L`altro Anno Santo Tutte le incompiute Mai più

Download Report

Transcript L`altro Anno Santo Tutte le incompiute Mai più

R
Anno X - Numero 1 - 15 dicembre 2016
eporter
nu ovo
Tutte le incompiute
L'ostello fantasma
e quelle gru che non vogliono
lasciare San Pietro
L'altro Anno Santo
Sono 588 le Porte inaugurate
dalle isole Salomone a Tromsø
Mai più senza
Il boom della Misericordina:
il rosario diventa profumato
The Young Pope
Pio XIII: «Ecco il mio
Giubileo tra tiara e rock»
Non riaprite
quella porta
Il flop del Giubileo straordinario della misericordia
tra cantieri abbandonati, cardiologi pellegrini
e hashtag sui social network
Quindicinale della Scuola Superiore di Giornalismo della LUISS Guido Carli
R
3
5
Cardiologi battono cattolici
Il turismo? È questione di cuore. Parla il presidente di Federalberghi: «In termini economici,
meglio ospitare i congressi medici che il Giubileo»
Opere e omissioni
Più di centoquaranta i cantieri previsti, solo poche decine quelli portati a termine.
Da Piazza Venezia alla Stazione di San Pietro, viaggio attraverso i lavori incompiuti del Giubileo
7
L'ostello fantasma
I padiglioni 11 e 15 del Santa Maria della Pietà avrebbero dovuto accogliere frotte di pellegrini.
Una firma non depositata sul contratto, invece, ne blocca ancora l’apertura. L’associazione
Ex Lavanderia tuona: «Neanche per il Giubileo la Regione ha mantenuto le promesse»
9
Mama Chiesa in giro per il mondo
Da Bangui alle Isole Salomone: sono 588 le Porte Sante ufficialmente
aperte quest'anno. È l'eredità del primo Giubileo diffuso
11
13
Gesti sacri e gesti profani
Pietà popolare e gadget trash. Riti secolari e hashtag. L'Anno Santo di Papa Francesco è stato
straordinario anche per aver riunito fede e nuove tecnologie
Pio XIII: «Il mio giubileo rock»
Baba O'Riley, piume di struzzo e mantelli d'oro. Tra lusso e iconoclastia
ecco l'Anno Santo del Papa di Sorrentino.
SOMMARIO
R
LE CIFRE
Cardiologi battono cattolici
Il turismo? È questione di cuore. Parla il presidente di Federalberghi: «Meglio ospitare i congressi medici. Sono arrivati pochi pellegrini e la maggior parte di loro ha scelto di risparmiare»
Andrea Bulleri e Michele Fratto
Viva i cardiologi, abbasso i cattolici. Se nazionale artigianato di Roma. Giubileo sennegli ultimi cinque giorni di agosto, a Giu- za giubilo anche per le imprese di pullman
bileo inoltrato, la Capitale è stata presa d’as- turistici. «L’impatto dell’Anno santo è stato
salto dai turisti, il merito non è del richiamo totalmente ininfluente», sostiene Paolo Delspirituale dell’Anno Santo. A far muovere fini, presidente di Cna trasporto persone.
visitatori e soldi nella Capitale come non «Sui flussi attesi si sono dette tante inesatsuccedeva da tempo è stato il Congresso tezze: un piccolissimo incremento di presenza c’è stato, ma non ha avuto alcuna conmondiale di cardiologia.
A dirlo è il presidente di Federalberghi seguenza rilevante per le imprese di bus».
Non è bastata la remissione dei peccati a
Roma Giuseppe Roscioli. Che spiega: «Sono
arrivati a Roma 35mila cardiologi da tutto il far tornare il sorriso a ristoratori e baristi. Per
mondo, accompagnati dalle loro famiglie. Fabio Spada di Fipe-Confcommercio «è anPer cinque giorni la città è stata piena: risto- data leggermente meglio rispetto all’anno
ranti, negozi, taxi, musei, hotel a 4 e 5 stelle. scorso, ma solo nelle immediate vicinanze
Basti pensare che solo dal 27 al 31 agosto il di San Pietro, come a Borgo Pio e in via della
comune ha incassato più di un milione di Conciliazione». E al vino, secondo il presieuro di tassa di soggiorno». Altro che pellegrini. «Il congressista ha un tasso di spesa molto alto rispetto agli altri tipi di turisti,
utilizza la città in maniera più importante. In
termini economici – conclude il presidente
di Federalberghi – si può dire che è meglio
ospitare il summit dei cardiologi o altri congressi che il Giubileo».
La sentenza appare azzardata, ma Roscioli non è l’unico a pensarla così. Quello Giuseppe Roscioli, presidente Federalberghi Roma
che per la Santa Sede e il governo italiano è
stato infatti un «successo straordinario», alla dente dei ristoratori, i pellegrini hanno premaggior parte delle categorie economiche ferito il pane: «Il menu più gettonato è stato
della capitale sembra aver lasciato l’amaro il panino da cinque euro».
Eppure i numeri del successo, almeno in
in bocca.
Nessun beneficio degno di nota per tas- termini di presenze, ci sono stati. Li ha elensisti e autisti con licenza Ncc (noleggio con cati monsignor Rino Fisichella durante la
conducente), dicono dalla Confederazione conferenza stampa a conclusione dell’anno
Santo. «Possiamo affermare con dati sicuri che hanno partecipato al Giubileo qui in
Roma 21.292.926 pellegrini, provenienti da
156 paesi diversi. Si può realmente dire che
il mondo ci ha fatto visita», ha detto il prelato.
A quanto pare però «il mondo» non ha
dormito in hotel. Tant’è che gli albergatori
romani contano di chiudere il 2016 con le
stesse presenze in città dell’anno scorso, circa 14 milioni di arrivi. E i 21 milioni e passa di
pellegrini allora, dove hanno alloggiato? «In
larga parte non hanno pernottato –risponde Roscioli – perché magari venivano da
Roma e provincia. Un’altra fetta di turismo
per il Giubileo è stata intercettata da ostelli religiosi. E poi ci sono le strutture private,
che sfuggono alle statistiche perché affittate su piattaforme online, spesso senza regolare licenza».
E infatti tra i pochi che festeggiano c’è AirBnb, che chiude l’Anno santo con un più 55
per cento di arrivi rispetto al 2015, a quota 1
milione e 250mila clienti.
Per gli altri, il Giubileo sembra essere stato un boomerang. Il capo di Federalberghi
ha una sua teoria: «Quando una città ospita
un grande evento, chi ha intenzione di visitarla magari non lo fa in quel periodo perché teme disagi, ad esempio con gli aerei
o gli alberghi. Di norma il calo nel tursimo
ordinario viene compensato dall’afflusso
straordinario portato dall’evento in questione. Così è avvenuto per il Giubileo del 2000.
Fabio Spada, di Fipe-Confcommercio: «Molti hanno rimandato
la visita pensando che con il Giubileo avrebbero avuto più spese.
Se voglio godermi New York non ci vado il giorno della maratona»
3
Quest’anno invece la compensazione non c’è
stata».
A pensarla così è anche il numero uno dei
ristoratori Spada: «Molti hanno rimandato,
pensando che con il Giubileo avrebbero avuto
più difficoltà e più spese. È ovvio: se voglio godermi New York, magari non la visito il giorno
della maratona».
Monsignor Fisichella però l’ha detto chiaramente: «Se altri hanno pensato che il Giubileo
fosse in prima istanza una fonte di guadagno,
soprattutto in un momento di crisi come il presente, hanno equivocato il suo significato più
profondo».
E in effetti l’avevano pensato in molti. A
partire dalla Camera di commercio di Roma,
che in uno studio realizzato con l’università Sapienza a luglio 2015 si era lanciata in previsioni
ottimistiche: più 2,4 per cento di Pil su Roma in
quattro anni grazie al solo Giubileo e aumento
dei posti di lavoro compreso tra 4 e 5 mila unità entro il 2016. I dati reali ancora non sono disponibsili, ma le associazioni di categoria non
hanno dubbi: siamo lontani.
Il Censis invece stimava in 33 milioni i pellegrini in arrivo a Roma, con un giro d’affari per
la Capitale da 8 miliardi di euro. «Cifre irrealistiche, e lo abbiamo detto da subito», ribatte
Roscioli. «Per muiovere milioni di persone servono aerei, slot negli aeroporti, brochure di
viaggio. Il Giubileo è stato annunciato solo 7
mesi prima: in così poco tempo manca la capacità tecnica per organizzare tutto».
Andrà meglio nel 2025, il presidente di Federalberghi è fiducioso. «Ma molto dipenderà
dal Vaticano». Certo un Giubileo più simile a un
congresso di cardiologi non dispiacerebbe. In
fondo, anche la fede è una questione di cuore.
14 milioni
+55%
gli ospiti
negli alberghi
crescita di AirBnB
a Roma
rispetto al 2015
4.000
volontari
1.800
dell'Ordine
di Malta
21.292.926
27%
dei pellegrini
nelle strutture
ricettive religiose
pellegrini giunti
a Roma
da 156 paesi
diversi
146
progetti
dei cantieri
a Roma
8 mld di Euro
giro di affari
stimato
dal Censis
4
R
L'INCHIESTA
Opere e omissioni
Più di centoquaranta i cantieri previsti, quaranta quelli portati a termine. Da piazza Venezia alla stazione di San Pietro, viaggio attraverso i lavori incompiuti del Giubileo
Andrea Bulleri
A volte una data vale più di tante parole: 7
dicembre 2015. Era questo il termine previsto
dei lavori in via Marsala, ingresso est della stazione Termini. Eppure, esattamente un anno
dopo, le transenne sono ancora lì, a dare il
benvenuto a chiunque arrivi in città via treno.
I lavori di rifacimento delle “caditoie” (le grate fognarie) sembrano completati, ma le reti
metalliche ancora non sono state rimosse. E
nell’area transennata cominciano ad accumularsi cartoni di pizza e bottiglie rotte.
Quella di via Marsala è solo una delle tante
opere di riqualificazione di Roma previste per
il Giubileo della Misericordia. L’Anno Santo è
finito il 20 novembre: un mese dopo i pellegrini se ne sono andati, le transenne invece sono
rimaste. Oppure non sono mai arrivate.
È il caso di via IV Novembre: poche centinaia di metri che collegano via Nazionale e
piazza Venezia disseminate di buche e avvallamenti, croce dei centauri e delizia dei gommisti. Per togliere i sampietrini e rifare il manto
stradale, nel 2015 il Comune aveva stanziato 1
milione e 730mila euro: il cantiere però non è
mai partito. E motociclisti e autobus continuano a sobbalzare a ogni passaggio.
5
3
La riqualificazione della strada rientrava
nel primo pacchetto di lavori per il Giubileo,
varato dalla giunta Marino nell’agosto 2015.
Niente grandi opere, disse l’allora sindaco: anche volendo, non ci sarebbe stato né il tempo
né i fondi per realizzarle. Così si era pensato
a 32 interventi puntuali di manutenzione e
recupero dell’esistente, da ultimare in pochi
mesi. Budget totale finanziato dal Campidoglio: 50 milioni di euro.
Di questi, 13 erano destinati al restyling del
lungotevere, con marciapiedi e asfalto da rifare in dodici lotti diversi. A Giubileo archiviato
però, ne mancano all’appello quasi la metà:
Sangallo, Tebaldi, Gianicolense, Farnesina,
Ripa Grande. Un po’ meglio è andata agli otto
bagni pubblici da ripristinare, sparsi tra Vaticano, Pincio e Colosseo e costati 1 milione e
234mila euro: i lavori sono stati completati a
giugno, anche se il termine previsto era gennaio. Quantomeno in tempo per l’estate.
Estate che però non è bastata, così come
l’autunno, per rimettere a posto la stazione
ferroviaria di San Pietro. I pellegrini che scendevano dal treno erano (e sono tutt’ora) accolti dalla vista del Cupolone, con le gru a fare
da cornice. Sul cartello affisso alle recinzioni
del mega cantiere, tra i binari e via Innocenzo III, campeggia la scritta «Roma per il Giubileo». E appena sopra: «Riqualificazione della
rete viaria di Roma capitale. Durata dei lavori:
60 giorni». Raggiungendo i binari da via Gregorio VII il copione si ripete: transenne con la
scritta “Expo 2015”, sono lì da almeno un anno.
I lavori di ripavimentazione vanno avanti, ma
per finire ci vorrà ancora qualche settimana,
spiega un operaio.
Una ripavimentazione che invece è
ancora in alto mare è quella di piazza
Venezia. Dal piano originario di Ignazio
Marino di rifare il selciato ex novo si è
passati a un meno dispendioso piano di
interventi nei punti più critici, per la cifra
di 5,6 milioni di euro. I cantieri si susse-
L'Anno Santo è finito il 20 novembre: un mese dopo, i pellegrini
se ne sono andati e le transenne sono rimaste.
Oppure non sono mai arrivate
guono da mesi, ma le buche per ora restano.
Primi a finire sul banco degli imputati per lo
stato della piazza sono stati i bus turistici, bestioni
di 12 metri per venti tonnellate colpevoli di danneggiare i già malconci sampietrini. Per limitarne
il passaggio in centro erano stati annunciati i 21
nuovi varchi elettronici all’ingresso dell’area delimitata dall’anello ferroviario romano. Correva il
novembre 2015. E a novembre i varchi sono stati
attivati, ma dell’anno successivo. Il motivo? Mancava la delibera della giunta capitolina, firmata
solo il 17 dello scorso mese dell’assessora ai trasporti Linda Meleo. Quindi per mesi le telecamere
c’erano, ma sono rimaste spente. E i pullman di 7
metri e mezzo hanno continuato a entrare e uscire
indisturbati dal centro città.
Certo l’instabilità politica del Comune di Roma
non ha aiutato: dall’annuncio del Giubileo a marzo
2015 fino alla sua conclusione, alla guida di Palazzo Senatorio si sono alternate tre diverse amministrazioni (Marino, Tronca, Raggi). Così come non
ha aiutato il fatto che i fondi del governo per i lavori dell’Anno Santo (circa 138 milioni di euro) siano
stati erogati in due diverse tranche a distanza di sei
mesi. La prima, importo 60 milioni, è arrivata a gennaio 2016, mentre la seconda, più consistente, ha
raggiunto le casse romane solo a giugno, a cinque
mesi dalla chiusura della porta santa. A questo si
devono aggiungere i tempi tecnici per bandire le
gare di appalto, ognuna delle quali è dovuta passare sotto la lente d’ingrandimento dell’Anac, l’autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone.
E ai ritardi si sono sommati altri ritardi.
Con lo stanziamento dei fondi del governo, le
voci di spesa messe (almeno sulla carta) in cantiere
lievitano a 146. Tra queste, a fare la parte del leone
è il nuovo piano di illuminazione a led della città:
52 milioni di euro la spesa prevista, per far risplendere agli occhi di turisti e pellegrini gli angoli più
bui della città. Si parte da piazza San Pietro e via
della Conciliazione, che a dicembre 2015 brillavano di nuova luce. Ma dopo questo non risultano
altri interventi di rilievo. E lo stato di attuazione del
piano led è come il Circo Massimo di sera: oscuro.
Al danno di ricevere i fondi in ritardo, il Comune di Roma ha aggiunto la beffa, non riuscendo a
impegnare tutti i soldi entro il 20 novembre. Così
per via di inadempimenti burocratici, 25 milioni di
euro stanziati dal Consiglio dei ministri rischiavano di tornare nelle casse del governo. Per salvarli,
in zona Cesarini si è usato un trucco lessicale: da
«interventi per il Giubileo» che erano inizialmente, quelli finanziati da Palazzo Chigi sono diventati
«interventi in occasione del Giubileo». A cosa siano
stati destinati i soldi così recuperati lo ha spiegato
l’assessore al bilancio Andrea Mazzillo: «Abbiamo
proceduto a potenziare i jumbo bus snodabili che
dal centro portano al Vaticano, con un investimento apposito per questa linea di 4 milioni e mezzo
di euro». Era il 18 novembre: due giorni prima della
fine dell’Anno Santo.
Altri quattro milioni di euro erano stati spesi
per l’«incremento servizi di pulizia e spazzamento
della città» durante il periodo giubilare, 2 milioni
e mezzo per sistemare i giardini di piazza Vittorio,
900mila euro per il «restauro aree verdi limitrofe al
Colosseo». Che però già sono tornate a straripare
di rifiuti: bottiglie e sacchetti di plastica, lattine e
cocci di vetro fanno capolino nei selfie dei turisti
meno avveduti. Va un po’ meglio nel vicino parco di Colle Oppio, restaurato con 600mila euro di
fondi del Comune e altrettanti del governo: «Hanno ripulito e hanno anche sistemato il verde», racconta un frequentatore della zona, «adesso speriamo che riescano a mantenerlo così com’è».
Speranze, che si aggiungono alle tante
promesse fatte in questo Giubileo. Di opere
invece se ne sono viste poche. E forse il Comune di Roma dovrebbe prendere esempio
dai più devoti pellegrini e intonare il mea
culpa. La preghiera recita così «Confesso che
ho molto peccato, in pensieri, parole opere e
omissioni, per mia grandissima colpa»
6
R
IL CASO
L'ostello fantasma
L'ex manicomio di Santa Maria della Pietà avrebbe dovuto accogliere frotte di pellegrini.Tutto era pronto a marzo, ma una firma blocca l’apertura.
E da cinque anni Roma non ha una soluzione low-cost per i giovani
Michele Fratto
Roma, quartiere Monte Mario. Il
cancello del padiglione 11 del Santa
Maria della Pietà, l’ex manicomio cittadino, è chiuso. Paolo Iannini, 24 anni,
amministratore unico di Futura Service Srl, esclama: «E’ una vergogna. Tutto bloccato per colpa della burocrazia, per una sola firma». L’ostello della
gioventù, uno dei tanti progetti per il
Giubileo della Misericordia, non vede
ancora la luce. La firma del dirigente
regionale predisposto al patrimonio e
demanio, già indagato per il crollo della scuola di Amatrice dopo l’evento sismico dello scorso agosto, sul contratto di concessione non è ancora stata
depositata e Iannini non può aprire l’ostello. «Il paradosso è che una bozza di
contratto concordata è stata presentata in fase di gara – puntualizza Ianni-
7
ni-. Solo che ora non viene formalizzata». Due le mancanze nel contratto
riscontrate dal dirigente: le manovre
straordinarie (danni strutturali quali infiltrazioni nelle tubature o crollo
del tetto) a carico della ditta appaltatrice e l’assenza di una base d’asta nel
bando di gara. Mancanze che lo stesso Iannini definisce incomprensibili:
«Le manovre straordinarie non erano
a nostro carico nella bozza di contratto che l’Ente ha presentato e la base
d’asta era presente nel bando di gara».
Un rompicapo burocratico da analizzare passo dopo passo. Nel settembre
2015 la Regione Lazio stanzia 500mila
euro per riqualificare i padiglioni 11 e
15 a ostello, per un totale di 140 posti
letto. Al termine dei primi lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza, la
Regione pubblica il bando di gara per
l’affidamento in concessione dei padiglioni, che si tramuteranno in “Hostel”:
non un B&B, ma un luogo di accoglienza dove pernottare in camerate da due
o quattro persone con possibilità di ristorazione autonoma tramite cucina e
sala in comune. La gara viene vinta da
Paolo Iannini, presentatosi come ATI
Luxardotel e Futura Service. La base
d’asta di 207mila euro per 9 anni di affidamento viene aumentata dall’amministratore unico di Futura Service del 100%, superando quella presentata dalla Società La
Griffe Hospitality Group. La struttura torna
alla sua primaria funzione di accoglienza
dei pellegrini. Il sacerdote sivigliano Ferrante Ruiz, infatti, fondò il complesso nel
1548 come punto di ricezione per i pellegrini attesi per l’Anno Santo del 1550. Solo
qualche anno più tardi si specializzerà
nell’accoglienza di epilettici, dementi senili e schizofrenici. «Appena vinto la gara
– spiega Iannini - abbiamo subito presentato il nostro piano d’affari (documento
che sintetizza i contenuti e le caratteristiche del progetto imprenditoriale). E’ da
marzo che i due padiglioni sono pronti a
ricevere i pellegrini. Per gli interni abbiamo utilizzato materiali riciclati e coinvolto
il maggior numero di attivisti delle associazioni culturali presenti in zona per svolgere i lavori. Tutto questo per accentuare
il tono di aggregazione socio-culturale del
progetto di riqualifica. In risposta ai nostri
sforzi abbiamo ricevuto un ricorso da parte della seconda classificata». Nel maggio
scorso, infatti, la Società La Griffe Hospitality Group presenta un ricorso al Tar del
Lazio per annullare l’affidamento. Ricorso
respinto dal tribunale “sia per tardività che
per infondatezza delle censure proposte”.
Intanto l’Anno Santo è finito, i pellegrini giungono nella Capitale e, nonostante
i proclami, continuano a trovare l’ingresso sbarrato. E sarà così per tutto l’evento
giubilare. «La situazione sta assumendo
dei toni assurdi – afferma Silvana Denicolò, consigliere regionale del Movimento 5
Stelle-. Non abbiamo prove certe ma la dirigenza predisposta al demanio ha voluto
rimischiare le carte. Addirittura vogliono
ripartire con un altro bando, nel tentativo di annullare quello vinto in maniera
regolare dalla Futura Service. Noi, stando
all’opposizione, non abbiamo giurisdizione in merito. L’unica azione che possiamo
compiere è richiedere ulteriori atti ispettivi per cercare prove concrete che suffraghino le nostre ipotesi». Iannini toglie la
catena e spalanca l’ingresso dell’ostello.
Dentro, pareti dai colori vivaci che variano
dal giallo al turchese accompagnano i visitatori nelle prime stanze. Divani ricavati
usando gabbie per animali e poltrone nella hall. A destra e sinistra, stanze con letti
singoli, a castello, già muniti di materassi
e cuscini. Bagni con sanitari già installati.
Stesso tema nel piano superiore, con altre
camere. Nel piano interrato la sala di ristoro comune, suddivisa tramite due archi in
sei nicchie, finisce con una lavagna, dove
poter riportare le proprie sensazioni ed
esperienze, centrata con una grande scritta “Rome city”. Una soluzione di soggiorno low cost, con una spesa massima di 26
euro per notte, che manca dalla chiusura
dell’ultimo ostello della gioventù in zona
Foro Italico nel 2011. Da quell’anno più
nulla. A denunciare la situazione e supportare la Futura Service c’è anche l’Associazione Ex Lavanderia, che insieme al Comitato “Si può fare” lotta da quindici anni
per garantire l’uso pubblico, culturale e
sociale del Santa Maria della Pietà. «Eravamo certi che questa volta – incalza Chiara
Cavallaro del Comitato Si può fare – gli impegni assunti dalla Regione in occasione
del Giubileo della Misericordia avrebbero
portato a inaugurare le strutture di ospitalità giovanile nel complesso. Il ricorso al
Tar si è chiuso a maggio scorso. Perché a rispondere, è il Commissario della Asl e non
la Regione Lazio, essendo gli ostelli previsti nei padiglioni già iscritti al patrimonio
della Regione?». Domande che ancora non
trovano risposta, anche se Iannini afferma
che «la decisione finale ci sarà nel periodo
natalizio, poiché tramite il nostro ricorso
all’Anac le parti devono decidersi entro
una certa data di scadenza e non oltre”. Insomma, per adesso Roma continua a non
avere un ostello della gioventù. In compenso, ne ha uno “fantasma”.
Iannini, proprietario unico di Futura Service: «È una vergogna.
Tutto è bloccato per colpa della burocrazia, per una sola firma»
8
R
LA STORIA
Mama Chiesa
in giro per il mondo
Da Bangui alle Isole Salomone: sono 588 le Porte Sante ufficialmente
aperte quest'anno. È l'eredità del primo Giubileo diffuso
Cattedrale di Tromsø, Norvegia
Giulia Cavola
Migliaia di Porte Sante sparse in cinque continenti, da Tromso in Norvegia, alle isole Fiji. Tre
milioni di pellegrini a Guadalupe, in Messico.
Non sono solo questi dati a raccontare il primo
Giubileo diffuso della storia. C’è di più, sono le
persone a spiegare cosa sia cambiato. Cattolici
di nazionalità diverse si sono interrogati sullo
stesso tema nello stesso momento, e anche se
ognuno l’ha fatto a modo suo, alla fine le risposte sono sorprendentemente simili. È il 25 novembre 2015, mancano tredici giorni all’inizio
del Giubileo e il Papa vola a Bangui, in Repubblica Centrafricana. Fa un’omelia in cui parla di
una Chiesa uguale per tutti, di una Chiesa che è
“madre”. Da lì per Bergoglio deve partire il Giubileo diffuso. Così la prima Porta Santa a essere aperta non è quella di Piazza San Pietro, ma
quella di Bangui, in Africa.
A dimostrazione che se la cattedra romana rimane simbolo del potere spirituale della
Chiesa, il cuore della cristianità non sta più solo
lì. Si trova in ogni diocesi del mondo, che per
questo deve avere una propria Porta. Il senso
di questo gesto lo spiegano bene le parole di
chi si è trovato, forse per la prima volta, a veder
messa in pratica quella che in fondo è sempre
stata una missione per la Chiesa. Padre Mehari
Abtei gestisce la Comunità Cattolica Eritrea di
Roma, si dice contento per la scelta del Papa e
la interpreta così: «La nostra Chiesa cattolica è
unità in diversità, quindi non è limitata in qualche luogo. È “mamma”, così accoglie sempre i
suoi figli, perché una madre non fa differenze
tra i suoi figli. Il Vangelo delle origini è così: di
fronte a Gesù siamo tutti uguali. È vero, il Papa è
3
9
guida di tutti, ma se guardo al popolo del mondo, non tutti hanno i mezzi. Avere una Porta
Santa nel tuo paese ti permette di vivere il Giubileo». Non solo un valore simbolico, ma anche
una questione concreta: chiunque deve poter
compiere il pellegrinaggio sotto le Porte Sante.
Chiunque deve poter accedere al perdono, alla
Misericordia di Dio. La prima Porta Santa in Africa non è una scelta casuale, ma è in linea con un
cambiamento che la Chiesa ha messo in atto da
tempo. Da qui una missione: andare ovunque
ci sia un fedele disposto a seguirla. Così da quel
giorno in tutto il mondo è stato un proliferare
di porte. Solo in America sono state 198, divise
tra diciannove nazioni. Alla fine in tutto il globo ce ne sono state 588, a volerle contare. Ma
queste sono solo quelle che si possono scoprire,
una a una, sul sito del Giubileo. Restano escluse
tutte quelle che non sono legate alle cattedrali, né alle diocesi. Tutte le porte, di tutte le celle,
di tutte le carceri, per esempio diventano Porte
Sante. Che dire poi della tenda “santa” nel Kurdistan iracheno, o della porta itinerante delle Isole
Salomone? Ufficialmente le diocesi di tutto il
mondo hanno stimato una partecipazione media tra il 56 e il 62 percento della popolazione
credente complessiva. Ma poi ci sono i singoli
eventi, che hanno avvicinato tante persone
ai santuari più grandi e noti. I dati parlano in
modo evidente: 3 milioni di visitatori in media
nelle principali basiliche del mondo. Alla fine
dell’Anno Santo sembra che i cattolici abbiano
sancito il successo della scelta di Bergoglio di
rendere il Giubileo universale. Una scommessa
vinta, su questo fronte, almeno nei numeri. Ma
Porta Santa itinerante, Isole Salomone
c’è anche un insondabile che i calcoli non possono ponderare: il vero interrogativo è cosa sia
rimasto nelle persone, al di là della complessa
macchina organizzativa. «In Argentina il Giubileo è stato vissuto normalmente» racconta
per esempio Juan Nannini, che da anni vive nel
paese sudamericano. Certo però, secondo lui
ci sono state delle differenze: «Molto è dipeso
dalle diocesi, da come i loro vescovi hanno gestito gli eventi durante tutto l’anno. La nomina
di Francesco ha avuto un peso e ha rallegrato
molto gli argentini, dopo però l’effetto si è un
po’ diluito». Anche la testimonianza di Padre
Mehari conferma queste diversità. Nella sua
Comunità l’Anno Santo ha avuto anche un altro
significato: «La messa conclusiva del Giubileo
noi l’abbiamo fatta un po’ in anticipo, nel giorno
di San Michele, così da poterla svolgere insieme
agli eritrei ortodossi. Tutti insieme. Il problema
di oggi, del nostro mondo, è il problema dell’altro. Abbiamo organizzato tante confessioni,
perché aiutano a trovare la Misericordia di Dio,
specialmente per guardare a se stessi, per cercare se stessi. Se l’uomo non conosce se stesso,
non può conoscere l’altro». Questo è un dato
che non potrà mai apparire nelle stime ufficiali e forse cela il significato profondo del Giubileo diffuso.
È una visione del rapporto individuale con Dio accresciuta di significato. Lo spiega bene Ricky Ollano,
che ha vissuto il Giubileo a Manila, nelle Filippine:
“Perdonare è difficile, ma se abbiamo la fede dalla
nostra parte, se sentiamo il perdono di Dio, allora
possiamo farlo anche noi. In quest’anno ho sentito
che dovevo estendere l’amore che ho percepito anche agli altri”. Un percorso da fare per tappe quindi,
che passa attraverso la propria consapevolezza del
rapporto con Dio. Prova a spiegarlo meglio Cristof,
che ha vissuto il Giubileo in Polonia, come almeno
altre 5 milioni di persone: «Per me il punto è stato
far capire alle persone cos’è veramente la Misericordia. Ora l’ho capito. È molto di più del perdono
per i peccatori, che poi non ricordano quello che
era sbagliato. È molto di più. Ora so che questa Misericordia è più grande: guarisce anche le ferite che
porti e quelle che hai causato». Sembra così che a
spingere tanti pellegrini a frequentare i santuari non
sia il gesto in sé di passare sotto la Porta Santa. C’è
qualcosa di più: «Nel corso di quest’anno ho scoperto che la Misericordia di Dio è qualcosa di cui posso
beneficiare nella mia vita di tutti i giorni». Risposte
diverse per lo stesso interrogativo di fondo: Cosa
vuol dire sentire la Misericordia di Dio oggi? Alla
fine c’è un unico filo conduttore, che emerge dai
racconti e dalle testimonianze di chi ha partecipato
al Giubileo. Ollano lo riassume così: “Quest’anno è
stato anche una chiamata, una richiesta di tornare
a Dio dopo tanto egoismo”. Del resto lo aveva detto
lo stesso Papa nel luglio 2015: «Credo che questo sia
un kairós, o momento opportuno: questo tempo è
un kairós di misericordia». Una necessità evidente,
che ha portato i cattolici di tutto il mondo a confrontarsi con se stessi e inevitabilmente con l’altro. Così
alla fine l’immagine che questi racconti disegnano è
quella di un Anno Santo che è stato per tutti, verso
tutti, a casa di tutti. Ecco il Giubileo diffuso. Ecco il
primo Giubileo diffuso della storia della Chiesa Cattolica romana.
Sacred Heart Cathedral, Isole Fiji
Santuario della Madonna di Guadalupe,
Messico
Il sacerdote eritreo: «Così siamo uniti nella diversità.
E la nostra Messa finale l'abbiamo fatta con gli Ortodossi»
10
R
GESTI SACRI
Tutto il mondo è Vaticano
Sono arrivati a San Pietro da ogni continente. Avevano un unico scopo, ma diversi modi di pregare: dalla compostezza
degli anglosassoni, all'inshallah degli arabi
Lorenzo Gherlinzoni
Croci al collo, mani giunte, giovani in clergyman e veli da suore. Ma anche auricolari nelle
orecchie, occhiali da sole specchiati e smartphone
nelle mani. Si incontra un po’ di tutto nelle code
che avanzano verso la porta santa di San Pietro
in Vaticano. Eppure, il passaggio sotto gli stipiti
di marmo, il più importante atto devozionale dei
pellegrini venuti a Roma da tutto il mondo, non è
solo hashtag e like sui social. Una carezza più lunga, fugaci segni della croce, genuflessioni riverenti.
Per la Chiesa, la porta santa rappresenta il luogo di
transito dal peccato al perdono. È il simbolo dell’apertura di Dio agli uomini, fatti di piccole debolezze e grandi vanità. E i fedeli che l’attraversano sembrano saperlo meglio di chiunque altro. Il selfie
scattato sotto la sacra porta e il bacio alle formelle
di bronzo che ne ornano le ante non si escludono.
Anzi, si integrano.
La foto da postare sui social è un segno del
pellegrinaggio come altri. Da Lourdes, in fondo, si
torna con una boccetta d’acqua miracolosa, e da
Santiago de Compostela si riporta una conchiglia,
una valva di capasanta. Molti, dopo lo scatto, si
accostano alla porta. La toccano, la baciano, si segnano come davanti a una reliquia o un’icona miracolosa. Ma non sono soltanto le ante del grande
ingresso laterale ad attirare le mani dei fedeli. Anche la statua bronzea dell’apostolo Pietro, seduto
in cattedra con le chiavi in mano, è oggetto di particolare devozione. I pellegrini sono soliti sfiorargli i
piedi. Che ormai sono diventate due protuberanze informi, usurate da secoli di una pietà popolare manifestata, forse, con troppo entusiasmo. La
preghiera sussurrata e il bisogno elementare di
toccare i luoghi santi con le proprie mani. La foto
3
11
GESTI PROFANI
Ora et odora
Rosari profumati, selfie e una corsa alla condivisione sui social. Ma di sociale spesso rimane solo l'hashtag
Gaia Mellone
di rito e il rito del passaggio. Il sacro e il profano che
si fondono e si confondono. Due facce della stessa
fede, nel primo Giubileo del XXI secolo.
Sono molte le forme che questa pietà ha saputo prendere, durante l’Anno Santo. Cristianesimi così lontani da apparire quasi religioni diverse.
Le ampie navate della basilica di San Pietro sono
il palco su cui va in scena lo spettacolo della fede
umana. Gli anglosassoni si riconoscono, oltreché
per i calzini beige a metà polpaccio, per la compostezza nella preghiera. La freddezza, invece è più
dei tedeschi. Che allo scorso Giubileo, quello del
2000, l’ultimo di cui si abbiano dati certi, si erano
distinti per essere la nazionalità meno propensa
a lasciare oboli e offerte, e che meno aveva speso
per l’acquisto di santini e souvenir. Sono cattolici,
ma restano allergici a confondere le preghiere con
il denaro. Il culto per le immagini e per i corpi dei
santi è, invece, tutto italiano. Una coppia di anziani
si ferma davanti alla teca che conserva la salma di
Giovanni XXIII. «Noi c’eravamo, in piazza San Pietro,
la sera del discorso alla luna», dice lei sostenendosi con un braccio al marito e con l’altro al bastone.
Un lampo di commozione guizza dietro le spesse
lenti degli occhiali da vista. «Quando ci disse di tor-
nare a casa e dare una carezza ai nostri bambini,
già sapevamo che era un santo. Ora siamo tornati
per il Giubileo, a chiedergli una grazia». Da allora le
chiome sono imbiancate, i bambini cresciuti. Ma
l’Anno Santo è anche questo, l’occasione per viaggiare dentro se stessi, ripercorrere il sentiero della
propria vita.
Messa delle 17. Il latino rende la liturgia inaccessibile a tutti, italiani e stranieri. Ma la gente che
partecipa non è poca, e sono molti i pellegrini venuti da lontano. Al rito dello scambio della pace, ci
si volta verso il banco di dietro. Una famiglia asiatica sfodera sorrisi dai denti perfetti. I due ragazzi,
dopo qualche esitazione, stringono le mani che
sono loro porte. I genitori sembrano in imbarazzo. Non ricambiano la stretta, ma s’inchinano nel
tipico saluto giapponese, il ritsurei. Lo sguardo nei
loro occhi affilati sembra chiedere scusa. Capiscono di aver fatto una scortesia. Ma il contatto fisico,
nel Paese del Sol Levante, resta ancora un tabù.
Persino a messa.
Uscendo dalla basilica, un ultimo sguardo alla
Pietà. Un uomo si è buttato a terra di fronte al capolavoro di Michelangelo, rannicchiato al di qua
del vetro che protegge il marmo. È un vecchio
vestito all’orientale, porta la barba come gli arabi.
E come gli arabi in moschea, si prostra davanti alla
statua. Ma non è mussulmano. È un cristiano di
Siria, scappato dalla guerra. Dice di essere venuto a ringraziare il Cielo per aver avuta salva la vita.
Dietro di lui, la moglie in piedi indossa il velo. Da
loro, persino il nome di Dio è lo stesso che usano
gli islamici. «Prima o poi, torneremo nel nostro Paese», mormora facendosi il segno della croce. «Se
Allah lo vorrà».
«Da che parte devo andare per la Basilica di San
Pietro?» chiede il turista americano alla guida. «Scusi sono in pausa, non vede che sto mangiando?» risponde lei. «Pazienza, ho fretta, dove devo andare?».
Alla faccia della misericordia.
«Se aspetta un attimo le spiego anche un po’ di
storia» dice poi al turista maleducato, che però aveva altri obbiettivi: «Non mi interessa, devo solo fare
la foto» Un’immagine che, oltre a finire nell’album di
ricordi della visita romana, sarà sicuramente stata postata su internet. Comportamento da pellegrini o da
turisti? La differenza è sottile. Il Giubileo straordinario
della Misericordia indetto da Papa Francesco ha rispecchiato anche le abitudini peggiori di questi tempi, legati in maniera indissolubile ai social network. Lo
stesso click vale sia per il pranzo del giovedì che per il
passaggio sotto la porta santa di domenica. L’impegno è più o meno lo stesso. L’unica differenza vera,
sono una manciata di likes. Anche in occasione di
questo Giubileo, i social hanno fatto da grandi protagonisti, nel bene e nel male. A partire dai profili creati
ad hoc per l’evento (@Giubileo2016) fino agli account
ufficiali di Papa Francesco, 9 in tutto, in diverse lingue
per comunicare con i “Franciscus” di tutto il mondo,
il nome dato ai suoi followers. E c’è da dire che sono
tanti. Il profilo principale di Twitter, sotto il nickname
@Pontifex, registra oltre 10 milioni di seguaci. Ma non
solo Twitter: Mario José Bergoglio è presente anche
su Facebook e Instagram. Proprio sul social fotografico, le sue foto venivano ri-postate da moltissimi fedeli: l’apertura della porta santa, immagini delle omelie,
scatti di San Pietro. Ma sotto gli hashtag più di tendenza come #giubileo #giubileodellamisericordia
#annogiubilare2016, spuntano anche migliaia di facce. E poi c'è l'applicazione ufficiale del Giubileo. Per gli
organizzatori l'app aveva un intento preciso: quello di
promuovere la nuova evangelizzazione. Attraverso
l’interfaccia “sicura e intuitiva”, il telefono è diventato
la guida del pellegrino smart, proponendogli anche
le preghiere. Al costo di 0,99 centesimi. C’è chi l’ha recensita come “perfetta” e chi invece, dice che non si
apre e non funziona. Ma il Giubileo è fatto anche di
gadget e souvenir, di ricordi che non diventano solo
foto ma oggetti, da portar via con sé. E lì si è scatenato il lato trash della fede. Magneti da frigo, santini
vari e immagini del Papa, ma soprattutto rosari, che
presentano una novità giubilare: sono profumati al
petalo di rosa. Gli ambulanti espongono offerte vantaggiose: 12 rosari per dieci euro, ma solo per quelli
made in China. Per il made in Italy, dal profumo più
forte, niente svendite: il costo di ciascuno è di 3 euro.
Da Ora et labora a Ora et odora. E che cos’è la “Misericordina”? È il gadget più popolare, stando ai venditori
ambulanti di via della Conciliazione. Una popolarità
dovuta alla sponsorizzazione del Papa durante l’Angelus del 17 Novembre.“Si tratta di una‘medicina spirituale’chiamata Misericordina – aveva spiegato Papa
Francesco dalla finestra del palazzo Apostolico - Non
dimenticatevi di prenderla, perché fa bene, eh? Fa
bene al cuore, all’anima e a tutta la vita!”. La confezio-
ne ricalca in tutto e per tutto quella di un medicinale,
con il muscolo cardiaco di un rosso brillante stretto in
una corona di spine. “59 grani per il cuore”, e all’interno della scatolina, si trovano una corona del Rosario,
un’immagine di Gesù misericordioso - con la scritta
«Gesù confido in te» - e il classico bugiardino, con
posologia e istruzioni per l’uso. “Misericordina è un
medicinale spirituale il quale fa arrivare la misericordia nell’anima – si legge nel foglietto illustrativo- Lo si
avverte tramite la tranquillità al cuore, la gioia esterna
e il desiderio di diffondere il bene. L’efficacia del medicinale è garantita dalle parole di Gesù”. Indicate anche
quantità di somministrazione (“si consiglia una volta
al giorno, negli stati acuti tante volte quante ne senti
bisogno”), modalità di assunzione (“trovare un posto
tranquillo, inginocchiarsi, tranquillizzarsi, farsi il segno
della croce e guardare l’immagine dicendo con fiducia ‘Gesù. Confido in Te’ ”). E una rassicurazione per gli
ipocondriaci:“Non si avvertono effetti imprevisti e controindicazioni”. L’iniziativa però non è una novità. La Misericordina era nata grazie a Santa Faustina Kowalska,
suora mistica polacca canonizzata da Giovanni Paolo II
nel 2000. A proporla a Papa Francesco per quest’anno
giubilare straordinario, è stato Konrad Krajevski, elemosiniere pontificio. La si può trovare in vendita sul sito
Holyart.it, il primo e-commerce di arte sacra e articoli
religiosi, a poco più di 4 euro. Le "misericordine gratuite
erano state distribuite da volontari e religiosi, profughi,
poveri e senzatetto. Una scelta che ricalca la dedica
dell’anno giubilare, rivolto ai più sfortunati e si mendicanti. Infatti, scorrendo le foto di Instagram, si vedono
anche loro, per la memoria di questo anno della fede
nel web. Uno in particolare, che ottiene solo 3 likes, è
steso a terra, forse addormentato, circondato dai pellegrini. Che però, guardano da un’altra parte.
12
R
IL RACCONTO
Pio XIII: «Il mio Giubileo rock»
Piume di struzzo, tiara e sedia gestatoria. Tra lusso e iconoclastia, anche il Papa di Sorrentino ha celebrato il suo Anno Santo.
Sulle note di Baba O’Riley
Lorenzo Gherlinzoni
Torme di pellegrini scalzi salgono a
passi frettolosi la scalinata della Basilica
di San Pietro. Avemarie mormorate, rosari sgranati. La Chiesa è chiamata a chiedere perdono. «Cosa abbiamo dimenticato?», aveva tuonato la voce di Pio XIII,
al secolo Lenny Belardo, in occasione del
suo primo discorso pubblico dalla Loggia delle Benedizioni. «Ci siamo dimenticati di Dio. Voi, voi vi siete dimenticati
di Dio!». La piazza era piombata in uno
sbigottimento muto, mentre il primo
papa americano della storia le puntava il
dito contro, in segno di accusa. «Tutti noi
siamo soli davanti a Lui. Ed Egli non si occuperà di noi fino a quando noi non ci
occuperemo di Lui. Io non vi aiuterò, non
vi indicherò nessuna strada». Un senso
di claustrofobia aveva dato quel colon-
13
nato del Bernini, che sotto altri pontificati era sembrato abbracciare il mondo.
Poi, inaspettato, l’annuncio. Il Giubileo
dell’Espiazione.
I pellegrini riuniti in piazza san Pietro
per l’apertura dell’Anno Santo non hanno selfie stick né smartphone. Le guardie
ai tornelli sotto al colonnato hanno l’ordine di requisirli, perché il Papa ha detto che nessuno ha il diritto di fermare in
un’immagine il passaggio sotto la porta
santa. Ritrarre se stessi, vanità delle vanità. Si racconta che, durante il suo primo viaggio in Africa in uno dei villaggi
gestiti da suor Antonia, Pio XIII non sia
sceso dalla sua auto fino a quando il segretario di Stato non è riuscito a requisire l’apparecchio con cui la religiosa
voleva fotografare se stessa a fianco del
La Cappella Sistina? È finta
Un amore manifesto e dichiarato, quello
tra Paolo Sorrentino e la città di Roma. Che
il regista napoletano ha più volte rappresentato in alcuni dei suoi film di maggiore
successo, da Il Divo a La Grande Bellezza.
Anche The Young Pope è un inno alla Capitale, che nella serie televisiva appare quasi
una città incantata. Ma Sorrentino non è
riuscito a farsi concedere dalla Santa Sede
i permessi per girare all’interno della Città
del Vaticano. Ecco allora che molte scene sono state riprese a Villa Medici, Villa
Piccolomini, Villa Doria-Pamphilj con il
Casino dell’Algardi, l’Orto Botanico, l’Hotel Mediterraneo in via Cavour. Gli appartamenti papali in realtà sono gli eleganti
interni di Palazzo Braschi, che affaccia su
piazza Navona, mentre l’eliporto vaticano
si trova all’Olgiata. Per la Cappella Sistina
ci si è dovuti accontentare di una ricostruzione a Cinecittà. Molti infine i ciak fuori
città, in particolare Villa Lante a Bagnaia,
in provincia di Viterbo, e la spettacolare
piazza San Marco a Venezia.
Papa. Lungo via della Conciliazione e in tutto il rione Borgo, niente venditori di bibite e
panini. Sono scomparsi anche i gadget che
facevano la felicità degli ambulanti: niente miniature del Colosseo e del Cupolone,
niente peluches con gli smile, niente elmi in
plastica da legionario. Nulla deve distrarre
il fedele dalla richiesta di perdono a Dio. E
poi l’accanimento contro le immagini. Non
esistono ritratti autorizzati di Pio XIII. Quindi
niente santini. Anche le fotografie dei predecessori sono scomparse. Il nuovo pontefice
è una contraddizione in pallio e piviale. Ha
uno spirito calvinista. Siamo soli davanti a
Dio, insiste, e il nostro destino è già scritto.
Il suo, era quello di diventare il successore di
Pietro. Ma ha anche un gusto holliwoodiano,
questo Papa. I flabelli in piuma di struzzo e la
tiara di Paolo VI rappresentano per lui qualcosa di più della semplice tradizione. Sono
parte di una coreografia fatta apposta per
stupire. La sua unica apparizione pubblica,
per aprire la porta santa, ha preso in contropiede la piazza.
Altoparlanti nascosti tra le colonne e lesene della facciata del Maderno rompono il
silenzio della piazza. Coppie di note tremolanti e concitate di un organo elettrico. Inizia
la grande bellezza di uno spettacolo antico
come la piazza in cui si svolge. Stavolta, a ritmo di rock. Occhi puntati sul fondo del colonnato. Pio XIII si mostra. Pianoforte. Do Sol
Fa, Do Sol Fa. Il Papa si alza dalla sedia gestatoria, portato a spalla dai sediari pontifici. È
in alto. Irraggiungibile come un’icona russa.
Giro di percussioni che scuotono la piazza,
la batteria segna il tempo. Pio XIII, le braccia
aperte come un Cristo in croce, lo sguardo
puntato al cielo, avanza tra due ali di pellegrini senza parole. Il suo mantello splende
d’oro sotto il sole di Roma. Tutta la Chiesa,
ora, è Pio XIII e nient’altro all’infuori di lui.
«I don't need to fight/To prove I'm right/I don't
need to be forgiven», non ho bisogno di combattere, né di provare che ho ragione, non ho
nulla da farmi perdonare. Risuonano ancora
pesanti come un macigno le sue parole. «Io
non ho nulla da dire a quelli che hanno anche il minimo dubbio riguardo a Dio. Io non
devo provare la Sua esistenza, spetta invece
a voi provare a me che non esiste». Un giovane mendicante guadagna la prima fila, se
lo vede sfilare davanti agli occhi. «Don't cry/
Don't raise your eye/It's only teenage wasteland», non piangere, non alzare i tuoi occhi,
è solo desolazione giovanile. Questo è un
papa che non vuole lacrime di commozione
dai suoi fedeli. Esige piuttosto la loro soggezione. Non può mostrarsi al mondo perché
del mondo ha paura. Porta dentro di sé le cicatrici dell’infanzia, il vuoto dell’abbandono.
Il Papa scende dalla sedia gestatoria e
sale la scalinata, da solo. La chitarra elettrica ruggisce nella piazza. È davanti alla
porta santa. Con un martelletto batte contro le formelle di bronzo che ne ornano le
ante. La batteria ritma i colpi, la musica incalza. La porta viene aperta dall’interno e
il Pontefice, piccolo e lontano dalla folla, si
Buone nuove, The Young Pope 2 presto in TV
Ottime notizie per tutti i fedeli di Pio XIII. La
seconda stagione di The Young Pope, la serie di
successo coprodotta da HBO e Canal+ e diretta
dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino, tornerà presto sui palinsesti di Sky Atlantic. A rivelarlo è stato lo stesso Sorrentino, che ha ammesso
di avere accantonato (almeno per il momento)
il film Loro, sulla figura di Silvio Berlusconi, per
dedicarsi completamente alla fase di scrittura
della seconda stagione sul giovane Papa. Così,
The Young Pope potrebbe arrivare sugli schermi
televisivi prima di quanto si credesse fino a qualche mese fa. Forse già il prossimo anno. Molto
dipenderà anche dalla disponibilità degli attori,
dal protagonista Jude Law a Diane Keaton e Silvio Orlando.
inginocchia, aggrappato al pastorale. L’ultimo movimento di Baba O’Riley degli Who
scuote le 140 statue che s’innalzano sopra
il colonnato. È un ritmo zigano, che infonde
un’irresistibile voglia di ballare. Per aprire
il suo Giubileo, questo Papa americano ha
voluto stupire il mondo con note che odorano di est Europa. Di falafel yiddish. Di spezie del suk del Cairo. Musica frenetica. Preghiera febbrile. Lui solo. Mani giunte. Estasi.
Silenzio.
R
Quindicinale della Scuola
Superiore di Giornalismo
“Massimo Baldini”
Direttore responsabile
Roberto Cotroneo
Ufficio centrale
Giampiero Timossi, Gianni Lucarini
Progettazione grafica e impaginazione
Claudio Cavalensi
Redazione
Viale Pola, 12 - 00198 Roma
tel. 06.85225358 - fax 06.85225515
Stampa
Centro riproduzione dell’Università
Reg. Tribunale di Roma n. 15/08
del 21 gennaio 2008
[email protected] - www.reporternuovo.it
14