Una giornalista e l`imprevisto che le cambia la vita

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Transcript Una giornalista e l`imprevisto che le cambia la vita

VENERDÌ 16 DICEMBRE 2016
LA SICILIA
cultura
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LA RECENSIONE
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Il libro. La storia di
Govindo e quella di una
famiglia che rinasce
In alto, Marina Ricci, storica vaticanista del Tg5 e
autrice del libro «Govindo. Il dono di Madre
Teresa», con prefazione di Enrico Mentana (Edizioni
San Paolo). A fianco la foto di copertina del volume
GIUSEPPE DI FAZIO
I
mmaginate un grande inviato che va in Siria per raccontare la rivoluzione contro il
tiranno e si ritrova, come è
accaduto realmente a Domenico
Quirico, ostaggio di quegli stessi
ribelli di cui avrebbe voluto raccontare la lotta contro il tiranno.
O una vaticanista, incaricata dal
Tg5 di andare a Calcutta per raccontare gli ultimi momenti di
Madre Teresa, che si sente dire
da una suora, come è accaduto a
Marina Ricci: «Perché non prende in affido uno dei nostri bambini che nessuno vuole?».
Nella vita di un giornalista l’imprevisto è di casa. Non solo per le
notizie che si trova a raccontare,
ma anche per ciò che gli eventi
possono provocare nella sua vita.
Durante una conversazione con
alcuni colleghi siciliani nell’autunno del 2014, l’inviato de “La
Stampa” Domenico Quirico raccontava così i suoi ritorni in famiglia dopo lunghi viaggi per lavoro: «Quando un giornalista torna
a casa – diceva – egli è diverso da
come è partito perché l’esperienza del viaggio, comunque, lo ha
trasformato: è prima di tutto lui
una persona diversa».
Catapultata nella Calcutta
di Madre Teresa
Ci son tornate in mente queste
parole leggendo “Govindo. Il dono di Madre Teresa”, lo straordinario libro di Marina Ricci stampato dalle edizioni San Paolo.
Il testo racconta, con una singolare combinazione di razionalità e
forza affettiva, una storia accaduta durante un viaggio di lavoro.
Madre Teresa stava per morire e
l’allora direttore del Tg5, Enrico
Mentana, inviò a Calcutta, con un
preavviso di 24 ore, la sua vaticanista Marina Ricci. «Pensavo – ha
scritto a posteriori Mentana – che
sarebbe stato giusto raccontare
finché era ancora possibile quella
donna [Madre Teresa] e quel luogo [il dormitorio dei moribondi]
che aveva reso muto perfino Karol Wojtyla».
La Ricci, dunque, parte. Controvoglia, perché deve lasciare marito e quattro figli e la vita tranquilla di Roma. E si ritrova, invece,
catapultata nell’estrema periferia
Una giornalista
e l’imprevisto
che le cambia la vita
Il dono di Madre Teresa a Marina Ricci, inviata
Tg5 a Calcutta: un bimbo che nessuno voleva
del mondo, nel luogo della povertà assoluta. Ma, una volta a Calcutta, prova anche lei a fare il suo
scoop: portare le telecamere dentro l’orfanotrofio di Sishu Bhavan
dove operano le suore di Madre
Teresa. Avere il permesso è impresa impossibile, ma non alla
Ricci. E qui accade l’imprevisto.
Vedere il dolore dei bambini e
raccontarlo non può non ferire
una giornalista, che è madre e ha
un cuore grande. Ecco la testimonianza di quel primo impatto nelle parole della vaticanista: «Lasciate le scarpe fuori dalla porta, a
piedi nudi ho varcato la soglia del
dolore bambino. (…) Sulla destra,
per terra, c’era un bambino minuscolo. Aveva le braccia e le gambe
incrociate in una postura quasi
fetale, ferme come se uno spasmo
le avesse inchiodate per sempre
in quella posizione. Era steso sulla schiena e guardandomi cercava
di sollevare la testa senza riuscirci. Sembrava volesse venire da
me o chiedermi di chinarmi su di
lui e di prenderlo in braccio. E
anch’io ero paralizzata. Non riuscivo a rispondere all’invito di
quel corpicino crocifisso». L’impatto con quel bambino concreto
mette a nudo l’umanità della
giornalista. «A Calcutta – ella scrive – mi sono vergognata come
mai nella mia vita. (…) La mia
incapacità di chinarmi su un
bambino crocifisso, la ripugnanza
per la puzza di urina, la voglia di
scappare…».
Evidenza e dono
Da “occidentale perbene”, però,
la Ricci pensa di recuperare. E offre i suoi servigi di giornalista alle
suore e, in un impeto di generosità, anche la disponibilità ad adottare un bambino. Ma si sente rispondere un deciso “No, grazie”,
perché c’era già una lista lunghissima di genitori disponibili.
Quando tutto sembra essersi rimesso a posto, sister Marjorie,
una delle suore di Madre Teresa,
dice alla Ricci: «Prenda uno di
quelli che nessuno vuole. Prenda
un bambino handicappato». Il tumulto che può essere accaduto
nell’animo della giornalista è facilmente immaginabile e la Ricci
lo racconta con tutti particolari (i
SCRITTI DI IERI
Voto dopo Taormina, dov’è la legge?
Difficile armonizzare i sistemi
TONY ZERMO
O
.19
ra non ci si interroga più su quanto durerà
il governo Gentiloni. Ormai tutto lo sanno
che si voterà a giugno. Praticamente subito dopo il G7 di Taormina a fine maggio
comincerà la campagna elettorale. Speriamo che
almeno non ci guastino le vacanze d’estate. Non ci
si chiede nemmeno con quale legge elettorale si
voterà, lo diranno il 24 gennaio i quindici della
Corte costituzionale. Ma allora che senso hanno le
dimissioni di Renzi? Non poteva continuare per
qualche mese, o la sua esigenza primaria non era il
bene del Paese, bensì quella di far dimenticare la
personale sconfitta bruciante del referendum barbino? Se si leggono i sondaggi, danno Renzi al 24%
e il Pd al 12%. A Largo Nazareno sono messi male.
Non risparmia critiche nemmeno «Repubblica» renziana della prima ora. A firma di Stefano
Folli scrive: «Nelle stesse ore in cui il governo
Gentiloni otteneva al Senato la fiducia, il responsabile del Lavoro, il ministro Poletti, consegnava
ai media una singolare dichiarazione, forse la
più sconcertante degli ultimi tempi. Poletti pre-
vede e di fatto auspica che le elezioni anticipate
spazzino via, rinviandole di un anno, il referendum sulla riforma del lavoro, il Jobs Act. Quello
di Poletti è un colpo inferto al neonato governo
di cui fa parte. Prima di annunciare l’arma letale
contro il nuovo referendum sarebbe stato più logico esaminare le conclusioni della Consulta e
verificare se in Parlamento è possibile un intervento correttivo che sterilizzi il quesito e renda
inutile una nuova consultazione. Se ad esempio
tutto ruotasse attorno alla questione dei voucher, forse una correzione non sarebbe improponibile. Viceversa il grado di nervosismo è tale
che il ministro del Lavoro è già pronto alle elezioni». Ma quali elezioni se il presidente Mattarella
ha chiesto di armonizzare i sistemi elettorali di
Camera e Senato, un’operazione né semplice, né
breve, che richiede i suoi tempi? Quindi Poletti, e
soprattutto Renzi, stiano calmi: si voterà quando ci sarà una legge elettorale valida e nel frattempo si dia spazio a Gentiloni, invece di mettergli ostacoli tra le gambe. Ancora Renzi non ha digerito la sconfitta, non ha capito che deve farla
dimenticare. E anche questo ha i suoi tempi.
Il nuovo
presidente del
Consiglio, Paolo
Gentiloni
dubbi, le paure, le telefonate al
marito…). «Ero pur sempre una
giornalista – scrive – per mestiere
e per temperamento abituata anche a dubitare e verificare. E poi
ciò che accadeva, torno a dirlo,
era così violento e così manifesto,
da portare inevitabilmente a
chiedersi se era vero. Ognuno ha
una sua risposta. Io ho dovuto cedere a una evidenza».
Di fronte ai problemi giuridici,
familiari, lavorativi c’era una “evidenza”. «Ricordo bene di essermi accorta con meraviglia che
nessuno di quei visetti riusciva a
colpirmi in modo particolare. Mi
commuovevano, ma nessuno mi
aveva stregata. Solo lui, che non
piangeva, e non si aggrappava ai
miei vestiti, era misteriosamente
riuscito a legarmi a sé». Lui era
Govindo. Il bimbo, gravemente
malato, che i Ricci alla fine hanno
adottato.
Ma questo evento accade, non
dimentichiamolo, nella vita di
una giornalista e, in qualche modo, illumina un mondo dove la
ricerca dello scoop vale più della
verità del fatto. Ecco la questione.
Noi spesso spacciamo per neutralità una posizione preconcetta, un
pre-giudizio con cui siamo entrati
in un contesto. Andiamo in zone
di guerra o di estrema povertà sapendo già cosa dobbiamo portare
a casa. Ci serve solo esemplificare
ciò che abbiamo già deciso di scrivere o realizzare. E, invece, può
accadere qualcosa che ci costringe a rimettere tutto in questione.
Un imprevisto. Qualcosa che non
avevamo messo nel conto e che
cambia il nostro teorema e, forse,
anche la nostra vita. E’ il contrario
dell’ambizione che spesso ci impedisce di vedere o di lasciarci
ferire.
«Se la guardo negli altri – scrive
la Ricci – vedo con chiarezza
quanto l’ambizione produca solitudine e assenza di affetti e poi
aridità e alla fine, paradossalmente, in tanti votati soltanto alla carriera e al mestiere, perfino assenza di professionalità, incapacità di
raccontare il mondo». Un bimbo
“che nessuno vuole” può diventare, invece, una “lanterna viva” che
aiuta a guardare la realtà con occhi diversi e che può tenere unita
una famiglia.
È proprio vero, come sostiene
Quirico, che «quando un giornalista torna a casa da un viaggio di
lavoro spesso è proprio lui una
persona diversa».
Cucchi, poeta
del reale
vertigini
di immagini
A
ripercorrere con l’attenzione che merita l’opera
poetica di Maurizio Cucchi,
difficilmente può accadere
di non esserne attratti per forza di
sentimento, ricchezza d’immaginario ed efficacia di stile, qualità
che sostanzialmente determinano
il suo rappresentare in modo emblematico, e del tutto personale, la
poesia italiana contemporanea nell’epoca che succede a maestri, da
non molto scomparsi, quali Luzi e
Zanzotto, Giudici e Raboni. La sua
parabola è completa: nella massima espressione raggiunta delle sue
possibilità, l’esordio e l’ap-prodo
attuale del poeta Cucchi costituiscono un ciclo organico e totale con
cui dovrà fare i conti qualunque
poeta italiano del nuovo secolo, o
meglio del nuovo millennio.
Lo conferma il volume “Poesie
1963 – 2015”, pubblicato da Mondadori negli “Oscar poesia del Novecento”, che amplia e rinnova il
precedente apparso per le medesime edizioni nel 2001 con l’aggiunta di un testo del 1963 ai precedenti “antichi” e “rari”, di altri
più recenti ma non compresi dai libri editi, infine di un inedito costituito da una sequenza, “Il penitente di Pryp’jat”, che documenta il
lavoro in fieri di Cucchi.
Da “Il disperso”, libro d’esordio
edito ormai quarant’anni fa esatti
(1976) nella prestigiosa Collana
“Lo Specchio” di Mondadori, all’ultimo, “Malaspina” (2013), viene tracciata come una scia luminosa e perenne di un astro che illumina l’orizzonte della poesia italiana in modo imprescindibile,
perché Cucchi riesce ad essere illuminante nello strappare la poesia dalle sedi critiche deputate, nel
farla collidere con la tradizione,
provocando vertigini e immagini
che lasciano il segno e che anticipano il futuro, esplodendo, a seguito di cortocircuiti verbali, in
schegge luminose, in lacerti onirici, in tracce sospese, che si inseguono immergendosi in una lingua perfetta eppure densa, “pastosa”, autentica nel suo essere sublimazione del “parlato”, dunque lingua della realtà.
Al suo apparire “Il disperso” fu –
e continua a esserlo – una rivelazione, in quanto mostrò un istinto
epico senza pari nel Novecento, di
un’epica assolutamente rinnovata
nei modi e nei temi. Da ciò la capacità della poesia di Cucchi di esprimere futuro, nel senso di sintonizzarsi sulla frequenza delle vibrazioni che giungono dal domani, riferendole al nostro presente e
dandone rappresentazione. Ciò
che Cucchi mette sulla scena poetica (e lega insieme con l’abilità di
un “sapiente” del mistero) sono
emblemi: non simboli, ma avanzi
significativi di una realtà che è stata e che sarà, il cui significato, per
l’appunto, non si riesce a stringere.
Con il secondo libro, “Le meraviglie dell’acqua” (1980), Cucchi in-
MAURIZIO CUCCHI A CATANIA
In libreria il volume
che raccoglie le opere
1963 – 2015
“Oscar poesia del
Novecento”
traprende una transizione. Si perde ed evapora l’organismo un po’
mostruoso del precedente, composto di trama frantumata e di
parti concepite nella sproporzione
e si accede a un “lirismo onirico”,
che verrà raffinato e magnificamente sviluppato nei libri successivi. Maurizio Cucchi si conferma
poeta del reale senza “realismi”,
delle cose, del contatto tra superfici, epidermico, che ha compreso lo
straordinario fascino della realtà e
l’inutilità di andare a cercare altrove l’oggetto ed anche il soggetto
del “fare” poesia, plasmando versi
che hanno una densità e un vigore
espressivo di grande effetto.
ANTONIO DI MAURO
Parole e disegni
sui teatri di Sicilia
Il più recente libro di Aurelio Caliri
(firma ben nota ai nostri lettori, ma
musicista e disegnatore di pari talento espressivo) si intitola “Emozioni” con il sottotitolo “Teatri di
Sicilia”, ed è stato appena pubblicato, con grande cura grafica, da
“Arti e Musica” di
Siracusa.
E’ una raccolta di
immagini di 78
teatri storici di Sicilia,
raffigurati
con tratto suggestivo e con atmosfere ancora più insinuanti, accompagnati dalle pagine di personalità
della cultura, dall’accademico Antonio Di Grado, che fu sodale e coautore di Leonardo Sciascia, a Moni
Ovadia che è sodale dei classici e
coautore di Eschilo e non sono da
meno gli altri i quali celebrano i sogni della fanciullezza, che vissero
per la prima volta in un teatro, in un
magico gioco di presente intriso di
passato. Ma tutto questo, nel libro,
viene sfumato in ariose paginette
che ricordano emozioni e solo occasionalmente indicano il repertorio. Passando dalla pagina scritta a
quella disegnata
si hanno sorprese: a parte i teatri
più
rinomati
compaiono quelli semisconosciuti: il Mandanici di
Pozzo di Gotto
(dalle linee chiaramente littorie),
l’agrigentino teatro della posta
vecchia, il cui frontale pare il fondale per un dramma verghiano. E
c’è pure un pentagramma di Shostakovich: cui Caliri ha adattato
una canzone su versi suoi e di Rocco Lombardo.
SERGIO SCIACCA