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2Giovanni,
III^ DOMENICA DI AVVENTO
che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi
discepoli mandò 3a dirgli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". 4Gesù
rispose loro: "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5 i ciechi riacquistano la vista , gli
zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è
annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!".
7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: "Che cosa siete andati
a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un
uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei
re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un
profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a
te egli preparerà la tua via . 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande
di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Mt 11,2-11
Anche in questa domenica si staglia la figura di Giovanni Battista. Non è più al Giordano a
battezzare, ma è rinchiuso nella fortezza di Macheronte che, dopo la morte di Erode il
Grande, era passata tra i possedimenti dell’inetto e crudele Erode Antipa (4 a. C. – 39 d.C.);
fu durante questo periodo che Giovanni Battista fu imprigionato e messo a morte e poi
decapitato. Attualmente è una collina fortificata situata in Giordania a 24 kilometri a sudest della foce del fiume Giordano, sulla riva est del Mar Morto.
Ricostruzione della fortezza di Macheronte
Macheronte era una fortezza molto importante, perché era l’unica che si trovava ad oriente
del Mar Morto, mentre tutte le altre fortezze erano a occidente sia del Mar Morto sia del
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fiume Giordano. Quando era necessario inviare notizie alle altre fortezze, esse partivano
proprio da Macheronte e, da li, rimbalzavano a tutte le altre sei fortezze di Erode, il grande
costruttore.
Stato degli scavi archeologici della fortezza.
Il Battista morì a causa della sua predicazione intorno al 35 d.C. Secondo il racconto
evangelico, egli condannò pubblicamente la condotta di Erode Antipa, che conviveva con
la cognata Erodiade, rimasta vedova di Filippo nel 34 d.C.; il re lo fece prima imprigionare,
poi, per compiacere la figlia di Erodiade, Salomè, che aveva ballato a un banchetto, lo
fece decapitare. In accordo con Flavio Giuseppe la popolazione ebraica pensò che la
sconfitta subita dall'esercito di Erode contro Areta, avvenuta nell'inverno del 36/37, fosse
una punizione divina per la decapitazione di Giovanni.
Al di là di “dietrologie” pseudo spiritualizzanti di un Dio sempre pronto a vendicarsi, è
sicuramente curioso l’esordio del vangelo di oggi. Giovanni in prigione sente delle opere
di Gesù, che egli stesso aveva preannunziato (3,11-12), così invia in missione esplorativa i
suoi discepoli. È difficile spiegare le ragioni per cui Giovanni pose l’interrogativo; le
relazioni tra i due “leader” Giovanni e i suoi discepoli e Gesù e i suoi discepoli sono
alquanto incerte nelle tradizioni. Non ci sono motivi sufficienti per pensare che
l’interrogativo di Giovanni non fosse sincero o che egli avesse inviato i suoi discepoli per
stimolare una chiara confessione di messianicità a loro favore o a favore di un pubblico
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più vasto Basandoci sulle scarse informazioni che abbiamo sul suo conto, possiamo
congetturare che la forte accentuazione sul giudizio escatologico nella predicazione di
Giovanni che abbiamo incontrato domenica scorsa, non apparisse nella predicazione di
Gesù e che ciò lasciasse Giovanni un po’ perplesso. Perché Gesù mangia con pubblicani e
peccatori? Perché non distrugge i suoi nemici e non instaura il regno di Dio? Perché Gesù
parla di misericordia e non id sacrifici? Chissà la testa del povero Giovanni com’era in
confusione! Giovanni aveva presentato il Messia come colui che sarebbe venuto a portare
un giudizio, a battezzare con Spirito santo e fuoco. Lo Spirito per comunicare vita e il
fuoco per distruggerla, come la pula, con un fuoco inestinguibile (Mt 3,10-12). Però in
Gesù non si riscontrano atteggiamenti di giudizio o di condanna ma solo proposte di
pienezza di vita e un amore esteso pure ai nemici. Questo non è il Messia! Anziché
giudicare gli uomini separando i buoni dai cattivi, Gesù annunzia un amore del Padre che
si estende a tutti, ingiusti compresi. Giovanni invia il monito a Gesù per mezzo dei suoi
discepoli. Costoro sono già apparsi in 9,14, con una posizione fortemente critica nei
confronti di Gesù e dei suoi discepoli per la controversia sul digiuno. Giovanni era un
uomo duro, tutto d’un pezzo, che non si piegava a compromessi di sorta (Mt 11,7-8), per
questo venne incarcerato (Lc 3,19-20). Egli è un predicatore escatologico (Mt 4,2),
probabilmente, ma ci sono numerosi dubbi a riguardo, membro della stessa setta di
Qumran (Mt 4,4; Lc 1,80b), una comunità dai forti toni escatologici e tutta protesa verso la
venuta del messia. Egli, quindi, attendeva il messia, che concepiva come una sorta di
giustiziere, il quale doveva fare piazza pulita di tutti gli increduli e gli infedeli (4,10-12) e ne stava
preparando la venuta. Annunciava, quindi, l’imminenza di un giudizio divino, che si
stava rovesciando sugli uomini. Una sorta di un nuovo diluvio universale. Ed ecco che
sulla scena compare Gesù, che egli riconosce come “più potente di me e io non son degno
neanche di portargli i sandali” (Mt 4,11b) e a lui si rivolge dichiarando tutta la sua
indegnità: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” (Mt 4,14). Ora egli
dal carcere segue, per mezzo dei suoi discepoli (Mt 11,2b), l’operare di colui che sa essere il
messia atteso, ma le sue opere e la sua predicazione non corrispondono all’idea che egli
aveva del messia. Gesù, infatti, si mette a tavola con i peccatori e mangia con loro (Mt
9,10); li chiama alla sua sequela (Mt 9,9); elargisce gratuitamente il perdono a tutti
indipendentemente dal loro pentimento; si fa vicino ai miseri, li sostiene e li apre alla
speranza (Mt 5,3-11). Non è questo il messia che Giovanni si attendeva e che aveva
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predicato con un’irruenza devastante. Nascono, quindi, in lui incertezze, dubbi, titubanze;
probabilmente elabora anche un atteggiamento critico verso questo tipo di messianismo.
Insomma, ne rimane totalmente scandalizzato e la sua fede diventa incredulità, così che
Gesù proclama beato chi non si scandalizza di lui (Mt 11,6). Questo è il dramma di
Giovanni, chiuso nel carcere di Macheronte. I vv. 2-6 vanno compresi in tale contesto e
vedremo come tutto diventa metafora di questo dramma, che Matteo prende a modello di
una incredulità, che nasce dallo scandalo provocato dalla figura di Gesù; uno scandalo che
scaturisce dallo scontro tra le attese degli uomini e il disegno di Dio e dall’incapacità dei
primi di sapersi superare e rinnovarsi.
Possiamo però osare un’altra interpretazione che lambisce anche lo spirito: Giovanni in
carcere, metafora di un altro carcere di cui Giovanni è vittima: quello del dubbio, che lo
attanaglia e non gli consente di aprirsi a colui che aveva indicato a tutti come il vero
messia, l’atteso dalle genti, l’inviato speciale di Jhwh. Egli sente (ἀκούσας, akùsas), ma non
vede. Qui, infatti, non c’è il verbo vedere, che nei racconti evangelici è metafora della fede
e dice la capacità superiore di cogliere il divino nel suo manifestarsi nell’umano; per
questo egli non riesce a cogliere la verità vera delle “opere di Gesù”. Egli le segue nella sua
incredulità, ma non le capisce. Si crea in tal modo uno scollamento e una incomunicabilità
tra lui e Gesù, per questo tra i due si inseriscono le figure dei discepoli di Giovanni, che
fanno da trait-d’union, poiché il Battista, nella sua carcerazione/incredulità non riesce a
raggiungere Gesù. Ricordiamo che, secondo lo storico Giuseppe Flavio, il Battista in
carcere era trattato con rispetto e poteva ricevere le visite dei discepoli.
Ed essi esprimono il dubbio del loro maestro: “Sei tu colui che viene o aspettiamo un altro?”.
Con l’espressione: “Sei ti colui che viene” (™ ὁ ἐρχόμενος ‘o ercómenos) si indicava la figura
del messia. In altri termini, il Battista chiede a Gesù la sua vera identità, sulla quale egli ha
molti dubbi e che non riesce più a decifrare. Il dilemma “sei tu l’ercómenos o aspettiamo un
altro?” dice tutto il buio che c’è in Giovanni, scandalizzato dall’operare di Gesù, un
operare che non rientrava nelle sue logiche, fuori dai suoi schemi. Il Battista diventa la
metafora dell’uomo prigioniero di se stesso e delle sue logiche umane, incapace, proprio
per questo, di aprirsi alla novità sconvolgente del Cristo. Proprio per questo egli è
presentato da Matteo rinchiuso nel carcere, dove sente, ma non vede.
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4Gesù
rispose loro: "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5 i ciechi riacquistano la
vista , gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri
è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!".
A questo incontro tra Gesù e i discepoli id Giovanni, abbiamo una prima “conversione”
degli stessi discepoli giovannei. Lo si percepisce dalla risposta che Gesù dà a loro: “Voi che
siete inviati, annunciate a Giovanni ciò che udite e vedete”. Tutto parla di un profondo
cambiamento nei discepoli di Giovanni, che sono trasformati da portatori di un dubbio in
apostoli annunciatori delle opere dell’ercómenos:
a) il verbo “Πορευθέντες” Poreuthentes (inviati), che qualifica quei discepoli come
apostoli, cioè inviati. Il verbo è posto all’aoristo passivo di tipo ingressivo, che nel
linguaggio biblico indica l’intervento operante e trasformante da parte di Dio; un invio
che ha il suo inizio nell’incontro con Gesù: loro, gli inviati di Giovanni sono ora
trasformati in inviati di Gesù a Giovanni.
b) il verbo ἀπαγγείλατε” (apangheílate, annunciate, portate la notizia). Il verbo è lo stesso
che compone la parola vangelo (εὐαγγέλιον euanhghélion), il lieto annuncio. I discepoli del
Battista e apostoli, ora, di Gesù sono caricati di un annuncio da portare al loro maestro;
c) i verbi ἀκούετε καὶ βλέπετε” (akúete kai blépete, udite e vedete). Sono i verbi propri della
testimonianza e della fede. Numerosi, infatti, sono i miracoli di guarigione operati da Gesù
su sordi e ciechi, categoria di ammalati che sono metafora dell’incredulità, dell’incapacità
di aprirsi al messaggio di salvezza. I discepoli, divenuti apostoli, sono costituiti pertanto
testimoni delle “opere del Cristo”. Certo, il verbo greco usato per indicare il vedere è
“βλέπω blepó”, un verbo che indica ancora un vedere acerbo, un semplice vedere fisico, ma
che aggancia la fede incipiente all’evento storico Gesù: “ciò che udite e vedete”.
Agli inviati del Battista Gesù si presenta come messia, elencando i segni desunti da alcuni
testi di Isaia (Is 35,5-6; 26,19; 61,1), il profeta della speranza che aveva predetto: “Nessuno
nella città dirà più: io sono malato” (Is 33,24).
Il Battista è invitato a prendere atto di sei nuove realtà: la guarigione dei ciechi, dei sordi,
dei lebbrosi, degli storpi, la risurrezione dei morti e l’annuncio del vangelo ai poveri. Sono
tutti segni di salvezza, nessuno di condanna. Le opere elencate sono le classiche opere del
Messia annunziate dal profeta Isaia (vedi Isaia 26,19; 29,18; 35,5-6; 42,7; 61,1) che il Battista
conosce molto bene, ma Gesù esclude i due passaggi della vendetta: “…Ecco il vostro
Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina…” (Is 35,4); “…il giorno di vendetta del
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nostro Dio…” (Is 61,2). Chiude la serie di azioni un monito verso Giovanni che è un invito
ad accogliere Gesù ed aprirsi così al nuovo. Come Giovanni non aveva compreso perché
Gesù si volesse far battezzare da lui ma poi lo aveva accettato, anche ora deve accettarlo
senza comprendere pienamente. Cogliamo ancora qualche messaggio che ci può aiutare
nel nostro cammino di incontro/conoscenza di Gesù: la guarigione di ciechi e sordi dice
l’apertura dell’uomo alla luce della fede e alla capacità di accogliere la Parola; i lebbrosi,
metafora di un’umanità degradata dal peccato, sono risanati dall’annuncio accolto; gli
zoppi, con il loro camminare claudicante e incerto sono la metafora dei dubbiosi, degli
incerti, dei deboli nella fede, che vengono ricostituiti nella saldezza del loro credere; così
come i morti, simbolo del mondo pagano e dei peccatori, lontani da Dio, sono chiamati
anch’essi alla sequela, ricongiunti a Dio e resi anch’essi partecipi della vita divina. A tutti i
poveri, infine, è elargito il dono del lieto annuncio: Dio è tornato in mezzo agli uomini e
tende loro amichevolmente la mano, attraendoli a Sé.
6E
beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!
Con questa sentenza si chiude l’episodio dei discepoli di Giovanni. Essa costituisce una
sorta di giudizio in positivo posto sull’atteggiamento di fede, di chi crede al di là di ogni
difficoltà e riesce a superare i limiti umani della propria sensibilità e della propria ragione.
Ma nel contempo è implicitamente una sentenza di condanna per chi si è lasciato vincere
dai propri dubbi e dalle proprie titubanze, rimanendo chiuso nel carcere della sua
incredulità.
La fede nel Dio che si rivela in Gesù non può che accompagnarsi a dubbi, incertezze,
difficoltà a credere.
Il Battista è la figura del vero credente: si dibatte fra tante perplessità, si pone delle domande,
ma non rinnega il messia perché non corrisponde ai suoi criteri; rimette in causa le proprie
certezze. Non preoccupa chi ha difficoltà a credere, chi si sente smarrito di fronte al
mistero e agli enigmi dell’esistenza, chi dice di non capire i pensieri e l’agire di Dio;
preoccupa chi confonde le proprie certezze con la verità di Dio, chi ha la risposta
immediata per tutte le domande, chi ha sempre qualche dogma da imporre, chi non si
lascia mai mettere in discussione: una simile fede a volte sconfina nel fanatismo religioso
che è peggiore della peste bubbonica! Con i fanatici non si può parlare e nemmeno con gli
ignoranti che credono di sapere tutto e non mettono mai in discussione sé stessi.
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Partiti i discepoli di Giovanni, Gesù pronuncia il suo giudizio su di lui con tre interrogativi
retorici. È la seconda parte del vangelo di oggi (vv. 7-11).
7Mentre
quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: "Che cosa siete
andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a
vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei
palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un
profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via . 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno
più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Le risposte alle prime due sono ovvie: il Battista non è come le canne palustri che crescono
lungo il Giordano, simboli della volubilità perché si piegano secondo la direzione del
vento. Giovanni non è un opportunista, una banderuola che si adegua a tutte le situazioni
e s’inchina di fronte al potente di turno. Il paragone con la “canna sbattuta dal vento”
allude, inoltre a Erode Antipa: nelle prime monete che Erode fece coniare con il motivo
della fondazione della sua capitale, Tiberiade (19 d.C.), era rappresentato un motivo
vegetale tipico della zona del lago, la canna sbattuta dal vento.
Moneta di Erode Antipa
Al contrario, il Battista è uno che si oppone risolutamente agli stessi capi politici, che
affronta a viso aperto il re e non ha paura di dire quello che pensa. Giovanni non è un
corrotto, che pensa al proprio interesse, che accumula denaro senza scrupoli e lo sperpera
in divertimenti, vestiti eleganti e raffinati. I corrotti – dice Gesù – sono i re e i loro
cortigiani, i ricchi, i capi che l’hanno imprigionato.
Ciò che noi oggi, indipendentemente dalla nostra santità personale, possiamo vedere e
capire, il Battista l’ha soltanto intuito perché è rimasto sulla soglia dei tempi nuovi.
Nonostante i dubbi che mettono in crisi lo stesso Giovanni, Gesù si rivolge alla folla
elogiando l’operato del Battista. Nel deserto, luogo tradizionale della rivelazione divina e
che rappresenta l’alternativa al sistema, il Battista non può essere confuso con i personaggi
importanti dell’epoca. La sua vita è una testimonianza inconfutabile delle scelte operate a
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livello esistenziale. Lui, figlio di sacerdote, non farà il lavoro del padre al Tempio, ma si
rifugerà nel deserto roccioso di Giuda.
La domanda di Gesù esige una risposta negativa: non siamo andati a vedere Erode Antipa,
un principe che “oscilla” per sopravvivere politicamente, ma un profeta che resta fermo
nella sua denuncia di una società ingiusta.
La seconda domanda di Gesù mette in contrasto due modi diversi di vivere: da una parte
il palazzo con i suoi cortigiani volta-gabbana che vivono nel lusso e nell’opulenza,
dall’altra il profeta nel deserto, uomo semplice che parla apertamente senza scendere a
compromessi con il potere. Di sicuro Giovanni non poteva essere scambiato per uno di
quegli abili cortigiani vestiti di etichetta che pur di restare a galla si adeguano a ogni tipo
di regime, ossequiando il potente di turno.
Egli è colui del quale sta scritto: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti
a te egli preparerà la tua via. La terza domanda suscita la risposta giusta. Il popolo
considerava Giovanni un profeta (cfr. 21,26). In quanto inviato di Dio, Giovanni dimostra
di essere stato fedele al compito affidatogli. La sua testimonianza è quella tipica dei
profeti, per la quale essi si contraddistinguono da quella dei cortigiani e delle persone
potenti che sono opportuniste e oscillanti. Gesù considera però il Battista più di un profeta,
poiché la stessa Scrittura aveva già parlato del suo compito di preparare la strada al
Signore (Malachia 3,1: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me…”).
Citando il testo di Malachia, Gesù applica a se stesso quella profezia, confermando di
essere: “Colui che doveva venire”. Giovanni è identificato con il messaggero (angelo)
annunciato dalla Scrittura, e con lui inaugura una nuova epoca: quella del Messia di Dio,
le cui opere (11,5) danno testimonianza della salvezza.
La terza domanda richiede una risposta positiva: Giovanni è un profeta, anzi è più che un
profeta. Nessuno nell’AT ha svolto una missione superiore alla sua. Più di Mosè, egli è
“un angelo” inviato a precedere la venuta liberatrice del Signore.
È significativa l’aggiunta finale: “Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (v. 11).
Gesù non stabilisce una graduatoria basata sulla santità e sulla perfezione personale, ma
invita a verificare la superiorità della condizione del discepolo. Chi appartiene al regno dei
cieli è in grado di vedere più lontano del Battista. Chi ha colto il volto nuovo di Dio, chi ha
capito che il messia è venuto incontro all’uomo per perdonarlo, accoglierlo, amarlo
comunque, è entrato nella prospettiva nuova, nella prospettiva di Dio.
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In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il
più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Ed è proprio il v.11 a precisare il senso della grandezza di Giovanni: “In verità vi dico: tra i
nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel
regno dei cieli è più grande di lui”. Un versetto, questo che crea una forte tensione e una
sorta di contrapposizione tra l’A.T. e il N.T., così che se Giovanni non ha uguali tra gli
uomini, per la missione che gli è stata affidata e preannunciata nelle scritture (Ml 3.1.23), il
più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Con il termine μικρός mikros “piccolo”,
espressione che ricorre 12 volte nel vangelo di Matteo, l’evangelista indica i nuovi
credenti, che si sono aperti e hanno accolto nella propria vita l’annuncio del Regno. Vi è,
quindi, una relativizzazione della figura del Battista, che, pur posto al vertice dei tempi
dell’Antico Testamento, viene indicato come perdente nei confronti del nuovo credente.
Infatti, se Giovanni ha preannunciato l’avvento del Regno, ma rimanendone, di fatto, sulla
soglia senza entrarvi, il nuovo credente ne fa parte a pieno titolo, in quanto incorporato a
Cristo in virtù del Battesimo e della sua fede. Egli fa parte, quindi, di quelle nuove realtà,
delle quali, quelle passate erano soltanto un’ombra, così che egli può chiamarsi a pieno
titolo “concittadino dei santi e familiare di Dio” (Efesini 2,19). In ultima analisi, Matteo, pur
riconoscendo la grandezza del Primo Testamento, vede soltanto nel Secondo Testamento
la pienezza e il compimento del Primo (Mt 5,17). Giovanni viene definito da Gesù come il
più grande tra i nati di donna, ma nella comunità del regno anche i più piccoli sono più
grandi di lui. Con questa espressione solenne (amen / in verità vi dico) Gesù vuole
contrapporre due realtà diverse: da una parte “i nati da donna”, dall’altra “i nati dall’alto”
per il Regno dei cieli. Per entrare nel regno dei cieli non basta la nascita fisica, occorre
nascere dallo Spirito, che con il suo impulso interno sostituirà l’obbligo esterno derivante
dalla Legge per abbracciare volontariamente la proposta sponsale di Gesù! Giovanni è il
precursore del Messia e l’annunciatore di un nuovo esodo o liberazione che avrà carattere
definitivo in Gesù, il Messia; Egli porterà a termine l’esodo definitivo, che condurrà a una
nuova terra promessa. La sua opera è quella di Dio stesso. Giovanni il Battista fa giungere
il popolo all’entrata della nuova terra, però non può farvelo entrare. Chi appartiene al
regno dei cieli è in grado di vedere più lontano del Battista. Chi ha colto il volto nuovo di
Dio, chi ha capito che il messia è venuto incontro all’uomo per perdonarlo, accoglierlo,
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amarlo comunque, è entrato nella prospettiva nuova, nella prospettiva di Dio. Ciò che noi
oggi, indipendentemente dalla nostra santità personale, possiamo vedere e capire, il
Battista l’ha soltanto intuito perché è rimasto sulla soglia dei tempi nuovi. Giovanni
Battista non ha varcato quello spartiacque tra l’Antico e il Nuovo Testamento, è rimasto
sulla soglia! Lo farà la missione del Messia che viene a effettuare in modo definitivo la
liberazione preparata e iniziata dalla missione di Giovanni.
A cura di padre Umberto
Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore
il nostro cammino incontro a colui che viene
e fa’ che, perseverando nella pazienza,
maturiamo in noi il frutto della fede
e accogliamo con rendimento di grazie
il vangelo della gioia.
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