Cosa serve per scrivere una Energiewende per l

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Cosa serve per scrivere una Energiewende per l'Italia?
Cosa serve per scrivere una Energiewende per l'Italia?
L'Italia non ha mai adottato politiche energetiche di lungo raggio, che permettessero alle imprese di
pianificare investimenti. Oggi, al posto di discussioni sterili sulla fattibilità dei target EU, si
dovrebbero progettare orizzonti energetici al 2050, con benefici anche per manifattura e trasporti.
Francesco Ferrante
Leggi l'articolo nella versione digitale della rivista QualEnergia
Fissare al 2030 i target per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, per migliorare
l'efficienza energetica, per aumentare il ricorso alle rinnovabili nella produzione di energia nel
nostro Paese, non è una questione di numeri.
Sembra un paradosso ma non lo è. Si dovrebbe uscire da una discussione stanca, ripetitiva e sterile
sul singolo numero, se il target sull'efficienza che ci indica l'Europa sia o meno sostenibile per il
nostro sistema economico come ha incredibilmente discettato di recente il nostro Parlamento,
arrivando alla stupefacente conclusione che "no, il 33% sarebbe troppo ambizioso" (sic!), o se
l'obiettivo sulle rinnovabili (al 2020) sia stato o meno già raggiunto.
Purtroppo nel nostro Paese, sul tema che coinvolgerebbe l'intera politica industriale, dalle
questioni energetiche, alla manifattura, ai trasporti la nostra classe dirigente non è stata
lungimirante come avrebbe dovuto.
L'ultimo Piano Energetico, con un'ambizione "generale", risale a trent'anni fa. Peccato, che fu
sostanzialmente dettato dall'allora monopolista, gonfiando le previsioni sui consumi per giustificare
la scelta bocciata fortunatamente l'anno successivo con un referendum popolare - di ricorrere al
nucleare.
E rimase inascoltato chi allora, non solo invitava a maggior realismo - "I conti sbagliati del Pen" un
bel rapporto dell'allora Lega per l'Ambiente - ma correttamente indicava, nelle centrali a ciclo
combinato, la tecnologia più promettente che avrebbe potuto agevolmente sostituire olio
combustibile (molto utilizzato anche per produrre energia elettrica e carbone senza ricorrere al
costoso e pericoloso nucleare).
Perso il referendum del 1987, l'establishment si guardò bene dall'aggiornare previsioni e
programmi, e in un settore in cui in tutto il mondo pianificava, procedette alla cieca, continuando a
delegare la "politica energetica" ai grandi attori Enel ed Eni (una malattia da cui sembra non si riesca
a guarire).
A seguito della sacrosanta liberalizzazione, voluta dieci anni dopo nella produzione di energia
elettrica, la situazione è persino peggiorata. I governi che si succedevano continuavano a
programmare alcunché, perdevano l'occasione delle rinnovabili (all'inizio degli anni 90 eravamo
leader europei per l'eolico e il fotovoltaico, poi una volta che i settori uscivano dalla nicchia e
diventavano profittevoli noi sparivamo dalla produzione di pale e pannelli), e si inseguivano solo le
emergenze.
Quando a causa del black out ci si rese conto che la potenza installata non era sufficiente a coprire
le punte, con il decreto Marzano si semplificarono le procedure per la realizzazione di nuove
centrali. Risultato: la "bolla" in cui viviamo oggi con il paradosso di centrali a ciclo combinato nuove
ed efficienti (il parco centrali tra i migliori in Europa) che non girano, perché non sanno a chi
vendere energia, spiazzate dal calo di consumi (non tutto attribuibile alla crisi) e al boom delle
rinnovabili.
Due fenomeni ampiamente prevedibili dieci anni fa e che alcuni, sempre quelli dei "conti sbagliati"
del 1986, avevano previsto. La prova migliore dell'incapacità della nostra classe dirigente di
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esercitarsi in una politica industriale, che consente al mercato di svilupparsi in una cornice che
valorizza l'innovazione, è la Strategia Energetica Nazionale (Sen) approvata nel 2012 dal
ministro Passera, in cui nella prima versione addirittura ci si fermava a indicazioni al 2020.
Come se otto anni fossero un tempo congruo per qualsiasi azienda per programmare investimenti in
una direzione o in un'altra. Nella versione finale si riuscì ad arrivare al 2030 ma tutta la strategia era
segnata da un driver fondamentale: conservare il più possibile l'esistente e difendere i fossili.
Non sarà un caso se invece la Germania dell'Energiewende si proietta al 2050, calcolando come il
ricorso all'80% di rinnovabili (quello il target che si è dato il Paese più manifatturiero d'Europa),
possa essere compatibile con la rete, cosa fare di conseguenza con gli accumuli, ecc.
Di recente, il Ministro Carlo Calenda ha annunciato che si sta lavorando a una Nuova Strategia
Energetica che vedrà la luce nei primi mesi del 2017. Bene. E questa nuova strategia, ha detto il
ministro, avrà a che fare con politica industriale, geopolitica. Più che bene. "Finalmente", si potrebbe
dire, se le dichiarazioni immediatamente successive non facessero temere che in realtà quello che
preme sia solo trovare qualche maniera per fare sconti sulle tariffe agli "energivori" e introdurre
il "capacity market".
Obiettivi che ritengo anche accettabili se inseriti in una politica più generale, ma che sarebbero
devastanti - lo diciamo sin da adesso - se fossero presi come assi cardinali su cui fondare la nuova
strategia.
Che cosa serve per scrivere una Energiewende all'italiana al cui interno, i target al 2030,
troverebbero un adeguato valore?
Le premesse sono innanzitutto quattro:
non considerare i target fissati dall'Ue come un "balzello", ma come "base" per scegliere
obiettivi anche più sfidanti;
essere consapevoli che prossimamente, a livello internazionale - come peraltro previsto
dall'accordo di Parigi - si riverificheranno quegli obiettivi e che è molto probabile che
verranno adeguati e resi più stringenti in modo da poter contenere l'aumento di temperatura
entro 1,5 gradi, come raccomandato da Ipcc;
provare a giocare d'anticipo e schierarsi con i leader della trasformazione invece di farsi
cogliere impreparati dalle richieste internazionali. Significa che in Europa occorre fare asse
con la Germania e non con la Polonia, come spesso capita ai nostri governi che siano di
destra, di sinistra o tecnici;
piuttosto del solito piagnisteo sul peso degli incentivi per le rinnovabili in bolletta (che, non ci
stancheremo di ripeterlo, sono analoghi a quelli della Germania), rivendicare
orgogliosamente i nostri primati (35/40% di rinnovabili nella produzione di energia elettrica,
record mondiale nel fotovoltaico 8%, una normativa fiscale sulle ristrutturazioni in edilizia
che, seppur ancora migliorabile, può fare da scuola in Europa).
E quindi su questa base è necessario puntare su:
aumentare il ricorso alle rinnovabili nel mix elettrico, favorendo generazione diffusa e
autoproduzione, affrontando la questione degli oneri di rete e della distribuzione del loro
peso non come si sta facendo adesso (ideologicamente penalizzando le rinnovabili), piuttosto
copiando schemi più moderni ed equilibrati, come quello californiano;
completare l'ottimo lavoro su bonus fiscale in edilizia, rendendolo stabile e prendendolo
come modello efficace per incentivare capacità anche nella produzione industriale. Verificare
se il nuovo conto termico inizi davvero a funzionare e improntare una campagna di
comunicazione sulla convenienza delle nuove e rinnovabili forme di riscaldamento e
raffrescamento;
spingere per una rivoluzione nei trasporti , accompagnando le misure di rafforzamento
del trasporto pubblico e di nuove forme di mobilità (bici, sharing, ecc.) con attenzione alle
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innovazioni tecnologiche positive e potenzialmente distruttive come il biometano (fatto bene)
da rifiuti, l'agricoltura e l'elettrico.
Una strategia basata su queste scelte sarebbe in grado di far svolgere al nostro Paese e al nostro
sistema economico, che è già pronto, un ruolo di leadership in Europa e nel mondo, viceversa
saremo tagliati fuori dai benefici industriali che porterà con sé l'inevitabile rivoluzione energetica
mondiale. Un'occasione che non possiamo e non dobbiamo perdere.
Servono scelte, non discorsi in sede Onu sui cambiamenti climatici cui non seguono fatti concreti.
L'articolo è stato pubblicato sul n.5/2016 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo "Questione
di target"
Francesco Ferrante
URL di origine (Salvata il 12/12/2016 - 12:09):
http://www.qualenergia.it/articoli/20161209-Cosa-serve-per-scrivere-Energiewende%20per-Italia
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