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ESTERO - LE NOTIZIE MAI LETTE IN ITALIA
Venerdì 9 Dicembre 2016
Accordo con il patron della Formula1 Bernie Ecclestone per riaprire il circuito di Castellet
Ritorno del Gran Prix de France
Lusso da 30 milioni, troppo perfino per Singapore e Malesia
pubbliche) e poi, a uso degli
scettici, ha presentato uno
studio di Deloitte che dimostra
come la Formula1 nel circuito
di Castellet con 65 mila spettatori attesi avrebbe generato
un indotto pari a 65 milioni di
euro di fatturato, il doppio dei
costi. Per concludere con questa dichiarazione: «Chiedo al
governo una sola cosa, di riaprire gli uffici della Dogana
allo scalo di Castellet». Come
a dire che il turismo internazionale ricco, da solo, avrebbe
risolto tutto.
da Parigi
GIUSEPPE CORSENTINO
D
ieci anni dopo l’ultimo
Gran Prix de France
del 2008 disputato
nel circuito di MagnyCours, in Borgogna, la Formula1 torna in Francia. Ma
il Gran Premio, in calendario
per luglio 2017, non si correrà più nel piccolo villaggio del
Nevers, amato dal presidente
François Mitterand, al punto
da chiedere al gran patron delle corse, Bernie Ecclestone,
di spostare qui la competizione
dal vecchio circuito di Castellet,
in Provenza.
Stavolta il grande circo
della Formula1 torna dove
era partito, proprio in quel
circuito Paul Ricard (l’industriale del pastis appassionato
di auto negli anni Trenta) di
Castellet, grazie all’attivismo
forsennato e all’abilità politica del presidente della regione Paca (Provence-Alpes-Côte
d’Azur), il chiaccheratissimo
Christian Estrosi, repubblicano, sarkozista sfegatato e ora
desideroso di passare, armi e
bagagli, nel campo di François
Fillon, come lui appassionato
di corse, come si legge in tutte
le biografie giornalistiche del
candidato all’Eliseo.
Scaltrissimo, Estrosi, ex
campione di motociclismo, ex
sindaco di Nizza, arrivato alla
presidenza della regione per
un soffio, grazie al sostegno
Il circuito Paul Ricard di Castellet e Christian Estrosi
dell’ultima ora, al ballottaggio,
del partito socialista (se no,
oggi, al suo posto ci sarebbe la
terribile Marion MarechalLe Pen), ha pensato bene che
offrire al compagno di partito
Fillon la possibilità di intestarsi a luglio, subito dopo le elezioni, il ritorno del Gran Prix de
France sarebbe stato il modo
più brillante per riavvicinarsi
all’ex avversario.
In effetti, un patito delle corse come Fillon, che compare
come figurante accanto a Steve McQueen nel bellissimo
film di Lee Katzin dedicato al
mondo della Formula1 francese, avrebbe gradito il pensiero
del compagno di partito. Finora Fillon, impegnatissimo a
sistemare i suoi all’interno del
partito non si è pronunciato,
anche se, ovviamente, non gli
è sfuggita la presentazione in
pompa magna, un paio di gior-
ni fa, dell’accordo siglato dalla
regione Provenza con Ecclestone per riaprire il circuito
di Castellet con la sua mitica
Courbe de Signes, la curva dove
si piazzavano i giornalisti sportivi per accertarsi di persona se
i piloti deceleravano e solo l’indimenticabile Ayrton Senna
non decelerava mai.
Forse non si è ancora
pronunciato anche perché la riapertura del Paul
Ricard e l’accordo quinquennale con la Castellet Investiment Holding di Ecclestone
sono un’operazione economicamente arrischiata come ha
scritto il quotidiano economico
Les Echos in un editoriale di
prima pagina intitolato «Una
corsa senza fine ai contributi
pubblici».
E infatti anche il Gran Prix
de France, per reggersi, ha bi-
sogno del sostegno delle casse
pubbliche. Per quanto?
Il costo dell’operazione
è stimato in circa 30 milioni di euro (21 direttamente
nelle tasche di Ecclestone, il
resto all’organizzazione e alla
promozione dell’evento). Per
farvi fronte, ammesso che la
vendita dei biglietti e di tutto
il merchandising arrivi a 16
milioni di euro, secondo previsioni forse troppo ottimistiche,
regione Provenza e stato dovrebbero impegnare non meno
di 14 milioni di euro. Un azzardo, secondo molti economisti
pubblici.
L’arrembante Estrosi ha
continuato a ripetere che
i costi sarebbero stati divisi
tra regione, dipartimento del
Var e comune di Tolone (come
se non fossero sempre risorse
Ma è proprio così? La decisione del governo malese
di chiudere con la Formula1 nel
2018 dimostra il contrario. «Ci
siamo accorti», ha dichiarato
il ministro del turismo Nazri
Abdul Aziz, «che i costi del
Gran Premio di Malesia, 300
milioni di ringgits (la moneta
locale, 64 milioni di euro, ndr)
sono dieci volte più alti delle
revenus turistiche. Per questo
abbiamo deciso di troncare in
anticipo con la Fom, Formula
One Management, di Ecclestone». E lo stesso ha fatto Singapore a partire già dall’edizione
2017 (che non si correrà).
La Francia, che ha un debito
pubblico pericolosamente vicino al 100%, può permettersi
un lusso automobilistico che
neanche la Malesia e Singapore? Forse per diventare filloniano Estrosi dovrà trovare
un’altra strada.
@pippocorsentino
LA SOCIETÀ SI TROVA IN UNA SITUAZIONE DIFFICILE DOPO LO SCANDALO DIESELGATE E I RISARCIMENTI CHE DEVE PAGARE
Volkswagen licenzia 30 mila dipendenti, 23 mila in Germania
DI
ANGELICA RATTI
I
l colosso tedesco Volkswagen si
appresta a tagliare 30 mila posti di lavoro, dei quali 23 mila in
Germania, sul totale di 610 mila
dipendenti nel mondo.
L’obiettivo, secondo quanto ha riportato Le Figaro, è di incrementare
la produttività delle fabbriche tedesche
del 25% cosa che dovrebbe portare 3,7
miliardi di euro aggiuntivi l’anno. E la
redditività del marchio tedesco passerà
al 4%. Inoltre, sarà possibile finanziare
il piano strategico che poggia sull’auto
elettrica e sulla guida autonoma. Entro
il 2025 il gruppo dovrà vendere da 2 a
3 milioni di auto elettriche. Un obiettivo ambizioso nonostante le difficoltà
attuali.
Eppure, nel primo semestre
2015, la casa automobilistica occupava il primo posto nella classifica
mondiale dei costruttori d’auto, ma a
settembre dello stesso anno è esploso
il caso dieselgate, con l’ammissione da
parte di Volkswagen di aver montato
su 11 milioni di veicoli nel mondo un
software per truccare i risultati relativi
alle emissioni di sostanze inquinanti.
Venerdì 18 novembre il presidente
Matthias Müller, insediatosi all’incirca
un anno fa, ha annunciato un piano di
riduzione del personale che, per numero, non ha precedenti.
Uno choc per il gigante di Wolfsburg,
ancor di più perché 23 mila posti di lavoro da eliminare sono in Germania,
nonostante finora il gruppo abbia
sempre cercato di evitare di arrivare
a tanto. Bernd Osterloh, che presiede
il consiglio di sorveglianza ed è anche
rappresentante del potente sindacato
Ig Metall, ha accettato questo boccone
amaro. Ha ottenuto, però, che il gruppo facesse ricorso a tutti gli strumenti
sociali disponibili: dai pensionamenti
anticipati alle cessazioni progressive
di attività fino al 2025 per realizzare
le uscite della forza lavoro ed evitare licenziamenti. Un piano frutto di
un compromesso. Del resto l’impresa
è stata un modello di dialogo tra le
forze sociali.
Sulla carta Volkswagen è una
formidabile macchina economica, con una produzione di 10 milioni
di veicoli l’anno nel 2015, 213 miliardi di euro di fatturato e un risultato
operativo di 12,8 miliardi di euro. In
realtà il costruttore tedesco è molto più
fragile.
La prima ragione riguarda il costo
astronomico del dieselgate: ha già
dovuto pagare 18 miliardi di euro: di
questi, 15,3 miliardi di dollari (14,4
miliardi di euro) riguardano l’accordo sottoscritto con le autorità degli
Stati Uniti, paese dove è scoppiato lo
scandalo. Ma il costo finale sarà senza
dubbio superiore. A ottobre, gli analisti
di Barclays stimavano 2,2 miliardi di
commerciali di Volkswagen poggia sulla capacità di fare prestiti a tassi agevolati, attrattivi per la clientela. E per
mantenere questo livello è assolutamente necessario conservare il proprio
rating delle agenzie come S&P e Moody’s, fattore che richiede un alto livello
di liquidità. Disimpegnare delle risorse
supplementari è necessario e il
costruttore ha già dovuto rivedere le proprie spese in ricerca
e sviluppo. Inoltre, ha dovuto
fermare certi investimenti a
alto carico simbolico. È stato
così che Audi si è ritirata dalle
corse di enduro e Volkswagen
dai rally.
Inoltre, in aggiunta a questi
motivi strutturali, c’è il vento
contrario della congiuntura.
Da molti anni il marchio tedesco soffre la crisi. I risultati del
Un dipendente ispeziona la carrozzeria
gruppo
sono largamente sostedi una Volkswagen Passat nella fabbrica
nuti da due marchi premium,
di Zwickau, in Germania
Audi e Porsche, che insieme
euro di costi aggiuntivi. E non è tutto. costituiscono quasi i due terzi del riAudi, uno dei marchi faro del gruppo, sultato operativo del colosso tedesco.
ha riconosciuto che alcuni suoi veicoli
Al contrario, il marchio Volkswagen
hanno un problema sulle emissioni di costituisce il 45% delle vendite, ma
Co2.
rappresenta soltanto il 16% dei profitti.
Anche per un gruppo come Vol- Una situazione difficilmente sostenibikswagen queste cifre sono enormi. le a lungo termine.
Tanto più che uno dei punti di forza
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