Monastero di Bose

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Rallegratevi!
Gaudéte in Dómino semper:
íterum dico, gaudéte.
Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus:
Dóminus enim prope est.
Nihil sollíciti sitis,
sed in omni oratióne petitiónes vestrae innotéscant apud Deum.
Benedixísti, Dómine, terram tuam,
avertísti captivitátem Iacob.
Rallegratevi nel Signore, sempre:
ve lo ripeto, rallegratevi.
La vostra mitezza sia nota a tutti gli uomini:
il Signore è vicino.
Non siate preoccupati di nulla,
ma in ogni preghiera le vostre richieste siano rese note a Dio (Fil 4,4-6).
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Hai benedetto, Signore, la tua terra,
hai tolto la schiavitù di Giacobbe (Sal 84,2).
Gaudéte in Dómino semper. L’introito della III domenica di Avvento fa risuonare l’invitatorio paolino alla gioia:
«Rallegratevi nel Signore, sempre» (Fil 4,4), mentre nella liturgia di questo giorno il viola si tinge di rosa, evocazione
dell’aurora nelle sfumature del cielo, quale pre-gustazione e pre-sentimento del Sole che sorge: «dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato», sussurra il Padre al Figlio, all’alba dell’incarnazione (Sal 109,3)…
Ci viene qui indicata una gioia che, paradossalmente, è un imperativo, ribadito con insistenza: «ve lo ripeto», ossia:
«lasciate che ve lo dica di nuovo»! Sì, perché questa gioia non è un entusiasmo superficiale, ma un cuore radicato nel
Signore; la Scrittura, infatti, afferma che la fonte di questa gioia non è in noi, ma in Domino: «rallegratevinel Signore»!
Una gioia che non è un’emozione passeggera, ma l’urgenza di rallegrarsi sempre in quel Dio qui lætificat (Sal 42,4), che
rallegra i giorni e le notti del nostro cuore. Una gioia spesso tribolata, una gioia difficile, perché non di rado rigata di
lacrime: «forse – infatti – la nostra gioia è anche abitata dalle prove che l’hanno plasmata» (G. Baudry). Eppure è una
gioia possibile, una gioia che può diventare spaziosa, una gioia che fa spazio, che dilata gli orizzonti; è «la gioia della
speranza» (cf. Rm 12,12), quella gioia che riposa sulla certezza incrollabile della fede: «il Signore è vicino» (Fil 4,5)!
«È una grande realtà questa – scriveva Agostino – per la quale il Signore è salito al di sopra di tutti i cieli ed è vicinissimo
a coloro che vivono nei vari luoghi della terra. Chi è costui che è lontano e vicinissimo, se non colui che per misericordia
si è fatto prossimo a noi? Che è tanto lontano, così altro dagli uomini quanto Dio, l’immortale dai mortali, il giusto dai
peccatori? Non si tratta di una lontananza nello spazio ma nella dissimilitudine. Ebbene, pur essendo immortale e giusto,
lontano da noi come da mortali e peccatori, lui si è abbassato fino a noi per diventare prossimo, lui che era lontano. E
che cosa fece? Poiché egli aveva due beni, noi invece due mali – egli due beni, la giustizia e l’immortalità, noi due mali,
l’ingiustizia e la mortalità –, se egli avesse assunto l’uno e l’altro nostro male, sarebbe diventato uguale a noi e, insieme
a noi, avrebbe avuto bisogno di un liberatore. Che fece allora per essere prossimo a noi? Prossimo: non identico a noi,
ma quasi come noi. Egli non divenne peccatore, come tu sei; divenne però mortale come te. Restando giusto, divenne
mortale. Il Signore, dunque, è vicino, non siate preoccupati di nulla. Sebbene asceso corporalmente al di sopra di tutti i
cieli, non si allontanò con la divinità. Dovunque è presente il Creatore di tutte le cose» (Agostino, Sermo 171,1.3).
È questa la vicinanza del Signore veniente che si fa prossimo, quale Samaritano dell’umanità, il cui passaggio in mezzo
a noi è benedizione per tutta la terra e liberazione dalla prigionia e dalle schiavitù di cuori ingombri di preoccupazioni e
angosce (cf. Sal 84,2). Sì, «il Signore è vicino» (Fil 4,5), e – come afferma altrove Paolo – io «sono pieno di consolazione,
pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione» (1Cor 7,4).
fratel Emanuele
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