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TESTIMONIANZE DELLA VEGLIA DI NATALE
Qui di seguito troverai il testo della storia della pianura e le testimonianze della veglia di
Natale. Le testimonianze sono autentiche e sono state modificate solo per semplificare alcune
frasi senza modificarne il senso.
LA STORIA DELLA PIANURA
Immaginatevi il mondo umano, la storia umana, come un’immensa pianura, e in
questa immensa pianura un immenso stuolo di ditte, di imprese edili,
particolarmente allenate a far strade e ponti. Ognuna nel suo angolo, dal suo
angolo cerca di lanciare, fra il punto in cui sono e il cielo trapuntato di stelle, un
ponte che colleghi due termini, secondo l'immagine di Victor Hugo. Egli si
immagina, seduto sulla spiaggia di notte, una notte stellata, un individuo,
un uomo che guarda, fissa la stella più grossa, apparentemente più vicina, e
pensa alle migliaia e migliaia di archi che occorrerebbe erigere per costruire
questo ponte, un ponte mai definibile, mai completamente operabile.
Immaginatevi, dunque, questa pianura immensa, tutta gremita di tentativi di
gruppi grossi e piccoli, o anche solitari, come nell'immagine di Victor Hugo,
ognuno attuando il suo disegno immaginato, fantasticato. Improvvisamente
s'ode nell'immensa pianura una voce potente, che dice: “Fermatevi Fermatevi
tutti!”. E tutti gli operai, gli ingegneri, gli architetti sospendono il lavoro e
guardano dalla parte da cui è venuta la voce: è un uomo, che alzando il braccio
continua:
“Siete grandi, siete nobili nel vostro sforzo, ma questo vostro tentativo, se è
grande e nobile, rimane triste, per cui tanti vi rinunciano e non ci pensano più, e
diventano indifferenti; è grande, ma triste, perché non raggiunge mai il termine,
non riesce mai ad andare a fondo. Ne siete incapaci perché siete impotenti a
questo scopo. C'è una sproporzione non colmabile tra voi e la stella ultima del
cielo, tra voi e Dio. Non potete immaginarvi il mistero. Ora, lasciate il vostro
lavoro cosi faticoso e ingrato, venite dietro di me: io vi costruirò questo ponte,
anzi io sono questo ponte! Perché io sono la via, la verità, la vita!”.
Dunque, nella grande pianura tutti sospendono il lavoro e stanno attenti a
questa voce, e lui continuamente ripete le stesse parole. I primi seccati della
questione chi furono? Gli ingegneri, gli architetti, i padroni delle varie imprese
edili, i quali hanno detto quasi subito:
“Su, su, ragazzi, al lavoro, al lavoro. Operai, al lavoro! Quello è un fanfarone!”. Era
un’ alternativa radicale al loro progetto, alla loro creatività, al loro guadagno, al
loro potere, al loro nome, a sé. Era l'alternativa a sè. Dopo gli ingegneri, gli
architetti e i capi, anche gli operai, incominciando un po' a ridere, più a stento
hanno trascinato via lo sguardo da quell'individuo, parlandone per un po',
prendendolo in giro, oppure dicendo:
“Chissà, chissà chi è, sarà pazzo?”. Ma alcuni, invece, no. Alcuni hanno sentito un
accento che non avevano mai sentito, e all'ingegnere, all'architetto o al padrone
dell'impresa che diceva loro: “Su, in fretta, cosa fate qui, cosa vi fermate ancora a
guardar là?”, loro non rispondevano; continuavano a guardarlo. E lui avanzava.
Anzi, gli andarono vicino. Su centoventi milioni erano dodici. Ma avvenne:
questo è un fatto storico.
Se il mistero bussa alla tua porta la cosa più importante è mettersi ad
ascoltarlo:“Chi mi apre io entrerò e verrò a cena con lui”, sono parole che si
leggono nella Bibbia, parole di Dio nella Bibbia. Ma è un fatto accaduto.
Questo è quello che è accaduto a Natale… che accade ogni Natale.
Quest’uomo che grida nella pianura è Gesù apparso nella nostra storia dove noi
ci affatichiamo per dare senso alle nostre vite, ma è lui che ci dona la strada per
arrivare a Dio, al destino autentico della nostra vita.
TESTIMONIANZA DI ANNA PIZZATI
Pensando a Gesù non riesco ad immaginarlo da solo. Lo immagino insieme ai
suoi amici, alle persone da cui andava e di cui si circondava: ne viene fuori un
quadretto particolarmente variopinto. Non ci sono persone “perbene”, altolocate
ma personaggi umili, a volte emarginati o addirittura un po’ sbandati. Ecco, io
penso che oggi, accogliere Lui voglia dire farsi vicini alle situazioni di disagio
che vediamo intorno a noi e che, troppo spesso, ignoriamo. Non dobbiamo
inventarci nulla, dobbiamo solo provare ad avvicinarci un po’ di più allo stile che
il Vangelo ci invita ad vivere: improvvisamente ci ritroveremo avvolti della sua
presenza. Attraverso gli sguardi, i sorrisi, i gesti e nella lotta per un mondo più
giusto accolgo Gesù e lo incontro quotidianamente.
TESTIMONIANZA DI CARLO BORGATO
Nel Vangelo di Luca si trova l'episodio di Zaccheo che quel giorno fece una cosa
che per lui certamente era fuori dall'ordinario e riconobbe che Cristo gli poteva
dare qualcosa che nessun'altro poteva dargli. Senza Cristo infatti “non possiamo
fare nulla”, a patto di “restare nel suo amore”. L'amore è il veicolo con cui si
realizza il disegno di salvezza di Dio per l'uomo. E il modo originale che Dio
elaborò per far vivere l'uomo nel suo amore fu di inserirlo in un contesto
comunitario, creando l'uomo come maschio e femmina perchè fossero
corrispondenti nell'amore, perché vivessero insieme e in comunione con Dio.
Spesso però rifiutiamo di accoglierci l'un l'altro e quindi di accogliere quanto Dio
pensa per il nostro bene. Cosa vuol dire però accogliere Cristo qui, ora? Non
abbiamo infatti il privilegio degli Apostoli di averlo davanti; abbiamo però la
grazia della Chiesa di Cristo. E nella Chiesa godiamo dell'esempio perfetto di
Maria Vergine. Maria pronunciò quel "sì" che gli sposi pronunciano
nell'accogliersi vicendevolmente, un "sì" che imita quello di Maria all'angelo e
che spazza via il "no" di Adamo ed Eva; e che sempre, con la grazia di Cristo,
spazza via i "no" che quotidianamente diciamo. Aderire a questo piano di
salvezza non è però facile. Dio, volendo il nostro bene, ci ha dato in potenza la
possibilità di compiere il male, e così di voltargli le spalle. Molto coraggio è
necessario per volersi legare a un'altra persona e accollarsi oneri e
responsabilità anche per essa, rinunciando al contempo a tante altre attraenti
alternative mondane. Camminare verso il sacramento del matrimonio è un
percorso complesso: essere in due non basta. Serve infatti riconoscere la
necessità dell'aiuto di Cristo, quotidianamente, per capire che la persona che ci è
stata posta accanto è stata messa lì per il nostro bene, anche se a volte
potremmo pensare il contrario, perché legarsi a vita a un'altra esistenza può far
paura, per mille motivi. Camminare da fidanzati è rischioso, perché ogni giorno
serve dirsi un piccolo "sì" anticipatore del grande "sì" definitivo. Ma dire quel
"sì" quotidiano prima di tutto a Cristo, nella preghiera, nell'Eucarestia, nel
lavoro, nelle circostanze in cui Egli ci chiama, ci assicura di poterlo dire anche il
giorno dopo, un giorno alla volta. Se infatti abbiamo trovato una persona che
vuole il nostro bene, come potremmo razionalmente rinunciare a essa?
Accogliere un'altra persona nella propria vita nella vocazione del matrimonio
tuttavia vuol dire capire che in quella persona accogliamo Cristo stesso,
accettiamo il suo progetto di salvezza così come Egli vorrebbe fosse declinato
per noi. Significa accettare Cristo come senso e fine della vita; e quindi, accettare
che il fine e il senso della nostra vita passano attraverso un'altro essere umano
ben preciso per poter arrivare a Gesù. Se riconosciamo in Cristo il volto di Dio
che si abbassa a recuperare l'uomo, se riconosciamo che la nostra vita è una
grazia e che tutte le cose cooperano al nostro bene, allora accettare che Cristo ci
chiami al matrimonio è accettare una vocazione di salvezza che passerà
attraverso il dono della propria vita a un'altra persona. Se accettiamo questo,
allora accogliere Cristo autenticamente diventa una necessità pressante. Ci deve
consolare il fatto che il malfattore crocifisso accanto a Gesù testimonia come
Cristo ci dà sempre tempo fino all'ultimo istante della nostra vita per accoglierLo
e poterci quindi salvare; due fidanzati sanno però che Cristo li aspetta già nel
giorno in cui il "sì" che si diranno sarà un "sì" detto come prima cosa a Lui, un
"sì" alla Verità e alla Vita.
TESTIMONIANZA DI ANNA PASCARELLA
Signore, tu mi hai detto chiaramente dove cercarti:
“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, l’avete fatto a me”.
E vieni da me ogni giorno.
Sei in quell’umanità che ogni mattina si siede davanti alla mia scrivania, o che
nelle notti silenziose dell’ospedale mi attende, distesa nel letto, a me
sconosciuta.
E io molte volte non ti riconosco.
I miei occhi troppo stanchi, vedono solo l’uomo arrogante, il maleducato, il
vecchio da solo che non capisce, lo straniero che non può spiegarsi.
I miei occhi troppo razionali, vedono solo la malattia, la diagnosi, la cura, la
prognosi e restano ciechi di fronte agli occhi dell’uomo che hanno davanti.
Ma a volte mi dai la grazia di farti riconoscere: sento un grazie che non mi
aspettavo, vedo accendersi nello sguardo la luce della speranza, la mia parola
per un attimo ha scacciato la paura, vedo soprattutto la forza della vita che
esplode, nonostante tutto.
Allora penso a tutte le volte che non ti ho riconosciuto e ti chiedo perdono,
soprattutto ti chiedo aiuto.
La mia preghiera mattutina Signore, accoglila ti prego, qui davanti a tutti: prendi
le mie mani, i miei occhi, la mia mente e fanne strumento della tua volontà per il
bene di coloro che incontrerò oggi lungo il mio cammino.
TESTIMONIANZA DI CARLO PIZZATI
Quando don Mauro mi ha chiesto una testimonianza su cosa significa accogliere
Gesù nella propria vita, sono rimasto perplesso. Non mi sembra di avere molto
da dire, semmai molto da ascoltare e imparare. Forse ha pensato che anche nontestimonianze come la mia possano servire, magari per contrasto.
Quando ho davvero fatto spazio a Gesù nella mia vita? L’unica risposta sincera è
“mai”. Non è che Gesù non sia presente nella mia vita, ma devo confessare che c’è
nonostante io non Gli abbia mai fatto spazio: c’è perché non sono stato bravo a
chiuderGli ogni spiraglio.
Così, della Sua presenza mi accorgo solo voltandomi indietro. Solo allora,
riguardando i passi compiuti, posso accorgermi che di tutto ciò che ho creduto
essere le mie decisioni, i miei successi, i miei progetti non rimane in piedi molto;
mentre dove è finita la mia capacità di programmare, di scegliere ciò che è
meglio per me, per la mia famiglia, per il nostro futuro, dove - nonostante la mia
volontà - mi sono arreso a limiti, sconfitte e insuccessi, lì ho creato spazio alla
Sua presenza. E, ogni volta, le strade che mi si sono aperte sono sempre state
migliori, magari più faticose, inaspettate, ma infinitamente più “ricche”.
E’ successo nella malattia, nelle scelte familiari e di apertura ai figli, nel lavoro.
Di fatto, le cose migliori sono arrivate quando mi sono arreso a Lui o, per dirla in
altro modo, quando la mia volontà si è arresa alla Sua. Per questo posso dire di
non averGli fatto spazio: la Provvidenza ha costruito sui miei insuccessi e sui
miei errori e, ogni volta, io velocemente torno a credere di aver fatto da solo.
Dunque, se la mia non-testimonianza non può mostrare come si accoglie Gesù,
posso almeno, in negativo, provare a dire qualcosa su come non Lo si accoglie. A
dire il vero conosco molti modi di allontanare Gesù che funzionano anche per un
buon cristiano: voler decidere e pianificare ogni cosa, rifiutare ogni diversità,
imporre il proprio modo di essere, la propria visione del mondo, spesso anche la
propria idea di cosa significhi essere Chiesa.
Non ho mai trovato Gesù nelle mie idee, nelle mie battaglie. Credo di poter dire
che Gesù non ci parla attraverso le idee ma attraverso gli altri, attraverso le
persone che ci fa incontrare. Solo che questa storia degli altri è imbarazzante.
Perché se Lui ci parla attraverso di loro, allora dobbiamo essere in grado di
accettare anche i loro limiti, le loro contraddizioni, perfino i loro errori. Direi
addirittura che Gesù sta più comodo nelle nostre contraddizioni che nelle nostre
certezze.
A posteriori, posso dire che è attraverso gli altri che Gesù si è fatto spazio nella
mia vita. Magari anche persone con cui non sono andato d’accordo. Gesù è
capace di parlarti perfino attraverso un prete che ti chiede di dare una mano in
parrocchia, o a fare catechismo, o ti chiede di preparare un pensiero per la Veglia
di Natale e tu hai così tante cose da fare che non sai dove sbattere la testa.
E magari credi che siano gli altri ad avere bisogno di te, del tuo aiuto, per
risolvere i loro problemi, quando invece è Lui che sta trovando il modo per
aiutare te.
Per questo, forse, a Natale anche una non-testimonianza può avere qualche
valore. Perché ci ricorda che la Sua pazienza nel provare a trovare posto nella
nostra vita è più forte del nostro disinteresse e perfino del nostro orgoglio. Tante
volte non si tratta di accoglierLo, ma semplicemente di non essere troppo decisi
nell’impedirGli di entrare.
TESTIMONIANZA DI GABRIELA ROCCO
L’esperienza di accogliere Gesù è comprensibile solo pensando al proprio
vissuto.
Sentirsi accolti da Qualcuno e poter accogliere una persona è una forte
esperienza che ci permette di comprendere cosa voglia dire far spazio a Gesù
nella nostra Vita.
Se penso ai doni ricevuti mi sento di dover dire: “GRAZIE”.
Grazie per essere stata accolta ed amata.
Grazie ai miei genitori che mi hanno donato la vita e attraverso il Battesimo mi
hanno inserito nella Comunità Cristiana: la Chiesa.
Grazie a mio marito, alle mie figlie e agli amici con i quali ho condiviso e
arricchito la mia vita e che ogni giorno mi hanno permesso di sperimentare
l’accoglienza.
Grazie per il sorriso dei bimbi che ogni giorno incontro e rallegrano la mia
giornata.
Come posso allora in questo Natale accogliere Gesù e far spazio a Lui nella mia
vita?
Spesso mi soffermo a riflettere sul comandamento dell’amore; “AMERAI IL
SIGNORE TUO DIO CON TUTTO IL CUORE E CON TUTTA LA TUA ANIMA, CON
TUTTA LA TUA MENTE E CON TUTTA LA TUA FORZA E IL PROSSIMO TUO
COME TE STESSO” (Luca 10,28).
Ecco allora che accogliere Gesù per me significa far spazio agli altri: donare un
sorriso, una carezza, il perdono a chi mi ha ferito, condividere i doni ricevuti con
chi mi sta vicino.
Sono cose semplici, che fanno tutti e che rallegrano il cuore di chi le riceve.
Far spazio a Gesù, che viene, significa per me ascoltare la Sua Parola che illumina
la vita e che dona la gioia di vivere, di credere e di amare nonostante le difficoltà
che si possano incontrare ogni giorno.
Gesù viene per stare con noi, per insegnare ad amare e per rendere bella e
serena la vita di ogni uomo.
Mi piacerebbe dire a ciascuno: “Vuoi una vita bella?” ACCOGLI GESÚ E CAMMINA
CON LUI”.