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Lunedì, 05 dicembre 2016
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
Software in licenza
con trattamento
fiscale incerto
Per le spese trasmesse al Sistema TS non tutti
esclusi dallo spesometro
/ Silvia LATORRACA
Il trattamento fiscale, nell’ambito del
reddito d’impresa, del software risulta complesso, alla luce delle numerose casistiche riscontrabili nella pratica professionale. Peraltro, in materia
sono rinvenibili, sia nell’ambito della
prassi e della giurisprudenza, che
nell’ambito della dottrina, soltanto
alcuni orientamenti, per lo più parziali, perché limitati a specifiche fattispecie.
Occorre prima di tutto considerare
che i software si differenziano in
funzione delle loro caratteristiche intrinseche; sotto questo profilo, si distingue il software di base, costituito
dall’insieme delle istruzioni indispensabili per il funzionamento
dell’hardware (es. sistema operativo
windows), dal software applicativo,
costituito dall’insieme delle istruzioni che consentono l’utilizzo di funzioni del software di base al fine di
soddisfare specifiche esigenze
dell’utente (es. programmi gestionali
di contabilità).
In secondo luogo, il software può essere realizzato [...]
L’esonero dalla comunicazione permane ai sensi del DM 1° settembre 2016 ma
non è stato mantenuto nel “nuovo” art. 21 del DL 78/2010
/ Massimo NEGRO e Simone SUMA
Il DL 193/2016 – convertito dalla L. 1°
dicembre 2016 n. 225 – ha previsto
l’abolizione del c.d. “spesometro” annuale e l’introduzione di un nuovo
obbligo di comunicazione trimestrale delle operazioni rilevanti ai fini
IVA. Tale modifica ha comportato la
riscrittura dell’art. 21 del DL 78/2010
convertito, la cui “nuova” formulazione entrerà in vigore dal 1° gennaio 2017 (cfr. art. 4 comma 4 del DL
193/2016).
Come già evidenziato su
Eutekne.info (si veda “Spariscono le
comunicazioni «black list», ma non
da subito” del 25 ottobre 2016), per
effetto di tale decorrenza, tuttavia,
per il 2017 permane l’obbligo di comunicare le operazioni rilevanti ai
fini IVA intercorse nel 2016, ai sensi
dell’art. 21 del DL 78/2010. Tale
adempimento comporta un maggior onere per quei soggetti che nel
2016 hanno beneficiato di un esonero dal medesimo. Ci si riferisce, in
particolare, ai soggetti obbligati alla
trasmissione telematica al Sistema
tessera sanitaria (TS) dei dati relativi
alle spese sanitarie necessari alla precompilazione dei modelli 730 e UNICO PF.
L’art. 3 comma 3 del DLgs. n. 175/2014
prevede l’obbligo di trasmissione dei
suddetti dati al Sistema TS per:
- le strutture sanitarie e i presidi accreditati (quali le ASL, le aziende
ospedaliere, gli istituti di ricovero e
cura, i policlinici universitari, le strutture che erogano prestazioni di assistenza protesica e assistenza integrativa, ecc.);
- le farmacie pubbliche e private;
- i soggetti iscritti all’Albo dei medici
chirurghi e odontoiatri;
- le strutture autorizzate per l’erogazione dei servizi sanitari e non accreditate con il Servizio sanitario nazionale (SSN), ai sensi dell’art. 8-ter del
DLgs. n. 502/1992 e dell’art. 70 comma
2 del DLgs. n. 193/2006 (cfr. DM 2 agosto 2016).
Per tali soggetti, la legge di stabilità
2016 (L. n. 208/2015) ha previsto l’esonero dallo “spesometro”, in [...]
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IN EVIDENZA
FISCO
IMU in base al valore venale dell’area edificabile con costruzione
in corso
Mini aumento per le percentuali di compensazione IVA in
/ Emanuele GRECO
agricoltura
Danno “diretto” ai creditori difficile da provare
ALTRE NOTIZIE
Esonero dall’acconto IVA
2016 possibile nei casi di
assegnazione ai soci
/ DA PAGINA 8
Per i soggetti che hanno aderito ad
una delle procedure agevolate di cui
all’art. 1 comma 115 e ss. della legge di
stabilità 2016 nel corso dell’anno, la
determinazione dell’ [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Software in licenza con trattamento fiscale incerto
L’orientamento della Cassazione sembra porsi in contrasto con la prassi dell’Amministrazione
/ Silvia LATORRACA
Il trattamento fiscale, nell’ambito del reddito d’impresa, del software risulta complesso, alla luce delle numerose casistiche riscontrabili nella pratica professionale. Peraltro, in materia sono rinvenibili, sia nell’ambito della prassi e della giurisprudenza, che nell’ambito della dottrina, soltanto alcuni orientamenti, per lo
più parziali, perché limitati a specifiche fattispecie.
Occorre prima di tutto considerare che i software si
differenziano in funzione delle loro caratteristiche intrinseche; sotto questo profilo, si distingue il software
di base, costituito dall’insieme delle istruzioni indispensabili per il funzionamento dell’hardware (es. sistema operativo windows), dal software applicativo,
costituito dall’insieme delle istruzioni che consentono
l’utilizzo di funzioni del software di base al fine di soddisfare specifiche esigenze dell’utente (es. programmi
gestionali di contabilità).
In secondo luogo, il software può essere realizzato internamente, può essere acquisito da terzi a titolo di
proprietà oppure può essere acquisito in licenza d’uso.
In questo caso, i diritti vantati dall’impresa possono
avere carattere temporaneo (tempo determinato) oppure illimitato (tempo indeterminato).
Infine, il software può essere soggetto a tutela giuridica, in base alla disciplina del diritto d’autore.
Tali elementi incidono differentemente sul relativo
trattamento fiscale.
Il software di base deve essere rilevato, secondo corretti principi contabili, ad incremento del relativo
hardware e ammortizzato unitamente ad esso. Sotto il
profilo fiscale, tale software deve, dunque, essere ammortizzato secondo le disposizioni previste dall’art.
102 del TUIR in riferimento ai beni materiali.
Discorso diverso deve essere fatto per i software applicativi tutelati in base alla disciplina del diritto d’autore,
che contabilmente devono essere rilevati nella voce
“B.I.3 - Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno” dello Stato patrimoniale, a prescindere dalle modalità di acquisizione.
Laddove il software applicativo sia realizzato internamente o acquisito in proprietà da terzi, le relative quote di ammortamento sono deducibili ai sensi dell’art.
103 comma 1 del TUIR, in misura non superiore al 50%
del costo. Il processo di ammortamento deve, quindi,
esaurirsi in un periodo non inferiore a 2 esercizi.
Nel primo caso, le quote di ammortamento sono calcolate sul costo dei software diminuito dell’eventuale importo già dedotto a titolo di spese per studi e ricerche
ai sensi dell’art. 108 comma 1 del TUIR.
Peraltro, rientra nell’ambito applicativo dell’art. 103
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comma 1 del TUIR anche il software acquisito mediante il c.d. “contratto di sviluppo”.
Il trattamento fiscale risulta maggiormente complesso
in relazione ai software applicativi acquisiti in licenza
d’uso.
Secondo autorevole dottrina, in caso di licenza a tempo indeterminato, le quote di ammortamento del software sono deducibili ai sensi dell’art. 103 comma 1 del
TUIR, mentre, in caso di licenza a tempo determinato,
le quote di ammortamento sono deducibili ai sensi
dell’art. 103 comma 2 del TUIR, cioè “in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge”.
In questo senso si veda la Cassazione n. 16673/2016
(avente per oggetto software integranti programmi
sorgente), secondo cui l’art. 103 comma 2 del TUIR disciplina “tutte le fattispecie residuali che il legislatore
tributario sceglie di connotare sulla scorta di un unico
elemento caratterizzante, costituito dalla durata limitata nel tempo dei diritti esercitabili sul bene immateriale attribuito”.
Tale orientamento sembra, tuttavia, porsi in contrasto
con la prassi dell’Amministrazione finanziaria (ris.
Agenzia Entrate n. 35/2003), laddove, seppur in riferimento alle opere cinematografiche, ha chiarito che le
stesse sono ammortizzabili in base alle regole di cui
all’art. 103 comma 1 del TUIR non solo se detenute in
proprietà, ma anche se detenute in licenza.
Ad avviso di una parte della dottrina, il trattamento fin
qui delineato trova applicazione soltanto in riferimento al c.d. software personalizzato. Per contro, in caso di
software standardizzato (es. programmi di video scrittura e fogli elettronici), sembrerebbe più corretto attribuire prevalenza alla componente di natura materiale
(supporto), con il conseguente ammortamento del software ex art. 102 del TUIR.
In senso analogo, l’Amministrazione finanziaria ha
precisato che una banca dati contenuta su cd-rom non
ha natura di bene immateriale, ma costituisce un bene
materiale, con la conseguente applicazione dei coefficienti di ammortamento previsti dal DM 31 dicembre
1988 (ris. Agenzia Entrate n. 72/2006).
Da ultimo, occorre considerare il software applicativo
non tutelato, che contabilmente deve essere rilevato
nella voce “B.I.7 - Altre immobilizzazioni immateriali” e
ammortizzato nel prevedibile periodo di utilizzo.
In mancanza di indicazioni dottrinali, si ritiene che tale bene debba essere ammortizzato ai sensi dell’art. 103
comma 2 del TUIR, in base “alla durata di utilizzazione
prevista dal contratto o dalla legge”.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Per le spese trasmesse al Sistema TS non tutti esclusi
dallo spesometro
L’esonero dalla comunicazione permane ai sensi del DM 1° settembre 2016 ma non è stato
mantenuto nel “nuovo” art. 21 del DL 78/2010
/ Massimo NEGRO e Simone SUMA
Il DL 193/2016 – convertito dalla L. 1° dicembre 2016 n.
225 – ha previsto l’abolizione del c.d. “spesometro” annuale e l’introduzione di un nuovo obbligo di comunicazione trimestrale delle operazioni rilevanti ai fini
IVA. Tale modifica ha comportato la riscrittura dell’art.
21 del DL 78/2010 convertito, la cui “nuova” formulazione entrerà in vigore dal 1° gennaio 2017 (cfr. art. 4 comma 4 del DL 193/2016).
Come già evidenziato su Eutekne.info (si veda “Spariscono le comunicazioni «black list», ma non da subito”
del 25 ottobre 2016), per effetto di tale decorrenza, tuttavia, per il 2017 permane l’obbligo di comunicare le
operazioni rilevanti ai fini IVA intercorse nel 2016, ai
sensi dell’art. 21 del DL 78/2010. Tale adempimento
comporta un maggior onere per quei soggetti che nel
2016 hanno beneficiato di un esonero dal medesimo. Ci
si riferisce, in particolare, ai soggetti obbligati alla trasmissione telematica al Sistema tessera sanitaria (TS)
dei dati relativi alle spese sanitarie necessari alla precompilazione dei modelli 730 e UNICO PF.
L’art. 3 comma 3 del DLgs. n. 175/2014 prevede l’obbligo
di trasmissione dei suddetti dati al Sistema TS per:
- le strutture sanitarie e i presidi accreditati (quali le
ASL, le aziende ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura, i policlinici universitari, le strutture che erogano
prestazioni di assistenza protesica e assistenza integrativa, ecc.);
- le farmacie pubbliche e private;
- i soggetti iscritti all’Albo dei medici chirurghi e odontoiatri;
- le strutture autorizzate per l’erogazione dei servizi sanitari e non accreditate con il Servizio sanitario nazionale (SSN), ai sensi dell’art. 8-ter del DLgs. n. 502/1992 e
dell’art. 70 comma 2 del DLgs. n. 193/2006 (cfr. DM 2
agosto 2016).
Per tali soggetti, la legge di stabilità 2016 (L. n.
208/2015) ha previsto l’esonero dallo “spesometro”, in
via sperimentale, per il 2016, limitatamente alle prestazioni erogate già comunicate al Sistema TS (cfr. comma 1-quater dell’art. 21 del DL 78/2010). In seguito, la
platea dei soggetti obbligati è stata estesa alle c.d. “parafarmacie”, agli iscritti agli Albi professionali degli
psicologi, degli infermieri, delle ostetriche/i, dei tecnici sanitari di radiologia medica e dei veterinari (questi
ultimi, in relazione alle spese afferenti le tipologie di
animali individuate dal DM 6 giugno 2001) nonché agli
esercenti l’arte sanitaria ausiliaria di ottico, che hanno
effettuato la comunicazione al Ministero della Salute
di cui agli artt. 11 comma 7 e 13 del DLgs. 46/1997 (cfr.
Eutekne.Info / Lunedì, 05 dicembre 2016
DM 1° settembre 2016). Riguardo ai dati trasmessi al sistema TS da parte di tali soggetti, invece, la comunicazione ex art. 21 comma 1 del DL 78/2010 è stata esclusa
ai sensi dell’art. 4 comma 1 del DM 1° settembre 2016. A
seguito delle modifiche introdotte dal DL 193/2016, tuttavia, l’ipotesi di esonero di cui al comma 1- quater
dell’art. 21 del DL 78/2010 non è stata trasposta nella
nuova formulazione della medesima disposizione.
Dal quadro prospettato, dunque, è possibile ritenere
che i soggetti obbligati alla trasmissione telematica al
Sistema TS ai sensi dell’art. 3 comma 3 del DLgs.
175/2014 non potranno beneficiare dell’esonero dalla
comunicazione ex art. 21 comma 1 del DL 78/2010, limitatamente alle prestazioni da comunicare al suddetto
Sistema nel 2017. I suddetti dati verrebbero, invece,
esclusi dallo “spesometro” trasmesso dai soggetti (da
ultimo) obbligati dal DM 1° settembre 2016.
Salvo chiarimenti in senso opposto da parte dell’Amministrazione finanziaria, dunque, i suddetti soggetti
“non esonerati” dovranno:
- trasmettere al Sistema TS, entro il 31 gennaio 2017, i
dati relativi alle ricevute di pagamento, alle fatture e
agli scontrini fiscali relativi alle spese sanitarie e a
quelle veterinarie sostenute dalle persone fisiche nel
2016;
- comunicare le operazioni attive e passive rilevanti ai
fini IVA relative al periodo d’imposta 2016 (ricomprendendo, quindi, quelle già trasmesse al Sistema TS) entro termini ordinari del 10 aprile 2017, per i contribuenti con liquidazione IVA mensile e del 20 aprile 2017, per
gli altri contribuenti.
Per il Sistema TS, rileva il pagamento
Ai fini della trasmissione dei dati al sistema TS occorre, ulteriormente, considerare quanto chiarito nelle Risposte Min. Economia e Finanze del 29 gennaio 2016,
in particolare:
- che la trasmissione dei dati relativi alle spese sanitarie segue il “criterio di cassa“ (ai fini della trasmissione al Sistema TS rileva, dunque, la data di pagamento
della spesa, a prescindere dal fatto che il corrispondente documento riporti una data precedente);
- che non occorre trasmettere le spese per le quali non
è stato possibile acquisire il codice fiscale del contribuente (tale elemento è, infatti, essenziale per l’attribuzione dell’onere nella dichiarazione precompilata e
rientra tra i dati obbligatori da comunicare).
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Esonero dall’acconto IVA 2016 possibile nei casi di
assegnazione ai soci
Non è comunque dovuto l’acconto per i soggetti che hanno optato per la trasformazione in società
semplice
/ Emanuele GRECO
Per i soggetti che hanno aderito ad una delle procedure agevolate di cui all’art. 1 comma 115 e ss. della legge
di stabilità 2016 nel corso dell’anno, la determinazione
dell’acconto IVA (il cui termine di versamento è fissato nel giorno 27 dicembre 2016) può presentare alcune
peculiarità.
Le agevolazioni in questione riguardano:
- la trasformazione di snc, sas, srl, sapa in società semplice;
- l’assegnazione ai soci o la cessione agevolata di beni
dell’impresa;
- l’estromissione di beni strumentali dal patrimonio da
parte dell’imprenditore individuale.
Nella prima situazione, l’acconto IVA non è dovuto. La
trasformazione agevolata in società semplice determina la perdita della soggettività passiva ai fini IVA.
Per cui, essendo possibile determinare l’acconto avvalendosi del metodo di calcolo più favorevole tra quelli
previsti (cfr. C.M. 3 dicembre 1991 n. 52), nulla è dovuto
se si adotta il metodo “previsionale”.
Tale sistema, infatti, si fonda sulle risultanze delle liquidazioni relative alle operazioni effettuate nell’ultimo mese o trimestre (a seconda della periodicità delle
liquidazioni IVA del soggetto dante causa). Per cui,
considerato che la procedura di trasformazione in società semplice doveva concludersi, a norma di legge,
entro il 30 settembre 2016, non vi è una base di riferimento, per l’ultimo mese o trimestre, sulla quale calcolare l’acconto IVA per il 2016.
Passando alla procedura di assegnazione agevolata di
beni ai soci, per valutare la debenza o meno dell’acconto IVA, deve appurarsi se la società si è sciolta contestualmente alla procedura di assegnazione ovvero se,
assegnata parte dei beni ai soci, essa ha continuato la
propria attività.
Nel caso di assegnazione di beni ai soci e scioglimento della società entro il 30 settembre 2016, l’acconto
IVA per il 2016 non è dovuto, ricorrendo al metodo di
calcolo “previsionale” (per le medesime ragioni descritte per la trasformazione in società semplice), sempreché le operazioni di liquidazione siano effettivamente
ultimate entro il terzo trimestre del 2016.
Nel caso in cui la società che ha effettuato l’assegna-
Eutekne.Info / Lunedì, 05 dicembre 2016
zione sia rimasta “in vita”, senza procedere alla liquidazione, invece, l’acconto resta dovuto, entro il 27 dicembre 2016, secondo le modalità ordinarie.
È dovuto l’acconto IVA anche per l’imprenditore individuale che ha estromesso in via agevolata i beni dal patrimonio entro il 31 maggio 2016, senza aver cessato
l’attività d’impresa.
In tale ipotesi, difatti, c’è identità soggettiva tra l’imprenditore esercente attività nel 2015 e nel 2016 e l’acconto va calcolato riferendosi alle liquidazioni IVA relative alle operazioni effettuate nell’ultimo periodo del
2015 (con il metodo “storico”) o a quelle dell’ultimo periodo del 2016 (con il metodo “previsionale” oppure con
il metodo “analitico”).
Qualora l’imprenditore individuale, a seguito dell’estromissione dei beni, abbia contestualmente cessato l’attività, non sarà tenuto al versamento dell’acconto, impiegando il metodo “storico” di determinazione dell’acconto.
Dovuto l’acconto per la trasformazione da srl a snc
Un’ultima considerazione riguarda quelle società che,
pur senza avvalersi delle norme agevolative di cui
all’art. 1 comma 115 e ss. della legge di stabilità 2016,
abbiano proceduto, nel corso dell’anno, ad una trasformazione soggettiva (si pensi al caso della trasformazione da srl a sas).
Come evidenziato nella R.M. 29 luglio 1998 n. 93, nelle
“ipotesi di trasformazioni sostanziali soggettive si verifica, in linea generale, una situazione di continuità tra i
contribuenti interessati, nel senso che il soggetto subentrante (…) deve assolvere tutti gli adempimenti, agli
effetti dell’IVA, successivi alla data di trasformazione”.
Se, dunque, la trasformazione avviene prima dell’inizio dell’ultimo periodo di liquidazione dell’IVA (ad
esempio, prima del 30 novembre 2016, per un soggetto
“mensile”), potrà adottarsi il metodo “storico” con riferimento alle liquidazioni 2015 del soggetto dante causa
o, in alternativa, il metodo “previsionale” con riferimento alle liquidazioni 2016 della società risultante
dalla trasformazione.
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STUDIO DUCOLI
IMU in base al valore venale dell’area edificabile con
costruzione in corso
La base imponibile è sempre data dal valore venale al 1° gennaio dell’anno di riferimento fino a
ultimazione dei lavori
/ Stefano SPINA
Il calcolo della base imponibile ai fini IMU per le aree
edificabili si basa sul concetto di valore venale dell’immobile al 1° gennaio dell’anno di imposizione.
La nozione di area edificabile è stata, in ultimo, introdotta dall’art. 36 comma 2 del DL 4 luglio 2006 n. 223
secondo cui è quella così individuata dalle disposizioni dello strumento urbanistico generale (chiamato solitamente piano di governo del territorio oppure piano
regolatore generale) adottato dal Comune.
A tale riguardo non rileva il fatto che tale strumento
urbanistico non abbia ancora completato l’iter amministrativo per la sua approvazione da parte del competente organo regionale oppure che non siano ancora
stati approvati gli eventuali piani particolareggiati previsti dallo strumento stesso.
Tali informazioni sono contenute nel certificato di destinazione urbanistica ma, in ogni caso, il Comune dovrebbe, ai sensi dell’art. 31 comma 20 della L. 27 dicembre 2002 n. 289, informare i proprietari o possessori a
titolo di diritto reale delle singole aree, dell’avvenuta
attribuzione della destinazione edificatoria ai terreni
ricadenti nel loro territorio. Il Ministero dell’Economia
e delle finanze ha poi precisato, con la circolare n. 3 del
18 maggio 2012, che, in caso di mancata comunicazione dell’intervenuta edificabilità dell’area il Comune ha
il titolo per richiedere al contribuente l’imposta dovuta
ma non le sanzioni e gli interessi.
Nel caso in cui il terreno sia posseduto e condotto da
un coltivatore diretto oppure un imprenditore agricolo
professionale iscritto nella previdenza agricola, ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. b) del DLgs. 504/92, anche se
edificabile viene considerato come agricolo e pertanto,
dal 2016, esente da IMU e TASI.
Tale agevolazione si applica anche nel caso in cui il
terreno sia posseduto, in regime di comproprietà o
contitolarità di più diritti reali, da più soggetti ma sia
condotto da uno solo di essi, che presenti i requisiti di
coltivatore diretto o IAP.
Il valore venale dell’area edificabile deve essere preso
a riferimento anche nel caso di nuova costruzione, anche se conseguente ad una demolizione, oppure di
esecuzione di un intervento di restauro, risanamento
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conservativo, ristrutturazione edilizio o urbanistica ai
sensi delle lettere c), d) o f) dell’art. 3 comma 1 del DPR
380/2001, questo fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione o ristrutturazione o, se antecedente,
di effettivo utilizzo.
Per le aree fabbricabili la base imponibile ai fini IMU è
data dal valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione, calcolato prendendo in
considerazione la zona territoriale di ubicazione, l’indice di edificabilità, la destinazione d’uso consentita, gli
oneri legati ad eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la sua edificazione nonché i prezzi
medi rilevati sul mercato per la vendita di aree aventi
caratteristiche analoghe.
Inoltre tale valore risulta ulteriormente influenzato dal
tempo necessario perché l’area passi da uno stadio urbanistico a quelli successivi, fino al rilascio della concessione nonché dal tasso di interesse per la remunerazione del capitale-area nel periodo.
Risulta evidente come tale valore possa essere oggetto
di valutazioni anche dissimili tra loro, questo a seconda delle variabili alle quali si vorrà dare risalto.
Risulta anche ovvio che in un periodo di contrazione
del mercato immobiliare i contribuenti siano portati a
stimare, per il 2016, un valore inferiore a quello utilizzato a base dei calcoli per gli anni passati.
I Comuni possono regolamentare la definizione dei
valori
I Comuni tuttavia, al fine di limitare un eventuale contenzioso su tali valori, potevano in vigenza dell’ICI, stabilire, attraverso un apposito regolamento, dei valori di
riferimento oltre i quali considerare congruo il valore
dichiarato dal contribuente. Le linee guida MEF dell’11
luglio 2012 hanno chiarito che tale facoltà rimane impregiudicata in capo ai Comuni anche a seguito dell’introduzione dell’IMU; essi potranno regolamentare non
soltanto la definizione dei valori delle aree edificabili
ma anche autolimitare il proprio potere di accertamento nel caso in cui i contribuenti si adeguino.
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STUDIO DUCOLI
Mini aumento per le percentuali di compensazione
IVA in agricoltura
Dal 1° gennaio al 31 dicembre 2017, percentuali sulle cessioni di animali vivi delle specie bovina e
suina innalzate rispettivamente al 7,7% e all’8%
/ Antonio PICCOLO
Il disegno di legge di bilancio 2017, nella versione approvata dalla Camera, ha previsto per il settore agricolo anche l’innalzamento delle percentuali di compensazione IVA applicabili agli animali vivi della specie
bovina e suina, stabilendo che le stesse non possano
superare, rispettivamente, le misure del 7,7% (a fronte
del 7,65% per il 2016) e dell’8% (7,95% per il 2016).
Tali misure, valevoli solamente per il 2017, come di
consueto, saranno concretamente stabilite con decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle Politiche agricole alimentari
e forestali, da adottare entro il 31 gennaio 2017.
Rimane ferma, invece, la percentuale di compensazione IVA per il settore lattiero-caseario (10%), oggetto di
variazione assieme alle cessioni di animali vivi della
specie bovina e suina in questione, con effetto dal 1°
gennaio 2016, in virtù del DM 26 gennaio 2016, che ha
dato attuazione all’art. 1, comma 908 della L. n.
208/2015 (legge di stabilità 2016).
Come si ricorderà, la percentuale di compensazione
del 10% è applicabile:
- alle cessioni di latte fresco non concentrato né zuccherato e non condizionato per la vendita al minuto,
esclusi yogurt, kephir, latte cagliato, siero di latte, latticello (o latte battuto) e altri tipi di latte fermentati o
acidificati;
- alle cessioni degli altri prodotti compresi nel n. 9) della tabella A, parte I, allegata al D.P.R. n. 633/1972 (decreto IVA), escluso il latte fresco non concentrato né zuccherato, destinato al consumo alimentare, confezionato per la vendita al minuto, sottoposto a pastorizzazione o ad altri trattamenti previsti dalle leggi sanitarie.
Con effetto dal 1° gennaio al 31 dicembre 2017, invece,
la novella ha stabilito l’innalzamento:
- al 7,7% della percentuale applicabile alle cessioni di
animali vivi della specie bovina, compresi gli animali
del genere bufalo;
- all’8% della percentuale relativa alle cessioni di animali vivi della specie suina.
L’innalzamento delle aliquote non riguarda le cessioni
di animali vivi della specie ovina e caprina, che quindi
Eutekne.Info / Lunedì, 05 dicembre 2016
restano ferme alla percentuale di compensazione fissata nella misura del 7,3%.
Infine, è appena il caso di rimarcare che le percentuali
di compensazione (applicate all’importo delle cessioni
effettuate) determinano l’importo dell’IVA detraibile, in
luogo dell’imposta assolta sugli acquisti, per le imprese agricole che hanno adottato il regime speciale di cui
all’art. 34 del DPR n. 633/1972.
In sole due fattispecie le nuove percentuali di compensazione assumono anche la funzione di aliquota IVA.
La prima è la cessione di prodotti agricoli effettuata da
produttori agricoli in regime di esonero IVA, cioè da
soggetti con volume d’affari realizzato nell’anno solare precedente non superiore a 7.000 euro. In tal caso la
fattura è emessa dal soggetto acquirente (cessionario)
che applica l’imposta nella misura corrispondente alle
percentuali di compensazione.
L’altra si realizza nell’ambito della cooperativa (che
provvede alla cessione dei prodotti anche previa manipolazione e trasformazione), con i passaggi di prodotti
agricoli da parte dei soci, purché entrambi i soggetti
(socio e cooperativa) siano in regime speciale IVA.
Nota di addebito quando le percentuali hanno anche
funzione di aliquota
In questi casi, quando il decreto interministeriale sarà
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, i soggetti interessati dovranno emettere un’apposita nota di addebito IVA
per aumentare l’imposta indicata nella fattura o autofattura originaria. In presenza di cessioni effettuate da
produttori agricoli esonerati, la nota di variazione deve essere emessa dall’acquirente che deve corrispondere la differenza di imposta al cedente, onde poter detrarre la relativa imposta mediante annotazione della
nota stessa nel registro IVA acquisti.
Da ultimo si ricorda che i produttori agricoli che fino al
31 dicembre 2016 operano in regime normale e che, dal
1° gennaio 2017, intendono rientrare nel regime speciale, devono procedere alla rettifica della detrazione ai
sensi dell’art. 19-bis2, del vigente DPR n. 633/1972.
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ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Danno “diretto” ai creditori difficile da provare
Il Tribunale di Roma ha rigettato un’azione ex art. 2395 c.c. per assenza del nesso di causalità
/ Maurizio MEOLI
Una recente sentenza del Tribunale di Roma, la n.
19313 del 17 ottobre scorso, è emblematica di quanto
sia difficoltoso per i creditori di una società far valere
la responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c.,
che, ferme le ulteriori azioni esercitabili, riconosce il
diritto al risarcimento del danno spettante ai terzi (o ai
soci) che siano stati “direttamente” danneggiati da atti
colposi o dolosi degli stessi.
L’elemento di diversità che connota l’azione individuale di responsabilità rispetto all’azione sociale (artt.
2393 e 2393-bis c.c.) e a quella spettante ai creditori sociali per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale (art. 2394 c.c.) è rappresentato dal presupposto dell’incidenza diretta del
danno sul patrimonio personale del terzo o del socio.
Essa impone a chi agisce di provare l’esistenza di un
comportamento illecito, dolo o colposo, dell’amministratore, il danno subito ed il nesso causale tra condotta illecita e danno.
Nel caso di specie – esemplificato ai fini del presente
commento – il creditore (società fornitrice) di una spa,
i cui crediti erano stati ceduti a una società di factoring, proseguiva nell’erogazione della propria fornitura
solo perché rassicurata dagli amministratori della
stessa spa circa l’intenzione di rientrare da talune inadempienze. Meno di un mese dopo, tuttavia, gli amministratori della spa contestavano alla società fornitrice rilevanti sovrafatturazioni e sospendevano i pagamenti delle forniture per importi ingenti.
In seguito a tali fatti, la società di factoring non accettava nuove cessioni di crediti e la società fornitrice vedeva crescere a dismisura i propri crediti verso la spa.
Un paio di mesi dopo, inoltre, gli amministratori della
spa proponevano alla società di factoring un piano di
rientro che veniva rifiutato.
La società fornitrice agisce, quindi, nei confronti degli
amministratori della spa ex art. 2395 c.c., ritenendo
evidente l’intenzione ingannevole degli amministratori della spa di ritardare quanto più possibile l’interruzione dell’erogazione della fornitura, occultando lo stato di decozione della società. Condotta da reputarsi
equivalente a quella di falsa rappresentazione della situazione sociale funzionale alla prosecuzione di rapporti contrattuali.
Infatti, tra i limitati casi prospettati dalla giurisprudenza di legittimità quali integrativi della responsabilità in
questione figura proprio quello della falsificazione dei
bilanci al fine di indurre un terzo a fornire merce poi
non pagata (cfr. Cass. 2 giugno 1989 n. 2685, che, peraltro, nel caso esaminato, ha rigettato l’azione sottolineando come sia onere di colui che agisca ex art. 2395
c.c., sulla base delle ricordate circostanze, dare la proEutekne.Info / Lunedì, 05 dicembre 2016
va della specificità dei fatti allegati e della loro idoneità a trarre in inganno la propria fiducia).
Le condotte contestate, ad ogni modo, secondo la società fornitrice integrerebbero gli estremi della responsabilità diretta per fatti illeciti ex art. 2395 c.c., avendo
per tale via gli amministratori della spa tratto in inganno la società fornitrice circa il proprio adempimento,
sollevando successivamente pretestuose eccezioni e
proponendo inaffidabili piani di rientro alla società
cessionaria dei crediti. Così facendo, la spa, da un lato,
si rendeva inadempiente per importi rilevanti e, dall’altro, si garantiva la prosecuzione della fornitura, incassando dai propri clienti il prezzo della rivendita di
quanto fornitole.
Il Tribunale di Roma – premessi alcuni accenni ai caratteri essenziali dell’azione esercitata – sottolinea come l’aver assicurato l’adempimento di pregresse forniture e, successivamente, l’aver contestato la sovrafatturazione da parte della società fornitrice, nonché
l’aver richiesto un piano di rientro alla società cessionaria dei crediti, costituiscano ipoteticamente condotte riconducibili ad inadempimento da parte della società in relazione al rapporto contrattuale piuttosto
che ad atti illeciti compiuti in occasione dello svolgimento dell’incarico gestorio.
Si tratterebbe, comunque, di circostanze non idonee a
integrare un’ipotesi di condotta illecita produttiva di
danno ingiusto nei confronti della società creditrice ex
art. 2395 c.c.
In particolare, non sarebbero condotte ingannatorie
perché, sia pure in un ridotto arco temporale, gli amministratori della spa hanno, prima, dichiarato di volere
procedere al pagamento delle prestazioni precedenti
(senza alcuna assicurazione circa non contestazioni
del rapporto contrattuale) e, poi, fatto presente di voler
sospendere il pagamento relativamente al rapporto
contrattuale in ragione delle rilevate sovrafatturazioni.
E, a fronte di tali circostanze, ingeneranti per la spa un
rischio di sospensione della fornitura, la società fornitrice ha, per sua autonoma scelta, deciso di continuare
ad eseguire la prestazione.
E, quindi, la condotta contestata non integra un atto illecito (dolo o colposo) causativo di danno ingiusto nei
confronti del creditore, non risultando idonea a trarre
in inganno la società fornitrice, che, posta di fronte alle suddette contestazioni degli amministratori della
spa, avrebbe dovuto, in un’ottica di buona gestione, sospendere la fornitura al fine di evitare l’ulteriore inadempimento. In pratica, la condotta della società fornitrice è stata tale da escludere il nesso di causalità tra il
danno e il comportamento addebitato agli amministratori.
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PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
Commissione ad hoc per la vigilanza sui delegati alle
vendite
Nelle Linee guida sul processo esecutivo aggiornate, il CNDCEC osserva che si creerebbe una
sovrapposizione con i compiti già svolti dagli Ordini
/ Roberta VITALE
Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed
esperti contabili ha rilasciato le Linee guida sul nuovo
processo esecutivo, alla luce delle recenti novità apportate sul tema dal DL 59/2016 (conv. L. 119/2016).
Le Linee guida in commento costituiscono l’aggiornamento del precedente documento, che teneva conto
delle modifiche di cui al DL 83/2015, conv. L. 132/2015
(si veda “Delegato alla vendita non obbligato a rivolgersi al giudice in caso di difficoltà” del 23 gennaio 2016).
Come già sottolineato su Eutekne.info, una norma di
estrema rilevanza è quella di cui all’art. 5-bis, comma 1
del DL 59/2016, che, sostituendo l’art. 179-ter disp. att.
c.p.c., ha modificato le modalità di formazione degli
elenchi cui il giudice delegato accede ai fini della nomina del professionista delegato alle operazioni di
vendita (“Per la nomina dei delegati alle vendite operativi ancora i vecchi elenchi” del 30 novembre 2016).
Sul punto, si ricorda che, con riguardo ai soggetti ai
quali possono essere delegate le operazioni di vendita,
l’art. 534-bis c.p.c., relativo alle vendite di beni mobili, e
l’art. 591-bis c.p.c., in materia di vendite di beni immobili, impongono al giudice dell’esecuzione di delegare
le operazioni di vendita, oltre che ai notai, anche agli
avvocati o ai commercialisti iscritti in appositi elenchi formati secondo le modalità di cui all’art. 179-ter disp. att. c.p.c.
Come precisato dal CNDCEC nelle Linee Guida, l’espletamento di tali attività richiede una specifica competenza tecnica, propria degli iscritti nella sezione A –
Commercialisti dell’Albo (art. 1, comma 3, lett. i) del
DLgs. 139/2005).
Alla delega obbligatoria delle operazioni di vendita ai
professionisti così individuati dalla legge fa eccezione
il caso in cui il giudice, sentiti i creditori, ravvisi l’esigenza di procedere direttamente alle operazioni di
vendita a tutela degli interessi delle parti (art. 591-bis,
comma 2 c.p.c.).
Tornando all’art. 179-ter disp. att. c.p.c., secondo la nuova formulazione della norma, l’iscrizione nell’elenco
dei professionisti delegati alla vendita dei beni pigno-
Eutekne.Info / Lunedì, 05 dicembre 2016
rati viene subordinata all’assolvimento di taluni obblighi di formazione primaria e di formazione periodica.
In ogni caso, l’art. 5-bis, comma 5 del DL 59/2016 prevede un regime transitorio sino alla scadenza del dodicesimo mese successivo all’emanazione del decreto attuativo che definirà tali obblighi e che, ad oggi, non è
stato ancora emanato; fino a tale momento i professionisti delegati dovranno essere nominati mediante
l’elenco tenuto dal Presidente del Tribunale in base al
testo previgente dell’art. 179-ter disp. att. c.p.c. (cfr. anche il P.O. CNDCEC n. 325/2016).
Il suddetto decreto dovrà, poi, stabilire anche la composizione e le modalità di funzionamento di un’apposita commissione istituita presso ciascuna Corte d’Appello, cui sarà affidato il compito di provvedere alla tenuta dell’elenco, alla vigilanza sugli iscritti, alla valutazione delle domande di iscrizione e all’adozione dei
provvedimenti di cancellazione (art. 179-ter, commi 2 e
3 disp. att. c.p.c.).
Proprio l’attribuzione alla Commissione di tali competenze e, fra queste, in particolare, della vigilanza sugli
iscritti – osserva il CNDCEC nelle Linee Guida – verrebbe a creare una sovrapposizione con i compiti già
svolti dagli Ordini professionali, tenuti per legge ai poteri di controllo, di verifica delle competenze ed, eventualmente, di irrogazione delle sanzioni nei confronti
dei soggetti iscritti all’Albo inadempienti rispetto alle
funzioni attinenti alla propria attività professionale.
Aggravio degli obblighi formativi e di aggiornamento
Secondo il CNDCEC, inoltre, gli ulteriori obblighi di formazione e di aggiornamento posti dall’art. 179-ter disp.
att. c.p.c. prescritti solo per lo svolgimento di “una funzione”, quale quella del delegato alle operazioni di vendita, e non di “un’attività professionale”, viene a comportare un “aggravio” degli obblighi formativi e di aggiornamento del professionista, che “appaiono del tutto ingiustificati, visto che colui che dovrebbe essere il
discente è già un professionista”.
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ancora
LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO DUCOLI
Iscrizione al CONI e tipo di prestazione “definiscono”
lo sport dilettantistico
L’Ispettorato del lavoro fornisce al proprio personale alcuni chiarimenti sulle condizioni per il regime
agevolato in modo da uniformare i controlli
/ Mario PAGANO
Il formale riconoscimento del CONI nonché la particolare natura della prestazione lavorativa, sostanzialmente riconducibile a un’accezione decisamente ampia di attività sportiva dilettantistica, garantiscono alle società e associazioni sportive dilettantistiche la
piena applicabilità di un regime agevolato, sia sotto il
profilo fiscale che previdenziale.
Questo è quanto emerge dalla lettera circolare n. 1 del
1° dicembre 2016, con la quale l’Ispettorato nazionale
del lavoro si prefigge di fornire al proprio personale
una serie di fondamentali chiarimenti, volti a uniformare le condotte per i controlli in tale settore.
Peraltro, come ricorda in apertura la stessa lettera circolare, la materia è tra le più controverse, come dimostrano le numerose pronunce, in sede sia amministrativa, sia giurisprudenziale, che hanno spesso fatto registrare esiti del tutto disomogenei, contribuendo ad
alimentare una scarsa uniformità nell’approccio ispettivo nel settore.
La normativa di riferimento, per definire il trattamento fiscale e previdenziale dei rapporti di collaborazione, rientranti nel mondo dello sport dilettantistico, è,
anche in questo caso, diversificata e comprende l’art.
90 della L. 289/2002, il DL 136/2004 (conv. L. 186/2004),
l’art. 67 comma 1 lett. m) del TUIR, nonché il DLgs.
81/2015 e la L. 91/81 per lo sport professionistico.
Da tale quadro complessivo emerge una disciplina assolutamente speciale e agevolativa che, tuttavia, richiede precise condizioni per poter essere applicata. È
proprio su tale ultimo aspetto che si concentra la lettera circolare in commento, il cui ragionamento principale muove da due fondamentali presupposti.
Il primo attiene alla qualifica del soggetto che eroga il
compenso e che, quindi, si avvale della prestazione “lavorativa” dalla quale detto compenso trae titolo.
In merito l’Ispettorato Nazionale richiama quanto stabilito dalla Corte di Appello di Milano (sentenza 10 dicembre 2014 n. 1172) e dalla Direzione interregionale
del lavoro di Napoli (decreto del 29 ottobre 2015), che
hanno posto l’attenzione sul soggetto erogante, ribadendo che per l’applicazione del regime agevolativo
“ciò che conta è che le collaborazioni vengano svolte a
favore di organismi che perseguono finalità sportive
dilettantistiche riconosciuti dal CONI”.
L’iscrizione al CONI ha, quindi, un valore fondamentale nella qualificazione della società o dell’associazione
sportiva che opera senza fini di lucro.
Eutekne.Info / Lunedì, 05 dicembre 2016
Ciò deriva dalla circostanza, spiega la nuova Agenzia
Ispettiva, che il legislatore ha affidato al CONI la funzione di “unico certificatore della effettiva attività
sportiva svolta dalle società e dalle associazioni sportive dilettantistiche”, che si concretizza nell’inserimento in un apposito registro, alle condizioni individuate
dal CONI stesso, di concerto sia con l’INPS che con
l’Agenzia dell’Entrate. Ciò, peraltro, proprio per eliminare il rischio di eventuali fenomeni di elusione.
La presenza della società o dell’associazione nel predetto registro è garanzia che la stessa sia qualificata e
svolga effettivamente un’attività sportiva sotto il controllo dei soggetti affilianti, quali, oltre al CONI, sono da
annoverare le Federazioni sportive nazionali, le Discipline sportive associate e gli Enti di promozione sportiva.
L’iscrizione, però, non è l’unico requisito richiesto, poiché, in ogni caso, andrà verificata la natura della prestazione svolta dal collaboratore.
In merito è fondamentale chiarire la portata del concetto di “esercizio diretto di attività sportiva”, richiamato dall’art. 67, comma 1, lett. m) del TUIR. Secondo
l’art. 35, comma 5 del DL 207/2008, in tale ambito rientrano non solo le prestazioni rese per la partecipazione a gare e/o manifestazioni sportive, ma anche tutte
quelle relative allo svolgimento delle attività dilettantistiche di formazione, didattica, preparazione e assistenza intese nell’accezione più ampia del termine attività sportiva.
A ciò si aggiunga quanto chiarito dall’Agenzia dell’Entrate, secondo la quale, in questo particolare regime,
possono rientrare sostanzialmente anche soggetti che
non svolgono un’attività durante la manifestazione,
ma rendono le prestazioni di formazione, di didattica,
di preparazione e di assistenza a prescindere dalla
realizzazione dell’attività sportiva.
In considerazione di ciò, l’Ispettorato nazionale conclude sottolineando come sia necessario, in sede di accesso, verificare, sulla base delle indicazioni fornite
dalle singole Federazioni che attuano il riconoscimento della ASD/SSD, quali siano le attività necessarie per
garantire l’avviamento e la promozione dello sport e le
qualifiche dei soggetti che devono attuare tali attività,
citando, in via esemplificativa, gli istruttori, gli addetti
al salvamento nelle piscine, i collaboratori amministrativi e ogni altra figura espressamente prevista dai
regolamenti federali per lo svolgimento dell’attività.
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ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Catalogati i procedimenti amministrativi per l’avvio
di attività private
Lo scopo è di uniformare a livello nazionale le pratiche per l’avvio di attività produttive, interventi
edilizi e ambiente
/ Paola RIVETTI
Dando attuazione all’art. 5 della L. 7 agosto 2015 n. 124
(c.d. riforma Madia), il DLgs. 25 novembre 2016 n. 222
ha, tra l’altro, individuato in modo analitico i procedimenti amministrativi necessari per poter iniziare opere edilizie e intraprendere attività produttive (comunicazione, segnalazione certificata di inizio attività o silenzio assenso), nonché quelle attività per cui è necessario un titolo espresso.
Il decreto si aggiunge al DLgs. 30 giugno 2016 n. 126 il
quale, nell’intento di definire una disciplina generale
delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa, ha previsto, tra l’altro, l’adozione da
parte delle Amministrazioni statali, delle Regioni e degli enti locali di una modulistica unificata che definisce, per tipologia di procedimento, i contenuti delle
istanze e i documenti da allegare (si veda “Modulistica
unificata per la nuova SCIA” del 1° settembre 2016).
La tabella allegata al DLgs. 222/2016 distingue nelle seguenti categorie le attività private rispetto alle quali
sono individuate le procedure abilitative di avvio/modifica/cessazione:
- attività commerciali e assimilabili (distinguendo i titoli abilitativi per commercio su area privata e su area
pubblica, somministrazione di alimenti e bevande,
strutture ricettive e stabilimenti balneari, attività di
spettacolo e intrattenimento, sale giochi, autorimesse,
ecc.);
- interventi edilizi (per ciascun intervento edilizio sono individuati i relativi regimi amministrativi – permesso a costruire, SCIA, CILA, attività libere – e gli
eventuali altri titoli di legittimazione e atti di assenso);
- ambiente (individuato il regime amministrativo di
opere o interventi soggetti alle procedure di autorizzazione integrata ambientale, valutazione di impatto ambientale, autorizzazione unica ambientale).
In materia edilizia è annunciata l’adozione, tramite
decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, di un glossario unico contenente l’elenco delle principali opere edilizie, con l’individuazione del-
Eutekne.Info / Lunedì, 05 dicembre 2016
la categoria di intervento cui appartengono e del
conseguente regime giuridico cui sono sottoposte.
Quanto ai titoli abilitativi l’incipit dell’allegato distingue tra:
- comunicazione allo Sportello unico di cui all’art. 19bis della L. 241/90 o all’amministrazione competente;
- SCIA (art. 19 della L. 241/90) che consente l’avvio immediato dell’attività, salvo controlli entro i successivi
60 giorni;
- SCIA unica (art. 19-bis comma 2 della L. 241/90) che si
applica rispetto a quelle attività soggette a SCIA per cui
siano necessarie altre SCIA/comunicazioni/notifiche
(incombe sull’Amministrazione ricevente la SCIA l’obbligo di inoltrarla agli altri uffici per i controlli di loro
competenza);
- SCIA condizionata ad altre autorizzazioni o atti di assenso (art. 19-bis comma 3 della L. 241/90) con convocazione della Conferenza di servizi per acquisire le autorizzazioni necessarie;
- autorizzazione espressa, salvo il caso in cui sia sufficiente il silenzio assenso entro 90 giorni (art. 20 della
L. 241/90);
- autorizzazione cui è allegata una SCIA, SCIA unica o
condizionata.
Adeguamento entro il 30 giugno 2017
L’opera di codificazione mira a portare uniformità
nel trattamento delle singole fattispecie a livello nazionale, impedendo la richiesta a livello locale di titoli abilitativi superiori a quelli indicati. Ad esempio,
relativamente alle attività economiche, si consente
l’avvio di una media struttura di vendita solo con il
silenzio-assenso entro 90 giorni (art. 20 della L.
241/90), a fronte dell’autorizzazione preventiva attualmente richiesta da talune Amministrazioni.
Le Regioni e gli altri enti locali hanno l’obbligo di adeguarsi alle disposizioni del decreto entro il 30 giugno
2017.
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LETTERE
STUDIO DUCOLI
Su IMU e TASI le follie dei Comuni si moltiplicano
Gentile Redazione,
in questi giorni ho iniziato a predisporre i modelli F24
per l’IMU/TASI dei clienti dello studio.
Alla solita follia delle aliquote, detrazioni, esenzioni e
quant’altro i vari Comuni italiani si inventano (e solo
questo meriterebbe di essere oggetto di cure di tipo sanitario...), vorrei aggiungere che mi sono accorto che i
Comuni pubblicano anche informazioni sbagliate sui
loro siti istituzionali.
In particolare, il Comune di Firenzuola (FI), nel quale
un cliente possiede un immobile, pubblica sul proprio
sito un’informativa dalla quale risulta che l’aliquota ordinaria IMU per il 2016 è del 9,6 per mille, mentre dalla
delibera del Consiglio comunale (del 30 novembre
2015), pubblicata sul sito del Ministero delle Finanze e
valida per il 2016, l’aliquota ordinaria risulta essere del
10,6 per mille.
Chiaramente queste differenze complicano non poco il
lavoro di noi consulenti, che rischiamo di trascorrere
giorni a cercare aliquote e delibere comunali, come se
si fosse dei piccoli “commissari Maigret”, e anche il
compito di chi volesse pensare da solo al calcolo IMU
(che in fondo, a pensarci bene, sarebbe “solo” una serie
di moltiplicazioni) .
Volevo rendere partecipi i colleghi di tali follie, ma sono sicuro che in molti si sono già scontrati con queste.
Simone Petracchi
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Prato
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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