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Mercoledì 7 Dicembre 2016
COMMENTI & ANALISI
Perché i modelli di gestione del rischio
in banca devono evolversi di continuo
CONTRARIAN
DOMANI DA DRAGHI
ATTESE PAROLE CHE
DETTERANNO LA LINEA
E Domani si tiene la seduta del Consiglio direttivo
della Bce, chiamato ad assumere decisioni di
politica monetaria, sulla base anche delle nuove
previsioni economiche che, elaborate dalle
strutture dell’istituto, saranno a disposizione dei
componenti dell’organo e poi rese pubbliche
domani stesso. In questi giorni sono state formulate
diverse ipotesi sulle decisioni che il Consiglio
potrebbe adottare. Dalla valutazione della
situazione dell’economia dell’area e dallo stato
dell’inflazione si deve dedurre che il quantitative
easing di titoli pubblici non si fermerà a marzo
ma verrà prorogato. A questo punto, considerate
le difficoltà incombenti, sarebbe opportuno che
la proroga copra l’intero 2017. Difficilmente si
dovrebbe incidere sull’importo mensile degli
acquisti, 80 miliardi, riducendolo (per esempio a
60 miliardi), cosa che potrà avvenire in una fase
successiva, di pari passo con il miglioramento
delle condizioni dell’economia e, soprattutto, con
la risalita dell’inflazione oggi ancora lontanissima
dal livello al quale può dirsi soddisfatta la
missione affidata alla Bce di mantenere la stabilità
dei prezzi. Semmai potrebbe esservi qualche
misura che intervenga sulla capital key, cioè sulla
suddivisione degli acquisti secondo il peso delle
diverse economie della zona euro. Potrebbe essere,
quella di domani, anche l’occasione per affinare
le operazioni Omt e Tltro e per prevederne, in
momenti di particolare difficoltà, l’attivabilità
coordinatamente con quelle di Qe. In sostanza,
la lentezza con cui sale l’inflazione nonché
l’andamento del prezzo del petrolio e le previsioni
che saranno esaminate per quel che riguarda il
medio termine, non dovrebbero essere tali da
imporre una significativa modifica verso il tapering
del Qe, magari auspicato dai rappresentanti
tedeschi. Del resto la settimana dopo si riunisce
il Comitato monetario della Federal Reserve, che
probabilmente darà inizio a una risalita calibrata
dei tassi ufficiali, in considerazione dei dati
soddisfacenti dell’occupazione e della crescita,
per cui, anche se la Bce intendesse assumere
decisioni ancor più significative (che sembra da
escludersi), sarebbe opportuno esaminare prima
il quadro globale. Resta il problema del modo in
cui far defluire efficacemente le misure della Bce
a sostegno dell’economia reale, mentre appare in
parte conseguito l’obiettivo di sganciare i debiti
sovrani dall’esposizione delle banche, obiettivo
suscettibile di essere rimesso in discussione da
possibili nuove turbolenze. Sulle difficoltà del
predetto deflusso sarebbe bene potenziare il
meccanismo di premi e sanzioni previsto dalle
operazioni di politica monetaria e fare ricorso
anche a misure di Vigilanza bancaria. Dopo la
seduta del Consiglio il presidente Draghi terrà la
tradizionale conferenza-stampa, che è anche di
fine anno. Sarà interessante ascoltare una sintetica
rendicontazione dell’opera della Banca nell’anno
e, soprattutto, la descrizione degli impegni che si
profilano. Non mancherà una domanda sull’Italia:
a tal proposito, si spera in una risposta che dia
fiducia, pur senza entrare nel merito del recente
referendum. Nel trattare delle diverse economie,
tornerà il tema delle riforme e dei limiti della
politica monetaria, nonché del ruolo dell’Unione
e delle istituzioni comunitarie. Nelle scorse
settimane Draghi ha fatto riferimento a quei Paesi
con surplus delle partite correnti che dovrebbero
impiegare le risorse per l’espansione dell’economia
promuovendo piani di investimenti. Sarà
opportuno che questo tipo di concetti sia ribadito
per evitare le accuse di Wolfgang Schaeuble, che
dice che chi solleva questo problema vorrebbe
ridurre la competitività dell’export tedesco.
Insomma, domani la conferenza-stampa dovrebbe
avere un effetto simile a quello di misure concrete,
per gli indirizzi che Draghi suggerirà e per gli
impulsi alla stabilità che riuscirà a imprimere.
L
a crisi del credito del 2008 ha avuto forti ripercussioni sul sistema
finanziario, intaccando l’affidabilità creditizia delle banche Ue; in
particolare ha influito sulla liquidità delle stesse e la loro capacità di
adempiere agli obblighi finanziari. Il
dissesto di grandi banche internazionali ha indotto gli operatori del mercato a rivedere la visione secondo la
quale tali controparti sono esenti da
rischio. Oggi la gestione del rischio
non è vista come una distrazione di
risorse da attività redditizie bensì
come uno strumento fondamentale
per prendere decisioni assennate in
ambito aziendale e finanziario.
La quantificazione del rischio è un
fondamentale passo avanti verso la
sua gestione e limitazione. Gli approcci da considerare sono tanti. Molti di
questi stanno diventando sempre più
degli standard nei Paesi Ue. Modellizzare valutazioni e rischi per definizione è un esercizio incompleto e
approssimativo. È possibile raggiungere una falsa sensazione di comfort
basandosi sull’erronea credenza che i
trend storici possano da soli misurare
accuratamente i rischi futuri. In certa
misura, modelli e tecnologie sofisticati hanno dato ai gestori del rischio un
falso senso di sicurezza. A ogni modo,
le valutazioni e i rischi modellizzati
continuano a mutare al mutare del
mercato e delle normative, per non
citare i complessi e non lineari fattori
comportamentali, macroeconomici
e sociali. Una stima affidabile del
rischio richiede di calibrare tanti fattori e presuppone aspetti diversi. La
calibrazione degli input osservabili e
i raffronti con il mercato ogni volta
che sia possibile sono essenziali se si
vogliono ottenere risultati realistici.
L’analisi critica dei risultati è inoltre
necessaria per dare un’impostazione
di Manish Das*
prudente al modello stesso. Le caratteristiche di un efficace controllo del
rischio sono:
a) formazione dell’utente;
b) riconoscimento del fatto che i modelli sono come cantieri che richiedono continue verifiche e miglioramenti;
c) indipendenza delle varie funzioni,
in particolare sviluppo, controllo del
rischio e revisione:
d) definizioni chiare di proprietà e
responsabilità;
e) efficaci procedure di gestione dei
cambiamenti con controlli e criteri
definiti in ogni fase;
f) enfasi sulla documentazione a ogni
fase del ciclo di vita.
Detto questo, la gestione del rischio
nelle banche è influenzata da fattori
quali la normativa, l’impatto delle
nuove tecnologie, l’avvento del big
data e le tecnologie digitali.
Quanto al primo aspetto, i ripetuti
interventi dei governi e degli stimoli finanziari implica un più stretto
controllo da parte delle autorità
sulle banche e relativo utilizzo dei
fondi pubblici. Gli approcci più
standardizzati alla stima dei rischi
interni delle banche e dei modelli di
gestione del rischio di capitale sono
destinati a evolversi. La conformità a
norme prudenziali rappresentano una
eventualità concreta; per esempio nel
Regno Unito, dopo la Brexit, e negli
Usa, dopo la potenziale revisione del
Dodd Frank Act (la riforma di Wall
Street voluta da Obama). Ciò richiederà alle banche la costruzione di
strumenti di gestione del rischio più
efficaci e automatizzati per preservare l’efficienza limitando i costi.
Quanto all’impatto del FinTech sugli
strumenti di gestione e valutazione
del rischio, le banche commerciali e
retail dovranno operare in un ambiente molto concorrenziale, dove sempre nuove start-up destabilizzeranno i
loro modelli operativi, svilupperanno
modi creativi di erogare servizi alla
clientela, svilupperanno strumenti di
regolamento e gestione del rischio di
controparte e del cliente in tempo reale a ciclo più breve. Le banche faranno fronte a questi progressi ricorrendo
a una serie di acquisizioni per stare al
passo delle più elevate aspettative del
cliente riguardo a riduzione dei tempi
ed efficacia dei controlli sul rischio.
Quanto al Big Data, le banche sono da
sempre consumatrici e analizzatrici di
grandi volumi di dati. L’avvento e la
continua evoluzione di molto più numerosi strumenti sofisticati e dell’analitica predittiva mirati ad analizzare
ogni singolo dato nonché a effettuare analisi del plusvalore andranno a
braccetto con gli attuali miglioramenti
al sistema bancario. Questo incentiverà inoltre lo sviluppo di nuovi modi di
valutare i rischi di credito, di mercato,
operativi, d’immagine e di altro tipo,
incluso lo sviluppo di nuovi indici
calcolati in modo dinamico.
Infine, la digitalizzazione delle fonti
di informazione, dal cliente alla controparte, indurrà le banche a prevedere adeguati budget per rendere
digitali e più efficienti le procedure
interne. Questo, a sua volta, genererà
innumerevoli procedure mirate a coordinare e condividere informazioni
in tale formato. Una così imponente
massa di dati provenienti da diverse interfacce renderà il compito dei
gestori del rischio molto più impegnativo, ma anche più interessante.
(riproduzione riservata)
* managing director Complex Asset
Solutions, Duff&Phelps.
Il complesso rapporto tra governance e profitti
S
ebbene standard setter, policy
maker e una buona componente
degli accademici ritengano la
corporate governance importante,
esiste anche una serie di studi critici. Alcuni autori sottolineano come
singoli meccanismi di governo societario si dimostrino irrilevanti ai fini
della creazione del valore d’impresa, mentre altri evidenziano come la
maggior parte degli studi sulla corporate governance, nella ricerca di
una relazione diretta tra alcuni degli
indicatori di governo societario e la
performance delle società, non sia
riuscita a dimostrare l’efficacia della
corporate governance stessa.
Tale difficoltà è riconducibile anche
alla complessità organizzativa dei
meccanismi di governance che, come
tale, richiede un «approccio olistico»
in cui siano considerate anche le interdipendenze tra i vari meccanismi.
Alcuni studiosi hanno approfondito
la necessità della visione d’insieme
giungendo alla conclusione che la
relazione tra corporate governance e
performance debba essere indagata
considerando i vari meccanismi di
governo societario come complementari o alternativi. Da questi concetti,
e nel dispiegarsi delle teorie sulla
corporate governance, non mancano
di Marina Brogi
convincimenti dissonanti con riguardo all’efficienza e all’efficacia del
framework normativo tracciato nel
corso degli anni. Alcuni studi hanno
quindi iniziato il dibatto sull’analisi
dei costi e dei benefici
derivanti dalla regolamentazione del governo
societario, che le autorità
dovrebbero adeguatamente ponderare, nonché
sull’effettiva necessità di
un dettato normativo che
definisca in modo pedissequo le caratteristiche
del sistema di governance
con l’intento di apportare
valore all’azienda.
Diversi studi, per esempio, criticano il SarbanesOxley Act (Sox) del 2002,
la legge federale emanata dal governo
degli Stati Uniti per le aziende quotate, in reazione agli scandali societari
susseguitisi ai tempi, e che in materia di corporate governance prevede
il requisito che la maggior parte dei
membri del board sia indipendente e
l’istituzione obbligatoria dei Comitati
Audit, per le Nomine e Remunerazio-
ni, esclusivamente composti da consiglieri indipendenti. Gli autori che si
sono dedicati a questa riflessione, tutti
sulla stessa linea di pensiero, criticano
i requisiti del Sarbens-Oxley Act per
i risvolti negativi (o nulli) che possono avere sulla performance delle
aziende e sul mercato: l’introduzione
de
del nuovo assetto norm
mativo determinerebbe
in
infatti un aumento dei
co
costi di compliance di
au
auditing, di capitale
um
umano, tale da indurre
le aziende ad abbanddonare il mercato. Vi
ssono posizioni simili
aanche con riferimento
aalla regolamentazione
ssettoriale sul governo
ssocietario. Con partticolare riguardo alla
rregolamentazione sullle banche, le critiche
hanno interessato sia gli Stati Uniti
(il Dodd-Frank Act) sia l’Europa (la
Capital Requirements Directive-Crd
IV, emanata nel 2013).
*ordinario di International Banking
e Capital Markets, Università
La Sapienza, Roma - brano tratto
dal volume Corporate Governance Pixel Egea Online