Scu, scacco agli affari dei clan: tra Brindisi e Lecce 58 persone in

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lunedì 12 dicembre 2016
Scu, scacco agli affari dei clan: tra Brindisi e Lecce 58
persone in manette
Seconda operazione nel giro di poche ore nel territorio salentino: dall'omicidio Presta al traffico di
droga, sgominati gli affari dei clan mafiosi del brindisino.
Associazione di tipo mafioso, concorso in omicidio, associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti, porto e detenzione illegali di arma da fuoco e spaccio di droga: sono questi i reati, con
l'aggravante del metodo mafioso, contestati a 58 persone indagate tra Brindisi e Lecce, raggiunte
questa mattina da un'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del tribunale di Lecce su
richiesta della Dia ed eseguita dai carabinieri di Brindisi.
Un'operazione parallela alla "Federico II" che ha coinvolto diverse province anche fuori dal Salento.
L'indagine, avviata dal Nucleo investigativo del Comando provinciale di Brindisi nel settembre 2012
a seguito dell'omicidio di Antonio Presta, figlio di Gianfranco, collaboratore di giustizia e noto
esponente della Scu degli anni '90, ha consentito, in particolare, mediante attività tecniche, di
identificare Carlo Solazzo, come autore dell'omicidio. Inoltre, è stato delineato l'organigramma e gli
assetti organizzativi territoriali della cosiddetta frangia "mesagnese" della Sacra Corona Unita, al cui
vertice si sono avvicendati Antonio Vitale, Massimo Pasimeni, Daniele Vicientino ed Ercole Penna
(da cui la denominazione "Vitale-Pasimeni-Vicientino"), operante, principalmente, nei comuni
meridionali della provincia di Brindisi.
Sono stati identificati i sodali di due articolate associazioni finalizzate al traffico illecito di sostanze
stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana) con basi operative, rispettivamente, nei comuni
brindisini di San Donaci e Cellino san Marco. Gli operatori hanno scoperto che Benito Clemente ed
Antonio Saracino sono stati gli autori dell'attentato dinamitardo, perpetrato il 19 dicembre 2012,
contro un immobile di proprietà del comandante della stazione di San Donaci, il luogotenente
Francesco Lazzari, e che il movente fosse riconducibile all'intensificazione dell'attività repressiva
messa in atto da quest'ultimo, dal momento del suo insediamento nella stazione.
Le attività d'indagine, come accennato, venivano avviate in conseguenza all'omicidio Presta,
verificatosi a San Donaci il 5 settembre 2012. Sin dalle prime fasi delle indagini è risultato evidente
che l'omicidio fosse da ricondurre alla gestione delle attività illecite, in particolare la piazza di
spaccio, perpetrate nei territori di San Donaci e Cellino San Marco.
È stato appurato, infatti, che Antonio Presta, con la sorella Daniela e l'avallo dell'allora convivente di
quest'ultima, Pietro Solazzo, all'epoca detenuto, stavano assumendo il predominio per la gestione
del traffico di sostanze stupefacenti a Cellino San Marco tentando di scalzare Carlo Solazzo, fratello
di Pietro, all'epoca a capo di una compagine criminale dedita allo spaccio in quel comune. In tale
contesto, è stato accertato che il 15 agosto 2012, Antonio Presta e la sorella Daniela avevano
incendiato un'abitazione di Carlo Solazzo, approfittando di un periodo di assenza di questo e della
sua famiglia. Quest'ultimo, il 5 settembre successivo, insieme ad un altro individuo ignoto, si
rendeva responsabile dell'omicidio Presta.
Le successive indagini hanno consentito di individuare gli esponenti di due gruppi criminali mafiosi,
operanti a San Donaci e Cellino San Marco e facenti capo rispettivamente a Piero Soleti e ai fratelli
Carlo e Pietro Solazzo, detti "Cacafave", che gestivano il traffico e lo spaccio di sostanze
stupefacenti e che si avvalevano della disponibilità di armi da fuoco per imporre la loro egemonia in
quei territori.
Pietro Solazzo, dopo la sua scarcerazione, avvenuta nel febbraio 2013, era entrato inizialmente in
contrasto col fratello Carlo per poi riappacificarsi e rientrare a pieno titolo nella compagine criminale.
I gruppi sandonacese e cellinese, attraverso i rispettivi capi, i luogotenenti ed i gregari operavano in
simbiosi e nel pieno rispetto territoriale, evitando pericolose sovrapposizioni e sconvenienti
disaccordi. Si era creato, anzi, una sorta di mutuo soccorso nella gestione delle illecite attività, ma
anche nel commettere atti intimidatori, come quello ai danni dell'abitazione del comandante della
stazione carabinieri di San Donaci sia che trattasse di approvvigionare droga per le rispettive piazze
di spaccio.
I due gruppi criminali concentravano le loro energie nell'espansione dei propri interessi attraverso
nuove alleanze e canali di approvvigionamento di sostanze stupefacenti in particolare per l'acquisto
della cocaina, da immettere sul mercato con enormi vantaggi economici per entrambi.
L'assenza di lotte intestine hanno favorito lo sviluppo delle attività criminali dei due gruppi
consentendo agli appartenenti di trarne agevole sostentamento, anche per quelli detenuti e per i
loro nuclei familiari.
Pietro Soleti, capo indiscusso del sodalizio di San Donaci, si avvaleva dei suoi luogotenenti Floriano
Chirivì (poi detenuto e sostituito dal suo fedele Antonio Saracino) e Benito Clemente. Questi,
attraverso il club "Le Massè" di San Donaci, gestivano il mercato dello spaccio di sostanza
stupefacente: è proprio di fronte a questo luogo che si è consumato l'omicidio Presta.
Altro interesse del gruppo di San Donaci erano le armi, reperite per il tramite del cittadino slavo
Gennaro Hajdari, alias "Tony Montenegro", che le faceva giungere dall'Est Europa.
Il gruppo di Cellino San Marco, guidato dai fratelli Solazzo, si avvaleva dell'operato dei propri
luogotenenti Marco Pecoraro e Saverio Elia e di una capillare rete di pusher, che spacciavano
cocaina sia nel centro abitato di Cellino San Marco e sia nei paesi limitrofi (Guagnano). La droga
veniva approvvigionata da vari canali, naturalmente Torchiarolo, ma anche Oria, Brindisi e Lecce.
Con l'operazione di oggi, che ha inferto un nuovo duro colpo alla criminalità organizzata brindisina,
si è confermato quanto già emerso in precedenti indagini in particolare la volontà dei gruppi criminali
di operare in armonia senza giungere a scontri ma cercando di collaborare nonché il ritorno al rito di
affiliazione, come testimonia la conversazione captata nell'autovettura in uso a Gabriele Leuzzi nel
maggio 2014.