Lega Nord e Salvini: cosa resta del federalismo?

Download Report

Transcript Lega Nord e Salvini: cosa resta del federalismo?

L'Indro - L'approfondimento quotidiano indipendente

Politica > News

Lega Nord e Salvini: cosa resta del federalismo? | 1 mercoledì 07 dicembre 2016, 18:00

Decentramento ieri e oggi

Lega Nord e Salvini: cosa resta del federalismo?

I residui della lotta per il federalismo e la sua assenza nel discorso politico del leader di Cesare Germogli

C’era una volta il dibattito sul federalismo. Un tema questo che per vent’anni è stato talmente importante, prima nella retorica elettorale e poi nel dibattito politico vero e proprio, da portare i cittadini a due referendum costituzionali nel giro di cinque anni. I primi successi alle urne della Lega Nord di Umberto Bossi durante la fase di transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica, le conseguenti brevi esperienze di governo e il progetto secessionista che raggiunge il suo culmine, almeno sul piano comunicativo, con la manifestazione a Venezia del 15 settembre 1996 dove il leader del Carroccio dichiara l'indipendenza della Repubblica Federale Padana e l'indizione di un referendum per l'indipendenza dallo Stato italiano: un’evoluzione che porta sotto i riflettori nazionali un sentimento sempre più radicato nelle regioni del nord e che di conseguenza fa entrare nell'agenda politica il tema delle autonomie locali. La risposta a queste istanze si ebbe attraverso una serie di decreti legge noti come Legge Bassanini – riguardanti le funzioni degli enti locali – ma soprattutto con la legge di riforma costituzionale proposta nel 1998 dall’allora premier Massimo D’Alema, poi approvata attraverso il referendum popolare del 2001. Tale riforma si poneva come modifica in senso autonomista del Titolo V della Costituzione e i suoi punti centrali riguardavano la funzione legislativa attribuita alle Regioni, che sarebbe risultata ampliata specificando quali erano le competenze esclusive dello Stato e lasciando alle Regioni il compito di occuparsi di tutte quelle non nominate esplicitamente. In seguito su spinta della Lega, ritornata nella coalizione di centrodestra (Casa delle Libertà), il Parlamento approva con maggioranza semplice un altro progetto di riforma costituzionale stavolta con connotazioni ben più federaliste. Esso prevede l’introduzione della famosa 'devolution', cioè la devoluzione alle regioni della potestà legislativa esclusiva in materia di organizzazione scolastica, polizia amministrativa regionale e locale, assistenza e organizzazione sanitaria. Il secondo referendum costituzionale, dopo quello del 2001, sulla riforma del Titolo V, si tiene così il 25 e 26 giugno 2006. La maggioranza dei voti risulta di parere contrario alla riforma costituzionale.

Il progetto federalista della Lega subisce così una battuta d'arresto con Bossi che ammetterà di essere «un po' deluso da questa Italia che fa un po' tristezza». Di lì a poco la crisi, il governo tecnico Monti e gli scandali che travolgono il Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/lega-nord-salvini-cosa-resta-del-federalismo/ L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.

Copyright L'Indro S.r.l. Tutti i diritti riservati.

L'Indro - L'approfondimento quotidiano indipendente

Politica > News

Lega Nord e Salvini: cosa resta del federalismo? | 2 consenso al Carroccio portano ad un cambio di generazione della politica italiana, e ad oggi termini usati con grande disinvoltura per vent’anni – la ‘devolution’ e il ‘federalismo fiscale’ su tutti – non si sentono più nominare. A posteriori però ci possiamo chiedere: tutto il dibattito politico degli ultimi vent’anni sul federalismo, e quindi sull’esigenza di aumentare l’autonomia degli enti territoriali in contrapposizione al cd. centralismo (ovvero ai poteri dello Stato centrale), ha prodotto davvero maggiore autonomia in capo alle Regioni e agli Enti Locali? Secondo Cesare Mainardis, professore di diritto regionale presso l’Università di Ferrara, “la riforma costituzionale del 2001 era ispirata senz’altro dalla

volontà di aumentare gli spazi di autonomia delle Regioni; ma a distanza di un quindicennio, alla luce della prassi legislativa e della giurisprudenza costituzionale la maggioranza degli studiosi è piuttosto scettica sul fatto che tale obiettivo

sia stato raggiunto”. Alla via della modifica costituzionale, tortuosa e piena di insidie, i principali promotori del decentramento dei poteri hanno affiancato quella dell’azione parlamentare. E in questo senso “la grande battaglia, a livello legislativo, è stata quella per introdurre il federalismo fiscale”, definito da Mainardis come una “locuzione impropria”. Il risultato? Modesto anche in questo caso; se da una parte la finalità era quella di valorizzare le autonomie territoriali attraverso "una diversa regolazione della spesa pubblica e delle entrate”, dall’altra di fatto una vera azione è rimasta incompiuta”. Ma anche l’implementazione di quella riforma a cui si era riusciti a pervenire è risultata assente, essendo “clamorosamente mancata una attuazione legislativa organica della riforma costituzionale del 2001; questa è mancata tanto da parte del centro-destra che del centro-sinistra”. E a livello di governo regionale invece, laddove per anni si è avuta o si ha tuttora una guida leghista, la spinta decentratrice si è fatta sentire? Ci riferisce in particolare a quelle due regioni - Lombardia e Veneto - che furono le uniche in cui al referendum costituzionale del 2006 prevalsero i sì sui no. Secondo Mainardis “senz’altro vi sono stati dei casi nei quali le politiche regionali hanno marcato in

maniera significativa il governo di determinati settori dell’ordinamento: penso ad esempio al caso dell’organizzazione e della

gestione della sanità in Lombardia. Sul fronte veneto invece”, prosegue, “ al di là di qualche iniziativa simbolica (il

referendum sull’indipendenza del Veneto, bocciato nel 2015 dalla Corte costituzionale) non mi pare che le politiche regionali, a prescindere dal giudizio di merito sull’operato di questa o di quella maggioranza, si siano contraddistinte per una particolare vocazione ai temi dell’autonomia politica degli enti territoriali, differenziandosi così dalle politiche di altre

Regioni”. Come detto, ad oggi termini come ‘federalismo’ e ‘devolution’ sembrano essere stati eliminati dal vocabolario della politica italiana. Ciò che più colpisce però è il constatare come tale accantonamento riguardi anche la stessa forza politica che quei termini gli aveva fatti entrare nel lessico politico e, cosa forse più importante, nella testa degli elettori. La svolta comunicativa attuata da Matteo Salvini - segretario del partito dal 2013 - risulta palese: dall’accento sulle posizioni ‘nordiste’, sull’autonomia e sul secessionismo del Nord, si è passato ai temi del contrasto all’immigrazione, del recupero dell’identità (anche italiana), alla sovranità nazionale contro l’Europa e l’Euro. Un cambio di rotta in una direzione simil – Front National abbastanza prevedibile con “Salvini”, dice Mainardis, che “ha individuato uno spazio politico da poter occupare, ed agisce di conseguenza”. E la strada per recuperare il terreno perduto dopo gli scandali che avevano affossato l’appeal elettorale del Carroccio, passa anche per l’abbandono di quelle istanze per le quali il partito era nato in principio. Persino nel dibattito sul referendum costituzionale appena concluso, riguardante una riforma con tendenze accentratrici, il segretario della Lega “pare che abbia cavalcato altri temi”. D’altro canto è indubbio che “il ‘federalismo’,

dopo essere stato la parola d’ordine del dibattito politico per oltre un ventennio, vive oggi una stagione di

riflusso; gli scandali legati all’utilizzo del denaro pubblico da parte di numerosi Consigli regionali; l’aumento della spesa pubblica da parte di molte Regioni, che ha condotto anche al loro commissariamento nel settore della sanità; una certa delusione legata al naufragio dei buoni propositi che avevano accompagnato la riforma costituzionale del 2001, tutti questi

elementi mi pare abbiano concorso a togliere vigore alla battaglia autonomista”. Da un lato questa trasformazione ha fatto storcere il naso alla vecchia guardia leghista, su tutti Bossi con le recenti dichiarazioni e prima ancora

Gilberto Oneto

, sulla base proprio dell’abbandono dei temi federalisti. Dall’altro però

l’elettorato verde sembra condividere la scelta di Salvini

. La sensazione è che allo stato attuale la creatura di Umberto Bossi, ormai non più giovane, debba decidere cosa fare da grande. Perché se Matteo Salvini ha ormai intrapreso definitivamente la strada del movimento di carattere nazionale e non più nord-centrico, tanto da riferirsi ad esso quasi sempre solo come ‘Lega’, è anche vero che il suo nome completo è e resta tuttora quello di Lega Nord per l'Indipendenza della Padania. Quindi un partito di destra a connotazione nazionalista, ma che all’Articolo 1 del proprio statuto dichiara tuttora come propria finalità il ‘conseguimento dell’indipendenza della Padania’.

di Cesare Germogli

Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/lega-nord-salvini-cosa-resta-del-federalismo/ L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.

Copyright L'Indro S.r.l. Tutti i diritti riservati.