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Giovedì 8 Dicembre 2016
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Certo, i numeri sarebbero sufficienti per vivacchiare, non certo per governare bene
Al Senato c’è la maggioranza
Purché la sostenga il Pd. Con Fanfani, la Dc non lo fece
DI
P
CESARE MAFFI
er costruire una
maggioranza a favore di un governo,
raccogliticcia fin che
si voglia però sufficiente per
la bisogna, basta dare uno
sguardo alla composizione
del Senato. Voti a favore si
possono trovare, e perfino
abbondanti.
Si deve partire dalla
previsione che il Partito
democratico, come partito
di maggioranza relativa,
si esprima a favore di un
governo, perché, senza il
sostegno dei 301 deputati
(su 630) e dei 113 senatori
(su 320) del Partito democratico, non si andrebbe da
nessuna parte.
Dunque, escludiamo il
ripetersi dell’incredibile
combinazione capitata col
governo Fanfani VI, l’ultimo presieduto dal politico
aretino, nel 1987: costituito da democristiani e
indipendenti, non ottenne
la fiducia perché la stessa
Democrazia cristiana si
astenne. Se, dunque, i democratici voteranno per il
governo, alla Camera non
ci sarebbero problemi, laddove a palazzo Madama
bisognerebbe cercare una
cinquantina di voti.
Ebbene, ci sono 18 senatori seguaci di Denis
Verdini, fino a ieri renziani di ferro. Gli alfaniani
sono 28, computandovi Pier
Ferdinando Casini, che
da mesi ha lasciato l’Udc,
mentre uno solo è il residuo
rappresentante dell’Udc.
Al gruppo per le Autonomie aderiscono 19 fra socialisti, valdostani, trentini,
altoatesini, senatori a vita
ed ex pentastellati.
Il gruppo Grandi autonomie e libertà conta 14 iscritti, in maggioranza vicini al
centro-destra ma con alcuni
liberi battitori.
Nel misto (28 senatori)
troviamo non pochi estranei alla dicotomia destrasinistra: ex grillini, ex leghisti passati con Flavio
Tosi, ex azzurri (fra i quali
Sandro Bondi), e poi altri,
eletti in varie liste passati a rappresentare i verdi
o l’Idv o semplicemente sé
stessi, come nel caso di Mario Monti.
In queste decine e decine
di senatori un governo può
tranquillamente pescare i
voti da aggiungere a quelli del Partito democratico:
l’ha finora fatto Renzi.
Se in taluni possono
scattare orientamenti politici filo Pd, in molti fra
loro (i maligni potrebbero
asserire in tutti) può agire
un sentimento molto forte:
la conservazione del posto,
destinato a scomparire nel
caso di elezioni anticipate.
Privi di un partito alle
spalle oppure appartenenti
a una formazione d’incerto
destino o di consistenza
elettorale debole o, ancora,
senza alcuna prospettiva, di
fronte alla scelta fra il no a
un governo qualsiasi, con la
possibilità di non riuscire
a riconquistare la poltrona
detenuta, e il sì allo stesso
governo, per sopravvivere
qualche mese o, se andasse
bene, un anno, si può star
sicuri che sarà molto più fa-
cile trovare voti favorevoli
che non contrari.
Certamente il futuro
esecutivo non brillerebbe
per una maggioranza coesa
e politicamente motivata.
Siccome però alla fine contano i numeri, i numeri ci
sarebbero e questo sarebbe
sufficiente.
Per vivacchiare e non
per vivere? E quanti governi sono semplicemente
sopravvissuti, dalla caduta
del fascismo a oggi?
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