colpito
dalla ricchezza e dalle potenzialità
presenti in questa editrice. Potenzialità in parte ancora sottovalutate, che
vanno fatte fruttare sia per il patrimonio culturale, sia per quello che
potremmo definire il “patrimonio relazionale” dell’editrice: un’infinità di
rapporti che ha convogliato intorno
al nostro lavoro persone carismatiche
e grandi figure della scena religiosa
e laica. Senza dimenticare, naturalmente, che Città Nuova è un’azienda,
e come tale deve essere competitiva
per trovare il proprio spazio nel difficile mercato editoriale di oggi».
Giulio Meazzini
À COME PUBBLICITÀ
Illustrazione di Vittorio Sedini
di Raffaele Cardarelli
Fa m ig l ia e s o c ie t à
Fa m ig l ia e soc ie t à
I
l film Bellissima è ambientato a Roma, Cinecittà. Un noto regista sta
seguendo il casting per
selezionare la bambina
che avrà un ruolo importante e ben remunerato nel suo
prossimo film. Tra la folla
caotica di madri che cercano affannosamente di promuovere le qualità artistiche delle proprie “assistite”,
c’è Maddalena che sogna
per la figlia Maria – 5 anni – l’ascesa sociale tramite
la carriera cinematografica.
Maddalena affronta pesanti
disagi familiari ed economici: le spese per corsi di
danza, parrucchiere e vestiti mettono a rischio il paga-
Non è mai
troppo tardi
Corsi e ricorsi storici. Attualità del film
“Bellissima” sulle ambizioni di genitori
e figli per entrare nel mondo patinato
del cinema, ieri, e della tv, oggi
mento delle rate per la casa.
Per ottenere una raccomandazione, versa una forte cifra ad un collaboratore del
regista, ma con quei soldi
l’uomo acquisterà una moto
per sé. Nel provino decisivo, Maria scoppia in la-
crime tra l’ilarità del team
del regista e Maddalena,
umiliata e ravveduta, torna
a casa per riconciliarsi con
il marito, rifiutando il contratto milionario propostole
da coloro che avevano deriso sua figlia.
Un film attuale sulle
ambizioni di genitori e figli create dalla pubblicità e
dai talent-show televisivi?
Non proprio. Bellissima è
stato realizzato da Luchino Visconti nel 1951, Rai e
pubblicità sarebbero arrivate solo qualche anno dopo.
In quegli anni gli italiani
sono un popolo sconfitto,
allo stremo economico e
culturale. Maddalena (Anna Magnani) mostra quali
effetti possa produrre la
promessa/speranza della
fama e del facile benessere
su menti semplici, prive di
valori profondi: una corsa
esasperata e individualista
a superare l’altro, anche utilizzando inganni e raccomandazioni. 60 anni dopo,
questi comportamenti sono
tuttora frequenti in tutti gli
strati sociali, perché in Italia – a differenza di nazioni
come Germania, Inghilterra e Francia – non è stato
formato, tramite la scuola e
i media, un profondo senso
dello Stato, basandosi sulla ricchezza delle diversità
culturali presenti nel nostro
Paese. Ma, a ben guardare,
un programma tv degli anni Sessanta aveva dimostrato che è possibile costruire
un tale senso civico anche
in Italia: Non è mai troppo
tardi, un titolo in qualche
modo profetico.
[email protected]
Città Nuova - n. 12 - 2013
23
Fa m ig l ia e soc ie t à
MODA FEMMINILE
di Sara Fornaro
M. Slocum/AP
La cantante Beyoncé
rappresenta, per gli
stilisti, una bellezza
morbida e naturale.
P
rima, era normale
“ritoccare” le foto al computer per
eliminare qualche
centimetro di pelle ritenuto di troppo. Poi,
sempre col fotoritocco, è
stato necessario “riempire” pance, volti e braccia scheletrici. Tanto che,
adesso, molti stilisti ed
esperti di moda hanno
lanciato lo slogan “curvy
è bello”. Ma sgombriamo
subito il campo dagli equivoci. Curvy non sta per
ciccia. Chi ha dei rotolini
in più farebbe meglio ad
eliminarli, soprattutto per
la salute. Curvy, infatti,
sta per “formoso”. Largo,
dunque, alle donne così
come le madri le hanno
fatte e non come, in qualche caso, le diete ferree le
hanno ridotte.
24
Città Nuova - n. 12 - 2013
Basta taglie
da fame
Molti stilisti propongono
abiti per donne con un fisico
sano e naturale
Tra i sostenitori del
“curvy è bello” c’è Alexandra Shulman, direttrice
dell’edizione britannica di
Vogue, che qualche tempo
fa ha scritto ai principali
fashion designer per dire che gli abiti inviati per
i servizi fotografici erano
troppo stretti perfino per
le modelle più magre. La
contestazione della “taglia
zero” americana (la nostra
36) è esplosa e c’è stato anche chi, tra i direttori delle
riviste di moda, ha deciso
di rinunciare alle foto con
modelle scheletriche.
Ovviamente, anche le
buone intenzioni, a un
certo punto, possono rischiare di naufragare. Ne
sa qualcosa H&M, linea
di abbigliamento low cost,
che ha deciso di puntare,
per la linea mare 2013,
sulla cantante Beyoncé,
con il suo fisico ritenuto
burroso, anche se a guardarla nelle foto si fatica a
trovarle un centimetro di
troppo. Ebbene, una volta
scattate le foto, l’azienda
ci ha ripensato ed è stato
fatto un ritocchino. Una
decisione che non è piaciuta all’artista, che ha
tenuto duro e, alla fine,
ha ottenuto che sui manifesti apparisse con le sue
morbide curve intatte. Un
lieto fine, dunque, molto
diverso da quello che nel
2012 vide protagonista
Mila Kunis, “licenziata”
dalla maison Dior perché
fotografata, al di fuori del
set, con un abbigliamento
troppo casual e qualche
grammo di troppo...
Vestirsi di allegria
Ma quali sono le tendenze di questa estate
ritardataria? Anche se
la crisi perdura, è il momento di tornare a sperare. La moda 2013, infatti,
è cosparsa di fiori. Tanti.
Coloratissimi. Dalle tinte
più accese alle più tenui
sfumature. Poi c’è il total
white. Tutto bianco. Semplice, fresco, elegante. Ma
CITTADINANZA
di Paolo De Maina
Le tendenze 2013
su cittanuova.it
Volete conoscere gli stili del
momento, le pettinature più
“in”, gli accessori più chic
e, perché no?, imparare a
fare a casa creme per il viso, maschere per i capelli e
borse di paglia? Allora non
perdete la rubrica “Tendenze”, curata da Giulia
Martinelli, ogni domenica su
www.cittanuova.it.
Un bonus bebè sperimentale
«Ho sentito della possibilità di avere un bonus in denaro, con la
rinuncia al congedo parentale».
Francesca - Roma
Con circolare Inps n.47/2013, a seguito della legge 92/2012,che porta il
nome della tanto discussa ministra Fornero – è previsto un bonus bebè,
in via sperimentale per il triennio 2013-2015, che dà la possibilità per
le madri lavoratrici di richiedere un voucher per l’acquisto di servizi di
baby sitting oppure di un contributo per far fronte alle spese sostenute
presso nidi pubblici o accreditati. Al termine dei tre mesi del congedo
di maternità e in alternativa al congedo parentale, da utilizzare per i
successivi undici mesi, per un massimo di sei mesi. Possono accedere
a tale beneficio le lavoratrici dipendenti, in via esclusiva, anche iscritte
alla gestione separata, per bambini già nati o per quelli con data di parto
presunta entro i quattro mesi successivi la scadenza del bando per la
presentazione della domanda. Il contributo è pari a 300 euro mensili per
un periodo di sei mesi, che comporta, come detto, la rinuncia da parte
della lavoratrice del congedo parentale non obbligatorio.
Per le lavoratrici iscritte alla gestione separata il contributo è previsto
per un massimo di tre mesi. Le interessate devono presentare la
domanda all’Inps in via telematica, che nei limiti della copertura
finanziaria, 20 milioni di euro per ogni anno, redigerà una graduatoria.
La stessa sarà definita tenuto conto dell’Isee, secondo l’ordine di
presentazione delle richieste. Il contributo verrà corrisposto direttamente
alle strutture pubbliche o accreditate dietro esibizione della relativa
documentazione che attesti l’effettiva fruizione del servizio. Invece il
contributo per i servizi di baby sitting viene erogato un vero e proprio
buono lavoro (voucher). L’Inps eroga 300 euro in voucher per ogni mese
di congedo parentale a cui la madre rinuncia. Tali buoni si possono
ritirare in un’unica soluzione o mensilmente.
[email protected]
Domenico Salmaso
soprattutto c’è libertà di
scelta: dai colori fluo (fosforescenti, dall’arancio
acceso al fucsia brillante)
al denim leggero anche
per tubini eleganti, dalle
stampe esotiche agli abiti
traforati, dallo stile grafico (con rombi, quadrati,
righe...) ai tessuti dorati e
lamé, dai volant alle frange, dalle bluse ai colori
safari. L’importante è “vestirsi di allegria” con un
tocco di eleganza e tingere
di rosa, giallo, verde... anche l’umore più nero. E se
per le calzature resistono
le borchie, i modelli ispirati agli antichi romani e i
tacchi altissimi con i plateau, per gli accessori è il
momento di cristalli luccicanti e colorati.
L’importante, però, come dicono gli stessi esperti, è non seguire troppo la
moda, ma personalizzare,
valorizzarsi e ricordare
che, in caso di dubbio, come suggeriva Coco Chanel, «è sempre meglio togliere che aggiungere».
Famiglia e società
LO PSICOLOGO
di Ezio Aceti
Le tragedie del femminicidio
«Sono sgomenta di
fronte al delitto di Fabiana a Corigliano Calabro,
uccisa a 16 anni in modo
efferato. Ma con lei, Carolina, Chiara, un elenco
che sembra non avere fine di ragazze colpevoli di
essere femmine».
Valeria - Frascati
È necessario, nonostante le forti emozioni, tentare di elaborare quanto è
capitato per dare il primato alla ragione e al pensare umano che deve sempre
poter comprendere anche
le più aberranti azioni e
trasformare i drammi più
evidenti in azioni concrete
e proposte valide per far
sì che tutto ciò non accada più. Se minorenni arrivano a compiere delitti
in questo modo, sembra
che la coscienza e il senso di colpa e di vergogna
non esistano più. Il filosofo francese Blaise Pascal
scriveva: «L’uomo molte
volte è una bestia, altre è
un angelo»; e Hanna H.
Arendt, nel suo libro La
banalità del male, descrivendo le attività atroci
del nazismo, testimonia
come quel tipo di cultura burocratica, autoritaria
e feroce abbia permesso
A TU PER TU CON I GIOVANI
di Francesco Châtel
Non accetto certe opere
«All’Accademia di Belle arti si studiano anche
artisti che mostrano i lati più degradanti dell’animo
umano, ma ho dei valori che voglio rispettare e a costo di non superare l’esame o di prendere un 18 di
loro non ne voglio parlare. Nel Vangelo Gesù dice
che ciò che esce dall’uomo lo contamina “perché dal
di dentro, dal cuore degli uomini, escono propositi
malvagi”. Come mi devo comportare? È giusto il mio
pensiero?».
Lettera - firmata
Più che una risposta ti farei anch’io una domanda: il
negativo che esce dall’uomo, come dice Gesù nel brano da te citato, è solo in chi fa il male o in ciascuno
di noi? Credo che un po’ di negativo ci sia in ognuno
e questo, se lo ammettiamo, ci permette di guardare
26
Città Nuova - n. 12 - 2013
che anche l’ultimo dei comandanti doveva eseguire
ordini disumani e che ciò
era giusto, indipendentemente dalla sua coscienza.
Così, anche in tutti questi casi di femminicidio,
dove la donna subisce la
crudeltà di uomini e maschi minorenni che, incapaci di gestire le emozioni
di gelosia, delusione, rabbia si scagliano contro di
loro come se la coscienza
con più misericordia tutti e di capire anche coloro che
fanno scelte per noi negative e di trovare anche in loro qualcosa di positivo. In loro, e non, ovviamente, in
quanto di male fanno e che non può essere accolto.
La misericordia è una misura molto grande dell’amore, perché amando facciamo la nostra parte, ma se
riusciamo ad accogliere e perdonare facciamo anche
quella dell’altro. Prova allora, se vuoi, a guardare a
quegli autori, che danno vita ad opere che non paiono
accettabili, con occhi di misericordia: prova a capire
cosa profondamente hanno voluto “gridare” con la loro opera, a quali domande abbiano voluto rispondere,
quali interrogativo abbiano voluto offrire. Questo non
farà diventare opere d’arte i loro prodotti (se non lo
fossero) o non li renderà accettabili, ma ti permetterà di riflettere serenamente su quanto vedi e di offrire
non una presa di posizione rigida ma una tua serena riflessione che mostrerà a chi ti interroga il tuo sforzo di
capire e anche, chiaramente, il tuo pensiero in proposito. Testimoniare la verità lo si può fare con rigidità,
e questo provoca scontri ideologici e non fa progredire un dialogo sincero, oppure con rispettoso annuncio
che, pur nella chiarezza, intesse relazioni.
[email protected]
BAMBINI E MEDIA
di Maria Rosa Pagliari
fosse assopita a testimonianza che, in una società
permissiva come la nostra,
il male spesso la fa da padrone, col rischio di abituarci. Sembra che manchi
un progetto di vita di fondo e si viva alla giornata,
passando da una emozione
all’altra, e se queste sono
negative, non si riescono
a controllare perché sembra che tutto finisca. La
società del tutto e subito
paga sull’altare dell’umano la sua stessa solidità,
rischiando di finire in un
imbarbarimento diffuso.
Ma allora cosa fare?
Occorre allora tornare
all’umano, alla relazione,
ai legami veri e autentici.
Occorre tornare all’educazione che contiene progetti di vita a lungo termine,
ove il sacrificio, la norma
e la regola sono ingredienti indispensabili per qualsiasi convivenza. Occorre
perdere tempo nello stare insieme, riprenderci il
tempo che la televisione ci
ruba, ritornare alla piazza
del paese per trovare l’amico, le persone, i compaesani e stringere dialoghi,
relazioni, sostegni reciproci. Diffondiamo in tutti i
modi la cultura dell’altro
come indispensabile per
me e la cultura del sacrificio per un bene più grande
come base del vivere insieme. Questo è quello che
occorre fare, indipendentemente dall’emotività che
ci prende. In questo modo,
trasformeremo la precarietà in solidità e riprenderemo le radici dell’esistenza.
[email protected]
Controllare le emozioni
«In questi anni si parla molto di educazione alle emozioni e ai sentimenti,
che ruolo gioca la televisione in tutto ciò».
Cristina - Palermo
Sappiamo tutti che la televisione può essere definita il luogo delle emozioni e
il teleschermo che teniamo in casa un vero stimolatore accelerato di emozioni,
incapace però di promuovere legami affettivi. Le emozioni sono risposte immediate che si consumano con la scomparsa dello stimolo che le avevano promosse.
I sentimenti sono invece legami che ciascuno di noi stabilisce con un’altra persona e presuppongono un processo di comunicazione e di interazione che dura
nel tempo. I sentimenti hanno la funzione di stabilire legami stabili, le emozioni
rispondono a bisogni immediati. Il porsi davanti un teleschermo esclude da una
relazione, lo stesso mettersi in poltrona in maniera rilassata sta ad indicare che
noi non dobbiamo incontrare nessuno, ma soltanto assistere.
Il rischio di un uso massiccio della tv è la riduzione della vita interiore
dell’uomo soltanto alle emozioni. E lo dimostrano le generazioni televisive che
sono nate con il televisore in stanza e lo usano con ritmi sostenuti. Per loro il
divertimento è provare forti emozioni. Ciò genera bambini che hanno bisogno
di continuo movimento poiché le emozioni attivano l’organismo, mentre i sentimenti sono capaci di produrre serenità e di rilassare. Sappiamo che la televisione attiva la nostra parte emotiva e spegne quella dei sentimenti, ma l’emozione è attiva fino a che si percepisce lo stimolo, poi si cancella. Il sentimento
invece dura e tiene presente l’oggetto della relazione anche quando è lontano.
È anche di tutto ciò che bisogna tenere in considerazione quando si consiglia
di limitare i tempi di visione ai bambini per favorire l’elaborazione – quando
possibile condivisa – di quanto hanno visto, e renderli capaci di intessere relazioni con i pari che richiedono la capacità di mettersi in gioco, di comprendere
le emozioni proprie ed altrui, il rispetto dell’altro e dei suoi tempi.
[email protected]
Città Nuova - n. 12 - 2013
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Ecosistema
Grandiosa
bellezza
“Genesi. Fotografie”. Roma, Museo dell’Ara
Pacis, fino al 15/9.
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Città Nuova - n. 12 - 2013
Sebastião SALGADO / Amazonas images
U
n iceberg che sembra la
montagna più alta del mondo. Il
rigoroso bianco e nero ne esalta
l’imponenza, la forza primigenia,
come se stesse emergendo
ora dal centro della terra. La mostra
Genesi è un vero e proprio viaggio alle
origini del mondo, in cui natura, animali
ed esseri viventi vivono ancora in
equilibrio con l’ambiente.
Un viaggio dentro l’intero globo
terrestre, frutto di otto anni di lavoro e
di oltre trenta reportage: dalle foreste
tropicali dell’Amazzonia, del Congo,
dell’Indonesia e della Nuova Guinea
ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga
dell’Alaska ai deserti dell’America
e dell’Africa fino alle montagne
dell’America, del Cile e della Siberia.
«Lo scopo del progetto – rivela l’autore
Sebastião Salgado – è di ricongiungerci
con il mondo com’era prima che l’uomo
lo modificasse fino quasi a sfigurarlo».
Il celebre fotografo col suo sguardo
appassionato ci porta a riflettere sulla
necessità di salvaguardare il pianeta,
di cambiare il nostro stile di vita, di
assumere nuovi comportamenti più
rispettosi della natura e di quanto ci
circonda.
Giuseppe Distefano
SEBASTIÃO SALGADO ALLA SCOPERTA
DEL GLOBO TERRESTRE
Attualità
ESTATE
di Aurelio Molè
L’OZIO
DEI POPOLI
PER CHI VA IN VACANZA, PER CHI RESTA IN CITTÀ,
PER CHI LAVORA E PER CHI È DISOCCUPATO,
L’IMPORTANZA DI RISCOPRIRE UN SANO RIPOSO
V
iviamo sotto una pressa:
schiacciati dal lavoro, dallo
stress, dagli affari, dall’ideologia dell’efficientismo, dal risultato, dai numeri, dalla quantità.
Le idee vincenti sono quelle monetizzabili, la bontà di un programma
tv si valuta dai milioni di telespettatori dell’audience, la felicità dal
conto in banca, lo stato di salute di
un Paese dal Pil, il buon umore dalla
caduta dello spread, secondo l’antico slogan «più lo mandi giù, più ti
tira su», la paternità dalla generosità
della paghetta, il successo dalla potenza dei cavalli a vapore. La vittoria è a più cifre, la sconfitta comincia dallo zero.
Tutto è misurabile, ma non l’ozio,
che è neutro, passivo, equilibrato,
statico, pigro, sedentario, non ha bisogno di risultati perché se il lavoro
duro paga nel lungo periodo, l’ozio
paga subito. I nervi si distendono,
le ombre spariscono, le rughe si appianano, i pensieri si chiariscono, le
ore diventano lente e le giornate si
allungano. L’ozio, insomma, è identificato con il dolce far niente, come
nella famosa trasmissione radiofonica degli anni Settanta, Alto gra-
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Città Nuova - n. 12 - 2013
dimento, in cui Renzo Arbore chiedeva ad uno spossato operaio quale
fosse il suo riposo. «Quando torno a
casa – era più o meno la sua risposta – me butto a terra nel salotto, allargo le braccia, allargo le gambe e
me stravacco», come nella posizione, ma supina, dell’uomo vitruviano
di Leonardo da Vinci. Lo stravacco
elevato a simbolo dell’ozio e del
nuovo disumanesimo privo di possibilità di riposo autentico.
Dagli anni Settanta il contesto
sociale e culturale è mutato notevolmente e oggi, l’operaio vitruviano,
potrebbe essere anche disoccupato,
il più terribile dei mali, perché come diceva l’imprenditore Adriano
Olivetti nel consegnare le redini
dell’azienda al figlio: «Tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare
qualcuno per motivo dell’introduzione di nuovi metodi, perché la disoccupazione involontaria è il male
più terribile che affligge la classe
operaia».
L’assenza di lavoro per chi è in
procinto di affrontare l’estate si
può trasformare nell’insopportabile
fatica di non far nulla perché chi è
inattivo è frustrato, si annoia ed è in
continua ricerca della sua dignità e
della libertà che gli procura la fatica,
il sudore, il pane guadagnato.
L’ozio, quindi, ha senso solo in
relazione all’attività, è l’altra faccia
della medaglia del lavoro, è il con-
caotica anche a quei tempi tanto che
il poeta Marziale scriveva: «Non c’è
a Roma un posto né per pensare, né
per dormire. Rendono impossibile la
vita al mattino i maestri di scuola, di
notte i fornai, tutto il santo giorno i
martelli dei fabbri. Stanco del fastidio, quando voglio dormire, me ne
vado in campagna».
L’importante era poter pensare.
Distendersi significava dare spazio a
dilettevoli attività culturali, leggere
pergamene, recitare poesie, ascoltare musica, discutere di filosofia, pitturare, passeggiare nell’aria salubre,
frequentare le terme e la palestra per
la ginnastica. Si cercava l’equilibrio
tra corpo e anima tanto che Plinio
il giovane diceva a proposito della
villa fuori porta: «Là sto bene nello
spirito e nel corpo come non altrimenti: infatti, tempro e rinsaldo l’animo con lo studio e il corpo con la
caccia».
Di certo, non erano attività popolari, adatte per tutte le tasche, ma
il rischio dello stravacco, dell’ozio
passivo c’era anche qui perché è sottile la linea tra inattività e pigrizia.
È un equilibrio dato dalla quiete attiva perché, raggiunto il benessere
dell’anima e del corpo, restare senza
far niente di spirituale o materiale
genera l’accidia, la pigrizia, l’indolenza e la stanchezza d’animo.
Le vacanze, per chi può
permettersele, o il riposo
domenicale, sono un’occasione
per perdere tempo nello stare
insieme per riscoprire legami
veri e autentici.
trappeso che bilancia l’impegno, la
responsabilità, l’impiego.
Otium contrapposto a negotium.
Solo che per gli antichi romani l’ozio si tingeva di sfumature molto
più ampie dell’attuale significato. La
capitale dell’Impero doveva essere
L’ozio, inteso come tempo libero,
è comunque positivo tanto che, nella
sua autobiografia Papa Francesco
per i tipi della Salani, Jorge Mario
Bergoglio dice che: «Assieme ad
una cultura del lavoro è bene avere
una cultura dell’ozio come gratificazione» e «la cosa che chiedo sempre
ai giovani genitori quando vengono
a confessarsi è se giocano o no con
i propri figli», perché «il sano riposo
ha a che vedere con la dimensione
ludica», che richiama il libro della
Sapienza dove si dice che «Dio, nella sua sapienza, giocava».
Città Nuova - n. 12 - 2013
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Attualità
LA SOVRANITÀ PERDUTA
DA RICONQUISTARE
di Alberto Barlocci
Ciudad Nueva Argentina
a cura di Carlo Cefaloni
DEMOCRAZIA
E POTERE
DELLA FINANZA
DA ARGENTINA E SPAGNA UN’ANALISI SUI GRAVI
RISCHI CHE CORRONO ISTITUZIONI E CITTADINI
in base al valore ad essa assegnata.
Tutti ci guadagnano.
Ma il fatto che attorno alla finanza si muovano immense quantità di
capitali deve farci ricordare che essi
suppongono anche un immenso potere. E il potere tende a non lasciare
spazi vuoti. E quando lo Stato, per
AP
Partiamo da un dato che fa rabbrividire: meno del 2 per cento dei
movimenti globali di capitale sono
destinati all’economia reale, ossia
alla produzione di beni e servizi;
il resto è economia finanziaria, in
gran parte speculativa. La differenza della logica tra questi due
ambiti dell’economia è abissale:
l’economia finanziaria si sta trasformando in un gioco d’azzardo,
nel quale tra l’altro non si crea ricchezza, ma quella in palio cambia
di mano. C’è chi vince e c’è chi
perde. Nell’economia reale, invece, il bene o il servizio prodotto è
una ricchezza che viene scambiata
CITTÀ NUOVA NEL MONDO
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Città Nuova - n. 12 - 2013
- Città
ndo
- Città
ndo
ova nel mo
Nu
ova nel mo
Nu
LaPresse
Manifestazione di piazza contro
i pesanti tagli alla sanità pubblica
in Spagna. A fronte: gigantografie
per le vie di Buenos Aires,
a ricordo della terribile
crisi economica del 2001.
azione o per omissione, lascia brecce aperte, si infiltrano attraverso di
esse interessi che non sono necessariamente il bene della maggioranza.
Succede nel caso della mafia e succede nel caso dei potenti gruppi finanziari. Robert Litan, del ministero
di Giustiza Usa, è stato incaricato di
investigare sull’attività del “club dei
derivati”, che segretamente si riunivano tutti i mercoledì a Wall Street,
determinando il mercato di questi
titoli che non sono quotati in borsa.
Trilioni di dollari, mossi da nove
persone, che nessuno ha votato, che
incidono sui destini di centinaia di
milioni di cittadini.
L’economia pertanto è stata capace di assoggettare la democrazia e
di imporle una sorta d’incantesimo:
non ci sono alternative all’attuale
modello capitalista. Quando in certi Paesi l’un per cento della popolazione possiede il 25 per cento della
ricchezza o il 10 per cento ne possiede la metà; quando accettiamo
che in Europa ci siano 26 milioni di
disoccupati; quando la disuguaglianza scava fossati enormi tra i settori
meglio remunerati e quelli con salari
più bassi; quando accettiamo tranquillamente che il peso fiscale sulle
attività finanziarie sia nel migliore
dei casi il 20 per cento, mentre sulle
aziende è del 30 per cento circa e sui
salari supera il 40 per cento, si paga
un alto prezzo, perdendo democrazia, ed è questo il momento giusto
per riprendere gli spazi perduti di
sovranità.
SE IN GIOCO
NON È SOLO L’EURO
di Juan Félix Bellido
Ciudad Nuova Spagna
Viviamo un momento di disorientamento condiviso tra europeisti
convinti e scettici. Autori radicali
come Marshall Auerback possono
affermare che «quello che sta succedendo in Europa è un autentico colpo di Stato finanziario da parte degli
stessi che hanno causato la crisi».
Conferma il professor Alfonso Banda Tarradellas, della Fondazione per
la Pace: «Sembra che il potere democratico non riesca più a regolare
un potere superiore, ossia il potere
finanziario globale che ha distrutto una delle cose essenziali per costruire il mondo, come la sovranità
nazionale». Come cittadini spagnoli
abbiamo votato un Parlamento e un
governo, ma a prendere le decisioni
sulle nostre vite sono alcuni poteri
che nessuno ha votato, anonimi per
noi, e che tracciano le linee della nostra vita. Non deve meravigliare un
titolo di alcuni mesi fa del quotidiano El País: «La democrazia è sotto
sequestro. Il potere finanziario comanda sul popolo».
Ma può la Spagna da sola difendersi contro l’impero della globalizzazione e delle politiche europee,
che sono le uniche a tracciare la
rotta? Può l’Europa essere indipendente dal potere finanziario? «La
democrazia in un solo Paese non
può neanche difendersi contro gli
ultimatum di un capitalismo furioso
che oltrepassano le frontiere nazionali», avvertiva Jürgen Habermas,
l’ultimo grande filosofo della Scuola
di Francoforte. Di sicuro i governi si
sono imbarcati in uno sperpero economico senza precedenti e hanno
contribuito all’affossamento del sistema bancario, facendone pagare le
conseguenze ai cittadini sempre più
impoveriti; ma di fronte al vortice
finanziario sull’Ue, e di conseguenza sui suoi Paesi membri, non è solo
l’euro. È molto ma molto di più: si
tratta della democrazia stessa.
Città Nuova - n. 12 - 2013
33
Attualità
I
profumi invitanti della farinata,
del fritto di pesce, del ciuppin,
percorrono i viottoli del porto
antico: Savona si mostra accattivante anche con queste leccornie. L’arco sotto la torre custodisce
un incontro: qui Svilen Angelov, un
giovane scrittore e poeta, si racconta per la nostra rivista. Nato in Bulgaria nel 1992, all’età di otto anni è
arrivato in Italia con la sua famiglia,
che definisce così: «È la mia isola.
Ho due genitori meravigliosi: con
loro ho un dialogo aperto, luce alle
mie domande e forza per affrontare
i dubbi e gli avvenimenti della vita».
Il percorso letterario di Svilen
inizia a 14 anni, quando vince un
concorso del Lions Club International, primo premio di una lunga collezione, tra cui quello internazionale
di Arte e cultura cinematografica
“Auguste e Louis Lumierè”. Le sue
opere sono reperibili in più di 70 antologie e in diverse riviste culturali.
A soli 19 anni è pluriaccademico e
membro di sodalizi artistici e letterari. È proclamato “Giovane talento
ligure 2011”. Il suo Luci di cristallo
è una raccolta di poesie di bellezza e
profondità non comune.
Le prime le ha scritte quando
frequentava le elementari. «La più
impegnativa è stata senza dubbio
Ascolta il silenzio che parla, modificata e riscritta per più di un anno.
Credo che il silenzio sia il tuo miglior consigliere al quale non puoi
mentire perché ti urla la verità e realtà che ti circonda».
Svilen, hai fondato e sei presidente
del circolo culturale “Nuovo Arcobaleno”, oltre ad essere ideatore del
concorso letterario di poesia e fotografia “Nestore”. La tua passione
per la letteratura è “incontenibile”...
«“Nuovo Arcobaleno” è un centro
culturale dove diverse tipologie d’arte
si confrontano, creando un vero e proprio “ponte culturale” tra diversi Paesi.
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Città Nuova - n. 12 - 2013
GIOVANI ARTISTI
di Silvano Gianti
IL MONDO
DI SVILEN
IL VENTUNENNE SCRITTORE E POETA DI ORIGINI
BULGARE RESIDENTE A SAVONA SI RACCONTA
Partecipando a numerosissimi concorsi, ho avuto il privilegio di incontrare
molti artisti, poeti, scrittori e operatori
culturali. Anche i componenti la giuria del concorso “Nestore” appartengono a diverse regioni italiane».
Quando hai scoperto la tua vena
artistica?
«Non credo di avere “una vena artistica”. Ho avuto la fortuna di avere
come insegnante delle scuole elementari e medie la prof. Maria Teresa Ta-
Nelle foto: Svilen Angelov.
Qui accanto è con il presidente della
Repubblica di Bulgaria
Rosen Plevneliev.
tò ed è stata lei a mandare ad un concorso il mio primo tema, con il quale
ho vinto il primo premio. Ogni tema
era accompagnato da qualche strofa o
poesia. Chi mi ha insegnato ad amare la poesia e mi ha aiutato a scoprire
il magico mondo del cinema è stato
lo scrittore nonché storiografo del cinema Biagio Di Meglio, una persona
leale, sincera, intelligente, che ha creduto sempre in me».
Che cosa esprime e cos’è per te
l’arte?
«Credo che in ogni singola arte vi
sia poesia. Essa è un riflesso dell’anima, un pezzo di puzzle che costituisce
il mondo interiore di ogni individuo».
Qual è il tuo rapporto col trascendente?
«Sono cresciuto in una famiglia,
dove i valori essenziali come la fede
cristiana, l’onestà, la lealtà occupano
una posizione fondamentale. Credo
nell’Onnipotente e nella bontà che
ogni persona possiede».
Hai una infinità di riconoscimenti,
premi, pergamene. Quale di essi ti
ha dato più soddisfazioni?
«Ogni concorso ha lasciato un’orma sul mio cammino e mi ha aiutato a crescere, ma le pergamene più
preziose sono senza dubbio la Benedizione apostolica di papa Benedet-
to XVI e quella già arrivata di papa
Francesco».
Le barche attraccano al molo, la
sera si fa prossima. Parto portando
in me immagini di gioia, di vitalità:
ciò che mi ha trasmesso Svilen in
questo nostro incontro.
Ascolta il silenzio che parla
Non mi domando/ come nasce un ricordo,/ non ho voglia/ di rammentare tutto,/ ma solo
spiccioli e frammenti con odore di vita,/ quando ascolto il silenzio che parla!
Il sorriso di una ragazza,/ le mani di mio padre,/ il vento che riposa tra i rami dell’edera,/
sono briciole che tengo strette al cuore/ quando ascolto il silenzio che parla!
Non cerco segreti/ nel respiro di passate memorie,/ mi basta semplicemente/ scoprire nei
colori del mare,/ echi e richiami d’infinito…
Sono frammenti,/ cadenze di un presente/ che illumina il passato/ quando ascolto il silenzio
che parla!
Mio Dio, ti prego, proteggimi,/ difendi i miei ricordi del tempo!
Da: Luci di cristallo, Progress Ed.
Città Nuova - n. 12 - 2013
35
D a l D avl i vvi ov o
TEMPO PER GLI ALTRI
di Oreste Paliotti
Osvaldo,
prete rom
Parroco in un paesino in provincia
di Caserta, è il primo prete
appartenente a questa etnia
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Città Nuova - n. 12 - 2013
(2) Oreste Paliotti
N
ocelleto, frazione di Carinola, non si segnala certo
per attrattive turistiche. Questo piccolo centro del
Casertano a vocazione agricola, che conta poco più di
2 mila abitanti, ha però una particolarità: il parroco
don Osvaldo Morelli, quarant’anni, è il primo prete
italiano di etnia rom. E comunque non è l’unico rom o sinti
(l’altra etnia zingara presente nel nostro Paese) che abbia
fatto una scelta religiosa: «un fattore di ricchezza – osserva
lui – che finora era rimasto un po’ nascosto».
Qui, nella antica parrocchia di San Sisto II fresca
di restauri, mi mostra compiaciuto la nuova vetrata
in cui, fra l’altro, sono raffigurati Ceferino Gimenez
Malla e Chiara Luce Badano, il gitano e la giovane dei
Focolari beatificati rispettivamente da Giovanni Paolo
II e Benedetto XVI: personaggi entrambi cari a don
Osvaldo, sia per le sue origini e sia in quanto membro del
Movimento fondato da Chiara Lubich.
Questa è la sua storia. «Sono nato da genitori rom
abruzzesi stabilitisi a Mondragone, in provincia di
Caserta. Finite le medie, ho deciso di continuare gli
studi – fatto un po’ insolito rispetto alle nostre tradizioni
– e mi sono iscritto a ragioneria. L’idea di farmi prete mi
è venuta durante un campeggio estivo organizzato dal
seminario diocesano. Non è stato facile farla accettare
ai genitori, specie a mia madre, e neppure gli anni di
seminario sono stati privi di difficoltà».
Una svolta decisiva è data dall’esperienza di vera
fraternità, fede e comunione fatta durante un soggiorno
di alcuni mesi a Loppiano, la cittadella dei Focolari:
«È stato lì che mi si è chiarita la mia prima vocazione:
scegliere Dio, non il sacerdozio ministeriale».
Completati gli studi di teologia a Napoli e la
specializzazione in Dottrina sociale della Chiesa a
Roma, l’ordinazione del giovane Osvaldo, già prevista
per l’estate del 2005, viene anticipata in gennaio per
Don Osvaldo Morelli. Sotto: Santino Spinelli (in arte
Alexian), cantautore, poeta e insegnante di origine rom.
A fronte: particolare della vetrata della parrocchia
di San Sisto II: si riconoscono Madre Teresa di Calcutta,
Gianna Beretta Molla e Chiara Luce Badano.
dare a sua madre, prima di morire per cancro, la
gioia di partecipare a un evento per il quale ha sciolto
ormai ogni riserva. Viceparroco a Mondragone, nella
parrocchia di San Rufino, dal 2006 coadiuva l’anziano
parroco presente a Nocelleto da ben cinquant’anni,
finché nel 2008 riceve dal vescovo il mandato come
nuovo pastore di questa comunità.
«La gente mi ha accolto con affetto e stima,
comprendendo il mio desiderio di essere al servizio
di tutti. È una parrocchia molto piccola, che però
si sta risvegliando, grazie al clima di famiglia e di
collaborazione. Il consiglio pastorale è operante, sono
presenti i Cursillos, la Comunità di Gesù Risorto, la
Milizia dell’Immacolata, ci sono ragazzi che si formano
alla spiritualità dei Focolari. Purtroppo i giovani di qui
sono pochi, perché il paese non offre sbocchi di lavoro.
Proprio oggi però ho accompagnato dal vescovo uno
di loro che ha chiesto di entrare in seminario. Non
era praticante, ma vedendo il mio modo di celebrare
e di essere accogliente con le persone, ne è rimasto
attratto e ha cominciato un po’ a navigare su Internet
nei siti vocazionali. Qualche mese fa è venuto da me
per comunicarmi la sua scelta. Ma non mancano altri
episodi che rincuorano. Ieri sera, ad esempio, ero a cena
con una coppia che stava attraversando un periodo di
difficoltà: dopo un lungo scambio fino a mezzanotte, si
sono finalmente capiti: la crisi era superata».
Don Osvaldo è anche referente a livello diocesano per
la Fondazione “Migrantes”, l’organismo collegato con
la Cei che si occupa della cura pastorale di emigrati,
immigrati e profughi, rom e sinti, fieranti e circensi,
navigatori marittimi e aerei. Allo stesso tempo coltiva
i rapporti con i parenti e i pochi nuclei familiari rom
ancora rimasti a Mondragone, come pure con gli altri
sacerdoti della diocesi. «No – conclude –, grazie a Dio
non ho problemi di solitudine».
I rom abruzzesi
Rappresentano uno dei primissimi gruppi zingari giunti in Italia attraverso l’Adriatico o più probabilmente
via terra, dal nord, dopo aver percorso la ex Jugoslavia e i territori di lingua tedesca, provenienti dall’Albania o dalla Grecia. Grazie alla lunga permanenza, sono relativamente più inseriti nel contesto sociale ed
economico del nostro Paese rispetto ad altri gruppi di recente immigrazione. Non più nomadi, ma stanziali,
vivono in case come tutti. Se la vita moderna ha soppiantato le attività tradizionali di musicisti, fabbri
calderari, commercianti di cavalli e lavoratori di metalli, il modo di porsi di fronte alla vita e di interiorizzarla, e soprattutto la struttura sociale dei rom, sono rimasti nei secoli pressoché immutati. L’istituzione
fondamentale su cui si regge la loro società è la famiglia, intesa nel senso più ampio, come gruppo che si
riconosce nella discendenza da un antenato comune. I rom abruzzesi si differenziano sia dai gagè (i non
zingari) sia dagli altri gruppi zingari con una propria lingua, il romanì, un proprio stile di vita e norme morali vincolanti, che ne assicurano la coesione. Non sempre facili i contatti con l’esterno, dovuti ai pregiudizi
e ai modelli di vita materialistici che allontanano i giovani dalle tradizioni del gruppo.
Città Nuova - n. 12 - 2013
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Dal vivo
CON OCCHI DIVERSI
di Mariagrazia Baroni
A spasso
con fr’alcetto
Il pelouche e la sua animatrice
Priscilla: creatività e dono
nei social network
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Città Nuova - n. 12 - 2013
Francesca Barsi
U
n alce di nome Alcide. 15 sono i centimetri del
peluche in pezza e simpatia, tenero e disarmante,
che parla sui social network dell’amore. Non di un
amore qualsiasi, ma addirittura di quello di Dio.
Alcide fratello alcetto, ma per tutti fr’alcetto, ha
lo stupore francescano per il creato e dialoga con esso
negli animaletti e nelle piante.
Nato dalla fantasia di Priscilla Menin – anche se la storia
caricata su un video Youtube narra di un mucchio di
pupazzi al momento della Creazione –, a cui la giovane
grafica di Latina dà forma per pensieri e parole, Alcide ha
la purezza e la spensieratezza di un bambino: «Quel tipo di
certezza che ti dona la vicinanza con Dio», dice Priscilla.
La sua casa sono le stanze degli ambienti social: dal
2008 su Facebook, ma anche Twitter e Youtube. Vanta
anche un proprio blog, delle strisce fumettistiche che
periodicamente escono per L’Arcobaleno – il giornale
parrocchiale dell’Immacolata Concezione –; ha in
programma anche un paio di favole illustrate e un cd,
ed ama stare molto in parrocchia. Lo scorso anno,
infatti, è stato protagonista del teatrino di burattini,
sempre all’Immacolata di Latina, in occasione della
prima tappa dell’Anno della fede su “La fiducia
in sé stessi”, con l’Oppalcetto style – brano di Psy
riadattato con testo “cristiano” – a farla da padrone
tra l’entusiasmo dei bambini.
«Una scenetta dove la protagonista si fa condizionare
da quello che pensano gli altri di lei e si sottovaluta»,
continua Priscilla. Fino a quando il Re (Dio) spiega
a tutti che lei è sua figlia e lui la ama così com’è. Sì
perché, seppur vero che Alcide con il suo modo di fare
attira i piccoli, è con i grandi la sfida del dialogo sui
social: «quegli stessi adulti che quando vogliono fare
i grandi non vivono in maniera spensierata, mentre il
bambino si fida».
Priscilla Menin con Alcide fr’alcetto.
A fronte: Alcide lascia un messaggio sulla spiaggia
per chi passerà lì e per tutti i suoi amici dei social
network; In basso, a des.: uno dei tanti fumetti di Alcide.
Ha un linguaggio semplice, libero da infrastrutture,
ma profondo, incisivo che «spesso “arriva” a chi mette
un muro sotto il profilo relazionale», perché parte
dalla constatazione che nella società odierna di «gente
appassionata della vita ce n’è, ma che al tempo stesso
non vuol scavare nelle ragioni del perché sia così.
Insomma cerca Dio e non lo sa», precisa Priscilla.
Sbaragliando quelle che sono le abitudini sui social,
dove troppo spesso si dice tutto per dire poco e nulla,
dove vien meno la spinta al divino, Alcide può. Narra,
si interroga, ma trova sempre la risposta in Dio.
(2) Priscilla Menin
da un momento all’altro potevano sfumare», racconta.
Molla, questa, per fare lo scatto in avanti e non fermarsi,
per non cadere nella trappola, ma uscire fuori e buttarsi
nuovamente ad amare «come fa Alcide», precisa.
Ma l’entusiasmo di Alcide non è fine a sé stesso,
anche lui fa l’esperienza del dolore che entra nella
vita e di quelle altrui «a cui reagisce con iniziale
rassegnazione, ma che trasforma, sempre, nell’amore a
Gesù e nell’incontro con l’altro». Proprio come accade a
Priscilla – in un rapporto simpaticamente simbiotico –,
che in realtà quel peluche lo aveva ricevuto come regalo
a 8 anni dallo zio Roberto. Poi, in età più adulta, durante
una malattia in cui lo stare a casa era tappa obbligata del
decorso, s’è rafforzata l’idea di riprenderlo dalla cesta
dei giochi. «Mi ero detta che tutti i programmi di vita
Nelle giornate dell’“alcetto color nocciola” oltre alla sua
fidanzata, Alcilla sor’alcetta – tipo tutto pepe anche lei
con tratti simili alla Mafalda di Quino –, inizialmente
nei fumetti e poi anche su Facebook, tanti pensieri, foto
con quella o l’altra persona che Priscilla incontra durante
la giornata, e tante amicizie. «Proprio su Facebook ha
conosciuto una pastora luterana di Hartberg – continua
la sua ideatrice –. Lei stessa a Natale mi ha fatto
recapitare in parrocchia dei biscotti di panpepato a forma
di Alcide». E l’effetto del suo messaggio giornaliero,
semplice e incisivo, corre veloce nei commenti giunti su
Facebook: «Per me sei colore e calore, poesia allegra e
struggente, bellezza e candore, gentilezza ed esplosione,
candela scoppiettante, amico lontano, ponte in mezzo
al cielo»; «A lui importa solo voler bene e sa mostrare
come la bellezza si nasconde nelle piccole cose. Grazie,
Alcide!»... Un segreto che Alcide conosce bene perché
«la fede è un programma d’amore per noi – conclude
Priscilla – che non ha nulla di cerebrale, ma è la certezza
che sei stato chiamato, personalmente, a vivere questa
avventura divina».
Segui Alcide su: www.facebook.com/alcide.fralcetto;
sul blog: fralcetto.wordpress.com; su twitter: @fralcetto;
su Google+: Alcide fr’alcetto; su Youtube: Alcide fr’alcetto.
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Dal vivo
I LETTORI CI SCRIVONO
di Giuseppe Alimandi
Giuseppe,
la Skoda
e l’olio
Quei fatti insoliti che capitano
nel quotidiano a conferma
che il Vangelo è vero
«D
ate e vi sarà dato»... Sempre, questa frase di
Gesù mi ha colpito per la sua forza! Certe
volte però mi veniva il dubbio che potesse
essere solo un modo per incoraggiare gli
animi a dare. Solo di recente, facendo un
riesame delle cose che mi capitano cercando di mettere
in pratica gli insegnamenti evangelici, ho costatato
quanto sia vera anche la seconda parte della frase,
quella che esplicita una promessa e un effetto... quasi
automatico.
Un giorno un mio ex collega mi fa conoscere un
tipo un po’ sbandato: «Vedi tu se lo puoi aiutare...».
Lo incontro, gli parlo, non capisco bene tutta la sua
situazione, mi dice però che non può più tornare a casa
dove abitava e non sa dove passare la notte. Senza fargli
tante domande, il pensiero mi è andato subito a vedere
nell’altro un Gesù che mi chiedeva aiuto. Non sapendo
come aiutarlo, gli ho detto che intanto poteva dormire
nella mia macchina, una Skoda.
Dopo alcuni giorni mi ha chiesto se poteva andare in
Umbria con questa macchina. Ho acconsentito. Di
nuovo mi ha chiesto di continuare ad usarla. Ed infine
se potevo dargliela con relativo passaggio di proprietà.
Siccome avevo una vaga idea di acquistare una nuova
«Avevo regalato la mia Skoda. Dopo qualche mese
avevo ricevuto ben tre auto in regalo…».
40
Città Nuova - n. 12 - 2013
macchina, ho acconsentito. Naturalmente tutto gratis.
Ma cosa mi capita? Un mese dopo, un conoscente mi
regala una bella macchina Bmw, che lui non poteva più
usare. Questo fatto mi ha fortemente turbato perché non
gli avevo chiesto niente e non avevo detto ad alcuno del
fatto della Skoda.
Trascorre altro tempo e un parente, anche lui ignaro
dei fatti precedenti, mi regala una Clio blu completa di
passaggio di proprietà.
Sono passati otto mesi da quando ho regalato la
mia vecchia Skoda e mi ritrovo proprietario di due
macchine. Non solo: due mesi dopo, ricevo in regalo
un’altra Bmw.
E ancora. All’inizio di quest’anno, un amico mi chiede
di aiutare un compaesano comprandogli una lattina
di olio da cinque litri (non avendo più un lavoro, si
è messo a vendere l’olio prodotto dalle olive di sua
proprietà). Sensibile all’aiuto, ho detto subito di sì.
Quest’olio l’ho messo in bottiglie che ho poi regalato.
Non passa molto tempo che l’inquilino del piano di
sotto mi regala un recipiente d’acciaio che contiene
almeno cinquanta litri di olio delle Puglie, dicendomi di
darlo a chi voglio. Ecco proprio una misura traboccante!
Motivo di questa elargizione: l’inquilino doveva partire
per l’America e si voleva liberare del prezioso liquido
che altrimenti poteva andare a male.
Così, travasandolo in bottiglie (un bel lavoro di
pazienza!), ho potuto farne dono a tanti. A questo punto
cosa devo pensare? «Date e vi sarà dato».
VERSO L’UNITÀ
di Pasquale Foresi
Spiritualità
Perché una “eccezione”
al perdono?
L’ostinazione
nel male
comporta
un grosso
rischio.
Ma tutto è
possibile alla
misericordia
divina
«T
utti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini
e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà
bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono
in eterno; sarà reo di colpa eterna» (Mc 3, 23-29).
Con questa frase Gesù vuol far comprendere agli
scribi e ai farisei tutta l’estensione della responsabilità che essi si
assumono a non voler vedere e impedendo a tutti gli altri di vedere.
Tutti i peccati e anche tutte le bestemmie saranno perdonati, uno
solo non sarà perdonato: la bestemmia contro lo Spirito Santo.
Qual è, dunque, questa bestemmia, e perché non sarà perdonata,
mentre lo saranno le altre bestemmie? Il contesto di Marco
risponde chiaramente a queste due questioni.
Nella espulsione dei demoni dal corpo dei posseduti, gli scribi
riconoscevano un intervento superiore all’uomo. Ora, piuttosto
che concludere a fil di logica, e con buon senso, all’evidenza di un
intervento divino, essi preferiscono dichiarare che Gesù ha uno
spirito impuro; ed è per questo che Gesù parla di bestemmia contro
lo Spirito Santo.
Peccare contro lo Spirito Santo è attribuire allo spirito del male delle
opere di bontà che si rivelano manifestamente divine
a tutte le anime semplici e sincere; facendo così si
assimila lo Spirito Santo, sorgente di ogni bontà, a
Satana, sorgente di ogni malizia. Si dichiara bene ciò
che è male e male ciò che è bene; si pensa e si parla
di già come un dannato, si commette un peccato che
nessuna scusa potrà attenuare, perché trattandosi di
una cattiva fede, si ha una cecità volontaria.
È per questo, considerato nell’uomo che lo commette,
che tale peccato è irremissibile: perché testimonia una
tale ostinazione nel male che il peccatore s’interdice
da sé stesso ogni sentire di pentimento che potrebbe
fargli provare di nuovo gli effetti della misericordia e
della bontà divina: «Peccato contro lo Spirito Santo
è detto irremissibile – dice san Tommaso – secondo la sua natura, in
quanto esclude quelle cose per le quali si fa la remissione dei peccati».
Si tratta evidentemente di una irremissibilità morale, non di una
irremissibilità assoluta. San Tommaso aggiunge infatti: «Perciò,
tuttavia, non si preclude la via del perdono e della salvezza alla
onnipotenza e alla misericordia di Dio, per mezzo delle quali
miracolosamente tali anime vengono talvolta spiritualmente
salvate».
Da: “Interrogativi di oggi”, Città Nuova n. 9/1984.
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Parola di vita
LUGLIO
di Chiara Lubich
Un amore
gratuito
e universale
«Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto:
amerai il prossimo tuo come te stesso». (Gal 5,14)
È
questa una parola di Paolo, l’Apostolo:
breve, stupenda, lapidaria, chiarificatrice.
Essa ci dice ciò che deve stare alla base
del comportamento cristiano, ciò che deve
ispirarlo sempre: l’amore del prossimo.
L’apostolo vede nell’attuazione di questo
comandamento il pieno adempimento della legge.
Essa, infatti, dice di non commettere adulterio, non
uccidere, non rubare, non desiderare... e si sa che
chi ama non fa tutto questo: chi ama non uccide,
non ruba...
«Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo
precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso»
Chi ama però non evita soltanto il male. Chi ama si
apre sugli altri, vuole il bene, lo fa, si dona: arriva a
dar la vita per l’amato. Per questo, Paolo scrive che
nell’amore del prossimo non solo si osserva la legge,
ma si ha «la pienezza» della legge.
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Città Nuova - n. 12 - 2013
«Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo
precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso»
Se tutta la legge sta nell’amore del prossimo,
occorre vedere gli altri comandamenti come
mezzi per illuminarci e guidarci a saper trovare,
nelle intricate situazioni della vita, la via per
amare gli altri; bisogna saper leggere negli altri
comandamenti l’intenzione di Dio, la sua volontà.
Egli ci vuole obbedienti, casti, mortificati, miti,
misericordiosi, poveri... per realizzare meglio il
comandamento della carità.
«Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo
precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso»
Ci si potrebbe chiedere: come mai l’Apostolo
omette di parlare dell’amore di Dio? Il fatto è
che l’amore di Dio e del prossimo non sono in
concorrenza. L’uno, l’amore del prossimo, è anzi
Pietro Parmense
Turkmenistan, Merv, al mausoleo del Khan Kala
| Chi ama ha centrato
la volontà di Dio |
espressione dell’altro, l’amore di Dio. Amare
Dio, infatti, significa fare la sua volontà. E la sua
volontà è che amiamo il prossimo.
«Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo
precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso»
Come mettere in pratica questa parola? È chiaro:
amando il prossimo; amandolo veramente. Ciò
significa: dono, ma dono disinteressato, a lui.
Non ama, colui che strumentalizza il prossimo
per i propri fini, anche i più spirituali, come può
essere la propria santificazione. Occorre amare
il prossimo, non noi stessi. È indubbio, però, che
chi ama così si farà santo davvero; sarà «perfetto
come il Padre», perché ha compiuto il meglio che
poteva fare: ha centrato la volontà di Dio, l’ha
messa in pratica: ha adempiuto pienamente la
legge. Non saremo forse esaminati alla fine della
vita unicamente su questo amore?
Pubblicata su Città Nuova n. 2/1992.
Città Nuova - n. 12 - 2013
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Spiritualità
E SOLIDARIETÀ
di José María Poirier
Con la tenerezza
della carità
V
ivo a Buenos Aires e,
fino a poco fa, il mio
vescovo era l’attuale papa
Francesco. Sempre mi
ha impressionato il suo
privilegiato amore per i poveri.
Ed ora che la Parola di vita ci
propone di amare il prossimo,
mi torna in mente quella sua
preoccupazione: che i poveri
per strada, nei quartieri bassi
della città, negli ospedali e
nelle carceri... non diventino
invisibili. Giacché siamo
abituati alla loro presenza, c’è
il rischio che li notiamo solo
in quanto parte del paesaggio,
triste paesaggio, delle nostre
città. Solo l’amore, che Paolo
afferma essere la pienezza della
legge, ci permette innanzi tutto
di vederli per poi spingerci ad
andare incontro loro.
Di fatto, è risaputo che
alle persone che volevano
confessarsi da lui
l’arcivescovo Bergoglio
domandava: «Mi dica, quando
lei dà l’elemosina, guarda
negli occhi quello o quella a
cui la dà, tocca la sua mano?».
Questa domanda partiva
da un uomo che percorreva
costantemente le strade e
andava spesso dai più poveri.
Quando lui parla di toccare
la «carne di Cristo», intende
dire che il cristianesimo nasce
da un Dio incarnato, che non
vuole essere trovato soltanto
nelle Scritture, nella liturgia
e nello studio della fede, ma
ama essere incontrato nel
prossimo.
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Città Nuova - n. 12 - 2013
Allo stesso tempo, papa
Francesco ci insegna che la
Chiesa deve uscire da sé stessa
per andare incontro agli altri.
Arriva a dire: «Preferisco mille
volte una Chiesa incidentata,
incorsa in un accidente, che
una Chiesa ammalata per
chiusura!». Conosce i rischi,
ma non ha paura. La sua
passione – non si stancava
mai di ripeterlo – è andare
alle “periferie esistenziali”,
incominciando dai poveri. E
la stessa urgenza, raccontava
Chiara Lubich, a proposito
del primo focolare di piazza
Cappuccini a Trento. Anche
le parrocchie, i movimenti, le
comunità non possono aspettare
l’arrivo delle persone, ma
essi devono andare da loro.
Il particolare amore del papa
per i poveri necessita di una
premessa che ne spiega la
portata: «Per noi cristiani, la
povertà non è una categoria
sociologica o filosofica o
culturale, ma è una categoria
teologale». Quasi ci sia per
lui un’identificazione tra
“prossimo” e “povero”.
A me, le sue parole hanno
insegnato ad essere meno
indifferente di fronte al
dolore dei poveri per strada,
a guardarli negli occhi nel
dare la mia offerta di denaro.
Perché non basta collaborare
con la Caritas o nei gruppi che
si occupano dei più bisognosi,
bisogna mettersi anche in prima
linea. E con la tenerezza della
carità.
Dio lo si
trova non
solo nelle
Scritture,
nella liturgia,
nello studio,
ma nel
prossimo
50
ANNI FA SU CITTÀ NUOVA
INVITO ALLA LETTURA
a cura di Gianfranco Restelli
di Elena Cardinali
Dalla recensione all’ultimo film
del grande regista svedese Ingmar
Bergman. È apparsa su “Città Nuova”
n. 10/1963.
Per chi vuole approfondire alcuni
degli argomenti di questo numero
con i libri di Città Nuova
pagg. 20-22
Luci d’inverno
La vicenda del film è davvero lineare; narra di Tomas, un pastore protestante,
che non sa più parlare ai suoi fedeli perché non sente più la presenza di Dio.
La sua chiesa si fa deserta, e gli unici frequentatori sono individui legati a lui
da qualche interesse materiale o sentimentale. L’ultima persona che ricorre
al pastore è la signora Persson, che gli chiede di parlare al marito, deciso a
suicidarsi. Ma Tomas si sente ormai tanto incapace e inutile, che non sa che
cosa dire all’angosciato Jonas Persson; cosicché, poco dopo, questi mette in
atto il suo proposito. Chi tenta di salvare Tomas dal definitivo fallimento è
Marta: una maestra atea che vorrebbe sposarlo; ma Tomas è ancora legato
d’affetto alla moglie scomparsa, e rifiuta le attenzioni di lei.
Tutta la situazione riflette quello che Tomas chiama «il silenzio di Dio»,
ma sarà proprio Algot, ilsagrestano sciancato, il personaggio più umile, a
dare un nome a tanto dolore: questo buio dell’anima, che accomuna tutti
i personaggi del film, è l’abbandono di Dio: quello stesso che Gesù provò
sulla croce quando gridò, nel momento più intenso del suo dolore, «Dio
mio, Dio mio; perché mi hai abbandonato?».
Basta questo: dare un nome e un senso a quell’abbandono, per risolvere l’anima
di Tomas. Egli sente ora che sta percorrendo la via tracciata dal Redentore,
e ritrova il coraggio di continuare la propria missione senza chiedere a Dio
costanti prove della sua presenza. I personaggi sono tracciati con rara efficacia;
Gunnar Biornstrand delinea assai bene la figura del pastore, che ha scelto
la carriera ecclesiastica per volontà dei genitori; egli si è sempre poggiato a
qualcuno, riuscendo a sentire la paternità di Dio finché tutto è andato bene. Poi,
quando le cose vanno male, Tomas non sa più capire perché Dio lo permetta
questo male, e comincia a dubitare di tutto. Ingrid Thulin dà a Marta un volto
appassionato e sofferente; ella è atea, nel film, ma la sua anima sente che deve
dedicarsi a qualcuno; 1a debolezza di Tomas le sembra una ragione sufficiente
per amarlo, ma nel momento della sincerità ella è pronta ad offrire a Dio tutte
le sue forze e la sua vita: una splendida figura di donna che all’assenza di
attrattive esteriori oppone tutta la bellezza delle anime che sbocciano alla fede.
Anche il bravissimo Max Von Sidow dà vita a una figura che esprime una gran
parte della umanità: quella cui non mancano beni terreni né affetti familiari, né
soddisfazioni di lavoro, ma che nutre in sé l’angoscia e non la vuol risolvere per
non fare un atto di umiltà. Per salvarsi basterebbe dicesse: «Ci sono cose più
grandi della mia ragione e devo accettarne il mistero».
Gianfranco Manganella
LEGGERE
Ci sono libri che ci accompagnano per una vita
intera, entrati nella nostra pelle e nei nostri pensieri. Ci sono libri che la scuola ci ha insegnato
ad amare, che abbiamo comprato perché avevano
una bella copertina, che ci hanno fatto viaggiare.
È il mistero dei libri… In Leggere, Elena Granata
ci fa assaporare il piacere della lettura.
pagg. 46-50
RELIGIONI DELL’OCEANIA
L’Australia, lo Stato più vasto dell’Oceania. Un
continente per tanti aspetti ancora da scoprire. Il volume traccia una panoramica completa
dei fenomeni religiosi. Dalle voci relative alle
tradizioni religiose native a quelle sulle grandi
religioni monoteistiche portate dai missionari. Una rassegna dettagliata dei riti, simboli,
esperienze religiose e credenze.
pagg. 72-73
I 7 VIZI CAPITALI
Tutti abbiamo sentito parlare dei 7 vizi capitali. Ma, se escludiamo una conoscenza
superficiale o culturale, sappiamo davvero
quali sono questi vizi e che cosa ciascuno di
essi veramente rappresenta? Un’agile guida di
taglio pratico per aiutarci a fare un lavoro serio su noi stessi, partendo dalla diagnosi delle
sette malattie da cui ogni malessere spirituale
e corporale dell’uomo discende.
Per ordinarli: Via Leonardo Da Vinci, 8
Monterotondo (RM) tel. 06 78 02 676
[email protected] www.cittanuova.it
Reportage
L’ALTRO MONDO
Testo e foto di Michele Zanzucchi
P
ort Melbourne. Percorrendo il
perfetto disegno della baia, ecco
una superba spiaggia, superba
soprattutto perché l’arco da essa
creato, con lo sfondo dei grattacieli di Melbourne, crea una visione
armoniosa di coabitazione tra natura
e manufatto, in una simbiosi che ha
fatto la fortuna dei colonizzatori europei, certo non quella degli aborigeni. Ma la tentazione fotografica è più
forte dei pensieri filosofici. E d’improvviso noto come nell’obiettivo si
crei una scala visiva, i cui gradini sono il mare, la spiaggia, le abitazioni,
i palmizi e i grattacieli. Benvenuti in
Australia, terra dove natura e uomo
vivono in simbiosi.
46
Città Nuova - n. 12 - 2013
AUSTRALIA
FELIX ET GENERATRIX
SPAZI INFINITI, STORIA BREVE E TRAVAGLIATA,
MODERNITÀ CREATIVA, IMMIGRAZIONE
CONTINUA. DOVE VA IL PAESE DELLA SPERANZA?
Rippon Lea Mansion
Graffiti che riprendono i colori
e le forme dell’arte aborigena.
Sopra: alla Rippon Lea Mansion.
Sotto: Melbourne dal Santuario
della memoria.
Il quartiere ebreo di Melbourne
ha una sua modesta eleganza che
emerge dai dettagli: le finestre, i rivestimenti, le insegne. È qui che si
trova, incastonata in un curatissimo
parco, una delle più originali costruzioni dell’intera Melbourne: la Rippon Lea Mansion. Venne costruita
nel 1868 su progetto dell’architetto
Joseph Reed, per la famiglia Sargood, che fino al 1890 ne fece luogo di balli e ricevimenti. La dimora
venne poi ceduta al primo ministro,
Sir Thomas Bent, che già nel 1900
cominciò a vendere parte della proprietà. Nel 1910 passò alla famiglia
Nathan, che ridiede splendore alla
proprietà come luogo di divertimento. Elegante e ricca di fascino, la
mansion possiede ancor oggi salotti arredati stile anni Trenta, sale da
pranzo Rinascimento italiano, bagni
in stile vittoriano. Ma la vera sorpresa è il vivaio ricoperto di legno.
È rigoglioso, e conta una quantità
d’essenze impressionante. All’epoca, i colonizzatori non avevano la
più pallida idea di che cosa potesse
crescere in questo continente. Qui si
capiscono i coloni e le loro sorprese.
A due passi dalla dimora, in una
villetta che tradisce la creatività
e la genialità del suo proprietario,
il prof. James Bowler, scopro l’altra metà del cielo, ovvero la storia
lunga d’una terra-continente che è
stata violentata da una presenza europea incapace di rispettare i nativi.
«La scoperta da me fatta dei resti
dell’uomo e della donna più antichi
d’Australia, Mungo Lady e Mungo Man – mi spiega il professore,
geologo di chiara fama –, ha dimostrato che già nel pleistocene qui in
Australia c’era gente che aveva sentimenti e religiosità, contrariamente
a quanto si voleva far credere, che
cioè gli aborigeni non erano umani». È questo il dramma più sconvol-
Città Nuova - n. 12 - 2013
47
Repor tage
AUSTRALIA
gente dell’Australia, aver tagliato le
proprie radici, che non sono solo in
Europa, ma proprio qui, da 600 mila
anni in qua: «La società australiana
sta pagando il grave prezzo di aver
abbandonato le tradizioni locali: dovremmo ascoltare gli aborigeni per
poter diventare una vera società matura». Ma la storia non è così semplice, perché le popolazioni autoctone sono state o distrutte, o ridotte
in terreni limitati e senza risorse,
oppure sono vittima delle distorsioni
della società capitalista. «È una sfida
culturale enorme, il dialogo è ancora difficile, l’individualismo impera.
Dobbiamo ritrovare le radici, il giusto rapporto con la natura e la vita
comunitaria. La nostra identità».
Yarra Range
Bisogna uscire dalle città per capire l’Australia. È vero che gli abitanti
che vivono urbanizzati sono l’80 per
cento del totale, ma è anche vero che
il territorio occupato dagli abitati non
supera il 2 per cento. E le stesse città
sono dei grandi giardini. La natura è
qui componente essenziale della vita.
Mi reco in uno dei tantissimi parchi
nazionali, quello di Yarra Range, a
un centinaio di chilometri (cioè nulla)
da Melbourne, una zona colpita nel
2009 da un incendio che ha provocato 200 morti. Ci si avvicina per strade
ampie, percorse da automobilisti che
avanzano rispettando i rigidi limiti di
velocità e felici di farlo. Le costruzioni sono a uno o due livelli, cosicché
il cielo appare più grande che da noi.
La foresta si innalza, fino a diventare un’immensa distesa di tronchi
dritti come corazzieri, che sembrano
pungere il cielo. Il sottobosco si popola di felci grandi e piccole, dalle
dimensioni minuscole di una pianta
da appartamento a quelle d’un albero.
Prendiamo una strada che attraversa
quasi quaranta chilometri ininterrot-
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Città Nuova - n. 12 - 2013
ti di foresta. D’improvviso, in uno
slargo di qualche metro, eccoli, i bei
canguri – due e minuscoli, ma pur
sempre canguri – che fanno capolino.
Si odono solo rumori naturali. Questa
è l’Australia!
È questa la terra larga, infinita,
senza confini, che i primi immigrati inglesi trovarono e occuparono.
Un’immigrazione che non s’è più
interrotta. Incontro alcuni giovani
italiani (da Cuneo e Firenze, da Palermo e Roma), venuti fin quaggiù
sperando di trovare un lavoro, che poi
hanno trovato. Stepan Kerkyasharian
è responsabile della Commissione
per le relazioni comunitarie a Sydney,
l’ufficio che cerca di regolare e favorire le relazioni tra diverse comunità
etniche. Un uomo che lavora sulla
cittadinanza: «Per le recenti inondazioni e fuochi di foresta – mi spiega
–, hanno lavorato in modo encomiabile le Ses, gruppi di volontari che
soccorrono le vittime delle catastrofi naturali, che qui sono all’ordine
del giorno. Sono uno strumento che
il governo favorisce in ogni modo,
perché la partecipazione dei cittadini, soprattutto quelli di fresco arrivo,
li fa sentire membri della comunità
nazionale, degli australiani. Qui, in
effetti, il principale problema sociale
nasce dalla necessità di acquisire il
sentimento di far parte di un popolo unito». Mi enumera tutti gli atti
che, dal 1977 al 2012, hanno spinto
i governanti a cercare una reale integrazione tra le diverse etnie, che altrimenti rischiavano solo di contrapporsi: «Promuoviamo lo studio della
lingua inglese, la sola che ci può far
sentire uniti, favoriamo l’armoniosa
integrazione dei quartieri, denunciamo le politiche che privilegiano certe
etnie e ne sfavoriscono altre, chiediamo e lavoriamo per l’accesso condiviso ai servizi pubblici. È un lavoro
lungo, ma che porta frutti. I valori comuni della nostra gente non sono solo
quelli statuiti dalla legge, ma anche
quelli che emergono dalla fusione di
identità diverse. Senza uguaglianza e
libertà, l’Australia non esisterebbe».
Opera House
La città di Sydney è deserta, per
la pioggia ma soprattutto perché qui
la giornata è festiva, ricorre l’Australia Day. I parchi sembrano voler
tendere più al grigio che al verde.
Come al Botanic Garden, una sottile lingua di terra che separa le due
baie della Sydney Cove e della Farm
Cove. Alla punta del promontorio,
scorgo un arco metallico elegante,
l’Harbour Bridge. E, ai suoi piedi,
per l’inganno della prospettiva, ecco quel capolavoro indefinibile che
è l’Opera House. Fisso quelle linee
geometriche così insolite e poco alla
volta nelle brume della meteorologia
si compone come un acquerello alla
Turner, con la bizzarria di una buccia d’arancia buttata per terra con
nonchalence. A King’s Cross le architetture dai caratteri risolutamente
British si coniugano con la vivace
presenza di giovani e studenti. Qui,
dicono, si corrono i soli, veri rischi
nella città: qualche fastidio dovuto
all’ubriachezza. Null’altro.
Il cardinal Pell è un uomo di
grande presenza, anche mediatica.
Alto, deciso, rotto a ogni difficoltà, mi riceve nel suo studio al vertice superiore d’un grattacielo. Mi
racconta delle accuse che lo hanno
coinvolto nei media: «Ma io non demonizzo i giornalisti e i mass media
– mi spiega –; pensi che alcune delle
nostre ultime vocazioni sacerdotali
sono state suscitate da Internet! La
Chiesa ha da parlare il linguaggio
della gente d’oggi, soprattutto dei
più giovani. Ma senza dimenticare che il cristiano è tale se professa
Cristo e se appartiene a una comunità reale, non virtuale. Il laicato in
questa battaglia è la più importante
ed efficace risorsa della Chiesa».
Una Chiesa che anche qui, dopo
il Vaticano II, ha conosciuto la secolarizzazione e un certo declino:
«I religiosi sono calati, la frequenza
alle liturgie pure, ma nuove forme di
Tre intervistati, da sin. a des.: James Bowles,
Stepan Kerkyasharian e il card. George Pell.
Sotto: l’Opera House a Sydney e un pellicano
a Healesville. A fronte: nel centro di Melbourne.
Città Nuova - n. 12 - 2013
49
2013,
Speriamo
di incontrarvi
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evangelizzazione, come quelle dei movimenti, che
sono un po’ gli ordini mendicanti del XX secolo,
hanno fatto capire che la Chiesa non muore e non
morirà. Nemmeno spallate come quella della pedofilia riusciranno a seppellirla: anzi, ben vengano le
occasioni di verità».
Il card. Pell evidenzia anche il fatto che la Chiesa cattolica australiana sia di minoranza. Infatti solo il 26 per cento della popolazione si riconosce in
essa: «Il dialogo è sempre aperto. Qui vengono tutti, musulmani e buddhisti, turchi e indiani. Spesso
partecipiamo alle rispettive ricorrenze con affetto e
gratitudine. Con gli atei, invece, non c’è ancora un
gran rapporto, anche perché non sono moltissimi. Il
rischio per la società australiana non è l’agnosticismo, ma l’edonismo e il consumismo».
Melbourne in Vespa
Non mi sarei mai aspettato di visitare quella
che è stata nominata “la città più vivibile al mondo
2012” in Vespa! Eppure succede, grazie all’amico
Luke. Melbourne, 4 milioni di abitanti: fondata nel
1835 dal figlio di un galeotto, tal John Batman, che
comprò la terra per pochi soldi dagli aborigeni kulin,
già vent’anni più tardi era diventata una grande città
grazie all’irrefrenabile flusso d’immigrati, e alla fine del secolo era la capitale industriale e finanziaria
dell’Australia. Nel 1956 ospitò le Olimpiadi.
L’ingresso al centro è imperiale: in primo piano appaiono le estrose forme bianche dei templi
dello sport, la passione più straordinaria e totalizzante degli australiani. I monumenti? Sì, visito le
cattedrali cattolica, anglicana e luterana, il Parlamento dello Stato di Victoria, la Flinder Street
Station. C’è Little India, Chinatown e il quartiere
italiano. Tutto bello, tutto ben tenuto, un tocco di
architettura vittoriana, un po’ di neogotico, un
briciolo di neoclassicismo, molto modernismo.
Ma non sono i monumenti che fanno Melbourne.
Melbourne è vivibile perché la gente qui pare
non avere la fretta dei newyorkesi, la superbia dei
parigini, la trascuratezza dei romani, l’altezzosità dei londinesi… Qui si vive perché si è venuti per lavorare fianco a fianco con gente di altre
culture e altre nazioni, per stare all’aria aperta,
godere della vi-ta in comune, far sport. Per vivere
bene. E ci si riesce, a Melbourne. Come nel resto
dell’Australia.
Michele Zanzucchi
Il punto
???????????????????
di Michele Zanzucchi
È L’ORA DELLA SANTITÀ
NELLA CITTÀ
I
Letture
Commenti spirituali
Note esegetiche
Esperienze
Testimoni
l giallo storico è di moda e conta ormai nel
mondo milioni di lettori e autori affermati:
da Lynda Robinson a Thanos Kondylis, da
Claude Mossé a Margaret Doody, da Guillaume
Prévost a Barbara Hambly (quasi tutti tradotti
in Italia). Da noi si possono annoverare fra i
giallisti storici pure nomi come Umberto Eco o
Carlo Lucarelli. Ma la nostra autrice più dotata
è senza dubbio Danila Comastri Montanari, con
le avventure di Publio Aurelio Stazio, colto e
raffinato senatore romano del tempo di Tiberio,
aspirante filosofo con l’hobby dell’indagine
poliziesca. Questa volta le vittime sono tre neonati
di altrettante famiglie romane della nobiltà e
della plebe ricca, fra le quali Publio Aurelio
si muove con la consueta sagacia, l’esperienza
consumata e il disincato dell’aristocratico evoluto e come in una storiografia del quotidiano animata
anticonformista: tutto è buono per vincere la noia e da umorismo, ironia. Giallo classico-deduttivo
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Attualità
DIALOGO INTERRELIGIOSO
di Roberto Catalano
APERTURE
DALL’IRAN
INTERVISTA AL PROF. MOHAMMAD SHOMALI,
UNO DEI MASSIMI ESPONENTI DELL’ISLAM SCIITA
I
l prof. Mohammad Shomali
proviene da Qum, la città santa dell’Islam sciita, dove dirige
l’Istituto internazionale per gli
studi islamici ed è decano di studi post laurea presso la sezione internazionale della Jami’at al-Zahra.
Shomali è una personalità conosciuta all’interno del cosmo sciita,
ma anche in diverse parti del mondo, molto attivo nel campo del dialogo interreligioso. Nel corso della
sua ultima visita in Italia, dove ha
accompagnato un gruppo di studentesse iraniane per un contatto con il
cristianesimo, ho potuto rivolgergli
alcune domande.
Come è nato e si è sviluppato il
suo interesse e impegno nel campo
del dialogo interreligioso?
«Dopo aver terminato i miei studi in Iran, sono andato in Inghilterra
per conseguire il dottorato. In Gran
Bretagna ho cercato delle opportunità per far visita a luoghi di culto,
seminari e università che appartenevano alla Chiesa. Mia moglie e
io siamo entrati in contatto con il
Movimento dei Focolari e abbiamo
riscontrato molti punti in comune
esistenti fra noi. Ci siamo resi conto di quanto, per entrambe le nostre
tradizioni, fosse importante l’amore
per Dio e per gli uomini e le donne.
Su invito di un monaco benedettino
52
Città Nuova - n. 12 - 2013
visitammo anche l’abbazia di Ampleforth e vi passammo la notte, incontrando alcuni monaci e l’abate.
L’abate mi invitò a tornare e lo feci
insieme alla mia famiglia, restando
all’abbazia per alcuni giorni. Nello
stesso periodo visitammo altre località dell’Inghilterra e partecipammo anche ad alcune iniziative del
Movimento dei Focolari. In alcune
occasioni ci capitò di essere l’unica
famiglia musulmana. In tal modo,
gradualmente abbiamo potuto costruire un rapporto con molti amici
cristiani».
Negli ultimi anni, lei si è trovato
in prima linea nello sforzo di promuovere eventi che mirano a favorire un incontro fra cristianesimo e
Islam.
«Nel 2001, prima del mio rientro
in Iran, l’abate di Ampleforth mi ha
proposto di parlare dell’Islam ai monaci della sua comunità. Si trattava
per questi monaci del primo vero
contatto con il mondo musulmano.
Ho fatto tre conferenze, che riscossero reazioni molto positive. I monaci, infatti, avevano trovato molti
punti comuni fra la spiritualità musulmana e quella cristiana, in particolare con la regola di San Benedetto. Nel 2002 l’abate e un teologo ci
fecero visita a Qum. Fu un’esperienza comune molto positiva: organiz-
zammo dei seminari, delle conferenze e alcune visite culturali. Loro si
sentirono a proprio agio e rimasero
sorpresi dall’atteggiamento di apertura e capacità di ascolto e interesse
che trovarono fra gli allievi del seminario sciita.
«Da quel primo viaggio sono nati
vari convegni fra monaci benedettini
e studiosi musulmani sciiti, alcuni
svoltisi in Iran e altri in Inghilterra».
Come armonizza il dialogo con il
suo credo musulmano?
«Sono sempre più convinto che
il dialogo interreligioso è una grande responsabilità per noi. Al di là
Pietro Parmense
sono chiamato a fare con lo stesso
impegno e regolarità con la quale
recito le mie preghiere e digiuno.
Quando prego non metto la condizione che anche gli altri devono
fare come me o che apprezzino ciò
che faccio. Dobbiamo comportarci
nello stesso modo per quanto riguarda il dialogo, considerandolo
una istruzione coranica, coscienti
che Dio onnipotente è sempre accanto a coloro che realizzano questa grande responsabilità».
La grande spianata della piazza
Khomeini a Isfahan. A sin.,
Mohammad Shomali, teologo
e filosofo sciita, con sede a Qum.
della risposta che possiamo ricevere dai nostri partner dobbiamo
continuare a lavorare per il dialogo
e sono certo che troveremo sempre nelle altre tradizioni religiose
persone aperte. Per un musulmano
dialogare è un obbligo religioso;
il Corano invita coloro che seguono il Libro a dialogare. Il dialogo
è qualcosa che, come musulmano,
Come vede il contributo di Benedetto XVI alla causa del dialogo e i
primi passi di papa Francesco?
«Personalmente ammiro molto il
ruolo della Chiesa cattolica nell’ambito del dialogo interreligioso, specialmente dopo il Concilio Vaticano
II. Nessuno può negare che, dopo il
Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica in generale ha mostrato grande impegno e desiderio di dialogare.
Quando, poi, nel 2011 siamo stati
presenti con Benedetto XVI ed altre figure di rilievo del mondo delle religioni alla giornata di Assisi,
ci siamo resi conto di quanti passi
in avanti sono stati fatti in questi
venticinque anni. Certamente, non
siamo riusciti a mettere fine alle
guerre e ai conflitti, alle tensioni e
al settarismo, ma spesso mi ripeto:
immaginiamoci se queste iniziative
di dialogo non ci fossero state, quale
sarebbe la situazione del mondo oggi? Certamente potrebbe essere molto peggiore.
«Papa Benedetto XVI è stato un
uomo di dialogo. Forse all’inizio del
suo pontificato non era così evidente,
ma sono convinto che con il passare del tempo abbia dimostrato il suo
grande impegno alla causa del dialogo. Abbiamo una grande speranza
che questo continui anche durante
il pontificato di papa Francesco, che
appare come una persona aperta alle
altre culture e religioni».
Città Nuova - n. 12 - 2013
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V i t aV i tsaa snaan a
NATURA
di Fausto Minelli
Quel rondone
così puntuale
Protagonista antico e attuale
dei cieli di primavera e d’estate
è la specie più diffusa
nel nostro Paese
T
ra i non-passeriformi è la specie più
diffusa in Italia. Si
ode persino in tv a
sottofondo di certe
riprese in esterno di ambiti cittadini o rurali di primavera e inizio estate. Le
sue grida dal timbro così
incisivo entrano d’imperio nei microfoni, e non
passando inascoltate, ci
segnalano che la primavera è arrivata, oppure che il
primo caldo estivo di giugno è prossimo alle porte.
Il rondone, a differenza della rondine, fa primavera. Arriva da noi ad
aprile, meglio se inoltrato, così da evitare il più
possibile i colpi di freddo
a lui poco graditi. Proviene dai caldi tepori dell’Africa nera a tal punto che
i territori di svernamento
lambiscono i confini di
Città del Capo. È in questa fascia tra il Namib e
il Kalahari che pare permanga in attesa che trascorra la stagione fredda
54
Città Nuova - n. 12 - 2013
in Europa. Proprio per le
sue caratteristiche e adattamenti agli appuntamenti. Oltre all’annuncio,
con il suo arrivo, della
fine dell’inverno, ritorna a visitare ogni anno
la stessa torre, spesso la
stessa nicchia utilizzata
per il nido l’anno precedente. Sono gli adulti che
arrivano in questo periodo. L’atterraggio sul manufatto – piccoli fori nei
tronchi d’albero, sottotetti e torri rondonare da lui
costruiti – è forse l’unico
punto di appoggio della
specie. Tale comportamento è d’obbligo, non
essendo, questo curioso
volatile, riuscito ancora
nell’impresa di covare le
uova in volo.
I giovani, gli individui
nati l’anno precedente,
non arrivano in questa stagione. Non avendo l’impegno riproduttivo, vagano tra l’Africa e l’Europa
con la sola esigenza di
nutrirsi, rigorosamente di
insetti alati, e di venire
a conoscenza dei grandi
territori attraversati. Eppure anche loro giungono
da noi. Non ce ne accorgiamo, essendo i giovani
e gli adulti tutti uccelli
neri, ma a giugno inoltrato, quando il caldo inizia
a farsi sentire, arrivano
nei territori di nascita. Lo
testimoniano le scorribande gridanti di gruppi
di rondoni che sopra le
nostre teste, oltre i lampioni e i fili dell’autobus,
tra gli spigoli e i tetti dei
centri abitati zigzagano
con voli a grande velocità. Forse non ci abbiamo
mai fatto caso, ma i giovani venuti a conoscere
il luogo che li vedrà genitori gli anni seguenti,
In senso orario: genitore sul luogo di cova e rondone
all’attracco; in volo attorno ad una torre rondonara.
curiosando tra le nicchie,
innescano reazioni di
rimprovero tradotte nelle
folate gridanti, per il disturbo arrecato ai genitori
diversamente occupati ad
allevare la nuova prole.
Poi da metà luglio tutti
al sud. I giovani, appena usciti dai nidi, partono subito; gli adulti, un
po’ per ritemprarsi dalle
fatiche familiari, riprendono peso sui pascoli di
quota alpini e appenninici, pullulanti di insetti in
quel periodo, grazie alle
fioriture estive. I giovani dell’anno precedente,
ultimate le visite conoscitive cittadine, vagano
in ambienti a loro congeniali, ma su rotte sempre
meridionali.
(3) Olmi Gian Luigi
I piccoli cadono in letargo
È di circa un milione la popolazione stimata in Italia. Da non confondere con la rondine o il balestruccio, il rondone ha un piumaggio
completamente nero. Appartiene all’ordine degli apodiformi “senza piedi”, avendo zampe cortissime e dita rivolte tutte in avanti.
Grande volatore, ha le ali che dalla spalla si portano in lunghezza
oltre la coda. Si nutre in volo di insetti. Arriva da noi in contingenti
massicci ad aprile. Tempo tre mesi per concludere la covata, in genere di tre piccoli, lascia i manufatti già da metà luglio. La maturità
riproduttiva va da due anni in su. Rilevatori satellitari posizionati
su individui hanno indicato che i luoghi di svernamento sono nell’Africa australe tra l’Angola e il Mozambico. Migratore a lunghissimo
raggio, non ama la stagione fredda. In caso di cattive condizioni
atmosferiche, durante l’epoca riproduttiva i genitori possono compiere voli di centinaia di chilometri spostandosi su aree con condizioni atmosferiche più miti. I piccoli abbandonati non muoiono, ma
cadono in una specie di letargo (caso singolare per gli uccelli) in
attesa del ritorno dei genitori e del loro cibo. Il rondone è specie
longeva per uccelli di queste dimensioni. Vive di norma 8-10 e più
anni. Un individuo inanellato e liberato in natura è stato ricatturato
vivo dopo 22 anni! La specie diffusa in Europa, nord Africa e Asia è
nel complesso in buono stato di conservazione.
Città Nuova - n. 12 - 2013
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Vita sana
COPPA AMERICA
di Paolo Candeloro
È
il più antico trofeo
sportivo al mondo
ancora in vigore.
Centosessa nt adue
anni di regate col
vento in poppa – o di giornate di calma piatta – con
nella testa un solo obiettivo: alzare al cielo l’ambitissima brocca d’argento.
Dal lontano 22 agosto
1851, quando il britannico Royal Yacht Squadron
sfidò il New York Yacht
Club, la Coppa America
agita i cuori e le menti di
migliaia di appassionati
di vela. Quella volta, sulle
acque circostanti l’isola di
Wight, il trofeo messo in
palio per celebrare la prima esposizione universale
(andata in scena a Londra
proprio nel 1851) fu vinta
dal sodalizio ospite, che
ribattezzò la competizione – originariamente chiamata Coppa delle cento
ghinee o Queen’s Cup – in
onore della barca vincitrice, il veliero America.
Si dice poi che la regina
Vittoria, dopo aver chiesto
informazioni sui secondi
classificati, si sia sentita rispondere: «There is no second, your Majesty» (Non
ci sono secondi, vostra
maestà), affermazione trasformatasi poi in un vero e
proprio motto della manifestazione.
Sì, perché nella Coppa America «there is no
second», la piazza d’onore non esiste: chi vince
si prende tutto – trofeo,
gloria e diritto di decidere sede e regole dell’edizione successiva –, chi
perde deve accontentarsi
56
Città Nuova - n. 12 - 2013
La storia
in barca a vela
Tutto pronto a San Francisco per la 34esima edizione.
Luna Rossa rilancia la sfida per tentare la vittoria
di un posticino sui libri
di storia dell’evento. E di
storie la Coppa America
ne ha scritte parecchie,
come quella che nel 1983
vide protagonista il Royal
Perth Yacht Club, primo
sodalizio capace di “far
espatriare” lo scettro, dagli Stati Uniti all’Australia. Da quel momento la
manifestazione è diventata
e propria. Si tratta della
Compagnia della Vela di
Raul Gardini, il cui Moro
di Venezia si arrese solo
ad America (1992), e dello Yacht Club Punta Ala
di Patrizio Bertelli, che
con Luna Rossa animò
le nottate di migliaia di
italiani, pronti a sfidare
il fuso orario per seguire
le regate andate in scena
ad Auckland e conclusesi
con un netto successo del
Team New Zealand. A
quella bellissima avventura, che fece (ri)scoprire a
tanti l’esistenza di tangoni,
rande e spinnaker, partecipò anche Andrea Fraschini, medico dell’equipaggio
capeggiato dal napoletano
Francesco De Angelis (timoniere) e dal brasilia-
Luna Rossa, in gara l’anno scorso a Napoli;
sotto: lo stesso equipaggio durante le prove
a San Francisco in vista della prossima edizione.
E. Risberg/LaPresse
Hons/LaPresse
mondiale a tutti gli effetti, e la brocca d’argento
ha iniziato a viaggiare
parecchio, raggiungendo
la Nuova Zelanda (per effetto dei successi di Team
New Zealand) e – addirittura – la Svizzera, Paese
senza sbocchi sul mare ma
con due vittorie targate
Alinghi.
E l’Italia? Nella storia
ultracentenaria dell’evento, il sogno di portare il
trofeo in riva al Mediterraneo (prima che il team
rossocrociato scegliesse
Valencia come campo
di gara) è stato coltivato
da vari sindacati, due dei
quali riuscirono a conquistare la Louis Vuitton
Cup, trofeo che dà accesso
alla Coppa America vera
no Torben Grael (tattico).
«Un’esperienza magnifica – racconta il primario
in Chirurgia all’ospedale
di Luino, un passato nella
Nazionale italiana di sci
–, in un Paese che vive per
la vela: tanti neozelandesi possiedono una brutta
automobile, ma una bella
barca, e nei weekend vanno tutti a vela nelle isole
vicine». Indimenticabile,
poi, il 5-4 in finale di Louis Vuitton Cup ad America One, al cui timone c’era
Paul Cayard, ex skipper
del Moro di Venezia. «Il
nostro team era perfettamente organizzato – continua Fraschini –, sia dal
punto di vista logistico che
da quello sportivo, e atleticamente erano tutti molto
ben allenati». Insomma,
un exploit che non sorprese chi quell’esperienza la
visse dal di dentro e che,
chissà, potrebbe ripetersi dal 4 luglio al 30 agosto prossimi, quando San
Francisco ospiterà l’ottava
edizione della Louis Vuitton Cup, antipasto della
34esima Coppa America
(in programma dal 7 al 22
settembre).
Passano gli anni, cambiano i regolamenti (adesso si gareggia con dei catamarani), ma il sogno di
Patrizio Bertelli resta immutato: portare in Italia la
brocca d’argento più famosa al mondo. Lui, di arrivare ancora una volta secondo, non ne vuole proprio
sapere, per non sentirsi dire – come la regina Vittoria 162 anni fa –: «there is
no second».
Città Nuova - n. 12 - 2013
57
BUON APPETITO CON...
Vita sana
di Cristina Orlandi
Crostini con crema
di melanzane
Violetta lunga palermitana,
di grandi dimensioni e colore
viola scuro; violetta di Napoli, dalla forma allungata e dal
sapore più forte e piccante;
violetta nana precoce a frutto
piccolo; la melanzana tonda
comune di Firenze, di color
violetto pallido, con pochi semi e polpa tenera e compatta;
quella gigante bianca di New
York, dal frutto grandissimo,
bianco con sfumature viola:
sono solo alcune varietà presenti nel mercato, ognuna è
indicata per una particolare
ricetta. La ricetta proposta è
molto semplice, è ideale per
un buffet o per una grigliata,
in cui basterà servire la crema con dei crostini di pane o
delle bruschette per avere uno
sfiziosissimo antipasto.
Ingredienti (6 persone)
4 melanzane violetta di Napoli, 1 spicchio di aglio, 1 pizzico di paprika dolce, prezzemolo tritato, q.b. di sale e di pepe.
Preparazione
Eliminare la buccia dalle melanzane, quindi tagliarle a fette e disporle in uno scolapasta
a strati alternati da sale grosso. Coprire con un coperchio
e porvi sopra un peso. Lasciar
riposare per circa un’ora.
Passato questo tempo, sciacquare con cura le melanzane,
asciugarle e tagliarle a dadini.
In una padella far dorare uno
spicchio di aglio con olio
extravergine d’oliva e unire la dadolata di melanzane.
Coprire con un coperchio e
portare a cottura. Se necessario aggiungere dell’acqua per
evitare che si attacchino alla
padella. Regolare di sale e di
pepe nero.
A cottura ultimata frullare
le melanzane, unire il prezzemolo tritato, una punta di
paprika dolce e l’olio extravergine d’oliva.
Servire la crema di melanzane
sui crostini di pane e decorare
con capperi, olive e una foglia
di basilico fresco.
oggi, anche tra i più giovani,
ma mancano ancora regole
precise, controlli seri e studi
scientifici ampi sulla loro efficacia e sicurezza. In quanto
all’efficacia si è visto che solo il 10,6 di chi l’ha utilizzata
ha effettivamente poi smesso
di fumare sigarette tradizionali, mentre il 44,4 per cento
ha diminuito leggermente il
numero, il 22,9 per cento lo
ha ridotto drasticamente e il
22,1 per cento non ha modificato invece le proprie abitudini tabagiche.
SALUTE
di Vittoria Siciliani
Senza tabacco si può
Sono più di dieci milioni i
fumatori in Italia e l’età media della prima sigaretta si
attesta attorno ai 17 anni, ma
molti hanno iniziato anche
prima. Sono alcuni dei dati
emersi dal Rapporto 2013
sul fumo dell’Istituto superiore di Sanità presentato lo
scorso 31 maggio in occasione della Giornata mondiale
senza tabacco. Il tabagismo
resta ancora la prima causa
di morte evitabile nel mondo, nonostante una tendenza
al miglioramento: 6 milioni
sono i decessi ogni anno (di
cui 600 mila per fumo passivo), 83 mila in Italia, tra
58
Città Nuova - n. 12 - 2013
tumori polmonari, enfisema,
bronchite cronica e malattie cardiovascolari. Secondo
l’Organizzazione mondiale
della Sanità nel 2030 moriranno ogni anno per colpa
del fumo più di 8 milioni di
persone, soprattutto nei Paesi
a basso e medio reddito. Da
qui la proposta di bandire il
tabacco dalla pubblicità, una
misura che, nei Paesi in cui è
stata introdotta, ha registrato un calo del consumo di
sigarette fino al 7 per cento.
Quanto alle sigarette elettroniche, si tratta di una vera e
propria moda, iniziata due
anni fa ed esplosa soprattutto
ALIMENTAZIONE
EDUCAZIONE SANITARIA
di Giuseppe Chella
di Andrea F. Luciani
Medici e malati, il caso Cuba
La melanzana
Il nome “melanzana” significa
“mela non sana”, perché questo
ortaggio era ritenuto, in passato,
non adatto per l’alimentazione.
La melanzana contiene
effettivamente una sostanza
velenosa, la solanina, che però
viene distrutta con la cottura e per
tale motivo deve essere consumata
sempre cotta. Originaria dell’India
venne introdotta in Europa
dagli arabi a partite dal 1400. È
poverissima di calorie, circa 16
per 100 grammi, ma la sua polpa
tende ad assorbire facilmente
condimenti calorici come l’olio.
Ricca di acqua, circa il 90 per
cento, questo ortaggio stimola
l’attività dei reni. È depurativa,
blandamente lassativa, è benefica
per il fegato perché contribuisce
a stimolare la secrezione della
bile, contribuisce anche a ridurre
il colesterolo. È ricca di fibre
benefiche per combattere la stipsi.
Studiosi dell’American diabetes
association raccomandano le
melanzane ai pazienti affetti dal
diabete di tipo 2 (che colpisce
gli anziani e non è insulinodipendente), perché questi ortaggi
hanno sostanze antiglicemiche. Da
diversi anni si stanno studiando
le proprietà di una sostanza
contenuta nella buccia violacea
della melanzana denominata
nasunin, che avrebbe straordinarie
proprietà antiossidanti e antiinvecchiamento.
Il New England medical journal ha riconosciuto alcuni meriti alla
medicina cubana: la vita media di questa popolazione, 78 anni, è uguale
a quella degli Stati Uniti. La mortalità infantile, passata dall’80 per
mille nel 1950, è oggi inferiore a quella americana (5 per mille); le
vaccinazioni vengono eseguite rigorosamente; le malattie trasmesse da
insetti vengono eliminate con bonifica delle case e delle condutture;
l’alfabetizzazione è al 99,8 per cento; l’educazione sanitaria inizia nella
scuola. La sovrabbondanza dei medici, uno per ogni 1000 abitanti, due
volte quelli degli Usa, consente una medicina prevalentemente preventiva,
catalogando i cittadini secondo i loro fattori di rischio (fumatori, malati
cronici, come diabetici, cardiopatici, ecc.), con visite al loro domicilio,
almeno una volta l’anno. Se necessario sono valutati nei vari policlinici e
poi seguiti dai medici curanti. Tutto ciò, nonostante la tecnologia arretrata
rispetto a quella sviluppata negli Usa e lo stipendio ridicolo dei medici,
pagati 20 dollari al mese e con altre forme di sostentamento. L’articolo
del N.E.J.M. conclude definendo la medicina cubana un inusuale
sistema di assistenza alla salute. In verità l’educazione sanitaria, indicata
dall’Organizzazione mondiale della sanità fin dagli Cinquanta e promossa
in Italia a partire dagli anni Settanta, è il segreto di questo successo
che assicura ai cubani una vita media pari a quella degli statunitensi.
Certamente il trattamento dei medici cubani riflette l’esistenza di un
sistema politico non democratico, ma, nonostante ciò, i medici curanti
sono sempre disponibili a spiegare e a discutere con il malato e i suoi
familiari i problemi che li affliggono. Una medicina quindi che comunica,
mentre le lamentele dei pazienti sulla mancanza di comunicazione tra
medici e malati è all’ordine del giorno nel mondo occidentale.
Sarà il caso di inviare una commissione governativa, per approfondire “in
loco” quanto di positivo è possibile attuare del modello cubano in Italia?
Ciò per non relegare definitivamente la sanità italiana, in cui coesistono
luci ed ombre, al ruolo di “cenerentola”.
Città Nuova - n. 12 - 2013
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UN PERICOLOSO
PENNACCHIO
DI POLVERE
Cile
Allarme
vulcano
T.Huglich/AP
R
ecentemente il Cile ha lanciato
l’allarme rosso perché il
vulcano Copahue, nelle Ande,
che vediamo nella foto, sta
aumentando la sua attività.
A volte ce ne dimentichiamo, ma i vulcani
sono sempre lì, a ricordarci che il nostro
pianeta al suo interno non è solidificato
e tranquillo, bensì in parte ancora
instabile e “magmatico”. Per esempio,
65 milioni di anni fa una enorme
eruzione in India riempì l’atmosfera
di anidride carbonica e solforosa,
cambiando per secoli il clima del pianeta
e contribuendo all’estinzione in massa
di dinosauri e invertebrati marini.
Ma senza andare così lontano, oggi
sappiamo che la Terra ogni 100 mila anni
è squassata da almeno due cosiddette
supereruzioni, con emissioni di gas che
mettono in pericolo la vita sul pianeta.
L’ultima di queste catastrofi vulcaniche
avvenne nell’isola di Sumatra, 73 mila
anni fa: l’enorme quantità di polvere
lanciata nell’atmosfera ridusse del 90
per cento la luce del Sole, causando un
inverno lungo sei anni su tutta la Terra.
Per questo i vulcanologi tengono sotto
stretta sorveglianza i vulcani ritenuti
più pericolosi, come Popocatepetl in
Messico, Katla in Islanda, Tambora in
Indonesia, Cumbre vieja nelle Canarie,
Vesuvio in Italia e Yellowstone negli Usa.
Giulio Meazzini
Città Nuova - n. 12 - 2013
61
Attualità
MEDIA
di Claudia Di Lorenzi
Apologia di “Miss Italia”
I tagli orizzontali della Rai
Il “discorso in difesa di” lo fa proprio una donna. Una fra quelle che hanno
accolto con perplessità la decisione della Rai – ufficializzata a giugno con
la presentazione dei palinsesti – di cancellare dalla programmazione del
prossimo anno lo storico concorso di bellezza. Quello che lanciò, tra le altre,
Sophia Loren, Lucia Bosè e Gina Lollobrigida. I vertici della tv pubblica
parlano di ragioni economiche e editoriali, della volontà di combattere
quell’immagine di donna-oggetto che alimenta la tv. Ma dopo la sollevazione
dei Patron – Patrizia Mirigliani, figlia dello scomparso Enzo, ha risposto che
Miss Italia «ha sempre valorizzato l’immagine femminile» e si è detta pronta
a rinunciare al compenso dato dalla Rai – la questione è finita in Parlamento,
dove una senatrice Pd ha chiesto di far luce sulle ragioni del “taglio”. Chi
scrive disdegna la tv che fa merce del corpo femminile e svilisce la donna,
ma non ravvisa tali criticità nel concorso di Miss Italia. D’accordo, anche a
causa del format del programma, le aspiranti miss non hanno occasione di dar
prova della loro intelligenza, oltre che dell’avvenenza, ma etichettare l’evento
come esempio di “tv trash”, ovvero “spazzatura”, al pari dei reality più
deteriori, ci sembra esagerato. Certo i Mirigliani avranno beneficiato del lungo
matrimonio con la Rai, ma fatichiamo ad immaginare il signor Enzo come
un imprenditore senza scrupoli. Da ricordare poi le campagne di Miss Italia
contro l’anoressia. Fabrizio Frizzi, che ha condotto la kermesse, ha parlato di
una «scelta severa», evidenziando che «Miss Italia ha sempre avuto classe,
eleganza e dignità». Nell’epoca delle “olgettine”, la ex miss Tania Zamparo
fa una riflessione forse non peregrina: «Per chi vuole entrare nel mondo dello
spettacolo è la maniera più schietta e pulita». Tra l’altro, pur in calo di ascolti,
Miss Italia ha sempre avuto milioni di telespettatori, mentre crediamo che il
voyerismo televisivo trovi soddisfazione in altri programmi. Nella stagione
dei “tagli orizzontali”, la “content review” della Rai penalizza un prodotto
popolare, da svecchiare certo, ma tutto sommato gradevole.
RADIO EMILIA 5.9
La rinascita dopo il terremoto
Si chiama “Radio Emilia 5.9”, dal valore
della magnitudo del terremoto che circa
un anno fa, a maggio, ha sconvolto l’Emilia Romagna. Una web radio nata per
iniziativa di quattro giovani dai 16 ai 22
anni del Comune di Cavezzo, in provincia
di Modena, fra i più colpiti dal sisma, che
hanno deciso di dare un contributo concreto alla rinascita del proprio territorio.
Si tratta di un mezzo «per comunicare,
interagire, rappresentare, ascoltare, motivare e coinvolgere giovani e non giovani, che vogliano sentirsi uniti e dire la
loro sulla nostra vita in Emilia», dicono i
promotori sul sito http://www.radio5punto9.it che fa da piattaforma all’emittente.
Dagli esordi, che hanno visto Eugenio,
Matteo, Luca e Doina trasmettere da una
casetta di legno al confine con il comune
di Medolla, anch’esso distrutto dal sisma,
sono passati solo sei mesi, eppure cresce
il numero dei ragazzi coinvolti nel progetto e insieme la tipologia dei programmi
offerti: in questi mesi i giovani di Radio
Emilia 5.9 hanno raccontato la realtà
di chi ha dormito in tenda o ha perso la
casa, il lavoro e gli affetti più cari, e attraversando il territorio emiliano hanno
cercato e mostrato i segnali di rinascita.
PUBBLICITÀ
Il marketing virale premia
le campagne sociali
Il progetto Creative for good del World
economic forum ha eletto la campagna
italiana per la donazione di organi e tessuti “Tu puoi dare la vita”, di Pubblicità
progresso, tra le migliori del mondo. Realizzata in collaborazione con Aido, Fondazione italiana ricerca in epatologia e
Centro nazionale trapianti, la campagna
mira a sensibilizzare la popolazione e ad
accrescere il numero dei donatori, puntando su Internet e social media. Oltre al
sito http://www.doniamo.org/ e alla possibilità di condividerne i contenuti sui social network sono disponibili applicazioni
per tablet e smartphone.
62
Città Nuova - n. 12 - 2013
FESTIVAL DEL CINEMA
di Ennio De Robertis
A r t e e s p e t t a c olo
Arte e spettacolo
F. Mori/LaPresse
La conclusione
della cerimonia di
premiazione, presieduta
da Steven Spielberg, del
66° Festival di Cannes.
Cannes,
giochi prevedibili
I premi, con una giuria composta da francesi
e americani, spartiti tra Francia e Usa.
Il cinema italiano a bocca asciutta
P
ronostici rispettati e
facilmente prevedibili nell’assegnazione dei Palmarès, con
i premi principali
spartiti tra Francia e Usa e
un occhio ai mercati asiatici, che in tempi di crisi sono quelli che meglio di tutti
stanno rispondendo a tentativi di ripresa. Dunque, Palma d’oro a La vita di Adèle
del franco-tunisino Abdelatif Kechicne, comprensiva delle due protagoniste,
ed escamotage per una più
larga disponibilità di allori
per la categoria. Riconoscimenti per gli attori che
sono andati all’americano
Bruce Dern, protagonista di
Nebraska, diretto da Alexander Payne, e a Berenjce
Bejo, interprete de Il passato, dell’iraniano Asghar
Farhadi.
Il Gran Premio della
Giuria è toccato a Inside
Llewyn Davis, di Ethan e
Joel Coen, forse il più bel
film visto in questa tornata per il suo mix di ironia,
poesia, visione profetica
della vita e senso biblico
che caratterizza il cinema
dei due fratelli.
Il messicano Amat
Escalante ha vinto il Premio della regia con Heli,
realistico ritratto del malessere e del degrado del
sottosviluppo che sconvolgono la vita di tanti giovani, derubandoli
dell’innocenza, mentre il
Premio della giuria è stato
assegnato al giapponese
Tale padre tale figlio di
Kore-eda Hirokazu e quello per la miglior sceneggiatura al cinese Un cenno
di peccato di Jia Zhangke.
Due storie di denuncia:
l’una sulle tradizioni di
classe che finiscono per
condizionare l’individuo
e l’altra sulla disordinata
crescita industriale che, in
nome del profitto, in Cina
ha travolto ogni residuo di
umanità.
Nel complesso un cinema specchio della contemporaneità – se si volesse
cercare un comune denominatore – e della delicata
fase di passaggio attraversata da un’epoca zeppa di
contraddizioni e anomalie,
dove il persistente contrasto fra individuo e comunità sembra aver accresciuto
una diffusa banalità del
male nel vivere sociale.
Uno stato di incertezza, di
ansia e di tormento al quale il cinema italiano è momentaneamente estraneo,
incapace di fornire risposte. Non necessariamente
rassicuranti. Tanto è vero
che, quando raramente lo
fa, ne raccoglie i frutti.
Come hanno dimostrato
Miele di Valeria Golino
(Menzione speciale della
Giuria Ecumenica) e Salvo di Piazza e Grassadonia
(Primo premio alla Settimana della critica).
Città Nuova - n. 12 - 2013
63
Arte e spettacolo
TELEVISIONE
di Paolo Balduzzi
I dieci comandamenti
Vedere come un parte
della bellissima Campania
stia lentamente morendo
per colpa di inquinamento e criminalità è una fitta
al cuore. Collegare il sesto
comandamento «non com-
mettere atti impuri» e declinarlo a storie di vita che
parlano di riscatto sociale e
di purezza del cuore, è un
altro colpo che fa riflettere.
La stessa cosa succede andando a conoscere in Ca-
labria tutte quelle persone
che “santificano le feste”,
aiutando gli immigrati
di Rosarno a lottare ogni
giorno per una vita più dignitosa. Poi ci sono tutti gli
altri racconti che mettono
in relazione i comandamenti con la realtà sociale
del nostro Paese oggi.
Il nuovo programma di
Domenico Iannacone si
intitola proprio così, I dieci
comandamenti, e va in onda su Raitre ogni lunedì in
tarda serata. Ogni storia ha
una naturale declinazione
verso uno dei comandamenti, ed è raccontata attraverso un’inchiesta “morale”
che si pone a metà fra il
giornalismo e il linguaggio
cinematografico. Si raccolgono emozioni e ragioni,
ma la presenza del giornalista è discreta, la sua partecipazione autentica alle
storie si evince dall’approccio rispettoso, dal mescolarsi in prima persona agli
eventi che racconta, sporcandosi le mani per chi ha
più bisogno. Le storie sono
girate in presa diretta senza
un taglio precostituito, con
uno stile che non vuole denunciare ma coinvolgere.
Il risultato è un racconto
serio ed emozionante, che
mostra le sofferenze di una
città e le risorse, a volte insospettabili, per una sua rinascita; comunicando l’idea
che i comandamenti hanno
ancora un senso per la nostra società se l’agire fa riferimento al bene dell’altro
e al bene comune.
TEATRO
CINEMA
di Giuseppe Distefano
Holy motors
Difficile, complesso, ambizioso: l’ultima fatica
di Leos Carax è uno di quei film capaci di
suscitare grandi entusiasmi e critiche feroci.
Riduttivo anche definirlo semplicemente
una metafora sul cinema, che sarebbe poi
quella incarnata da Monsieur Oscar che nella sua limousine girovaga per una Parigi
surreale, interpretando di volta in volta personaggi diversi e diverse vite: mendicante,
assassino, padre di famiglia, moribondo e altri ancora. A spingerlo è, parole sue,
«la bellezza del gesto», che forse rimane la chiave di lettura più appropriata per
avvicinarsi a un film in grado comunque di regalarci momenti di grande cinema.
Regia di Leos Carax; con Denis Lavant, Edith Scob, Eva Mendes, Kylie Minogue, Michel
Piccoli, Jean-François Balmer, Elise Lhomeau.
Cristiano Casagni
Esterno sera
Può sembrare troppo duro questo film su una
ragazza ribelle, che fa quello che vuole, frequenta
giovani della mala nelle discoteche, corre
di notte gridando, nelle strade contro senso,
per alimentare le scommesse sulla sua sopravvivenza. Non brutta, ma dallo
sguardo duro, feroce a volte, senza atti di altruismo, invaghita di un cugino
che capita in casa. E uscendo dal cinema si è propensi a pensare che si tratta
di un’esagerazione pessimistica. Ma le serie di atroci delitti, annunciati da tg e
compiuti da giovani di quell’età, ci fanno pensare che il film non è lontano dal
vero e ha il pregio di denunciare una realtà da non dimenticare.
Regia di Barbara Rossi Prudente; con Valentina Vacca, Emilio Vacca.
Raffaele Demaria
Tutti pazzi per Rose
La Francia sa essere spesso brillante e intelligente.
La commediola della ragazza di Normandia,
velocissima dattilografa notata dall’ambizioso Louis
e vincitrice di gare mondiali, in altre mani sarebbe
stata poca cosa. In quelle invece di Régis Roinsard
diventa un divertissement ben scritto, ottimamente recitato e condito con quel senso
di favola bella – lui alla fine trova ben altre doti nella ragazza – che la rende piacevole,
stuzzicante e ricca di finesse molto francese, ma che va bene per tutti. Della serie,
quando l’amore si nasconde sotto le apparenze meno attraenti in superficie, ma a ben
vedere molto seducenti. Per chi ama un divertimento leggero e scintillante.
Regia di Régis Roinsard; con Romain Duris, Déborah Francois.
Giovanni Salandra
VALUTAZIONE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE FILM
Holy Motors: complesso, problematico (prev.).
Esterno sera: complesso, problematico (prev.).
Tutti pazzi per Rose: consigliabile, brillante.
Il ratto d’Europa
L’Europa unita agita il sonno di
nove attori. Che, fra sbadigli iniziali
e zapping televisivo ossessivo,
si ritrovano a una “chiamata alle
armi” per salvarla dall’estinzione,
messa in pericolo da banche, spread,
indignados. I nostri eroi forzati devono
fare squadra e superare nove prove.
Una sorta di Giochi senza frontiere
per ricostruire un’identità europea,
dove ogni gara ha un tema: lingue,
strade, bandi Ue, guerre, popoli. Tappe
che ripercorrono le radici del Vecchio
Continente fino ai giorni nostri. S’inizia
dal rapimento della principessa
asiatica Europa da parte di Zeus e
condotta in Occidente, passando per la
colonizzazione romana, le invasioni, il
Grand Tour, gli Erasmus, la burocrazia,
i conflitti per difendere confini o
interessi, per finire con una partita di
rugby fra la nuova squadra europea e
i giocatori del Modena. Tutto questo
in teatro col coinvolgimento, in
vari momenti, del pubblico. Artefici
di questo grandioso e intelligente
progetto intitolato Il ratto d’Europa,
sono stati il regista Claudio Longhi e
l’Emilia Romagna Teatro. Attraverso
molti laboratori hanno coinvolto, per
mesi, scuole e realtà cittadine nella
stesura drammaturgica e, con diverse
modalità, all’interno dello spettacolo.
Con un cast di attori bravissimi a
tenere le fila del gioco collettivo,
l’ironico e fantasioso varietà, con al
centro un enorme topo, “rattizzerà”
la capitale il prossimo anno grazie al
Teatro di Roma coproduttore.
Al Teatro Storchi di Modena.
Arte e spettacolo
MUSICA LEGGERA
di Franz Coriasco
30 seconds to Mars:
ambiziosi o presuntuosi?
L’amore e la concupiscenza, ma anche i sogni
e il misticismo. Questo
e molto altro schizza dai
solchi di uno degli album
più trendy e attesi di questa stagione.
Il trio californiano mastica rock dal 1998, ma
con questo Love, Lust,
Faith and Dreams, fresco
di stampa per la Virgin, è
appena al quarto album.
Una band di culto che ha
saputo conquistarsi negli
anni un seguito sempre
più consistente, miscelando diversi ingredienti tipici di quest’ambito,
dall’hard al progressive,
dall’emo-pop al grunge,
dallo space all’art-rock; in
altre parole il gruppo dei
fratelli Leto è una sorta
di Bignami del rock più
robusto ed energetico, legato ai maestri storici del
settore (dai Led Zeppelin
ai Pink Floyd, dai Cure ai
Nirvana e ai Queen), ma
anche
sufficientemente
emancipato per accreditarsi tra gli interpreti più
credibili del panorama attuale. Il leader Jared Leto
– attore hollywoodiano
di una certa fama – è un
vegetariano convinto e si
è impegnato più volte in
battaglie sociali ed umanitarie, ma ha sempre tenuto
a rendere collettivo il successo della band. Una fama che è andata crescendo
66
Città Nuova - n. 12 - 2013
dal 2002 (anno del debutto
discografico), conquistandosi anche i favori della
critica coi successivi A
beautiful lie e This is War
il cui tour promozionale è
entrato nel Guinness come
il più lungo della storia.
Ora, prodotto dal celeberrimo Steve Lilliwhite, arriva questo sontuoso quarto lavoro, preceduto dal
singolo Up in the air finito
letteralmente in orbita sul
vettore Falcon della Nasa.
Un disco sfarzoso ai limiti
della pomposità in qualche
episodio, carico di energia
pulsante e di slanci sperimentali. Un progetto fin
troppo ambizioso per al-
cuni, semplicemente grandioso per altri, dove s’alternano possenti ballatone
rockettare ed eteree atmosfere elettroniche, squarci
melodici, ipnosi ritmiche
ed echi classicheggianti.
Contenutisticamente invece Love, Lust, Faith and
Dreams è a tutti gli effetti
un concept-album in quattro sezioni, complesso,
provocatorio a tratti, e ricco di sfaccettature, dove le
sempiterne dialettiche tra
carnalità e spiritualità, tra
realtà e sogno, s’incarnano in una dozzina di brani
di grande enfasi e suggestione.
CD e DVD novità
MASSIMO
GIORDANO,
AMORE E
TORMENTO
Italian Arias.
14 brani da
Puccini, Cilea, Giordano, Ponchielli e Verdi
per il grande tenore napoletano. Romanze
come “E lucean le stelle”, “Amor ti
vieta”, “Cielo e mar”… e altre meno note
(“Dolce notte misteriosa” di Giordano)
risuonano in una voce dallo smalto virile,
tecnica forte, rispetto per lo spartito,
dolcezza e passione. Ensemble Maggio
Musicale Fiorentino, dir. Carlo Goldstein.
BMG. (m.d.b.)
ZAZ
“Recto Verso” (Rca)
La giovane Zaz, tra le firme
emergenti della nuove
canzone d’autore transalpina,
fa incontrare con sapienza,
buon gusto ed ironia il
fantasma di Edith Piaf con
certe estroversioni stradaiole
à la Manu Chao: 14 tracce
intriganti e pervase da una
solarità pop fatta apposta per
irrobustirne la fama. (f.c.)
EDO AVI
“Come un fiume”
(Autoproduzione)
Un mini album (solo 4 brani),
ma degno di nota perché
questo cantautore bolzanino è
dotato di originalità timbrica e
buona personalità di scrittura.
Non è più giovanissimo, ma
l’ex leader dei Chains dimostra
di legittimare l’investimento
con una gradevole ipotesi di
pop-rock d’autore. (f.c.)
MUSICA CLASSICA
APPUNTAMENTI
di Mario Dal Bello
a cura della Redazione
Rienzi, tribuno di Roma
Libretto e musica di R. Wagner.
Roma, Teatro dell’Opera.
I cinque atti con ballabili e pantomina della “grande opera tragica”,
presentano situazioni classiche del
Grand-Opéra: scene di massa, amori
contrastati, furori libertari, nostalgia
per l’antica Roma, tensioni fra Orsini
e Colonna.
L’ouverture è grandiosa, scintillante, marziale. Wagner ama un’orchestra
spessa, fluttuante, con le dissonanze che “frenano” la cantabilità melodica
di stampo donizettiano. Vi aggiunge cori a cappella, inni guerrieri e la stupenda preghiera dell’inizio atto quinto, resa poetica dal glissando morbido
degli archi.
Cola muore mentre Roma è incendiata. Hugo de Ana, che ha curato
l’allestimento, si inventa un kolossal storico, con proiezioni di immagini –
fiamme o altre volte eserciti in bianco e nero –, testi in latino o in italiano,
statue neobarocche, la folla in costumi para-antichi di uomini con fucili e
con spade.
Il secondo cast, pur non sempre all’altezza vocale, era attorialmente
valido. La direzione accurata di Stefan Soltesz ha ottenuto sonorità molto
belle da un’orchestra con una sua precisa personalità. Il giovane Wagner
ha potuto offrire i suoi spunti per l’avvenire.
IL GRANDE E POTENTE OZ
Di Sam Raimi. Con James
Franco, Mila Kunis. C’è un
mago da strapazzo che incanta
ragazze ingenue. Un tornado
lo porta nella terra di Oz dove
lo scambiano per l’atteso
salvatore dalla strega. Extra
con diversi speciali. In italiano
e inglese. Disney. (m.d.b.)
LA PISCINA
Di Jacques Deray. Con Alain
Delon, Romy Schneider.
Trhiller inquietante e “storico”
anni Sessanta con un coppia
glamour e anche “nera”. Lui,
scrittore fallito, lei giornalista.
Amore e morte ai bordi di una
piscina. Un noir classico. In
italiano e francese. 01 (m.d.b.)
CLOUD GATE DANCE
THEATRE OF TAIWAN
“Cloud Gate” è la più antica
danza rituale conosciuta in
Cina, da cui prende il nome la
compagnia di danza moderna
del coreografo Lin Hwai-min. È
un pellegrinaggio mentale senza
inizio e senza fine. DVD Art Haus
Musik. (g.d.)
sedimentano in una
condizione di perpetuo
movimento. “In un altro
aprile”, Roma, Villa
Medici dal 26/6 all’1/9.
FRANCO MULAS
Con un titolo che
rimanda al senso delle
parole “paesaggio”
e “spaesamento”,
i 45 oli su tavola
testimoniano lo
sguardo sul mondo
e la pratica artistica
di un “modernissimo
pittore all’antica”.
“S-paesaggi. Opere
dal 1980 al 2013”,
Roma, Museo Bilotti,
fino all’8/9.
ÉCOLE DE PARIS
La collaborazione tra
la Fondation Pierre
Gianadda e il Centre
Pompidou di Parigi per
una rassegna costruita
attorno all’École de
Paris e a Modigliani,
con capolavori
dell’avanguardia
di quegli anni.
“Modigliani e l’École
de Paris”, Martigny
(Svizzera), fino al 24/11.
VICTOR MAN
Terza tappa sul tema
dell’Accademia, la
mostra esplora la storia
della pittura e della
rappresentazione come
il luogo in cui memoria,
finzione e amnesia si
GLASSTRESS
Gli artisti si
confrontano con
la luce e il calore,
presenti nella
lavorazione del vetro.
Oltre 200 raccontano
quest’arte in opera
di rara originalità.
“Glasstress. White
Light”. Venezia, la
Biennale. Fino al 24/11.
FANTAFESTIVAL
La 33° edizione del
film di fantascienza
e del fantastico vede
anteprime e sezioni
competitive. Ingresso
gratuito. Roma,
Cinema Barberini, Sala
Trevi. Fino al 21/9.
NAPOLEONE
IN RESTAURO
La statua in bronzo di
Napoleone come Marte
pacificatore, opera del
Canova nel cortile di
Brera dal 1859, viene
restaurata in dodici
mesi direttamente
sul posto, visibile ai
visitatori tramite una
struttura trasparente.
Milano, Pinacoteca di
Brera.
C u l t Cuurlat u er a t ee nt ede
nze
ndenze
FILOSOFIA
a cura di Fabio Dipalma
D
ue volte all’anno,
promosse dall’istituto universitario
Sophia nel contesto della Cittadella
di Loppiano, si svolgono
le cosiddette “Cattedre di
Sophia”: appuntamenti con
figure eminenti nel panorama culturale del nostro
tempo. Occasioni preziose
per esercitarsi in un ascolto
reciproco nel quale, senza
voler convincere di alcunché, sia possibile incontrare
l’altro in uno spazio scavato
insieme ponendosi le stesse domande, anche quando
diverse sono le risposte che
a quelle domande vengono
date. In questo modo nascono e prendono forma quei
“luoghi della fiducia” così
necessari ai nostri tempi.
La prima cattedra del
2013 ha visto la presenza
di un filosofo tra i maggiori del Novecento, Emanuele Severino. Classe 1929,
dopo vari anni di insegnamento all’università Cattolica di Milano, nel 1970
si compie la “separazione
consensuale” da quell’ateneo. Spostatosi all’università di Venezia, dove rimane per 35 anni, dal 2005
insegna all’università San
Raffaele di Milano. Il tratto signorile e la limpida e
misurata affabilità sono le
caratteristiche che più colpiscono nell’incontrarlo. Il
suo intervento a Loppiano
ha per titolo “Sul senso
della verità”.
Professor Severino, cos’è
la verità?
«Nella Seconda lettera ai Corinzi, Paolo dice
68
Città Nuova - n. 12 - 2013
Tutto
è eterno
La verità, il nichilismo, la nostra
destinazione, la gloria. Incontro
con il filosofo Emanuele Severino,
a Loppiano per le cattedre di Sophia
che ora vediamo come in
uno specchio, ma nella
visione beatifica vedremo
Dio faccia a faccia. E lì
non ci potrà essere più il
dubbio. Allora il “faccia
a faccia” allude a quella
situazione che la filosofia greca ha evocato per
prima, affermando che la
verità è il sapere che non
può essere smentito né da
uomini né da dei. È una
situazione nella quale
l’inganno è escluso radicalmente. Un sapere incontrovertibile».
minati, vengono al mondo
per salvare ciò che è considerato caduco: sono una
conseguenza dell’essenza
del nichilismo. Perché se
l’uomo è caduco, allora è
necessario che qualcuno lo
salvi dal nulla».
Uno dei suoi testi più conosciuti, scritto ormai 40
anni fa, tratta “dell’essenza del nichilismo”.
«È qualcosa di radicalmente diverso da ciò che
con la parola “nichilismo”
si è inteso lungo la storia
del pensiero filosofico,
e che riguarda gli ultimi
due secoli. L’essenza del
nichilismo, all’interno del
mio discorso filosofico,
consiste in ciò che noi riteniamo più evidente in
assoluto, e cioè il fatto che
le cose escono dal nulla e
Il filosofo Severino
(a destra nella foto)
dialoga con Piero Coda,
preside dell’istituto
universitario Sophia
di Loppiano.
vanno nel nulla. Essenza
del nichilismo, nel senso
radicale al quale si riferiscono i miei scritti, è pensare che l’oscillazione tra
l’essere e il nulla sia reale.
Ma sulla base della fede
(perché di fede si tratta)
nel divenire delle cose, il
tramonto della tradizione
occidentale è inevitabile.
Invece tutto è eterno».
Lei sostiene che “il destino è il farsi innanzi
dell’eterno”. È un annuncio salvifico?
«Se per salvezza si intende il manifestarsi concreto
del destino, allora sì: il destino è l’apparire della verità che tutto è eterno. I salvatori, invece, sono venuti al
mondo perché si è pensato
che l’uomo fosse effimero, non eterno. I salvatori,
anche i più sublimi e illu-
Dopo decenni di pratica filosofica, cosa le sembra di
aver imparato sulla vita?
«In greco il termine “vita” è bios, mentre “violenza” si dice bia. Già la lingua
greca intuisce la vicinanza
tra vita e violenza. Vivere
è volere, e la volontà vuole
fare “diventar-altro” le cose.
Il cristianesimo, in qualche modo, presagisce questo carattere malato del
vivere. Perché, dopo il peccato originale, tutto il vivere è malattia e la natura
stessa è malata: il peccato
corrompe non solo l’uomo,
ma anche la natura.
Tuttavia, il termine
“peccato”, in greco, vuol
dire anche “errore”. E il
peccato dei peccati è questo errore: pensare che le
cose vengano dal nulla e
vadano verso il nulla.
Dalla mia esperienza filosofica credo di aver capito, già da tempo e non solo
negli ultimi anni, il carattere malato del nostro agire, che vuole imporre alle
cose un divenire che non
possiedono, per cui c’è violenza anche nei gesti più
apparentemente innocenti. Ma se è vero che siamo
gettati in questa violenza,
siamo anche destinati ad
uscirne. E ad entrare nella
nostra destinazione eterna,
che è la “gloria”».
Città Nuova - n. 12 - 2013
69
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FESTEGGIAMENTI
Cultura e tendenze
Domenico Salmaso
di Michele Genisio
Il turismo resta mezzo
di conoscenza di Paesi
e culture, di reciproca
comprensione tra i popoli
e le religioni.
L’
Italia è Paese di
monumenti. Ed un
monumento, in un
certo senso, lo sono anche loro: le
mitiche Guide Rosse del
Touring Club Italiano, che
con inossidabile rigorosità
dal 1914 descrivono itinerari, piante di città, planimetrie, danno informazioni
accurate di carattere artistico e culturale su ogni
angolo del nostro Paese, su
ogni sua piazza e, appunto,
su ogni monumento. Sono
state definite dal ministero
dei Beni culturali uno dei
patrimoni più preziosi del
nostro Paese, e il più completo inventario dei nostri
tesori artistici.
In un momento di grande crisi economica, guardare alla vastità del nostro
patrimonio artistico, ma
anche musicale e letterario,
sta diventando oltre che un
dovere, quasi una necessità: in esso possiamo trovare risorse incredibili, che,
se ben valorizzate, possono
contribuire a rilanciare la
nostra Italia, che nei segni
del passato contiene i germi che potrebbero farne
rifiorire il futuro.
E una mano a quest’opera di riscoperta la possono
dare proprio loro, le Guide
Rosse, nate cent’anni fa da
autentici pionieri del turismo che avevano capito
l’importanza per l’Italia di
Guide Rosse Touring
Da 100 anni in pista per la riscoperta
e la valorizzazione del nostro
patrimonio naturale e artistico
avere sue guide, come ormai ce l’avevano tanti Paesi
in Europa. Erano pionieri
armati di entusiasmo e dedizione, del gruppo di quei
57 ciclisti che, alcuni anni
prima, nel 1894, avevano
fondato a Milano il Touring
Club. Volevano diffondere
la bicicletta come mezzo
popolare per fare turismo,
così che, muovendosi sulle
due ruote, si poteva conoscere e godere della nostra
penisola, sia delle sue bellezze fatte da Dio, sia di
quelle opera dell’ingegno e
della creatività di tanti uomini e donne.
Questi pionieri fondarono il Touring come associazione senza scopo di
lucro, né affiliazioni politiche o religiose. Un’associazione laica, come laica è la
tutela del patrimonio culturale e artistico, anche se
gran parte di esso è affida-
to – tanti dicono fortunatamente – a religiosi. Un’associazione, il Touring, che
ha sempre inteso il turismo
«quale mezzo di conoscenza di Paesi e culture, di
reciproca comprensione e
rispetto fra i popoli».
Con
la
comparsa
dell’automobile l’associazione ha poi allargato i
suoi scopi: iniziative sulla
viabilità, sulla valorizzazione dell’ambiente urbano
e naturale, progetti di rimboschimento, attività culturali volte al benessere del
Paese. Un piccolo seme,
il Touring e le sue Guide
Rosse, che ha portato tanti
frutti. Che è diventato un
monumento centenario.
Città Nuova - n. 12 - 2013
71
Cultura e tendenze
RAPPORTI TRA COLLEGHI
di Emanuela Megli
L
e organizzazioni sono
fatte di persone e non
sono, pertanto, strutture solo razionali.
Esse sono guidate
tacitamente dalle relazioni
interpersonali che coinvolgono sentimenti ed emozioni. Ma molte aziende
non sono ancora abituate
a questo. Per essere sane,
infatti, le organizzazioni
dovrebbero conoscere e
gestire i potenziali elementi intangibili inquinanti, come ad esempio
l’invidia, che è presente
talvolta in modo latente e
non riconosciuto in alcuni
gruppi di lavoro.
Alla base di questa
emozione, c’è un senso di
inferiorità reale o percepita nei confronti dell’altro. Talvolta si manifesta
quando si osservano colleghi con capacità o successi
professionali che a noi
mancano, e che però desideriamo. L’invidia causa il
desiderio che queste qualità vengano a mancare
anche negli altri. Lo stato
d’animo di invidia comporta anche la percezione
di situazioni di ingiustizia
o di irregolarità immaginarie e non verificabili nella
realtà. È un’emozione di
sofferenza e desiderio di
danneggiamento altrui,
che sazia nella persona invidiosa il suo complesso di
inferiorità.
Talvolta, chi è vittima
dell’invidia degli altri si
difende con atteggiamenti
di chiusura e isolamento,
fino ad evitare addirittura
di ricercare il successo
72
Città Nuova - n. 12 - 2013
L’invidia nel lavoro
Una buona gestione può ridurre
le conseguenze negative
di questo sentimento
professionale per non suscitare invidia. Una situazione che può portare,
a lungo andare, a repressione dell’autenticità e rinuncia alla realizzazione
personale. Questa emozione, dunque, può essere
estremamente pericolosa
per le organizzazioni, non
solo perché mina i rapporti, ma anche perché ri-
duce il potenziale umano
di crescita e di contributo
alla produttività.
L’invidia, comunque,
è un sentimento normalmente presente nelle persone, a volte in modo inconscio, che diventa dannosa se patologica. Essa
può causare rallentamenti
lavorativi, calunnie, contrasti alle regole, fino a veri
e propri sabotaggi. Alcune
situazioni, comportamenti
Giuseppe Distefano
e luoghi possono favorirla
o limitarla. Ad esempio,
in spazi piccoli e angusti,
dove tutto accade sotto gli
occhi e le orecchie di tutti,
ogni minima sfumatura
può accentuare questo stato
d’animo, a differenza degli
spazi più ampi che lasciano
sfogo al dialogo in privato.
Le organizzazioni fondate
su una forte competitività
ne sono particolarmente
soggette, così come i gruppi
in cui si tende a privilegiare
il lavoro e il successo dei
singoli a discapito di quello
del gruppo.
Lo stato d’animo
di invidia comporta
la percezione
di situazioni
di ingiustizia
o di irregolarità
immaginarie
e non verificabili
nella realtà.
L’invidia può essere
di singoli – dovuta anche
ad esperienze personali
pregresse, familiari o relazionali –, o di gruppo. Può
essere prevenuta e arginata
da un buon management,
competente nella gestione
delle risorse umane e capace di adottare misure
orientate alla promozione
della cultura del gruppo
di lavoro, in grado di stimolare la comunicazione
interna, sostenendo percorsi di recupero e incentivazione dell’autostima.
Una direzione adeguata è
quella che si orienta alla
scelta di sistemi di premialità di gruppo, alla
strutturazione di percorsi
di carriera basati sul riconoscimento del valore del
gruppo a discapito delle
individualità, mettendo
però in luce la specificità
di ciascuno all’interno dei
gruppi di lavoro.
A livello inconscio,
talvolta, alcuni manager
utilizzano questa emozione negativa quale leva
di motivazione orientata
all’aumento della produttività, ignorando i danni
che essa può provocare
a livello di sistema organizzativo complessivo.
In ogni sistema, infatti,
bisogna ricordare che la
risorsa principale è costituita dalle persone e dai
gruppi di persone. Solo
conoscendo e tutelando
una cultura del lavoro basata su relazioni efficaci
si garantisce crescita e benessere organizzativo per
tutta l’azienda.
Città Nuova - n. 12 - 2013
73
Cultura e tendenze
IL PIACERE DI LEGGERE
a cura di Gianni Abba
Uno strano suicidio
FABRIZIO BENEDETTI
Il caso di G. L.
Carocci
euro 13,00
«La scienza non fa
altro che misurare. L’umanesimo si basa invece
sulle attività, le creazioni, la storia e il pensiero
dell’uomo». Due mondi
apparentemente lontani,
che a volte si disprezzano,
a volte si aiutano a vicenda. Benedetti è famoso sia
come neuro-scienziato che
come divulgatore, per la
chiarezza e incisività dei
suoi scritti.
In questo testo ci sorprende: racconta infatti il
progressivo e devastante
disagio di un ventenne, che
arriverà al suicidio, mettendo insieme le sue lettere
(coinvolgenti e disperate)
con l’analisi neurofisiologica («cruda e veritiera») del
suo stato mentale. La chiama “medicina narrativa”. Il
lettore tocca con mano da
74
Città Nuova - n. 12 - 2013
una parte l’odierna potenza
di intervento della scienza
sul cervello, con tecniche e
farmaci, e al contempo, almeno in questo caso, la sua
completa inutilità, perché
solo l’ascolto del paziente
permette (forse) una reale
comprensione.
Nelle lettere, G. L. racconta il suo angosciante
senso di impotenza nei
confronti della vita e del
male, i suoi colloqui con
credenti e non credenti alla
ricerca ossessiva della risposta se tutto è solo materia o c’è qualcos’altro dopo
la morte. Per ogni lettera,
Benedetti fa il punto sulle
conoscenze scientifiche attuali: l’enigma del suicidio,
le emozioni, l’altruismo e
la depressione, l’ansia, l’interazione mente/cervello,
la psicofarmacologia (che
«fa uso dell’iniezione di
un farmaco») e la psicoterapia (che «fa uso dell’“iniezione” di parole»). Fino
al punto in cui «la scienza
si ferma», davanti ad «un
ostacolo per ora, e forse per
sempre, insormontabile».
Un libro duro, lucido,
che può essere letto come
un elogio della scienza,
eppure si chiude con queste parole: «La ricerca ossessiva che traspare dalle
sue lettere ci fa affrontare
con inusuale realismo il
mistero divino, la fragilità
dell’esistenza dell’uomo,
la tragicità del male e della sofferenza».
Giulio Meazzini
ALESSANDRO CECCONATO
La bella di matematica
Santi Quaranta
euro 13,00
Come sono, che pensano, come si divertono,
e come si preparano alla
vita, i giovanissimi nella provincia del profondo
Nord? Lo spiega uno scrittore trevigiano in erba, il
diciannovenne (!) Alessandro Cecconato, nel diarioromanzo-documento che è
diventato un caso letterario.
Treviso, la sua quotidianità, le atmosfere, la sua
gente, nordica e italianissima, sono descritte con brio
e ironia, con un realismo
mai disgiunto dall’affetto e
dalla tenerezza. Domina la
vita scolastica, cioè la realtà autobiografica dell’autore, e la bella del titolo
(l’aggettivo è ironico) è la
sua “prof” di matematica,
una maschera grottesca da
commedia dell’arte, ma
con dei dolorosi misteri che
ne fanno un personaggio
patetico, dolente, perfino
tragico. La vera scoperta,
però, per il lettore, è il ritratto di una gioventù attuale disinibita, cinica, ma migliore di quanto ciancino i
media, profondamente sana
e uguale a quella di sempre.
La scuola appare ancora
al centro dei loro interessi: con tutti i suoi difetti,
malgrado tutto formativa.
Complimenti a Cecconato, una vocazione sicura, a
parte le inevitabili acerbità
e ingenuità, e una promessa
in parte già mantenuta.
Mario Spinelli
EZIO ACETI
Ma cos’hai nella testa?
Effatà
euro 12,00
Cosa succede nei nostri
figli, tra i 10 e i 18 anni?
Un’esplosione di vita che
si manifesta nelle tre sfere del corpo: l’altezza, il
peso e la dimensione ses-
suale. In una società in
cui è l’emozione che ci
governa, come trasmettere alle nuove generazioni
quei tesori che riteniamo
utili affinché i nostri ragazzi possano crescere
come persone libere? È
il tema che affronta Ezio
Aceti, psicoterapeuta, in
questo libro. La conquista della libertà per essere
padroni di sé stessi non
richiede tante risposte,
quanto l’ascolto dei nostri
adolescenti per poter, poi,
ragionare con intelligenza
e decidere ciò che è bene per sé e per gli altri. A
corredo del libro un dvd
di 83 minuti, con approfondimenti al testo, che è
strumento utile per facilitare la comunicazione fra
adulti e ragazzi.
Aurelio Molè
IN LIBRERIA
RAFFAELE ALTERIO
La pienezza della gioia
Città Nuova
euro 10,00
Semplicemente incantevole la storia di questo
prete non vedente che ad
un certo momento ha “scoperto” Dio come Amore; lo
ha scelto al di là di tutto, e
come risposta a tale amore ha incentrato la sua vita
di cristiano sul servizio al
prossimo, sul “comandamento nuovo” di Gesù fino
a sperimentare lui presente
in mezzo a “due o più”, a
cominciare dai suoi stessi
confratelli. Ecco la ragione
del suo incedere gioioso, sicuro, sia nella vita personale che nel ministero. Lungo
sarebbe seguire don Raff,
come viene chiamato, nelle
situazioni, spesso gustose
(si vedano le gaffe dovute
alla sua mancanza di vista),
di cui mette a parte il lettore. Ma non si può tacere
di una caratteristica, che
ha radice nelle sue origini napoletane: la profonda
umanità che contrassegna
l’incontro con uomini e
donne d’ogni tipo, parroc-
chiani non praticanti, atei,
donne sposate sul punto di
separarsi, ragazze toccate
da disvalori di cui il nostro
tempo è prodigo, ma anche
interlocutori
occasionali
tipo il postino, un tassista,
un meccanico. Incontri non
senza un esito positivo o
un seguito. Qui l’Autore si
esercita in quel “farsi tutto a tutto” di cui parla san
Paolo, fino all’apice toccato
nel rapporto con una bimba
di sei anni, al cui livello di
semplicità e innocenza egli
perviene, tanto da strappare
alla piccola, che lo guarda
con incanto: «Ma tu sei un
bambino!». Non a caso uno
dei più suggestivi capitoli è
quello riguardante i bambini, «il mio più bel giardino», come lo stesso don
Raff lo definisce.
Oreste Paliotti
a cura di Oreste Paliotti
GUIDE
Stefano Di Pea, “Cento
monasteri d’Italia”,
San Paolo, euro 9,90 Dalla Valle d’Aosta alla
Sicilia, le informazioni
e tutto quello che
serve per una vacanza
alternativa o un
soggiorno di relax
fisico e spirituale.
BIOGRAFIE
Stefan Zweig, “Balzac.
Il romanzo della sua
vita”, Castelvecchi,
euro 22,00 - La vita
romanzesca del
padre del realismo
francese nel racconto
commovente, tragico
e talvolta comico del
grande Zweig.
STORIA
D. Bellomo/E.
Cappelletti, “Il tesoro
degli abissi”, Longanesi,
euro 18,00 - La vicenda
non ancora conclusa
del piroscafo Ancona
affondato dai tedeschi
nel 1915 con dodici
casse di sterline d’oro e
ritrovato nel 1985.
SPIRITUALITÀ
Anna Maria Giorgi,
“Clive S. Lewis
maestro dello spirito”,
EMP, euro 14,00
L’autore delle Cronache
di Narnia è stato un
cristiano convinto, un
uomo di preghiera e un
profondo conoscitore
della natura umana.
NATURA
S. Mancuso/A. Viola,
“Verde brillante”,
Giunti, euro 14,00 Intelligenza e sensibilità
del mondo vegetale.
Un libro godibilissimo,
che abbatte molti
pregiudizi riguardo
al pianeta piante e
riserva molte sorprese.
INEDITI
Hermann Melville,
“Viaggi e balene”,
Clichy, euro 8,00 - In
prima traduzione
italiana, questi scritti
inediti dell’autore di
Moby Dick, scoperti di
recente, documentano
un lato meno noto
dell’opera di Melville.
NARRATIVA
Vasilij Grossman, “La
cagnetta”, Adelphi,
euro 7,00 - Tre racconti
che, pur appartenendo
a momenti diversi
della produzione
dell’autore di Vita e
destino e Tutto scorre,
si segnalano ai vertici
della sua prosa.
TESTIMONI
Mauro Faverzani,
“Fabio Moreni”,
Paoline, euro 12,00
L’avventura umanitaria
di un giovane, uomo di
fede, ucciso nel 1993
insieme ad altri due
volontari, in una zona
sperduta della Bosnia
dilaniata dalla guerra.
Illustrazione di Eleonora Moretti
PER BAMBINI DA 3 A 99 ANNI
di Annamaria Gatti
P
ino dorme un sonno agitato
stanotte. Forse sarà la luna
che spia fra le persiane
e inquieta sbircia nella
stanzetta. Forse sarà che
tre fette di dolce al cioccolato
sono state troppe, proprio troppe,
come dice la mamma. Pino si
raggomitola nel letto e sussurra
qualcosa. Non grida, ma nel sonno
è proprio disperato. «A capo,
lettera maiuscola!», sentenzia un
vocione da sotto il cuscino. Un
brivido scuote il povero Pino: chi
ha parlato? «Scienziato con la i!
Possibile che non la ricordi mai?»,
brontola un tipo in camice bianco
con un microscopio sotto il naso.
Altro brivido… «E io? Io sono una
parola capricciosa e me ne vanto,
non ci voglio stare sul quaderno di
Pino che mi scrive ancora con la
qu!», urla stizzito un cuoco grande
come una montagna, brandendo
minaccioso un mattarello della sua
cucina. Appena in tempo Pino si
rifugia sotto le coperte: lì non lo
troveranno mai, neppure gli altri
Fantasilandia
errori, che sono sempre tanti,
troppi! «Ma ce le ha o non ce le
a Pino le scarpe nuove? E le ha
comprate o non le a comprate ‘ste
scarpe?», biascica l’acca panciuta
e nervosetta. «Non si capisce mai
quando scrive qualcosa che vuole
l’acca!». Da sotto le lenzuola Pino
non sa più cosa deve fare.
«Qui bisogna trovare una
soluzione, sarebbe meglio
consultare sul vocabolario tutte
le parole difficili, per essere sicuri
di scriverle correttamente o
correggerle al computer», lamenta
una voce nasale che pare quella
della maestra Cloe. Pino si agita
e sobbalza sul materasso. Sbuca
fuori e cerca la sua lancia da
cavaliere: «Venite fuori, errori dei
miei stivali!», grida. «Battetevi
a duello come si deve! Da oggi vi
sconfiggerò tutti e non tornerete
più a sfidarmi!». Poi si sveglia
davvero, sudaticcio e spaventato.
Ah! Pensa. Meno male, era un
incubo! O forse un sogno? Fai un
po’ tu!
Città Nuova - n. 12 - 2013
77
In dialogo
@
Fare a meno
della tv
«Ho letto che solo negli
Usa 5 milioni di famiglie
hanno deciso di fare a
meno della tv. Mi sembra
un passo in avanti di civiltà.
Come stiamo in Italia?»
G.G. - Roma
In Italia ogni anno si
calcola che tra 2 e 300 mila
persone facciano a meno
del piccolo schermo. L’Auditel, quel sistema di rilevazione che calcola chi vede e
chi guarda che cosa alla tv,
piange a calde lacrime, e i
pubblicitari debbono fare i
conti col calo degli ascolti.
Così, per far buon viso a
cattiva sorte, si parla dello
share, cioè della quantità
relativa di persone che vede
una data trasmissione, e
non tanto della quantità assoluta di telespettatori. Un
escamotage per tenere su
un sistema pubblicitario che
ha fatto la fortuna della Rai
e di Berlusconi. Credo che
il fenomeno, ormai irreversibile in una epoca definita
“digitale”, sia da guardare
con grande attenzione. Ma
non è detto che la qualità
dei prodotti offerti da Internet o dai social network sia
migliore di quello offerto
dalla vecchia, cara tv.
@
Atene risarcita?
«Atene chiede alla Germania 162 miliardi di euro
come risarcimento per i
danni della Seconda guerra
mondiale. Stiamo scherzando o è vero?».
Paolo Mozzi - Marche
78
Città Nuova - n. 12 - 2013
LA POSTA DI CITTÀ NUOVA
di Michele Zanzucchi
In una recente visita
in Grecia mi son reso
conto della pressione
della opinione pubblica
sul governo perché questo chieda alla Germania
i danni di guerra a cui il
Paese ellenico aveva rinunciato per lo stato di
prostrazione in cui versava la Germania dopo
la sconfitta di Hitler nel
1945. Il dossier, a quanto
ci dicono, è in preparazione. Certamente, a quasi
70 anni dalla fine della
guerra viene da chiedersi
se tale manovra sarebbe
plausibile e legittima. Ma
in un momento in cui le
pressioni tedesche per il
rigore nei conti pubblici
ellenici provoca tanti disastri sociali la popolazione
greca si chiede se non
sia il caso di costringere
Berlino a una maggiore
flessibilità. Credo che la
questione dei risarcimenti
non sia praticabile, mentre un atteggiamento meno
rigoroso da parte della
Germania farebbe il bene
di tutta l’Europa.
@
Louvre e incassi
«Sembra che il Louvre
guadagni più di tutti i musei
italiani messi assieme. È
vero? Se fosse così, bisognerebbe stracciarsi le
vesti, perché secondo l’Unesco circa il 60 per cento
dell’arte mondiale è conservata nel nostro Paese ».
Gualtiero Prini - Bari
Credo che l’Italia dovrebbe investire molto
di più nell’arte e nella
cultura (oltre che nella
natura), che potrebbero
diventare la principale
fonte di reddito del Paese.
Il turismo ci vede, purtroppo, molto in ritardo
rispetto ad altri Paesi europei, come infrastrutture,
promozione, razionalizzazione delle risorse. Ma
forse siamo noi italiani
che, troppo abituati a vivere in mezzo a capolavori, non sappiamo valutarne il reale valore.
@
@
Fabiana e Davide
entrambi vittime
«Mi hanno colpito le
parole del vescovo di Rossano Calabro, mons. Santo
Marcianò, che ha sottolineato come anche gli sconvolti genitori della povera
Fabiana, massacrata ancora
viva dal fidanzato Davide,
abbiano ammesso in un
colloquio col presule che
anche il ragazzo era una
povera vittima. La vittima
di un sistema educativo e
sociale che non riesce più
a formare uomini e donne
adulti. Mi sembrano parole
di grande saggezza».
Gloria Fabris - Pisa
Nessun dubbio che sia
Fabiana che Davide siano
delle vittime del modo di
vivere in voga di questi
tempi, che non dà il giusto
spazio dato alla dimensione culturale e a quella
spirituale. Una pur auspicabile società dei diritti
che abbia però dimenticato
ogni dovere può solo portare all’anarchia dei sen-
Si risponde solo
a lettere brevi, firmate,
con l’indicazione del luogo
di provenienza.
Invia a:
[email protected]
oppure:
via degli Scipioni, 265
00192 Roma
Incontriamoci a “Città Nuova”, la nostra città
IL SOCIO NASCOSTO
Effetti di un’intervista su Città Nuova
Il 20 agosto 2012 Oreste Paliotti, redattore della rivista
Città Nuova, mi annuncia che desidera intervistarmi! Non
poteva esserci giorno peggiore: il caldo eccessivo, la fatica appena affrontata per allestire una mostra della civiltà
contadina, le gravissime condizioni di salute di mio fratello che sarebbe morto qualche giorno dopo, mi avevano
prostrata. Ma come dire di no a Oreste? Ero convinta che
quel giorno non sarebbe venuto fuori nulla di buono e l’ho
voluto cancellare dalla mia mente e dal mio cuore. Grande
è stata la mia sorpresa quando Oreste al telefono mi legge
l’articolo che aveva preparato: mi ci ritrovavo pienamente.
Quando è stato pubblicato sul secondo numero di febbraio
timenti e delle responsabilità, in uno sfrenato individualismo che fa misurare
la realtà solo sul metro
delle proprie pulsioni. Non
a caso la Chiesa italiana
è immersa nel “decennio
dell’emergenza educativa”. Che comincia dalla
famiglia, mai dimenticarlo.
De gustibus
«Mi permetto di segnalare che ho letto nel n. 4
di Città Nuova l’articolo
sull’artista Boetti: arte interculturale e “dialettica”
fra ordine e disordine; il
tutto da verificare! Ed ancora nella copertina del n.
7 appare una foto dell’esponente di 5 Stelle: personaggio che con arrogante
protagonismo vuol salvare
il Paese: “Cinque Stelle alla
prova Paese”, direi “Paese
sotto prova 5 Stelle”! Cefaloni nel suo articolo è
molto esplicito e chiarificatore, malgrado rimangono
ancora “paura e speranza”.
Altra sorpresa nello stesso
di quest’anno ho avuto un’altra bella sorpresa: tutti coloro
che avevo nominato si sono ritrovati nella mia “storia” perché era anche la loro “storia”. Allora mi è venuta un’idea.
Avevo appena concluso la campagna di rinnovo dei miei
80 abbonamenti e mi occorrevano copie della rivista con
la mia esperienza per proporla ad altri. Ho preparato un
elenco di 100 persone ed ho consegnato personalmente a
ciascuno di loro il giornale invitandole a cercarsi l’articolo
“a sorpresa” e a leggerlo. Dopo qualche giorno sono ripassata per ritirare il giornale. La gioia di chi aveva letto era
sempre la stessa ed è stato facile per me proporre l’abbonamento per l’anno in corso scavalcando il problema economico: la quota del primo abbonamento l’avrei pagata io
con i fondi raccolti appositamente attraverso sagre, mostre
e mercatini. Dopo l’arrivo del primo numero del giornale
sarei ripassata per consegnare loro una lattina per bibite
vuota rivestita dalla scritta: “Il poco aggiunto al poco non
è poco e a poco a poco un cumulo si fa e non è poco” e loro
avrebbero avuto un anno di tempo per raccogliere i soldi
per l’abbonamento del 2014. La proposta è stata accolta
molto bene e sono arrivati così 20 nuovi abbonamenti. Ora
il mio impegno è tenere vivi i rapporti di amicizia durante
tutto l’anno e parlare degli articoli che possono interessare
ciascun abbonato. Vedo la campagna abbonamenti come
un’impresa dell’Economia di Comunione dove c’è il Socio
nascosto che ti fa scoprire quelle opportunità che non ti
aspetteresti. Da quando sono diventata anziana e ho sempre meno energie, ho ritrovato una nuova giovinezza.
Giò Mastrostefano - Teano (Caserta)
[email protected]
numero della rivista: “Cosa
sussurra Dio alle mamme”,
diffusione C.N., libro consigliato, la cui copertina con
l’immagine che sta fra un
Modigliani ed il fumetto,
mi sembra voglia mortificare l’estetica a favore di
un valido contenuto».
Giovanni Davì
Bergamo
Caro Davì, conosco la
sua sensibilità artistica e
la sua vena creativa per
accettare le sue critiche,
che spaziamo da Grillo
alla copertina di un libro.
A proposito di questa ultima nota, le chiedo solo
di prendere in considerazione la complessità della
attuale situazione della
editoria in Italia: bisogna
così pubblicare libri che
veicolino i giusti messaggi
e i giusti valori, ma anche
che vendano. La copertina
del libro sulle mamme, di
gusto contemporaneo, ha
consentito una ottima diffusione del prodotto.
Riguardo poi alla questione di Grillo, non vedo
Città Nuova - n. 12 - 2013
79
In dialogo
LA POSTA DI CITTÀ NUOVA
Città Nuova
GRUPPO EDITORIALE
perché non si possa pubblicare una sua foto in
copertina. Certamente,
leggendo il servizio, si
sarà reso conto che non
siamo stati teneri su certi
aspetti problematici della
strategia del M5S! Dobbiamo abituarci a entrare
nel merito delle questioni
e non criticare per partito
preso, mettendo la testa
sotto la sabbia. Guardiamo in faccia la realtà,
per quanto scomoda sia,
anche se non è bella, e
forse così potremo avanzare qualche suggerimento per far si che tale
realtà sia meno brutta.
@
Sì Tav, No Tav
«Condivido con voi il
commento a recenti fatti
di cronaca e l’appello
alla partecipazione nonviolenta e democratica
per il bene comune del
sig. Dario Fracchia, sindaco valsusino: “Il tentativo ostinato di ridurre la
questione della Tav a un
problema di ordine pubblico per mancanza di argomenti e dati a sostegno
di quest’opera – ha dichiarato – sta raggiungendo il
suo culmine: una trentina
di incappucciati non identificati dalla polizia fanno
più notizia di oltre cinquantamila pacifici cittadini che insieme a decine
di sindaci e parlamentari
hanno pacificamente sfilato il 26 Marzo da Susa
a Bussoleno. In quell’occasione nessun giornale
ha dato spazio alla cittadi-
80
nanza pacifica e maggioritaria della Valle di Susa”.
«Ora che Letta, che
l’anno scorso nel mese di
marzo partecipò alla assemblea annuale dei soci della
Cmc, la ditta che ha un appalto da 160 milioni di euro
per il tunnel geognostico
di Chiomonte ex-Venaus,
può premere l’acceleratore
sulla realizzazione della
Tav, spuntano degli uomini
incappucciati che possono
avvicinarsi al cantiere senza
essere fermati, portandosi
dietro un arsenale da guerra.
Questa strana coincidenza
non è nuova nella storia
della Repubblica italiana.
«Noi amministratori e
cittadini pacifici e per bene
della Valle, avvezzi alle
pacifiche e familiari marce
in compagnia dei nostri
figli e nonni, armati solo
di bandiere e della nostra
corposa e scientifica documentazione, restiamo basiti da questo sodalizio di
ferro tra l’informazione e
la politica, volti al sistematico inganno fatto di omissioni, reticenze, chiusura
al dialogo e al confronto
con amministratori locali
e cittadini ignorati e da taluni tacciati addirittura di
essere i mandanti di ripugnanti atti di violenza che
non appartengono neppure
lontanamente ai nostri
pensieri e al nostro modo
di essere».
Chiara - Torino
Pubblichiamo, contrariamente alle nostre abitudine, ampi stralci della
lunghissima lettera della
signora Chiara su uno
degli argomenti più scottanti e discussi nell’attuale agone politico, sociale e civile. Va fatta a
questo proposito una costatazione: da una parte e
dall’altra, cioè dalla parte
dei No Tav e da quella dei
Sì Tav, un modo di esprimersi che condanna senza
possibilità d’appello, né
di distinguo, coloro che
la pensano in altro modo.
Personalmente mi sono
fatto una mia idea al riguardo, ma non ritengo
opportuno esprimerla,
perché aggiungerei solo
un altro discutibile parere
accanto a tanti altri pareri,
egualmente rispettabili ma
anche discutibili.
Mi si dirà: non c’è bisogno di Nuovi Salomone.
Ma, aggiungo io, non c’è
bisogno di Nuovi Nerone
che incendino le nostre
città, non solo metaforicamente. C’è invece bisogno
di Nuovi Kant, e se possibile di Nuovi De Gasperi
che sappiano ascoltare
senza preconcetti, valutare
onestamente e poi decidere
liberamente in vista del
bene comune. Prossimamente su queste colonne
cercheremo di dare il nostro contributo, entrando
nel merito della questione
con lo spazio adeguato
alla bisogna.
Tutto ciò, cara signora
Chiara, non vuol dire che
non si debba mettere passione nel difendere le proprie idee, tutt’altro! Ma
senza demonizzazioni, con
la forza della ragione. E,
se possibile, col venticello
dello Spirito.
DIRETTORE RESPONSABILE
Michele Zanzucchi
DIREZIONE e REDAZIONE
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Città Nuova - n. 12 - 2013
RIPARLIAMONE
a cura di Gianni Abba
In dialogo
Voci da una
Sardegna
inquieta
A proposito dell’articolo “Non solo numeri
servono valori e reti” di Michele Zanzucchi
apparso sul n. 11/2013
Crisi
«3400 emigrati nel
2012, un tasso di disoccupazione pari al 16,4 per
cento (per i giovani 40), un
incremento della Cassa integrazione del 600 per cento negli ultimi cinque anni:
è la fotografia di un’altra
Sardegna, cupa e inquieta,
ben diversa dalle immagini del suo mare “bandiera blu”. Non possiamo
tollerare i ritmi lenti della
nostra classe politica e il
disappunto non riguarda
semplicemente le indennità dei consiglieri regionali
(ridotte solo simbolicamente), ma anche i funzionari del consiglio regionale
che percepiscono 16 mensilità annuali, ciascuna anche 3 volte superiore allo
stipendio di un dipendente
di altro assessorato. A ciò
si aggiungono le “buone
uscite” che valgono centinaia di migliaia di euro.
Questo denaro pubblico
viene elargito senza tener
conto della mancata risposta ai drammi della nostra
gente. E non vogliamo
sentir parlare di “diritti acquisiti” quando a migliaia
di nostri giovani è negato
il diritto al lavoro e conseguentemente non è riconosciuto il diritto a formarsi
una famiglia. Questa classe
politica (di ogni partito)
pare non sentire il grido di
dolore di un intero popolo.
Non possiamo più aspettare, non c’è più tempo: ogni
giorno che passa chiudono
nuove aziende e aumenta
il numero dei disoccupati.
I tempi della politica non
si conciliano con la gravità della crisi. È urgente
costituire un fondo a favore di imprese in difficoltà,
giovani e famiglie, alimentandolo
simbolicamente
con i risparmi derivanti da
decurtazioni sulle indennità di politici e dirigenti regionali, rapportando i loro
stipendi a quelli dei loro
colleghi statali».
R.C.
Fuori dal coro
«Ritengo che il principale problema della nostra
democrazia sia non tanto
la classe politica, che pure ha le sue responsabilità,
quanto gli organi di informazione che – salvo rare
eccezioni – occultano i
fatti e spacciano opinioni
a vantaggio del mantenimento di un sistema che
giova solo alla partitocrazia di ogni colore. È mio
desiderio che Città Nuova riferisca fatti concreti
informando i suoi lettori
sull’andamento dell’attività parlamentare. E ciò si
può fare, ad esempio, non
scrivendo semplicemente di “assenteismo”, ma
specificando quali gruppi
politici disertano l’aula;
ancora dando conto di chi
vota per respingere certi emendamenti a decreti
governativi che vengono
proposti nell’interesse generale del Paese. Si potrà
mai leggere su Città Nuova quali forze politiche
hanno bocciato un fondo
per il microcredito finanziato con le rinunce totali o parziali dei rimborsi
elettorali? È possibile che
Città Nuova sia una voce
fuori dal coro, che evidenzi il bene che si potrebbe
fare (denunciando chi non
lo vuole) e stigmatizzando
ciò che va invece contro il
bene comune (denunciando esplicitamente chi opera in tal senso)?».
M.C.
Città Nuova - n. 12 - 2013
81
Penultima fermata
SCUOLA PUBBLICA
di Elena Granata
Coltivatori
di talenti
B
uio in sala, nel teatro di un quartiere periferico di città. È la recita di fi ne d’anno:
nell’attesa dello spettacolo, solo il buio ha
fatto cessare il fremito dei ragazzi e delle
loro famiglie. L’insegnante ha organizzato
una gara pubblica di lettura ad alta voce di brani
letterari e, con il lavoro paziente di un anno scolastico, ha trasformato
i propri allievi in voci
sicure, in lettori pieni
di espressività, in attori dalla postura salda. Sembrano nati per
stare sul palcoscenico.
Un capolavoro della
scuola pubblica.
È il talento, il talento dei talenti, di cui
godono soli i più talentuosi: saper vedere, disvelare e dare
espressione al talento
che è negli altri. Non
è un bisticcio di parole. È faccenda tremendamente
seria.
Perché i “coltivatori di talenti” sono
una specie umana in
estinzione, da cercarsi con pazienza, nei
luoghi dove ancora sopravvive. Hanno l’intuito
di cani da tartufo, sanno leggere dentro le persone come metal detector.
Niente a che vedere con il mestiere dei talent scout
o dei cacciatori di teste che vagano per il mondo
alla ricerca dei cervelli più rapidi, delle penne più
felici, dei volti più fotogenici, delle ugole più promettenti, dei piedi da goal. Essi cercano il talento
straordinario.
I coltivatori di talenti, invece, sono capaci di
vedere e far emergere lo straordinario che c’è
in ogni vivente e s’intestardiscono, affi nché diventi patrimonio di tutti. Disvelare quanto rischierebbe di restare celato è la loro missione.
Ne ho conosciuti pochi, davvero pochi, ma quei
pochi fanno scorrere linfa nel mondo.
Molto più spesso ho
incontrato maestri che
coltivano la mediocrità
dei più giovani, la loro
eterna subalternità, il
loro stato di minorità,
timorosi di perdere supremazia e ruoli, colti
dal sacro timore che
tutto questo disvelare il
valore degli altri possa
essere per loro un danno irreparabile.
Quanto salutari sarebbero oggi le parole del filosofo Seneca
all’allievo Lucilio, che
lo spronano a prendere il largo, a diventare autonomo: «Fino
a quando ti muoverai
sotto la guida di un altro? Prendi il comando
ed esprimi qualcosa di
tuo, che altri possano imparare a loro volta. La
verità è accessibile a tutti, non è dominio riservato a qualcuno e lo spazio che lascia ai posteri
è ancora molto vasto» (Lettera 33, 65 d.C circa).
Seneca si accinge a passare il testimone e ha già
deposto la propria veste; raccogliendo la propria
vita ha già creato lo spazio per una vita e un pensiero differenti dal proprio. Perché coltivare talenti è, in fondo, lasciare spazio.
*
Piccole incomprensioni,
malintesi e dissapori possono essere il
segnale di una crisi della coppia.
Cosa fare e non fare in questi casi?
Con competenza e leggerezza
Ventriglia risponde con utili consigli
pratici.
*
Una raccolta di istantanee che
raccontano le gioie e le fatiche,
le difficoltà e i fallimenti della vita
di famiglia. E attraverso i quali si
coglie lo straordinario amore e la
sorprendente fantasia di Dio,
che dà sapore e senso alla vita.
*
Esiste la formula per la riuscita
di un matrimonio “perfetto”,
in grado di superare tanto
le grandi tempeste quanto la routine
di ogni giorno?
I due autori propongono
un “metodo” che valorizza le tre
dinamiche di unità nella coppia:
l’empatia, l’autonomia e la reciprocità.
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