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PRIMO PIANO
Venerdì 9 Dicembre 2016
Perché la legge elettorale non contiene le norme per le preferenze chieste dalla Consulta
Ora il Senato non è eleggibile
Una legge elettorale non è modificabile per decreto legge
DI
MARCO BERTONCINI
S
i continua a ripetere
che, se si andasse oggi
alle urne, si voterebbe
per la Camera con l’italicum e per il Senato con il porcellum, come massacrato dalla
Corte costituzionale (infatti in
politichese è spesso chiamato consultellum). È fatto noto
che l’Italicum sarà discusso a
palazzo della Consulta il prossimo 24 gennaio. Invece si dà
normalmente per pacifico che
il sistema del Senato possa essere subito applicato: sia autoapplicativo, come si usa dire in
giuridichese. Non è così.
La sentenza n. 1 del 2014,
con la quale la Corte costituzionale fece strame del sistema
elettorale allora in vigore per le
due Camere e oggi parzialmente vigente per il Senato, sancì
l’illegittimità costituzionale
delle norme che non consentivano «all’elettore di esprimere
una preferenza per i candidati,
al fine di determinarne l’elezione». A questo punto si sarebbe
dovuto colmare il vuoto per introdurre le preferenze. Non se
ne fece nulla, perché si preferì
attendere che l’elezione del Senato venisse
meno con la riforma
costituzionale, mentre per l’elezione della Camera si sarebbe
cambiata l’intera normativa di base. Per la
Camera, in effetti è
stato approvato l’italicum, ma il Senato è
rimasto elettivo per il
risultato referendario.
A motivare la
mancata normazione delle preferenze
contribuirono alcune
righe della stessa sentenza n. 1/2014, che ritenevano
soltanto “eventuali apparenti”
gli inconvenienti derivanti dalla
pronuncia d’incostituzionalità:
si sarebbero potuti rimuovere
«mediante interventi normati-
vi secondari, meramente tecnici
e applicativi» della pronuncia.
Ora, è verissimo che alcune disposizioni sono introducibili in
via regolamentare, dunque sen-
Vignetta di Claudio Cadei
za necessità di una legge, come
nel caso dei facsimili di schede
elettorali da integrare con le righe per indicare le preferenze;
ma il principio medesimo della
preferenza richiede una modi-
fica introducibile solo con una
legge. Sarebbe pure da vedersi
quante preferenze, se unica o
doppia di genere o plurime.
Alla questione ha in
questi giorni fatto
riferimento più volte
Stefano Ceccanti, ex
senatore del Pd e forse il più acceso fautore
del sì fra i costituzionalisti. Da parte sua l’ha
fatta facile: «Si può
fare con una norma
secondaria o con un decreto» (Il Tempo, 7 dic.);
la Corte «ha inserito
la preferenza unica»
(forse non è esatto), il
che «si risolve con un
decreto-legge o un regolamento» (Avvenire,
7 dic.); ad attuare le
modifiche indicate dalla Corte
«può essere anche un decretolegge, si può fare in fretta» (Corriere della Sera, 7 dic.). Pare impossibile agire con un semplice
regolamento per disciplinare
le preferenze nel voto per il
Senato. Certo, teoricamente si
potrebbe ricorrere a un decretolegge, sempre ammesso che il
capo dello Stato l’autorizzasse (la disciplina elettorale è
delicata, tanto che di solito i
decreti-legge in maniera sono
preventivamente concordati
fra i gruppi). In ogni caso il decreto-legge dovrebbe poi essere
convertito: quindi è incongruo
reputare che si possa «fare in
fretta». Non può sfuggire che la
reintroduzione delle preferenze,
pur se richiesta dall’intervento
della Corte costituzionale, susciterebbe non poche polemiche
e perfino ostruzionismi parlamentari per bloccare la mini
riforma elettorale specifica.
Conclusione: non c’è oggi
una legge applicabile per eleggere subito il Senato. Bisognerà
provvedere con legge, anche se
si ritenesse di non modificare in
altre parti il sistema di elezione
per palazzo Madama:
© Riproduzione riservata
IL POPOLO DEGLI ABISSI (GIOVANI POVERI, VECCHI POVERI, EMARGINATI) SI È RISVEGLIATO MALE
Il No non è stato certamente una soluzione
È invece l’architettura europea che non sta in piedi e che va ridiscussa
DI
È
GIULIO SAPELLI
giunta l’ora del disvelamento, del riconoscimento. Sino
all’esito del referendum, disastroso per il governo e per
l’intrecciarsi di questioni irrisolte nel
cui contesto le dimissioni del Primo
Ministro si sono inverate. Il popolo
degli abissi, ossia i giovani poveri, i
vecchi poveri, gli emarginati, le classi medie povere, gli operai senza più
diritti, le famiglie che non riescono a
vedere un futuro per i loro figli: questo
popolo degli abissi, che emerge dalle
basse stratificazioni sociali, e che accerchia la Milano metropoli dei ricchi e
l’Emilia Romagna e la Toscana, ultime
due regioni d’Italia, con uno straccio di
coesione sociale, uno straccio e niente
più, il popolo degli abissi si è messo in
moto. Charles Tilly, Leopold Haimson e io, vent’anni e più or sono, avevamo scoperto in uno studio europeo
comparato sui movimenti collettivi che
la protesta sociale si metteva in atto
non quando le cose andavano peggio
materialmente, ma quando un barlume di speranza appariva all’orizzonte.
Il barlume di speranza si è acceso in
due tempi e solo apparentemente contraddittori.
Primo tempo: Matteo Renzi se
la prende con l’Europa; si agita e si
infuria; predica la crescita e non l’austerità e dà una speranza.
Secondo tempo: proprio nel
mentre le speranze si accendono
perché la gente ha capito che la causa
di ogni nostro male sociale e politico
deriva dalla tecnocrazia europea e dal
Fiscal compact, proprio mentre si suona questa narrativa, si deve votare per
un referendum dove tutti coloro che
votano Sì se la cantano e se la suona-
no, in amore e in accordo con la tecnocrazia europea e le sue regole suicide,
mentre tutti coloro che hanno iniziato
a protestare contro l’euro e l’eurocrazia
votano No. Non poteva che andare a
finire come è finita: la vittoria dei No.
Ma subito ci s’accorge che questa vittoria dei No non aiuta affatto
il popolo degli abissi: l’Europa continua a dire che la Legge di stabilità non
va bene, l’Europa, ossia il Presidente
dell’Eurogruppo (un socialista olandese blairiano come non mai, e clintoniano più che mai) bacchetta l’Italia e si
unisce a Schäuble nel far la predica
alla cicala italiana. Come se non bastasse la signora Merkel, che è stata
appena rieletta segretaria della Cdu
perdendo un pugno di voti rispetto al
passato, subito si affanna a dire che
sui migranti aveva scherzato e che
per quanto riguarda l’Italia bisognerà essere più rigorosi. Al popolo degli
abissi di essere definito populista non
cale un bel nulla, soprattutto perché
populista non è affatto, è solo un fiume
di persone che si ingrossa sempre più
alla ricerca dell’anello della catena che
bisogna tirare per alzare il ponte levatoio e raggiungere quei beni comuni
che sono stati tipici del patrimonio della sinistra storica che poi si è dileguato
dopo Blair e Clinton e i vari seguaci.
È già successo altre volte nella storia.
Quando i beni comuni non sono stati
offerti dalla classe politica di sinistra
sono stati da circa due secoli offerti
dalla destra.
Vi ricordate del populismo degli operai americani di fine Ottocento? Vi ricordate del gingoismo
delle classi operaie e del ceto medio
declassato, ben descritte da Hobson?
Vi ricordate del pujadismo, che ha
investito operai e impiegati pubblici
nella Francia post- fronte popolare?
Vi ricordate del qualunquismo italico
post Seconda guerra mondiale? Vi ricordate dei seguaci del generale Metaxa in Grecia, prima della Seconda
guerra mondiale? E potrei continuare
soprattutto in riferimento a come li
chiamava Istvan Bibò nei suoi magnifici libri sulla «Miseria dei piccoli
stati dell’Europa orientale».
Il fenomeno ritorna. Negli Usa
si chiama Trump, nel Regno Unito
è la May, con i seguaci del Brexit. In
Francia si chiama Marine Le Pen,
che sarà sconfitta solo da un suo simile, ossia il cattolico conservatore sociale Fillon. In Germania la Merkel
tiene duro, e gioisce per la vittoria del
democratico cancelliere austriaco che
ha fermato la marcia dei neonazisti.
Però sia lei che Schäuble e tutta la
tecnocrazia europea continuano a non
capire nulla e continuano a pensare
che la politica economica dei singoli
stati europei debba continuare a non
esistere, perché così sta scritto in quel
trattato popolare del liberismo economico antidemocratico e anti-liberale
che è sorretto dai dettati costituzionali
nazionali che hanno imitato la Costituzione dello Stato tedesco.
Punti cardine di queste costituzioni occulte ai più: nessun debito
pubblico, nessun intervento dello Stato, indipendenza dell’economia dalla
politica. Che bisogno c’è infatti della
politica se l’automobile è senza guidatore ed è telecomandata da un accordo
tra governi e non determinata dalla
volontà popolare attraverso il Parlamento, nazionale o europeo che esso
sia? In Europa, i nodi stanno venendo
al pettine grazie alla crisi delle banche, e in primo luogo in Italia. Solo lo
Stato, con le sue molteplici forme di
intervento, può evitare che il sistema
bancario italiano si avvicini sempre
più al baratro e trascini con se larga
parte di quello europeo, tedesco in primis. Guardate la vicenda Mps. Anche
i soldi del Qatar non bastano, e infatti
i qatarini si sono ritirati impauriti,
svergognando sia Jp Morgan sia Mediobanca, che erano state scelte dal
governo come mallevadori ben pagati
dell’operazione.
Quindi finirà come vuole Schäuble: il Monte Paschi sarà il primo
bail-in nella storia europea, con gravi
conseguenze per creditori e azionisti.
Solo lo Stato ci può salvare. Ma lo Stato si nega, se ne va, e il Primo ministro
Matteo Renzi dà le dimissioni. Pare
volesse darle ancor prima di far passare la legge finanziaria. Incredibile
ma vero. Il fatto che tutto ciò accada
senza che ci sia una legge elettorale
ragionevole è emblematico. Per la Costituzione europea che non c’è e che
quando è stato tentato di farla votare
è stata respinta da francesi e olandesi,
le elezioni sono un orpello, sono un sovrappiù, in poche parole, non servono
a nulla, se non a ingannare il popolo
degli abissi. Ma pare che ora, questo
popolo dolente, ingannato, terrorizzato
non voglia più esser tale. Si è messo
in moto e se non cadrà nella trappola di affidarsi a coloro che negli anni
Novanta del Novecento sottrassero
all’Italia la sovranità monetaria, la
politica economica e gli avrebbero sottratto anche l’onore se il popolo degli
abissi avesse veramente creduto alla
canzone dei Quisling che diceva che il
popolo italiano aveva bisogno di uno
chock esterno per essere civile, ebbene,
se non crederanno a questi cattivi maestri che, questi sì pari son, di destra
o di sinistra, tra le sofferenze saprà
trovare una nuova strada e scegliere i
nuovi capi del domani.
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