8/12/2016 - studio ducoli

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Giovedì, 08 dicembre 2016
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
Niente TASI per il
conduttore se
l’immobile è abitazione
principale
Iper-ammortamenti per investimenti in beni
altamente tecnologici
/ Arianna ZENI
/ Pamela ALBERTI
Ai fini TASI, per la definizione di abitazione principale occorre rifarsi a
quella fornita dalla disciplina IMU
dall’art. 13 del DL 201/2011, ove è considerato tale: “l’immobile, iscritto o
iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare,
nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Pertanto, per qualificare un immobile come abitazione principale ai fini
della TASI, è necessario che il suo
possessore ed il suo nucleo familiare,
allo stesso tempo:
- vi dimorino abitualmente;
- vi abbiano la propria residenza anagrafica.
È bene ricordare che, ai fini dell’applicabilità del regime agevolato previsto per l’abitazione principale, assumono rilevanza le sole situazioni
di coincidenza della residenza anagrafica rispetto alla dimora abituale.
Con la modifica operata dal comma
14 dell’art. 1 della L. 208/2015 ai commi 639 e 669 dell’art. 1 [...]
La legge di bilancio 2017 approvata
ieri in via definitiva dal Senato con
166 voti favorevoli, 70 contrari e un
astenuto, conferma la proroga dei
super-ammortamenti per il 2017 e
l’introduzione dei c.d. iper-ammortamenti (si veda “Super-ammortamenti 2017 limitati ai veicoli esclusivamente strumentali” del 27 ottobre 2016).
Con particolare riferimento agli
iper-ammortamenti, si evidenzia
che si tratta di una nuova maggiorazione del 150% per i beni ad alto contenuto tecnologico (consentendo
così di ammortizzare un valore pari
al 250% del costo di acquisto), istituita al fine di favorire i processi di trasformazione tecnologica e/o digitale in chiave “Industria 4.0”.
Il costo di acquisizione è infatti
maggiorato del 150% soltanto per gli
investimenti in beni strumentali
nuovi inclusi nell’Allegato A alla legge di bilancio. In linea di massima,
si tratta dei beni funzionali alla trasformazione tecnologica e/o digita-
La legge di bilancio 2017 prevede una nuova maggiorazione del 150% del costo
di acquisto
le delle imprese in chiave “Industria
4.0”, quali i beni strumentali il cui funzionamento è controllato da sistemi
computerizzati e/o gestito tramite opportuni sensori e azionamento, i sistemi per l’assicurazione della qualità e della sostenibilità, i dispositivi
per l’interazione uomo-macchina e
per il miglioramento dell’ergonomia e
della sicurezza del posto di lavoro in
logica 4.0.
Per i soggetti che beneficiano
dell’iper-ammortamento è, inoltre,
prevista una maggiorazione del 40%
del costo di acquisizione dei beni immateriali strumentali inclusi nell’Allegato B alla legge di bilancio. Si tratta, in linea di massima, di software,
sistemi, piattaforme e applicazioni
connessi a investimenti in beni materiali Industria 4.0.
Quanto ai profili temporali dell’agevolazione, la disposizione rimanda al
periodo definito con riferimento alla
proroga dei super-ammortamenti. Si
tratta, quindi, degli investimenti effettuati entro il 31 [...]
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IN EVIDENZA
IMPRESA
Via libera alle evoluzioni degli studi di settore per il 2016
Per l’esenzione dalla revocatoria si valuta il rapporto fra le parti
Il datore può individuare i criteri di scelta del lavoratore da
licenziare
ALTRE NOTIZIE
/ DA PAGINA 8
Ammissibile la delega
“generale” e “disgiunta”
nel CdA
/ Maurizio MEOLI
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 25085, depositata ieri, ha stabilito che la previsione dello statuto di
una srl costituita anteriormente al 1°
gennaio 2004 (ovvero [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Niente TASI per il conduttore se l’immobile è
abitazione principale
In questo caso è dovuta solo dal possessore. Quest’ultimo non deve invece la TASI per la casa adibita
a propria abitazione principale
/ Arianna ZENI
Ai fini TASI, per la definizione di abitazione principale
occorre rifarsi a quella fornita dalla disciplina IMU
dall’art. 13 del DL 201/2011, ove è considerato tale: “l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano
come unica unità immobiliare, nel quale il possessore
e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Pertanto, per qualificare un immobile come abitazione
principale ai fini della TASI, è necessario che il suo
possessore ed il suo nucleo familiare, allo stesso tempo:
- vi dimorino abitualmente;
- vi abbiano la propria residenza anagrafica.
È bene ricordare che, ai fini dell’applicabilità del regime agevolato previsto per l’abitazione principale, assumono rilevanza le sole situazioni di coincidenza della
residenza anagrafica rispetto alla dimora abituale.
Con la modifica operata dal comma 14 dell’art. 1 della L.
208/2015 ai commi 639 e 669 dell’art. 1 della L. 27 dicembre 2013 n. 147, a partire dal 1° gennaio 2016 sono
escluse da imposizione le unità immobiliari destinate
ad abitazione principale ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.
A tal proposito, il Ministero dell’Economia, nella news
del 30 maggio 2016, ha precisato che, dall’anno 2016, la
TASI non è dovuta:
- sia per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale dal possessore;
- sia per quella destinata ad abitazione principale
dall’occupante. In questo caso, la TASI resta dovuta solo dal possessore, che verserà l’imposta nella misura
percentuale stabilita nel regolamento applicabile
nell’anno 2015 oppure, in mancanza di una specifica
disposizione del Comune, nella misura del 90%.
Nella citata news, tuttavia, il Ministero non precisa
quale aliquota il possessore di un immobile locato deve utilizzare per determinare l’imposta dovuta.
Eutekne.Info / Giovedì, 08 dicembre 2016
A tal proposito, nella risposta del 3 giugno 2014 n. 13,
seppur anteriormente all’esenzione prevista per l’abitazione principale, il MEF aveva chiarito che nel caso
di un immobile locato, l’imposta complessiva dovesse
essere determinata con riferimento alle condizioni del
titolare del diritto reale. In altre parole, nel caso di un
immobile dato in locazione, la TASI è determinata applicando l’aliquota prevista dal Comune per gli immobili locati, senza tenere conto dell’eventuale utilizzazione dell’immobile da parte dell’inquilino a titolo di
abitazione principale.
Per il possessore aliquota prevista per gli immobili
locati
Alla luce dei chiarimenti sopramenzionati, quindi, si
ritiene che anche successivamente al 1° gennaio 2016,
il possessore dell’immobile locato e destinato dall’inquilino ad abitazione principale, per determinare la
TASI debba utilizzare l’aliquota prevista per gli immobili locati.
Per fare un esempio, ipotizziamo che il sig. Rossi sia
proprietario al 100% di un immobile abitativo classificato nella categoria A/4, con rendita di 800 euro, sito
nel Comune di Milano.
L’immobile risulta locato per tutto l’anno 2016 al sig.
Verdi che lo destina a propria abitazione principale.
Per l’anno 2016 il sig. Verdi nulla dovrà versare a titolo
di TASI, mentre il sig. Rossi dovrà determinare l’imposta utilizzando l’aliquota dello 0,8 per mille deliberata
per l’anno 2016 dal Comune di Milano per gli “Immobili
soggetti sia a TASI che a IMU” (in questa categoria vi
rientrano gli immobili locati) e dovrà versare il 90% di
quanto complessivamente dovuto.
TASI da versare dal sig. Rossi per l’anno 2016 = 134.400
euro x 0,8 per mille x 90% = 96,77 euro; ove la base imponibile TASI = 800 euro x 1,05 x 160 = 134.400 euro.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Iper-ammortamenti per investimenti in beni
altamente tecnologici
La legge di bilancio 2017 prevede una nuova maggiorazione del 150% del costo di acquisto
/ Pamela ALBERTI
La legge di bilancio 2017 approvata ieri in via definitiva dal Senato con 166 voti favorevoli, 70 contrari e un
astenuto, conferma la proroga dei super-ammortamenti per il 2017 e l’introduzione dei c.d. iper-ammortamenti (si veda “Super-ammortamenti 2017 limitati ai
veicoli esclusivamente strumentali” del 27 ottobre
2016).
Con particolare riferimento agli iper-ammortamenti, si
evidenzia che si tratta di una nuova maggiorazione del
150% per i beni ad alto contenuto tecnologico (consentendo così di ammortizzare un valore pari al 250% del
costo di acquisto), istituita al fine di favorire i processi
di trasformazione tecnologica e/o digitale in chiave
“Industria 4.0”.
Il costo di acquisizione è infatti maggiorato del 150%
soltanto per gli investimenti in beni strumentali nuovi
inclusi nell’Allegato A alla legge di bilancio. In linea di
massima, si tratta dei beni funzionali alla trasformazione tecnologica e/o digitale delle imprese in chiave
“Industria 4.0”, quali i beni strumentali il cui funzionamento è controllato da sistemi computerizzati e/o gestito tramite opportuni sensori e azionamento, i sistemi per l’assicurazione della qualità e della sostenibilità, i dispositivi per l’interazione uomo-macchina e per
il miglioramento dell’ergonomia e della sicurezza del
posto di lavoro in logica 4.0.
Per i soggetti che beneficiano dell’iper-ammortamento è, inoltre, prevista una maggiorazione del 40% del
costo di acquisizione dei beni immateriali strumentali
inclusi nell’Allegato B alla legge di bilancio. Si tratta, in
linea di massima, di software, sistemi, piattaforme e
applicazioni connessi a investimenti in beni materiali
Industria 4.0.
Quanto ai profili temporali dell’agevolazione, la disposizione rimanda al periodo definito con riferimento alla proroga dei super-ammortamenti. Si tratta, quindi,
degli investimenti effettuati entro il 31 dicembre 2017,
Eutekne.Info / Giovedì, 08 dicembre 2016
nonché di quelli effettuati entro il 30 giugno 2018, a
condizione che entro il 31 dicembre 2017 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e che sia avvenuto
il pagamento di acconti in misura pari ad almeno il
20% del costo di acquisizione.
Ai fini della fruizione dell’iper-ammortamento, l’impresa è tenuta a produrre una dichiarazione del legale
rappresentante resa ai sensi del DPR 445/2000 ovvero,
per i beni aventi ciascuno un costo di acquisizione superiore a 500.000 euro, una perizia tecnica giurata rilasciata da un perito iscritto all’albo, attestante che il bene possiede caratteristiche tecniche tali da includerlo
nell’elenco di cui all’allegato A e/o B e che è interconnesso al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura.
Necessaria l’interconnessione del bene al sistema
aziendale
Pertanto, a differenza del super-ammortamento, per la
fruizione dell’iper-ammortamento è necessario anche
che i beni agevolabili siano interconnessi al sistema
aziendale di gestione della produzione o alla rete di
fornitura.
Al riguardo, la scheda di lettura al Ddl. bilancio ha precisato che “in pratica il bene deve “entrare” attivamente nella catena del valore dell’impresa”.
È stato inoltre precisato che “la dichiarazione del legale rappresentante e l’eventuale perizia devono essere
acquisite dall’impresa entro il periodo di imposta in cui
il bene entra in funzione, ovvero, se successivo, entro il
periodo di imposta in cui il bene è interconnesso al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura. Va precisato che, in quest’ultimo caso,
l’agevolazione sarà fruita solo a decorrere dal periodo
di imposta in cui si realizza il requisito dell’interconnessione”.
/ 03
ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Ammissibile la delega “generale” e “disgiunta” nel
CdA
La Cassazione la sdogana, reputandola legittima anche in presenza di consiglieri delegati che operino
disgiuntamente in una srl
/ Maurizio MEOLI
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 25085, depositata ieri, ha stabilito che la previsione dello statuto di
una srl costituita anteriormente al 1° gennaio 2004 (ovvero prima della riforma del diritto societario operata
dal DLgs. n. 6/2003) che preveda la facoltà del CdA di
delegare le proprie attribuzioni – ad eccezione di quelle riservate ex lege esclusivamente all’organo consiliare – ai singoli consiglieri delegati, con esercizio disgiunto dei poteri, non si pone in contrasto con norme
imperative e, in particolare, con l’art. 2475 comma 3
c.c. (nel testo riformato dal DLgs. n. 6/2003).
Tale norma, infatti, non impone – al di fuori dei casi
espressamente previsti nell’ultimo comma (redazione
dei progetti di bilancio, fusione e scissione e decisione
di aumento del capitale ex art. 2481 c.c.) – l’applicazione inderogabile del principio di collegialità, attesa la
natura suppletiva che rivestono le disposizioni in esso
contenute rispetto ad eventuali diverse indicazioni
dettate in materia dall’atto costitutivo in forza dei
commi 1, 3 e 4 del medesimo art. 2475 c.c.
Peraltro, la disposizione statutaria in questione neppure comporta un impedimento alla concorrente legittimazione del CdA all’esercizio dei poteri di gestione
dell’impresa, in considerazione dei poteri informativi,
di intervento direttivo e di valutazione, nonché di avocazione e di revoca, analoghi a quelli indicati nell’art.
2381 c.c., allo stesso spettanti in via preventiva, concomitante e successiva, rispetto alle attribuzioni delegate.
In particolare, nelle motivazioni della sentenza in
commento si sottolinea come una “delega generale” di
tutte le attribuzioni del CdA – fatte salve le competenze inderogabili ex lege – non trovi ostacolo nella legge,
né nel principio di collegialità dell’organo amministrativo. Essa, al contrario, troverebbe legittimazione
nell’art. 2381 comma 2 c.c., dove si prevede la concentrazione delle competenze delegabili del CdA anche in
capo ad uno solo dei suoi componenti.
Una parte della dottrina, peraltro, ha affermato che
l’eliminazione, nella nuova formulazione dell’art. 2381
comma 2 c.c., dell’articolo determinativo – si è passati,
infatti, da “delegare «le» proprie attribuzioni” a “delegare proprie attribuzioni” – sottintenderebbe che il consiglio non potrebbe privarsi di tutte le sue competenze,
operando una delega “generale”.
L’interesse dei soci a che le iniziative imprenditoriali
siano discusse e decise con l’intervento di più amministratori e quello degli amministratori all’efficace perseguimento degli obiettivi sociali attraverso un’efficien-
Eutekne.Info / Giovedì, 08 dicembre 2016
te organizzazione del potere gestorio ad essi riservato
trovano un bilanciamento non nella previsione normativa di rigide forme di procedimentalizzazione
dell’attività del CdA, ma in forme di vigilanza e controllo sull’attività dell’amministratore unico o dei consiglieri delegati (emblematici i poteri riservati ai soci
dal nuovo art. 2476 comma 2 c.c.) e nella disciplina del
sistema di responsabilità interne degli amministratori
e dei membri del CdA nei confronti della società e dei
soci; fermo restando il potere dell’assemblea di revocare gli amministratori e lo speciale rapporto di legittimazione concorrente nell’esercizio del potere di gestione, tale per cui il CdA poteva e può sempre revocare la delega conferita, ovvero avocare a sé operazioni
delegate e comunque richiedere informazioni ai delegati e valutare l’attività di gestione.
In sostanza – sottolinea la Suprema Corte – è rimessa
al CdA la valutazione dell’importanza delle questioni
attinenti alla gestione dell’impresa per le quali si reputi opportuna una preventiva trattazione collegiale, non
essendo a ciò di ostacolo una “delega generale”, quando, comunque, i membri del consiglio mantengono un
costante rapporto con i delegati mediante l’attività informativa e valutativa indicata dall’art. 2381 c.c. E, anche nel caso di esercizio in forma disgiunta dei poteri
delegati a singoli consiglieri, deve ritenersi esclusa
una violazione, o una mera compressione, del principio di collegialità in contrasto con norme imperative.
A tal riguardo si ricorda che, ai sensi dell’art. 2475
comma 3 c.c., quando l’amministrazione è affidata a
più persone, la costituzione del CdA rappresenta la disciplina di default, ma l’atto costitutivo può tuttavia
prevedere, salvo quanto disposto nell’ultimo comma
del medesimo articolo, che l’amministrazione sia ad
esse affidata disgiuntamente oppure congiuntamente
(in tali casi si applicano, rispettivamente, gli artt. 2257
e 2258 c.c.).
Da tale previsione la Suprema Corte sembra inferire la
legittimità della soluzione adottata nel caso di specie,
che vedeva l’affidamento, con esercizio disgiunto, a
più consiglieri delle attribuzioni delegabili. Peraltro, il
potere di veto, che l’art. 2257 c.c. riconosce a ciascun
amministratore con decisione rimessa alla maggioranza dei soci determinata secondo la partecipazione
agli utili, è coordinato con il peculiare contesto in esame. E, quindi, si ritiene che l’esercizio di tale potere da
parte di un amministratore delegato imporrebbe il trasferimento in sede consiliare della discussione e della
decisione da adottare sull’operazione controversa.
/ 04
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Via libera alle evoluzioni degli studi di settore per il
2016
La Commissione degli esperti ha anche espresso parere positivo sui correttivi anticrisi e sugli
aggiornamenti delle territorialità
/ REDAZIONE
Nella riunione di ieri, la Commissione degli esperti ha
espresso ha approvato le evoluzioni degli studi di settore previste per il periodo d’imposta 2016. L’ha reso
noto l’Agenzia delle Entrate, come di consueto, con un
comunicato stampa.
Si ricorda che la Commissione, prevista dall’art. 10,
comma 7 della L. n. 146/1998, è designata dal Ministro
dell’Economia tenuto anche conto delle segnalazioni
delle organizzazioni economiche di categoria e degli
ordini professionali e ha il compito di esprimere un parere, prima di approvazione e pubblicazione dei singoli studi di settore, sull’idoneità degli stessi a rappresentare la realtà cui si riferiscono.
L’Organo collegiale, ai sensi dell’art. 10- bis della L.
146/1998, rende il parere sulla revisione a cui gli studi
previsti dall’art. 62-bis del DL 331/93 convertito sono
soggetti, al massimo, ogni tre anni dalla data di entrata in vigore dello studio di settore ovvero da quella
dell’ultima revisione. Nella fase di revisione degli studi di settore si tiene anche conto dei dati e delle statistiche ufficiali, quali quelli di contabilità nazionale.
La revisione degli studi è programmata con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate da emanare entro il mese di febbraio di ciascun anno. Con
provvedimento n. 31160 del 26 febbraio, l’Agenzia ha
individuato gli studi da sottoporre a revisione e applicabili a partire dal periodo d’imposta 2016, a seguito di
approvazione con decreto del Ministro dell’Economia
(si veda “Studi di settore, 67 nel nuovo piano di revisione per il 2016” del 27 febbraio).
Ieri la Commissione degli esperti ha quindi espresso il
proprio parere su una serie di interventi relativi all’applicazione degli studi di settore per il periodo d’imposta 2016.
Innanzitutto, in relazione ai correttivi anticrisi, gli
Eutekne.Info / Giovedì, 08 dicembre 2016
esperti hanno valutato positivamente la metodologia
di elaborazione degli interventi finalizzati a cogliere la
particolare congiuntura economica in corso. Gli interventi disposti per affrontare le difficoltà del mercato
saranno comunque sottoposti aduna successiva verifica, per valutarne l’effettiva coerenza, prima della relativa approvazione.
Nel dettaglio – si legge nel comunicato – i correttivi
2016 hanno lo scopo di adeguare gli studi di settore alla situazione economica attuale e propongono gli stessi piani di interventi già previsti per il periodo di imposta 2015, cioè:
- interventi relativi all’analisi di normalità economica;
- interventi relativi all’analisi di coerenza;
- correttivi congiunturali di settore;
- correttivi congiunturali territoriali;
- correttivi congiunturali individuali.
Come anticipato, nella riunione si è parlato anche delle evoluzioni 2016. Complessivamente la Commissione ha dato il via libera su:
- 18 studi del comparto del commercio;
- 7 studi del comparto dei professionisti;
- 20 studi del comparto delle manifatture;
- 12 studi del comparto dei servizi.
Studi non utilizzabili a fini accertativi anche per chi
fuoriesce dal forfetario
Infine gli esperti hanno dato il via libera agli aggiornamenti delle diverse territorialità utilizzate per i nuovi
studi che dovrebbero andare in evoluzione nel 2016.
Ha ricevuto, inoltre, parere favorevole anche la proposta che prevede la non utilizzabilità degli studi di settore ai fini dell’accertamento, anche per i soggetti che
fuoriescono dal regime forfetario.
/ 05
ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Per l’esenzione dalla revocatoria si valuta il rapporto
fra le parti
La Cassazione ha chiarito cosa si intende per termini d’uso nei pagamenti di beni e servizi
/ Roberta VITALE
La Cassazione, con la sentenza n. 25162, depositata ieri,
ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’esenzione
dall’azione revocatoria fallimentare prevista dall’art.
67, comma 3, lett. a) del RD 267/42 (L. fall.).
Sul punto, si ricorda che, ai sensi della disposizione richiamata, non sono soggetti ad azione revocatoria “i
pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio
dell’attività d’impresa nei termini d’uso”.
Nel caso di specie, era stata chiesta in giudizio dal curatore del fallimento di una srl la revoca ex art. 67,
comma 2 L. fall. dei pagamenti effettuati dalla società
poi fallita ad un’altra società; la domanda veniva, però,
rigettata dal Tribunale, ritenendo provata l’esenzione
dall’azione revocatoria ai sensi dell’art. 67, comma 3,
lett. a) L. fall. Il Tribunale aveva, infatti, interpretato i
“termini d’uso” come quelli correnti tra le parti al momento dell’atto solutorio rispetto alle ordinarie attività
dell’impresa operante in un determinato settore e aveva ritenuto sussistente tra le stesse l’“uso” dei pagamenti in contanti della merce acquistata al dettaglio
come conforme alla prassi del settore.
Avverso la decisione del Tribunale proponeva appello
il curatore del fallimento, in accoglimento del quale la
Corte d’Appello revocava i pagamenti contestati, condannando la società destinataria del pagamento alla
restituzione della suddetta somma. Secondo la Corte
d’Appello, in particolare, per “termini d’uso” andavano
intese le “abitudini” del singolo imprenditore e non le
“consuetudini generali” relative a determinate tipologie contrattuali. Tenuto conto di ciò, la Corte d’Appello
aveva ritenuto provato il mutamento delle modalità di
pagamento nell’ambito del rapporto obbligatorio a seguito proprio dell’esposizione debitoria della società
poi fallita: prima acquisto della merce all’ingrosso con
pagamento a mezzo di bonifico bancario e dilazioni
concordate e, poi, acquisto al dettaglio con pagamento
in contanti.
Propone così ricorso per Cassazione la società fornitrice dei beni, sostenendo la violazione dell’art. 67, comma 3, lett. a) L. fall. sulla base di un’interpretazione di-
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versa della norma. Secondo la società ricorrente, infatti, rientrano nell’ambito applicativo della norma i termini di pagamenti correnti tra le parti alla data dell’atto solutorio, in relazione alle “normali e ordinarie” attività dell’impresa operante in un certo settore (fra queste, vi sono le forniture al dettaglio con il pagamento in
contanti o assegno).
Il ricorso della società, con la sentenza in commento,
viene rigettato dalla Cassazione sulla base delle seguenti argomentazioni.
Innanzitutto, secondo la Cassazione, anche se la formulazione letterale dell’art. 67, comma 3, lett. a) L. fall.
non è chiara, la ratio della stessa è evidentemente
quella di favorire la conservazione dell’impresa ai fini
della risoluzione della crisi d’impresa. Pertanto, la norma si colloca nella prospettiva del risanamento
dell’impresa.
Ratio nella conservazione dell’impresa
L’interpretazione fornita dalla società ricorrente – secondo la Cassazione – si pone in contrasto con tale disposizione, “che non consente di riferire i termini alle
prestazioni, ma necessariamente ai pagamenti «effettuati»”.
Più precisamente, a parere della Cassazione, non si
può riconoscere valenza dirimente alla prassi del settore economico di riferimento; “la soluzione più appagante” è quella che privilegia il rapporto diretto tra le
parti, in considerazione del mutamento dei termini, inteso in senso lato, non solo per i tempi ma anche rispetto alle complessive modalità di pagamento.
Premesso quanto sopra, la Cassazione ha affermato il
seguente principio di diritto: ai fini dell’esenzione
dell’azione revocatoria fallimentare per i pagamenti di
beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa, il riferimento dell’art. 67, comma 3, lett. a) L. fall
ai “termini d’uso” va inteso alle modalità di pagamento
instaurate fra le parti e non alla prassi del relativo settore economico.
/ 06
ancora
LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO DUCOLI
Il datore può individuare i criteri di scelta del
lavoratore da licenziare
Per la Cassazione non devono essere arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle
posizioni dei lavoratori interessati
/ Luca MAMONE
In caso di soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, ai fini del rispetto del principio di buona fede e
correttezza ex artt. 1375 e 1175 c.c, i criteri della selezione del lavoratore da licenziare possono anche essere individuati dal datore di lavoro, senza necessariamente ricorrere ai criteri individuati in materia di licenziamento collettivo dall’art. 5 della L. 223/91.
Tale principio è stato ribadito in occasione della sentenza n. 25192 depositata ieri, con cui la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un lavoratore avverso
una decisione d’appello che aveva accertato la legittimità del licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo.
Nel caso di specie, il recesso era stato deciso da una
multinazionale per riorganizzazione della filiale italiana, a causa del declassamento dell’Italia da “Region” ad
“Area”, con il passaggio di diverse attività e funzioni alla sede francese e la conseguente necessità di ridurre
il reparto in cui il dipendente licenziato operava.
Per la Corte d’Appello, il principio di buona fede e correttezza ex artt. 1375 e 1175 c.c. da adottare nella scelta
del dipendente da licenziare era stato rispettato per
una serie articolata di motivi.
Innanzitutto, non risultava controverso che la posizione lavorativa fosse stata soppressa allo scopo di comprimere i costi e di fronteggiare la riduzione del fatturato, tenuto conto che il dipendente in questione percepiva una retribuzione maggiore rispetto agli altri colleghi in posizione fungibile, ed era risultato il meno
“performante”, motivo per il quale non aveva percepito
il bonus annuale riconosciuto dall’azienda ai lavoratori che dimostrano maggior impegno e professionalità.
Inoltre, il dipendente era titolare anche di altri redditi,
pertanto, secondo la Corte territoriale, il criterio che
porta a scegliere un lavoratore che dispone di ulteriori
fonti di sostentamento integra ragioni di equità che,
soprattutto in tempo di crisi, non sembrano irragionevoli.
Infine, il lavoratore stesso non aveva lamentato alcuna condotta discriminatoria, limitandosi ad affermare
di avere un figlio a carico e una maggiore anzianità di
servizio rispetto agli altri lavoratori in posizione omogenea.
Nel ricorso per Cassazione, il lavoratore licenziato lamenta invece la violazione del principio di buona fede
e correttezza, in quanto i criteri adottati dal datore di
lavoro non integravano in alcun caso una ragione og-
Eutekne.Info / Giovedì, 08 dicembre 2016
gettiva. Ad esempio, il fatto che il dipendente licenziato fosse meno “performante” rispetto ai colleghi implica un giudizio valutativo dell’azienda, non ancorato a
parametri oggettivi, mentre la circostanza che lo stesso percepisse ulteriori redditi era del tutto estranea al
rapporto di lavoro, nonché irrilevante se non addirittura discriminatoria.
Inoltre, sempre secondo il ricorrente, anche se non si
ritenessero applicabili i criteri oggettivi individuati
dall’art. 5 della L. 223/91 (ossia, carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico produttive e organizzative),
l’individuazione dei criteri in base ai quali operare la
scelta del lavoratore da licenziare non poteva essere
rimessa alla discrezionalità o addirittura all’arbitrarietà del datore di lavoro.
Nel respingere il ricorso del lavoratore, i giudici di legittimità premettono innanzitutto che quando il giustificato motivo di licenziamento si identifica nella generica riduzione di personale omogeneo e fungibile, non
sono utilizzabili né il normale criterio della posizione
lavorativa da sopprimere, in quanto non più necessaria, né il criterio dell’impossibilità di repechage, poiché
tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i
lavoratori sono potenzialmente licenziabili.
Secondo la Suprema Corte, l’insieme dei criteri ex art. 5
della L. 223/91 rappresenta certamente uno standard
idoneo a rispettare il principio di correttezza ex art.
1175 c.c., tuttavia non si può escludere l’utilizzabilità di
altri criteri, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori
interessati.
I criteri devono consentire di elaborare la graduatoria
su basi oggettive
Per i giudici di Cassazione, i criteri utilizzati in questo
caso dal datore di lavoro, ossia il maggiore costo della
retribuzione, il minore rendimento lavorativo e le condizioni economiche complessive di ciascun lavoratore,
appaiono ragionevoli in quanto oggettivamente enucleabili tra fatti riferibili alla comune esperienza con
riguardo alle qualità e alle condizioni personali del lavoratore. Inoltre, tali criteri si prestano, ciascuno di essi ed anche in concorso tra loro, alla elaborazione di
una graduatoria e dunque consentono, su basi oggettive, una comparazione tra tutti i lavoratori interessati
dalla riduzione dell’organico in quanto assegnati a posizioni di lavoro fungibili.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Introdotta la rateizzazione del debito d’imposta nel
sistema delle accise
L’Agenzia delle Dogane passa in rassegna modifiche e integrazioni al Testo unico delle accise
introdotte in sede di conversione del DL 193/2016
/ REDAZIONE
Nell’ambito della nota pubblicata ieri, 7 dicembre 2016,
l’Agenzia delle Dogane prende in esame le modifiche
introdotte in materia di accise dal decreto fiscale (DL
n. 193 del 22 ottobre 2016), recentemente convertito in
legge, allo scopo di fornire preliminari indirizzi operativi agli Uffici.
La maggior parte delle novità sono contenute nell’art.
4-ter del decreto fiscale, con il quale, osservano le Dogane, vengono apportate modificazioni e integrazioni
particolarmente significative al Testo unico delle accise (DLgs. 504/95).
Fra queste, vi è l’introduzione, nel sistema delle accise,
dell’istituto della rateizzazione del debito d’imposta,
che consente ai titolari del deposito fiscale di prodotti
energetici, alcole e bevande alcoliche, qualora si trovino in condizioni di difficoltà economica, di richiedere
la rateizzazione del proprio debito d’imposta entro la
scadenza del termine di pagamento. Modalità e condizioni saranno definite, tuttavia, con successivo decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze.
Con il DL 193/2016, l’ambito applicativo della disciplina
dei rimborsi dell’accisa viene definito in modo più
puntuale (art. 14 del DLgs. 504/95) e vengono individuati i termini di decorrenza per la decadenza del diritto al rimborso. Inoltre, la soglia minima stabilita per
l’erogazione del rimborso viene aumentata a 30 euro,
mentre la misura degli interessi dovuti sulle somme
da rimborsare viene correlata alla misura prevista per
gli interessi legali, superando il riferimento al tasso
stabilito per il pagamento dei diritti doganali.
La disciplina dei rimborsi, a seguito delle modifiche, risulta separata da quella relativa al procedimento di recupero dell’accisa, confluita nel novellato art. 15 del
Testo unico. In base a quest’ultima disposizione, il termine entro il quale il destinatario dell’avviso di pagamento è tenuto ad assolvere il debito richiesto è ampliato da 15 a 30 giorni, decorrenti dalla data di perfezionamento della notifica.
Per quanto attiene al beneficio previsto per gli esercenti trasporto merci e altri soggetti che svolgono determinate attività di trasporto persone, viene individuata espressamente l’aliquota agevolata da applicarsi al gasolio commerciale usato come carburante, pari
Eutekne.Info / Giovedì, 08 dicembre 2016
ad euro 403,22 per mille litri.
Un’ulteriore agevolazione è prevista dalla lettera h)
dell’art. 4-ter del DL 193/2016, con cui si precisa che l’alcole impiegato come combustibile o carburante beneficia dell’esenzione dall’accisa, anche quando denaturato con prodotti approvati dall’Amministrazione finanziaria, ferma restando l’applicazione dell’art. 21 del
DLgs. 504/95.
Fra le novità più rilevanti introdotte dal decreto fiscale,
si evidenzia il riordino del regime autorizzatorio dei
depositi fiscali nel settore dei prodotti alcolici. Si prevedono, infatti, procedure di rilascio dell’autorizzazione modulate in ragione della configurazione impiantistica e delle esigenze di tutela fiscale, tenendo conto
delle distinte attività di produzione o di mero stoccaggio dei prodotti. In particolare, si chiarisce che il deposito fiscale può essere autorizzato anche per i magazzini di commercianti all’ingrosso di prodotti soggetti
ad accisa laddove, oltre al requisito della funzionalità
degli impianti, l’autorizzazione è subordinata anche alla presenza di adeguate esigenze economiche.
Novità anche nel campo della definizione delle
controversie
La nota delle Dogane, infine, dà conto delle novità relative alla definizione delle controversie in materia di
accise e di IVA afferente, recate dall’art. 5-bis del DL
193/2016. In base a tale disposizione l’Agenzia delle Dogane è autorizzata a definire mediante transazione,
entro il 30 settembre 2017, le liti fiscali pendenti al 3 dicembre 2016 (data di entrata in vigore della legge di
conversione del decreto fiscale) e aventi ad oggetto il
recupero dell’accisa su prodotti energetici, alcole e bevande alcoliche, a condizione che le imposte oggetto
del contenzioso si riferiscano a fatti verificatisi anteriormente al 1° aprile 2010.
Al fine di estinguere la pretesa tributaria, in tal caso, i
soggetti obbligati dovranno procedere al pagamento,
anche in forma rateizzata, dell’importo determinato in
sede di transazione, entro 60 giorni dalla stipula di
quest’ultima, e detto importo dovrà essere almeno pari
al 20% dell’accisa e dell’IVA ad essa afferente.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Per gli avvocati che compensano i debiti fiscali c’è il
codice tributo
Sarà usato con il modello F24 dagli avvocati ammessi al patrocinio a spese dello Stato che hanno
crediti per spese, diritti e onorari spettanti
/ REDAZIONE
L’Agenzia delle Entrate ha istitutito, con la risoluzione
n. 113 di ieri, il codice tributo per l’utilizzo in compensazione, da parte degli avvocati ammessi al patrocinio
a spese dello Stato, dei crediti per spese, diritti e onorari spettanti.
Si ricorda per effetto dell’art. 1 comma 778 della L.
208/2015, dal 2016 gli avvocati che vantano crediti per
spese, diritti e onorari di avvocato, sorti ai sensi degli
artt. 82 e ss. del DPR 115/2002, in qualsiasi data maturati e non ancora saldati, per i quali non è stata proposta
opposizione ai sensi dell’art. 170 del medesimo DPR,
sono ammessi alla compensazione con quanto da essi
dovuto per ogni imposta e tassa, compresa l’IVA, nonché al pagamento dei contributi previdenziali per i dipendenti mediante cessione, anche parziale, dei crediti entro il limite massimo pari all’ammontare dei crediti stessi, aumentato dell’IVA e del contributo previdenziale per gli avvocati (CPA). Per tali finalità è stata autorizzata la spesa di 10 milioni annui.
Con il decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze del 15 luglio 2016, di concerto con il Ministro della
giustizia, sono state definite le modalità di attuazione
delle citate disposizioni (si veda “In Gazzetta il decreto
per gli avvocati che vogliono compensare i debiti fiscali” del 28 luglio 2016).
Secondo tale decreto, i crediti sono utilizzati se sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, non risultano pagati, neanche parzialmente e
avverso il relativo decreto di pagamento non è stata
proposta opposizione e infine se in relazione ad essi è
stata emessa la fattura elettronica, ovvero fattura cartacea registrata sulla piattaforma elettronica di certificazione.
Attraverso la piattaforma elettronica di certificazione,
con riferimento a ciascuna fattura elettronica ovvero
cartacea registrata, il creditore deve esercitare l’opzione – esclusivamente per l’intero importo della fattura
– per l’utilizzo del credito in compensazione e dichia-
Eutekne.Info / Giovedì, 08 dicembre 2016
rare la sussistenza dei requisiti. Tale opzione nel 2016
poteva essere esercitata dal 17 ottobre al 30 novembre;
dal 2017, invece, dal 1° marzo al 30 aprile di ciascun anno.
Opzione da esercitare, dal 2017, dal 1° marzo al 30
aprile
La risoluzione n. 113/2016 in commento ricorda, inoltre,
che in base all’art. 5 del decreto 15 luglio 2016 i crediti
sono utilizzabili in compensazione, per il pagamento
dei debiti fiscali del creditore e dei contributi previdenziali per i dipendenti, compresi nel sistema del versamento unificato, a partire dal 5° giorno successivo alla
trasmissione all’Agenzia delle Entrate, da parte della
piattaforma elettronica di certificazione, dei dati dei
crediti ammessi alla procedura di compensazione. Infine, i crediti possono essere utilizzati in compensazione presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, nei
limiti dell’importo comunicato dalla piattaforma, pena
lo scarto del modello F24.
Per consentire la compensazione, dunque, l’Amministrazione finanziaria ha istituito il codice tributo
“6868” denominato “Compensazione spese, diritti e
onorari di avvocato per gratuito patrocino - articolo 1,
commi da 778 a 780 della legge 28 dicembre 2015, n.
208”.
Per quanto riguarda la compilazione del modello F24, il
codice tributo deve essere indicato nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi
in cui il contribuente debba procedere al riversamento
del credito, nella colonna “importi a debito versati”.
Il campo “anno di riferimento”, è valorizzato con l’anno di ammissione del credito alla procedura di compensazione, nel formato “AAAA”.
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LETTERE
STUDIO DUCOLI
Solo con la coesione possiamo diventare interlocutori
necessari
Caro Direttore,
nonostante la nostra categoria sia stata in questi ultimi anni capace, lungimirante e soprattutto pronta agli
adattamenti imposti dal contesto economico-sociale
del Paese, tuttavia non siamo riusciti, allo stato dell’arte, ad ottenere altro se non il diritto di ritenerci indignati e amareggiati.
Siamo oltre centomila lavoratori invisibili ai quali, per
rivendicare ruolo e dignità, non può certo bastare la
durezza dei toni e il ruggire da coniglio; per cui il mio
convincimento personale è che fino a quando non saremo in grado di costruire la coesione necessaria per
fare unità di corpo e non smetteremo di concorrere al
ribasso gli uni contro gli altri, bisognerebbe amareggiarsi e indignarsi di noi stessi.
Fino a quando non riusciremo a definire una qualsivoglia forma di lotta efficace, non saremo in grado di reggere l’urto delle continue azioni di demolizione perpetrate a danno della nostra categoria, resteremo sempre parte debole, incapaci di rivendicare il nostro essere, destinati a rimanere chiusi nella figura del “Carneade manzoniano”.
Da tempo ci spendiamo di volere essere utili al Paese e
protagonisti del cambiamento, compreso ovviamente
il nostro. Mi accorgo invece che, proprio per la nostra
scarsa coesione, ci si approfitta sempre più della nostra utilità e ci si arroga anche la pretesa di volerci
cambiare.
Non è di poco conto il fatto che siamo asserviti all’Amministrazione finanziaria nella peggiore forma di sudditanza, e che siamo diventati, nostro malgrado, tutti
“collaboratori di giustizia”, addossati di responsabilità e
sanzioni insopportabili. E non è certo finita qui.
Abbiamo tante associazioni che da tempo ne parlano,
fanno comunicati stampa, si oppongono, spesso propongono, ma non hanno finora trovato la forza e la
coesione di formare un fronte unitario capace di fare
attribuire a questo esercito di energie, quale noi siamo,
il merito e il riconoscimento che gli compete per il ruolo svolto. Ma forse non è corretto prendersela tanto
con il sindacato se il nostro rappresentante legale è il
Consiglio nazionale verso cui, in fondo, la nostra protesta dovrebbe essere davvero rivolta.
Ben venga l’azione promossa dalle diverse sigle sindacali per il 14 dicembre a Roma. Se sarà presente il Consiglio nazionale, come tutti auspicano, in una sorta di
riunione allargata, potrà essere l’occasione per guardarci finalmente in faccia e cominciare a dire con
schiettezza come stanno le cose e come siamo messi.
Vi sono categorie capaci di bloccare trasporti, sanità,
giustizia nei tribunali; e noi ci indigniamo e ci amareggiamo soltanto?
Il sindacato con in testa il Consiglio nazionale dovrebbero modellare fattispecie di lotta in grado di farci diventare interlocutori non solo utili, ma anche necessari e quindi autorevoli. Del resto, cosa è ritenuto utile se
non ciò che procura disagio allorché venga a mancare?
E noi, fino a quando non saremo in grado di bloccare
qualcosa, non conteremo mai nulla.
Non basta quindi solo lamentarsi, per esempio, della
falcidia operata al collegio sindacale. Perché allora non
cominciare a pensare di astenersi dal farne parte, lasciando gli enti pubblici privi di organi di revisione? E
nel campo delle amministrazioni giudiziarie perché
non si prova a disertarne gli incarichi?
Per ottenere un risultato, il coraggio di qualche rinuncia bisogna pur averlo e forse, con più determinazione
del Consiglio nazionale a livello politico istituzionale,
cominciare a modellare simili forme di protesta ci potrà aiutare davvero a essere ritenuti professionisti utili.
Giuseppe Caggegi
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Catania
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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