Monastero di Bose - L`urgenza dei tempi

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L'urgenza dei tempi
9 dicembre 2016
Mt 24,15-25
In quel temo mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli
osservare le costruzioni del tempio. Egli disse loro: 15 Quando dunque vedrete presente nel luogo santo
l'abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele - chi legge, comprenda -, 16 allora quelli che sono in
Giudea fuggano sui monti, 17chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, 18 e chi si
trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. 19In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle
che allattano!
20 Pregate che la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato. 21 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande,
quale non vi è mai stata dall'inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. 22 E se quei giorni non fossero
abbreviati, nessuno si salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati.
23 Allora, se qualcuno vi dirà: «Ecco, il Cristo è qui», oppure: «È là», non credeteci; 24perché sorgeranno falsi
cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. 25 Ecco, io
ve l'ho predetto.
Gesù, fedele alle Scritture, utilizza il linguaggio apocalittico simbolico per evocare l’urgenza dei tempi e la loro
drammaticità. Intuisce bene quello che sta per accadere a livello storico, comunitario e anche personale e vuole
preparare i suoi a discernere gli eventi per non restarne sopraffatti.
Il luogo santo, il tempio, sarà distrutto perché così è l’andamento della storia umana con le sue guerre, le sue speranze
ideologiche: “Ecco il Cristo è qui” e i suoi leader ingannatori (v. 24). Non è la descrizione del futuro, è la consapevolezza
della realtà presente nella quale siamo immersi e spesso sommersi. Ogni guerra per quelli che la subiscono è la
tribolazione più grande di tutta la storia e le madri che portano le generazioni a venire sono le più vulnerabili:
“Guai alle donne incinte e a quelle che allattano”, versetto che riecheggia l’avvertimento di Gesù alle donne che si
lamentano della sua morte vicina: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri
figli. Ecco veranno giorni nei quali si dirà: ‘Beate le sterili, i grembi che non hanno generato’” (Lc 23,29).
Infatti, il luogo santo è il suo corpo che sarà consegnato in mano agli impuri, i pagani, e sarà profanato (l’abominio della
devastazione: violenza, ingiustizia e sopraffazione) da una morte ignominiosa.
E poiché Gesù ha attraversato la sciagura della storia c’è una speranza per quelli, chiamati “eletti”, che riconoscono
l’unico segno dei tempi: egli ha assunto tutta questa sciagura senza arrendersi all’odio, alla vendetta o alla disperazione;
è morto amando. La croce, che di per sé è abominio, è diventata segno del suo amore invincibile su tutta la storia
umana, anche la più terribile.
Ma il Cristo non è da solo, ci sono gli eletti, quelli che per amore hanno preferito la vita con lui più della propria e che
assumono la responsabilità di abbreviare i tempi. Espressione strana questa, ma la possiamo capire se abbiamo la
consapevolezza che il regno di Dio agisce come il lievito.
Accogliere il figlio dell’uomo è custodire l’amore, coltivarlo, fermento che apre una via di senso nel non senso, a
livello personale, sociale e storico. È anche testimoniare che la speranza riposta nella vita di comunione tra gli amanti
di Dio, perché amati da Dio, è per tutti. La storia propone delle speranze e le contraddice, ma gli eletti riconoscono
l’unica speranza, l’unico segno: il corpo di Cristo, il suo amore luminoso che nessuna profanazione potrà mai annientare.
“Vieni Signore Gesù!”.
sorella Sylvie
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