III Domenica d`Avvento - ARCIDIOCESI METROPOLITANA DI

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Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro - Squillace
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per l’Omelia domenicale a cura dell’Arcivescovo Mons. Vincenzo Bertolone
III Domenica d’Avvento
11 dicembre 2016
Gaudete
Introduzione
Prima della riforma liturgica questa domenica d’Avvento era detta “domenica di
gioia”, un invito esplicito all’esultanza, alla gioia, pregustando già in questo tempo
d’attesa il gaudio Natalizio. Non è un caso, allora, che un clima di gioia profonda
pervada la stessa liturgia di questa domenica: dalla prima lettura del profeta Isaia “Si
rallegrino il deserto e la terra arida esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso
fiorisca; si canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore
del Carmelo e di Saron” (Is 35,1-2); al brano del Vangelo con l’annuncio della
“Buona Novella” in opere e parole (Mt 11,2-11). Tutto è orientato a riconoscere la
sorgente della gioia e, quindi, attingervi: Cristo Gesù, il Messia salvatore e liberatore,
fonte di acqua viva per chiunque lo incontri sul proprio cammino. Eppure, proprio
questa gioia, che equivale alla salvezza realizzata e donata e che è motivo
fondamentale del messaggio cristiano, è conquista difficile perché richiede una
faticosa ricerca che attraversa l’inquietudine del dubbio, la necessità della pazienza e,
per finire, l’apertura alla speranza. In un certo senso, attraverso le letture di questa
“domenica di gioia” riviviamo il cammino dell’attesa, che è cammino non solo
d’Avvento, ma di tutta la vita cristiana, giacché si tratta del cammino di fede, verso la
vera felicità. Per questo la fede non è statica, ma dinamica, in dialogo costante con la
verità, positivamente dubbiosa per essere infine certa, paziente e dare solidità alla
speranza e all’amore presente in noi.
La salubrità del dubbio
Il Giovanni Battista di questa domenica forse è quello che ci piace di più, perché lo
sentiamo vicino alla nostra debolezza, e quindi più umano. Infatti, lo troviamo alle
prese con una crisi di dubbio sull’identità messianica di Gesù. E mettere in dubbio
Gesù significava mettersi in discussione come precursore del Messia. Da qui la
domanda: “Sei tu che devi venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Essa esprime tutta
l’incertezza e la delusione di un uomo che vede il Messia atteso ben diverso dalle sue
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aspettative. Il Battista, infatti, aspettava un giustiziere, castigatore dei potenti e
vincitore sulle ingiustizie. Ma quel Gesù diceva di essere venuto non per essere
servito, ma a servire; non a condannare, ma a perdonare; non a salire sul trono, ma
sulla croce; non a giudicare l’immobilismo della legge, ma a superarla. Noi oggi
siamo come il Battista: prede della crisi del dubbio, ci chiediamo perché, nonostante
tutto, la fede ci inviti alla gioia. Quali sono infatti i motivi per rallegrarsi, per gioire,
se la cronaca quotidiana e l’esperienza personale ci offrono una enorme quantità di
motivi per piangere, fare lutto, riconoscere i nostri continui insuccessi? Può sembrare
addirittura forzato e artificioso l’invito alla letizia quando sarebbe più realistico un
atteggiamento pessimistico e rassegnato. Invece di un grido di gioia sarebbe più
pertinente alla nostra condizione una protesta, un urlo di rabbia rivolto contro il
silenzio di Dio apparentemente impotente nella storia di questi giorni. In realtà, i
dubbi di Giovanni il Battista e i nostri, come pure le nostre obiezioni circa la gioia
hanno la stessa radice: pensare Dio secondo il nostro metro inadatto e improbabile ed
attenderLo secondo gli schemi della nostra cultura. Noi dimentichiamo che l’Atteso è
mistero, e accade che preferisca una stalla al palazzo di un re per venire al mondo,
pastori ai dignitari reali, la luce d’una cometa che squarcia il cielo notturno alle mille
torce capaci di illuminare a giorno. Per tutto questo si è dubbiosi: si aspetta un Dio e
arriva un bambino; si aspetta un Salvatore e nasce una tenera creatura che ha bisogno
di tutto, come tutti i neonati. A questo punto, il dubbio giova, giacché è un pungolo a
proseguire il cammino e per cercare di vedere lo stato delle cose. Gesù stesso invita a
scrutare oltre, a ricercare quei segni che parlano della vicinanza del regno anche oggi.
Sono proprio queste piccole, nascoste testimonianze, disseminate nel nostro
quotidiano, a rendere possibile la nostra gioia, a garantire che il Signore continuerà a
venire per salvarci, nonostante la nostra storia si possa presentare corrotta e cattiva.
Come ai tempi del Battista, però, l’agire di Dio non ha modificato le sue modalità: la
nostra impossibilità si compie nella sua possibilità senza clamori e pubblicità, senza
imprese sensazionali e straordinarie. Del resto il Signore non vuole offrirci
l’evidenza, si preoccupa piuttosto di offrire i segni della sua presenza, che ciascuno,
in piena libertà e con senso di responsabilità, è chiamato a interpretare. Per questo,
tuttora, l’azione dell’amore di Dio non fa rumore, non è riportato sui giornali, ma si
manifesta silenziosamente e umilmente in chi si mette al servizio degli altri, in chi fa
della propria vita un dono, in chi decide di restare fedele alla Verità e lottare per essa.
In chi, infine, ha il coraggio di presentarsi come il Battista: corpo segnato, scavato dal
Verbo, profezia incarnata in comportamenti concreti. In altri termini, in chi ha il
coraggio oggi, in questa società “scristianizzata” o dal cristianesimo posticcio di
realizzare una vita cristiana, una vita radicata in Cristo e, perciò, incarnata nella sua
Parola. Sta a noi scegliere se seguire lo “scandalo” della fede o, abbandonata la
verità, continuare a defilarsi nell’apparente normalità perbenista e mediocre del
nostro vissuto quotidiano.
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Speranza e pazienza
Questa scelta tuttavia non è di quelle facili, ma è proprio nella difficoltà di scegliere
ogni giorno che consiste tutta la fatica e la gioia di credere. E in questo la fede del
Battista fa sicuramente scuola. La sua fede di fatto è una fede esemplare giacché non
è monolitica e compatta, scontata e inerte, priva di passione e vita. È tutt’altro, è fede
che cerca, s’interroga, ritrova continuamente le proprie motivazioni. È fede che nella
difficoltà estrema, mentre patisce delusioni, non si arrende, ma semplicemente
vorrebbe, se fosse possibile, un supplemento di luce. Il supplemento di luce è Cristo
stesso, infatti, più delle sue guarigioni e delle sue parole, il segno più grande
dell’identità messianica di Cristo, è la sua stessa Presenza, viva e vera, che è
trasparenza pura e totale dell’amore del Padre. Ma nonostante ciò, certe volte ci si
sente spossati, delusi, perfino tristi. Questo è sbagliato, perché dimentichiamo che il
volto divino del Bambino che viene ci ha già conquistato il cuore, e se questo è vero
allora tutta la vita deve portare il riflesso della Sua luce segreta. Due parole non
dovrebbero mai essere eliminate dal vocabolario personale dell’attesa: speranza e
pazienza, virtù non particolarmente amate, dal momento che richiedono del tempo
per sbocciare e crescere e, oltre tutto, non sono al passo con i nostri di tempi, tempi
del “tutto, subito e certo”. Eppure, sono esse che rafforzano la nostra fede, che ci
aiutano all’inizio di ogni impresa, di ogni cammino, ci sostengono lungo la strada,
fino al telos. Tutto inizia da esse, continua con esse e finisce in esse. Non a caso il
Signore è nostra speranza, ma anche Signore di pazienza. Infatti noi contempliamo,
con occhi e cuore colmi di speranza, Cristo che ci attende con il cuore colmo di
amorevole pazienza. L’Avvento, in fin dei conti, è storia di questo incontro fra la
nostra speranza e la Sua attesa.
Conclusione
L’autore della Fattoria degli animali, George Orwell, avvertiva: “Libertà significa
poter dire alla gente anche quello che la gente non vorrebbe sentirsi dire”, e Giorgio
Gaber cantava che “libertà é partecipazione”. Ecco, i cristiani dovrebbero essere
uomini che partecipano alla gioia, di contagiare di speranza, di annunciare la verità di
un Dio che, per salvare il mondo e gli uomini, è diventato bambino. E non importa se
questa verità di forte umiltà e incommensurabile amore è da inciampo a molti, non
importa se talvolta si scontra con la mediocrità dell’uomo e viene giudicata
scandalosa: la verità di Dio non si può abbandonare, la si può solo cercare, sostenere,
incarnare, amare, partecipare.
Serena domenica
 Vincenzo Bertolone
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