RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 1° dicembre 2016

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 1° dicembre 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Bolzonello garantisce: «Autonomia al sicuro» (M. Veneto)
Udine trascina la Regione al Tar (M. Veneto, 3 articoli)
Nuovi ingressi in Uti. Il fronte dei ribelli perde i primi pezzi (M. Veneto)
Ente camerale di Trieste e Gorizia, tanto personale e poche aziende (M. Veneto)
Fusioni, la bacchettata di Bono a Paoletti (Piccolo)
Esuberi in BpVi, a casa 700 impiegati (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 8)
Assenteismo, Electrolux poco svedese (Gazzettino Pordenone)
Electrolux, mancano in 38 per il magazzino ricambi (M. Veneto Pordenone)
Nomine in ruolo, maratona con ricorsi (M. Veneto Pordenone)
Raccolta rifiuti: “guerra” tra Snua e Ambiente Servizi (M. Veneto Pordenone)
Lavoro festivo, i vigili proclamano lo sciopero (M. Veneto Pordenone)
Operai senza il caschetto al cantiere della Vittorino (M. Veneto Pordenone)
L’assistenza primaria arriva in montagna (M. Veneto Udine)
Vaccini obbligatori negli asili, la prudenza del ministro (Piccolo Trieste)
Scatta l'operazione bonifiche a Servola (Piccolo Trieste, 2 articoli)
In fuga da Gorizia: sotto i 35mila abitanti (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Caso Fincantieri-Cisint: «Il sindaco non parli solo di compensazioni» (Piccolo Go.-Monf.)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Bolzonello garantisce: «Autonomia al sicuro» (M. Veneto)
di Mattia Pertoldi - Tra passato e futuro, Sergio Bolzonetto sceglie di guardare in avanti. Il
vicepresidente della Regione – ieri ospite a Pordenone di Luciano Bortolus, coordinatore del locale
comitato per il Sì – lancia il suo endorsement alla riforma costituzionale che porta il nome del
ministro Maria Elena Boschi. Perché il numero due del Fvg è certo che «l’Autonomia della Regione
ne esce intaccata e per certi versi pure rafforzata» e, più in generale, vede nel testo approvato dalla
maggioranza di Governo «un passo fondamentale, anche se certamente non l’ultimo» nel processo
di ammodernamento del Paese. Vicepresidente come descriverebbe il clima che si respira, in Fvg e
in Italia, a pochi giorni dal voto? «Siamo partiti da un quesito chiaro, basato su cinque punti –
dall’abolizione del bicameralismo perfetto, alla soppressione del Cnel, fino alla revisione del Titolo
V –, per arrivare a una scelta puramente politica visto che, ormai mi pare chiaro, domenica il voto
sarà quasi esclusivamente a favore o contro il Governo Renzi. E questa, se mi permettete, è una
follia. Certamente, come ribadito più volte, il premier ha compiuto un errore personalizzando
eccessivamente il referendum, ma questo non giustifica il livello di scontro cui siamo arrivati».
Secondo lei, dunque, questa modifica costituzionale rappresenta un passo in avanti positivo? «Senza
dubbio. Non sto sostenendo che sia l’atto finale del processo riformatore, perché ci sarà la necessità
di progredire ancora per garantire un reale cambiamento al Paese, ma resto convinto che abbia
pienamente ragione Bob Marley». Scusi, cosa c’entra Bob Marley con il referendum? «Semplice,
cantava “Non aver paura del domani, perché in fondo, oggi è il giorno che ti faceva paura ieri” ed è
esattamente quello che sostengo io. Noi combattiamo contro la storia e la cultura di un Paese che
storicamente preferisce guardarsi alle spalle, rimirare il proprio passato, piuttosto che puntare in
avanti. Bene, ma prima o dopo bisogna riuscire a cambiare prospettiva senza avere il timore di
affrontare le sfide del futuro». E il futuro non comporta il rischio di stravolgere la Costituzione di
70 anni fa? «Neanche per sogno. I primi 54 articoli della Carta non vengono minimamente toccati e
quindi restano immutabili i principi fondamentali e cardine del nostro sistema democratico. La
maggioranza ha voluto mettere mano soltanto alla seconda parte della Costituzione. Cioè a quella
che gli stessi padri costituenti sostenevano si sarebbe dovuta adattare al mutamento dei tempi e non
per niente, infatti, è stata modificata in più occasioni. Chi sostiene di difendere la Costituzone del
’48 mente, perché sa bene che il testo è mutato e basta riportare la mente al 2001 per ricordarselo».
Cosa proprio non riesce a sopportare del fronte del No al referendum? «La riforma è stata votata sei
volte – tre alla Camera e altrettante al Senato – prima di diventare legge. E il placet è arrivato anche
da molti di coloro che, in questi mesi, stanno facendo campagna elettorale per bocciarla.
Francamente è una posizione inaccettabile perché mi pare chiaro che queste persone non discutano
del merito del testo, bensì abbiano deciso di schierarsi contro il Governo per pure motivazioni
politiche che nulla hanno a che fare con la Carta». Lei è vicepresidente della Regione: che opinione
ha dell’impatto della riforma sulla Specialità del Fvg? «La nostra Autonomia esce da questo testo
assolutamente intatta, anzi, in alcune parti perfino rafforzata dall’introduzione dello strumento
dell’intesa obbligatoria Stato-Regione per modificare lo Statuto. Non lo sostengo io, ma autorevoli
costituzionalisti che certamente non possono essere definiti come una parte in causa e interessata».
Perchè allora uno come Sergio Cecotti, autonomista e friulanista vero della prima ora, si è schierato
con il fronte del No e ha una posizione, in materia, del tutto opposta alla sua e alla maggioranza del
Pd in Fvg? «Non lo so. Cecotti era e resta uno dei politici che più stimo in regione, ma forse anche
lui è “vittima” del dato culturale che porta ad avere paura del futuro e spero che alla fine non si
faccia, davvero, prendere dal timore di affrontare le sfide del domani». La convince anche il ruolo
dei nuovi consiglieri-senatori? «Non ci vedo nulla di strano. Da quando esistono le Regioni, i
presidenti e gli assessori volano a Roma a presentare al Governo le istanze dei territori. Questa
riforma allarga, correttamente, lo spettro d’azione al legislativo non ancorandolo esclusivamente
all’esecutivo».
2
Udine trascina la Regione al Tar (M. Veneto)
di Michela Zanutto - Ormai Provincia di Udine e Regione sono ai ferri corti. Ieri palazzo Belgrado
ha deciso di portare davanti al Tribunale amministrativo regionale del Fvg la giunta Serracchiani,
rea di avere nominato il commissario ad acta per il passaggio delle competenze in materia di edilizia
scolastica. «È un commissariamento illegittimo – tuona il presidente della Provincia di Udine,
Pietro Fontanini –. La giunta regionale continua la sua prova di forza». E la replica dell’assessore
alle Autonomie locali Paolo Panontin non si è fatta attendere: «La loro è una posizione politica».
Sulla via Udine-Trieste si rinfocola dunque lo scontro istituzionale, con la giunta regionale che ha
tutta l’intenzione di difendersi davanti al Tar, tirando diritta sulla strada delle riforme. Ma facciamo
un passo indietro: il passaggio delle competenze in materia di edilizia scolastica (ovvero la gestione
di tutte le scuole secondarie di secondo grado della provincia di Udine) era previsto a luglio di
quest’anno. Ma era slittato «a causa dei ritardi accumulati dalla Provincia di Udine nel redigere i
piani di subentro», aveva sottolineato Panontin. Ai primi di novembre, davanti alla bocciatura del
Piano di subentro nelle funzioni di edilizia scolastica da parte del Consiglio provinciale (con il Pd
fuori dall’Aula per protesta), la Regione ha messo in pratica quanto prescritto dalla legge 26 del
2014 nominando un commissario ad acta. L’incarico è andato alla dirigente regionale Anna
D’Angelo, ex dirigente della Provincia di Udine, che entro la fine della prossima settimana dovrà
dare il via libera alla proposta di Piano e trasmetterlo alla Regione. «Ritengo questo
commissariamento illegittimo – ha ribadito il presidente Fontanini –. Solo qualche mese fa, proprio
il Tar del Fvg, ha dichiarato illegittimi i commissari inviati nei Comuni per l’approvazione degli
statuti delle Unioni. Malgrado questo pronunciamento, l’esecutivo Serracchiani procede con il
medesimo copione. Lo fa senza nemmeno darci riscontro in merito alle motivazioni della bocciatura
del Piano di subentro e all’ordine del giorno votato dal Consiglio provinciale il 7 novembre scorso
in cui si chiedeva, a fronte delle difficoltà manifestate dal territorio, di consentire all’ente di
occuparsi degli edifici scolastici fino al 31 agosto 2017. Vorremo solo otto mesi in più. C’è
un’evidente mancanza di dialogo da parte della Regione nei nostri confronti tanto da non fornire
risposta alcuna alle nostre comunicazioni». Chiedendo di spostare il termine per il passaggio delle
competenze, Fontanini prende anche tempo in vista del referendum di domenica. «Se vincerà il No
– sono le parole di Fontanini – si verrebbe a creare un cortocircuito costituzionale perché la nostra
regione sarebbe l’unica in Italia ad avere cancellato le Province per Statuto. Ma la legge non può
andare contro la Costituzione, pertanto in quel caso presenterò ricorso al Tar e sono certo che il
giudice amministrativo solleverà la questione davanti alla Corte costituzionale». E Fontanini ha
incassato anche l’appoggio del suo segretario regionale, il leghista Massimiliano Fedriga secondo il
quale « «con la riforma degli Enti locali aumentano i costi e si allontanano ulteriormente le
istituzioni dai cittadini». Parallelamente la giunta regionale ha nominato anche i commissari
straordinari per l’amministrazione provvisoria delle Province di Gorizia e Trieste, che saranno in
carica per un mese, da oggi e fino alla fine dell’anno. I commissari nominati sono Pierpaolo
Martina, per la Provincia di Gorizia, e Gianluca Dominutti, per la Provincia di Trieste, entrambi
dirigenti della Regione. Il mandato delle due Province di Trieste e Gorizia era andato a scadenza
naturale nella primavera 2016 ed era stato prorogato fino alla fine di novembre, ecco perché è stato
necessario nominare un commissario straordinario per guidare la transizione. A Pordenone è già in
carica Anna Maria Pecile, anche in questo caso la scadenza è fissata alla fine dell’anno. Perché a
breve sarà individuato un unico commissario per le tre Province di Gorizia, Pordenone e Trieste.
Diversa la sorte di Udine, considerato che il mandato della seconda giunta Fontanini scadrà nel
2018 e il presidente ha tutta l’intenzione di mantenere aperto l’ente fino all'ultimo giorno.
Le superiori da Tarvisio a Lignano nelle mani di palazzo d’Aronco
testo non disponibile
La tassa sull’auto andrà a Trieste. Il Friuli dice addio a 14 milioni
testo non disponibile
3
Nuovi ingressi in Uti. Il fronte dei ribelli perde i primi pezzi (M. Veneto)
di Maura Delle Case - L’ultima parola sarà pronunciata martedì, quando a palazzo Belgrado
torneranno a riunirsi i quasi 60 sindaci ricorsi al Tar contro le Unioni territoriali intercomunali (Uti)
per decidere che cosa fare. Se cioè proseguire nel braccio di ferro con la Regione sull’invisa riforma
delle autonomie locali oppure se, dopo mesi di battaglie, ammainare la bandiera. Alla vigilia di
quell’incontro, il rompete le righe è già iniziato. Ed ha portato qualcuno a precorrere i tempi
spaccando il fronte. È il caso di Gemona e Montenars che insieme a Bordano – Comune,
quest’ultimo, rimasto fuori dall’Uti che non ha però aderito al ricorso al Tar – hanno di fatto già
deciso l’ingresso nell’Unione. Tanto che ieri mattina si sono incontrati con i colleghi di Venzone,
Artegna e Trasaghis per discutere i prossimi passi. «Delibereremo l’adesione entro la metà del mese
di dicembre – ha fatto sapere il sindaco di Bordano, Gianluigi Colomba – perché alla luce delle
ultime modifiche apportate alla legge in Consiglio regionale siamo in condizione di scegliere con
maggiore autonomia quali funzioni portare in Unione». Due le conseguenze. Da un lato si completa
la prima delle 18 Uti individuate dal piano di riordino, dall’altro il fronte dei ribelli mostra segni di
cedimento. Per certi versi naturale visto che l’adesione è diretta conseguenza dei risultati messi a
segno proprio grazie alla battaglia condotta a colpi di ricorsi dai 57 Comuni. Le modifiche apportate
alla legge 26 durante l’ultimo Consiglio, che ha visto abbassare il tetto dell’adeguatezza e
modificare il meccanismo della penalizzazione in quello di finanziamento delle funzioni in capo
alle Uti, sono infatti figlie dell’accordo raggiunto quest’estate al tavolo Anci. «Alla luce di quelle –
afferma il sindaco di Gemona, Paolo Urbani – vengono a cadere gran parte dei motivi di contrarietà
alla riforma. Attenderò per correttezza le decisioni che prenderemo in assemblea martedì, ma come
ho già avuto modo di anticipare ai colleghi l’intenzione è ormai quella di entrare nell’Unione».
Come del resto per Montenars il cui sindaco, Claudio Sandruvi, fa eco a Urbani: «Entriamo anche
noi. Non ha più senso restare fuori». Stanno invece alla finestra gli altri primi cittadini. Nella destra
Tagliamento, Renzo Francesconi (Spilimbergo) mette le mani avanti: «Mi esprimerò quando avrò in
mano il testo con le ultime modifiche». Idem Roberto Ceraolo (Sacile) che aspetta di toccare con
mano le ultime novità, ma ancor più di incontrare i colleghi: «Abbiamo stretto un patto tra sindaci
per sentirci e concordare una soluzione di comune accordo. Questa è l’idea». «Possiamo però già
dire che le Uti di oggi non sono nemmeno lontane parenti di quelle ideate due anni fa e questo è il
frutto della battaglia condotta da noi sindaci. Non ribelli ma patrioti» aggiunge Renato Carlantoni
(Tarvisio) guardando a sua volta al 6 dicembre. «Siamo compatti e in quella sede decideremo
serenamente, esaminando nel dettaglio le ultime modifiche, cosa fare. È chiaro che la posizione dei
capofila è delicata. Di fatto siamo avvantaggiati e se le modifiche proposte in sede Anci a luglio non
fossero poi state stravolte in Consiglio regionale saremmo già entrati allora». Dichiarazione
sibillina, quella del tarvisiano, che lascia presagire un possibile ingresso in Uti a differenza di
quanto invece paiono inclini a fare diversi piccoli Comuni, i cui sindaci saranno presenti al vertice
di martedì ma con il solito spirito battagliero. Entrare in Uti? Marco Lenna, primo cittadino di Forni
di Sotto, non ci pensa nemmeno. «Non entrerò, perché il tetto dell’adeguatezza per gli enti locali
“piccoli” altro non è che una forma mascherata di obbligatorietà».
4
Ente camerale di Trieste e Gorizia, tanto personale e poche aziende (M. Veneto)
di Elena Del Giudice - «La scelta di privilegiare la costituzione di una Camera di commercio unica
del Friuli Venezia Giulia ha tre presupposti fondamentali: la salvaguardia delle economie dei
territori, l’eliminazione dei campanilismi storici e una massa critica di imprese, in regione,
pressoché equivalente a quella delle Camere venete confinanti (Venezia-Rovigo Delta lagunare e
Treviso-Belluno)». Questa la premessa di Giovanni Pavan, presidente dell’ente camerale
pordenonese ma anche di Unioncamere, nel replicare al collega Antonio Paoletti, al vertice della
Venezia Giulia, che ha respinto la proposta di aggregazione con Pordenone. «Giova sottolineare, sul
fronte della proporzionalità tra domanda e offerta - prosegue Pavan -, che l’equilibrio sui territori
deve essere garantito, anche, dal numero delle risorse umane rispetto a quello delle imprese cui
vengono erogati i servizi. Il fatto che la Venezia Giulia possa contare su un numero di “dipendenti
per impresa” doppio rispetto agli altri territori può non essere una criticità, semmai un’opportunità:
realizzando economie di scala, infatti, il surplus potrebbe essere valorizzato a favore dei servizi di
supporto funzionali a tutta la regione. Così facendo si libererebbero, anche nelle altre Camere di
commercio, risorse impiegate nelle strutture di supporto. Ne conseguirebbe un aumento delle
disponibilità per i servizi alle imprese, comprese le nuove competenze assegnate dal provvedimento
di riforma delle Cciaa. Non ci sarebbe quindi necessità di attuare esuberi/mobilità tra i dipendenti».
Un quadro chiaro «che la Camera di commercio di Pordenone aveva tradotto in una decisione
formale già nel 2014, quando s’era dichiarata disponibile, allora come ora, ad aprire un tavolo di
confronto costruttivo sul tema. In qualsiasi momento. Di ciò si trova traccia anche nella delibera di
Unioncamere di settembre 2014» aggiunge Pavan, secondo il quale «la salvaguardia dei territori è
evidente: una governance unica, espressa dalle rappresentanze di ogni territorio, opererebbe per
l’interesse di una sola economia, non più frazionata o dilaniata dai campanilismi, finalizzata alla
razionalizzazione delle strutture e allo sviluppo delle imprese». Nel merito dei vantaggi, Pavan
sottolinea che la Camera del Fvg, in quanto unica e così concepita, «consentirebbe da un lato di
disporre di progetti di respiro regionale e, dall’altro, di rinforzare l’attuale riconoscimento della
validità dell’azione del sistema camerale dimostrato dalle deleghe regionali a favore delle imprese.
Quest’ultimo punto viene anche potenziato dalle più ampie e definite competenze delle Camere - in
materia di valorizzazione del patrimonio culturale nonché di sviluppo e promozione del turismo previste dalla legge di riforma sulle quali una Camera unica potrebbe dialogare con maggior facilità
con la Regione per progetti sinergici e condivisi». Il progetto che Cciaa Pordenone ha
commissionato a Ernst & Young tiene conto di numerosi aspetti: l’evoluzione normativa sulla
razionalizzazione del sistema camerale, il contesto economico del Friuli Venezia Giulia, dei territori
limitrofi, i risultati economico-finanziari delle Camere, delle partecipazioni societarie delle stesse (e
dei relativi risultati), nonché del tessuto imprenditoriale e delle infrastrutture disponibili. «Anche da
questo punto di vista - secondo Pavan - sarebbe auspicabile la Camera unica perché una sola regia
consentirebbe di mettere a sistema, per esempio, il porto di Trieste con la rete retro portuale della
regione presente in ogni territorio – e di cui fanno parte più realtà – a diversi livelli di efficienza e di
adeguamento. Cosa che a oggi non pare verificarsi». I “numeri” dimostrano poi «che lo scenario
della Camera unica è il migliore sotto il profilo istituzionale e amministrativo nonostante la
numerosità delle realtà aggregabili e dei pesi relativi. È il migliore sotto il profilo imprenditoriale in
termini di rafforzamento settoriale e integrazione/completamento di filiera. È il migliore in ordine
alla complementarietà delle infrastrutture e la relativa efficienza gestionale. È il migliore per quanto
attiene al sistema delle partecipazioni perché potenzia l’interdipendenza delle Camere di
Commercio e le possibili sinergie», ribadiscono da Pordenone. «Questo è un progetto – ha detto
Giovanni Pavan, presidente della Camera di commercio di Pordenone – la cui condivisione
potrebbe rappresentare una sfida innovativa e lungimirante». Anche il sistema imprenditoriale si
spende sul progetto della Cciaa unica. Ad esempio Luciano Bortolus, noto imprenditore del settore
immobiliare, esorta ad «abbandonare i ragionamenti che mirano solo al proprio potere. Che si faccia
la Camera unica del Fvg! Sarà un bell’esempio di risparmio. E gli esempi servono, altrimenti la
gente non vi crederà più».
5
Fusioni, la bacchettata di Bono a Paoletti (Piccolo)
«Siamo favorevoli a qualsiasi aggregazione che riteniamo necessaria per ridurre i costi e soprattutto
consentire la fuoriuscita da un localismo che, da sempre, fa più danni che benefici»: Giuseppe
Bono, numero uno della Confindustria regionale, non le manda a dire. E ribatte così al non
possumus del presidente della Camera di commercio Venezia Giulia, Antonio Paoletti, che respinge
la proposta di nozze dell’ente camerale di Pordenone perchè «non giustificata da presupposti
giuridici o geoeconomici». Per l’amministratore delegato del colosso Fincantieri «il futuro non si
costruisce difendendo posizioni di piccolo potere ma assumendo, con senso di responsabilità,
decisioni atte a fare di questa regione un modello di razionalità ed efficienza». Una bacchettata che
rimette al centro del tavolo la proposta di fusione su scala regionale delle Camere di commercio:
«La riforma degli enti camerali -afferma Bono in uno stringato comunicato- con la conseguente
razionalizzazione delle stesse è un tema molto importante, specie in questo momento in cui è
sempre più prioritario dare efficienza al sistema Italia». Confindustria Fvg spinge sull’efficienza, la
semplificazione burocratica e l’integrazione fra sistemi produttivi anche diversi: «La proposta di
Pordenone -incalza Bono- non può essere scartata a priori ma può costituire un momento di
riflessione costruttiva». Paoletti giustificato il suo “no” con la diversità del territorio di Trieste e
Gorizia: «Le istituzioni non sono il fine ma il mezzo attraverso il quale si amalgamano sistemi
territoriali omogenei per storia, morfologia economica e territoriale». Una visione che per Bono è
condizionata invece dalla volontà di mantenere lo status quo Trieste e Gorizia, secondo la riforma,
possono restare in effetti autonome. L'emendamento Rosato, come è stato ribattezzato, garantisce
infatti autonomia alle Camere di commercio che, pur non avendo i numeri, insistono su territori di
confine. Questo significa che viene garantita indipendenza a Gorizia e Trieste e a Udine. Il
presidente della Camera di Commercio di Pordenone, Giovanni Pavan, ha citato i risultati di un
progetto realizzato da Ernst & Young, per ribadire la sua proposta di una camera unica su scala
regionale. Anche la Regione è favorevole: «Sono convinta che le Camere di commercio siano utili
dove funzionano bene e dove supportano la Regione. In una realtà con circa 1 milione e 200 mila
abitanti penso che possa esserci una sola Camera, non sia più necessario averne tre o quattro»,
aveva detto il presidente della Regione Serracchiani in un incontro pubblico a metà novembre.
Pordenone intanto torna alla carica e replica a Paoletti: «La scelta di privilegiare la costituzione di
una Camera di Commercio unica del Fvg ha tre presupposti fondamentali: la salvaguardia delle
economie dei territori, l'eliminazione dei campanilismi storici e una massa critica di imprese, in
regione, pressoché equivalente a quella delle Camere venete confinanti (Venezia-Rovigo Delta
lagunare e Treviso- Belluno)». Nella nota si ragiona anche sull’impatto sociale di una fusione: «Il
fatto che la Venezia Giulia possa contare su un numero di dipendenti per impresa doppio rispetto
agli altri territori può non essere una criticità, semmai un'opportunità: realizzando economie di
scala, infatti, il surplus potrebbe essere valorizzato a favore dei servizi di supporto funzionali a tutta
la regione». pcf
6
Esuberi in BpVi, a casa 700 impiegati (M. Veneto)
di Elena Del Giudice - La data di convocazione del tavolo per la trattativa sui primi 700 esuberi in
Banca Popolare di Vicenza, è quella del 5 dicembre con l’obiettivo «di arrivare a chiudere un
accordo entro fine anno». Di questa tranche di eccedenze, il peso per il Friuli Venezia Giulia, dove
BpVi aveva rilevato la Popolare Udinese, appare limitato. Forse una cinquantina di addetti sui 350
circa che rappresentano l’organico della banca veneta in regione. Anche perché, fatta eccezione per
il dimagrimento del passato recente, con la chiusura di qualche filiale, l’assetto in termini di
presenza territoriale, al momento, non è in discussione. «Vedremo che cosa dirà BpVi all’incontro dichiara Maurizio Pontisso, componente della segreteria First Cisl -, ma allo stato quel che
possiamo dire è che la procedura riguarderebbe complessivamente 700 persone e che l’esodo
dovrebbe essere volontario». Di fatto con la lettera inviata alle segreterie nazionali delle
organizzazioni sindacali del comparto dei bancari, la banca presieduta da Gianni Mion non ha
avviato una nuova procedura ma ha fatto seguito a quella presentata circa un anno fa, all’epoca in
condizioni decisamente diverse da quelle di oggi. Ora l’ex popolare berica indica «la riduzione del
costo del personale» come una delle condizioni imprescindibili e urgenti per i conti dell’istituto,
anche se i problemi più pressanti paiono essere altri. Altra questione non secondaria, nemmeno per
l’avvio della trattativa con i sindacati, è il piano industriale - che allo stato non c’è - in base al quale
BpVi dichiara gli esuberi. Non dimenticando che sullo sfondo, ma non in posizione marginale, c’è
la scelta su che cosa deciderà di fare Atlante, il fondo che detiene la maggioranza del capitale di
Popolare Vicenza e Veneto Banca, delle due banche. E nel caso - non dichiarato ma probabile - di
una fusione tra i due istituti, il “conto” che il personale potrebbe venire chiamato a pagare, sarebbe
ben più salato. Le stime portano infatti a oltre 2 mila gli esuberi che la “banca unica” del Veneto
potrebbe generare. E non dimenticando neanche che sul tavolo della discussione dovrà esserci
anche il capitolo “integrativo”, ovvero il contratto di secondo livello, in attesa di rinnovo. Il 5
dicembre, quindi, all’appuntamento con il sindacato BpVi dovrà formalizzare le proprie richieste e
proposte e avviare il confronto. L’intesa dovrebbe venire siglata entro il 31 dicembre per inserire a
bilancio i costi relativi alla ristrutturazione che si concretizzerà, però, solo dall’anno prossimo. Una
data ragionevole potrebbe essere quella di fine marzo per l’individuazione del personale disponibile
all’uscita perché ormai prossimo alla pensione. Un numero che parrebbe però non sufficiente.
L’ultima rilevazione risalente al 2015, aveva individuato 575 dipendenti con queste caratteristiche.
Ne resterebbero altri 125 da trovare, operazione difficile senza disponibilità di fondi per
l’accompagnamento all’esodo. La possibilità introdotta dalla Finanziaria, con 100 milioni a
disposizione delle operazioni di riassetto del settore bancario, potrebbe aiutare BpVi in questa
partita. Bisognerà attendere fine anno anche per conoscere i contenuti del nuovo piano industriale
mentre il prossimo Cda si dovrebbe occupare delle conciliazioni varando una proposta che possa
essere giudicata accettabile dalle controparti, singoli soci e associazioni di consumatori. E anche
questa è una partita assai complicata.
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CRONACHE LOCALI
Assenteismo, Electrolux poco svedese (Gazzettino Pordenone)
Assenteismo, alla Electrolux si apre il confronto europeo sui livelli di assenza per malattia nelle
fabbriche del gruppo. A chiedere ai diversi sindacati delle tute blu europee dove la multinazionale è
presente - nelle riunioni dei giorni scorsi a Stoccolma - di raffrontare i dati è stato il sindacato
italiano. I dati saranno raccolti e comparati al fine di capire qual è la situazione del fenomeno e i
modi di affrontarlo. Nel complesso al vertice europeo è emerso che i tassi più elevati di assenteismo
sono direttamente collegati alle condizioni del lavoro: dove queste peggiorano il tasso di assenza
aumenta.
Inoltre il sindacato constata che l'azienda ha diversi approcci al problema. «In Italia e in Polonia
l'approccio è quello della caccia al pigro o al furbo. Mentre in Svezia, Germania e Gran Bretagna
l'assenteismo è visto come un termometro del disagio dei lavoratori e della necessità di trovare
soluzioni per risolverli». Come dire: Electrolux, sotto questo aspetto, in Italia è molto poco svedese.
«Non per direttive scandinave, ma per il modo di operare del management nazionale».
A Porcia il nodo assenteismo (ieri è slittato l'inocntro previsto tra azienda e sindacato) è esploso
nelle settimane scorse. Nel periodo estivo e in coincidenza con il cambio dell'orario da sei a otto ore
in fabbrica si era raggiunto un picco del 23% di assenza per malattie, permessi e ferie: il che
significa circa 115 dipendenti sui circa 500 per turno, 230 sui mille addetti complessivi. La media di
assenza per malattia è del 5%, più bassa dei livelli nazionali. Dopo il picco l'impresa aveva attuato
una sorta di stretta su permessi e, in alcuni casi, aveva anche chiesto spiegazioni ad alcuni
dipendenti. Azioni che al sindacato, in particolare alla Uilm, non erano piaciute. Ci sono anche un
paio di incontri con la direzione aziendale. Nell'ultimo periodo, secondo il sindacato, la stretta si
sarebbe un po' allentata. Ma la guardia resta alta.
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Electrolux, mancano in 38 per il magazzino ricambi (M. Veneto Pordenone)
di Giulia Sacchi - Electrolux è a caccia di 38 lavoratori che vogliano trasferirsi dalle linee del sito di
Porcia al magazzino ricambi della multinazionale, per dare corso al progetto di riassorbimento di 50
dei 356 esuberi. Il bacino dei dipendenti volontari, ovvero quelli che si sono candidati per passare
dalla produzione di lavatrici al magazzino, è stato esaurito. A farsi avanti sono stati in 12 e a oggi la
loro ricollocazione è terminata. Si prospetta quindi una grana per Electrolux: individuare altre 38
persone che siano disposte ad abbandonare le linee, e dunque il lavoro a turno, per operare a
giornata. Non sarà facile, considerato che il numero di chi ha scelto sinora la via del trasferimento è
pari a poco più di un quinto del fabbisogno. E il fatto che le maestranze non stiano facendo a gara
per accaparrarsi il posto al magazzino non agevola l’attuazione del progetto di riassorbimento entro
le tempistiche che l’azienda si è prefissata, ossia gennaio. La multinazionale, comunque, non
demorde: procederà col reclutamento dei 38 addetti, per i quali sono previsti periodi di formazione e
in seguito di prova. La finalità del progetto è importante e non può essere dimenticata: si parla di
scongiurare 50 eccedenze. Al di là del piano di riassorbimento, nell’assemblea sindacale di ieri si è
discusso della nuova proposta di orario di lavoro per gli addetti del magazzino. L’azienda ha
comunicato l’intenzione di cambiare l’organizzazione della produzione, introducendo un altro
turno: al primo dalle 7 alle 16 si aggiunge il secondo dalle 10 alle 19. Ma l’ipotesi non ha convinto
le maestranze. E’ stata formulata quindi una controproposta per il secondo nastro, che vede
l’anticipo di un’ora (dalle 9 alle 18). Stando a quanto ipotizzato, saranno costituite tre squadre, con
addetti che presentano le stesse professionalità. I due terzi dei lavoratori opereranno dalle 7 alle 16,
la parte restante dalle 9 alle 18. Ogni settimana si cambia: i dipendenti che sino a quel momento
hanno operato in base al nastro del primo turno lavoreranno dalle 9 alle 18 e quelli del secondo
turno dalle 7 alle 16. Non mancheranno gli straordinari per fare fronte alle esigenze produttive: sono
stati messi in calendario tre sabati a dicembre e ipotizzati altri tre a gennaio. Il mese prossimo,
comunque, saranno effettuate valutazioni sull’andamento dell’attività, per capire se
l’organizzazione oraria è efficace. Le maestranze hanno dato mandato ai sindacati per siglare
l’accordo con la multinazionale sul nuovo orario. A breve sarà affrontata da Electrolux e forze
sociali anche la questione dei lavori di adeguamento sulla struttura del magazzino: il programma di
investimenti parla di due milioni e mezzo di euro.
9
Nomine in ruolo, maratona con ricorsi (M. Veneto Pordenone)
di Chiara Benotti - Otto ore per le nomine dei docenti precari delle primarie e delle scuole
dell’infanzia, quattro ricorsi annunciati e oltre 250 posti di lavoro in ballo tra i 700 convocati. È
stata una giornata campale, ieri, al liceo Grigoletti, conclusasi attorno alle 22 per i docenti, che
scontano un ritardo di 90 giorni. Alla fine cattedre e posti assegnati, seppur a ritmo rallentato, come
hanno evidenziato i sindacalisti Flcgil Mario Bellomo e Renzo Cusin. Le contestazioni. Quattro
precarie hanno avuto l’amara sorpresa di non trovarsi in graduatoria, oppure scoprire di essere prive
dei “simboli” ministeriali utili negli elenchi per l’accesso alla nomina. «Ricorso subito, il lavoro è
un diritto» hanno promesso di fronte ai funzionari dell’ex Provveditorato”. Penalizzate da un errore
digitale del “cervellone” dell’istruzione? «Verificheremo con la massima attenzione» hanno
promesso i sindacalisti della Flc Cgil affiancati dai colleghi di Cisl scuola, Gilda e Snals. Da oggi le
scuole gestiranno i posti e lo sciame di spezzoni orari residui, non assegnati. Il problema sono i
posti di lavoro sul sostegno all’handicap: mancano un centinaio di insegnanti specializzati. «Ci sarà
lavoro per molti precari anche fuori graduatoria – ha valutato il sindacalista Giuseppe Mancaniello
– Speriamo di coprire il fabbisogno di tutte le scuole: quelle di montagna si trovano spesso senza
supplenti». I precari. Le supplenti sono in maggioranza rispetto ai colleghi: il 99% nelle primarie e
alle materne, dove sono pochi i maestri. Il popolo dei precari nella fascia dell’obbligo ha un’età
media di 35 anni, più bassa dei colleghi nelle secondarie. Molti sono in trasferta per lavoro da
Roma, Palermo, Napoli e altrove. Tra le decane: una maestra precaria classe 1958 e una docente di
59 anni con un caso curioso. «La maestra R.G. è stata nominata in ruolo il 24 novembre, ma ha
accettato la supplenza annuale nell’istituto comprensivo Pordenone centro – hanno sottolineato i
sindacalisti – Una scelta obbligata perché la nomina in ruolo avrà una validità salariale soltanto dal
primo settembre 2017 (giuridica un anno prima): è un effetto della “Buona scuola”». Per i supplenti
lo stipendio cumula ritardi di mesi. In classe. Il tour de force di ieri non sempre ha confermato i
supplenti nominati a settembre e ottobre col contratto di lavoro “sino all’avente diritto”. Questa
mattina si assisterà all’ennesimo valzer su molte cattedre delle materne e primarie. Addio alla
continuità didattica nella metà dei casi. «Speriamo che l’operazione di nomina offra nuova stabilità
al settore della scuola primaria sino a giugno del prossimo anno» è l’auspicio dei sindacati. Si sono
verificati spesso casi di precari pronti ad accettare la nomina e rapidi a chiedere congedi concessi
dalla normativa: malattia, gravidanza, motivi familiari. Il risultato è stato quello della discontinuità
in cattedra.
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Raccolta rifiuti: “guerra” tra Snua e Ambiente Servizi (M. Veneto Pordenone)
Sono settimane intense quelle in arrivo per il settore provinciale dei rifiuti. Tra appalti decaduti e
altri in bilico, gare vinte e udienze in tribunale, non c'è società attiva sul territorio che non abbia
qualcosa da registrare. Aimeri servizi e il concordato. È fissata per oggi l’udienza avanti il tribunale
fallimentare di Milano nei confronti della società che sino allo scorso maggio si è occupata della
raccolta e dello smaltimento nel territorio dell’ex Comunità montana. L’azienda ha chiesto una
proroga agli iniziali 120 giorni concessi per preparare un piano di concordato. Oggi i giudici
saranno chiamati a concedere questo ulteriore slittamento o dichiarare fallito il gruppo. A metà
maggio Aimeri servizi fu scalzata dalla Snua di San Quirino, risultata vittoriosa di fronte al
Consiglio di Stato. L’ex ente montano di Barcis si è recentemente accollato i debiti che la cordata
lombarda ha ancora rispetto ad alcune voci di stipendio dei dipendenti. Ambiente Servizi perde
soci? La multi utility di San Vito è invece al centro di una querelle che rischia di espandersi a
macchia d’olio in altri Comuni. L’amministrazione di Porcia ha infatti stoppato l’adesione alla
società in house dopo che Snua ha avanzato un’offerta economica decisamente più vantaggiosa di
quella di AS. La vicenda, che sarà discussa a breve in consiglio comunale, ha riscosso pure
l’attenzione dei social network delle realtà limitrofe. In particolare a Sacile e Fontanafredda sono da
tempo operativi gruppi spontanei e associazioni di commercianti in forte contrapposizione con
Ambiente servizi. Le tariffe applicate in riva al Livenza appaiono infatti più alte rispetto a quelle
che la società garantisce nel Sanvitese e a Fiume Veneto (dati alla mano, Sacile è una delle
associate che versa di più nelle casse della multi utility a parità di conferimenti). Nei giorni scorsi
sono stati vari i commenti di cittadini e comitati sull’affaire di Porcia, che ora potrebbe finire sulla
scrivania delle due amministrazioni vicine. In particolare, il sindaco Roberto Ceraolo viene invitato
a chiedere dei preventivi ad altre società per valutare se sia possibile risparmiare sulla bolletta a
carico degli utenti. Snua in Trentino. Nel frattempo Snua si è aggiudicata un appalto in Vallagarina,
nel cuore del Trentino. La società con sede a San Quirino fa parte di una cordata friulano-veneta che
per i prossimi anni servirà più di 60 mila utenti. La posta in gioco era vicina ai 4 milioni di euro
l’anno. Il lavoro verrà avviato a breve, nessun conferimento è previsto in Friuli.
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Lavoro festivo, i vigili proclamano lo sciopero (M. Veneto Pordenone)
di Donatella Schettini - La polizia municipale ha proclamato lo stato di agitazione per la mancata
applicazione da parte del Comune del diritto del lavoratore di astenersi dal lavoro in 11 festività
celebrative di ricorrenze civili o religiose. Annunciano anche lo sciopero nei prossimi mesi mentre a
gennaio sarà depositata una istanza al tribunale del lavoro di Pordenone. Una nuova grana per il
municipio di Aviano per una vicenda che è nata mesi fa: i cinque agenti di polizia municipale hanno
chiesto all’amministrazione comunale l’applicazione di una norma del 1949 che stabilisce il diritto
del lavoratore ad astenersi dal lavoro in occasione delle 11 festività celebrative di ricorrenze civili o
religiose durante l’anno. Fino al 2008 la norma è stata rispettata, riuscendo comunque a garantire la
presenza sul territorio. Le cose sono cambiate l’anno successivo, dal primo gennaio del 2009,
perché secondo l’ufficio personale del Comune la norma non era più in vigore e, di conseguenza, gli
agenti avrebbero dovuto lavorare anche in quelle giornate senza più la possibilità di rifiutarsi, e
senza un riconoscimento economico nonostante normalmente in queste circostanze al lavoratore è
garantito il riposo compensativo. Nei mesi scorsi è intervenuta una sentenza della sezione lavoro
della Cassazione che ha deciso su un caso simile e ha ritenuto senza limitazioni il diritto ad
astenersi dal lavoro in queste 11 festività, ritenendolo un dritto soggettivo e come tale non
comprimibile. In base a questa sentenza, la polizia municipale aveva avanzato una serie di richieste
oltre alla applicazione della norma. A maggio era fallito un incontro con gli amministratori e,
successivamente, la gestione del personale è stata unificata con i comuni Porcia, Caneva, Brugnera,
San Quirino e Polcenigo, comuni in cui, sostiene la polizia locale, la norma al centro della
controversia viene applicata. La polizia municipale ha portato la questione davanti alla
commissione provinciale per il lavoro. La controversia è stata trattata nella seduta del 19 ottobre,
ma le parti non hanno trovato un accordo e l’amministrazione non ha accolto le richieste avanzate
dalla polizia municipale. I cinque agenti hanno avviato la procedura per lo stato di agitazione,
dando comunicazione alla stessa amministrazione e al prefetto. Secondo l'iter adesso gli agenti
saranno ricevuti dal prefetto, e questo potrebbe avvenire entro dicembre. Previsto anche uno
sciopero di più giornate ancora non calendarizzato ma che, per legge, non potrà svolgersi durante il
periodo festivo, in cui la polizia municipale è impegnata anche per la sorveglianza a Piancavallo.
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Operai senza il caschetto al cantiere della Vittorino (M. Veneto Pordenone)
di Chiara Benotti - Operai senza caschetto sul tetto della Vittorino da Feltre: ieri mattina
saltellavano rapidi come atleti del “parkour”. Nel cantiere aperto del riatto, in via Ettoreo, i
manovali non avevano l’imbragatura di sicurezza. La risposta che potrebbero dare a scanso di grane
o ispezioni è una: non hanno carichi sospesi sulle teste. Ma la gru fa ombra sul tetto e, magari,
qualche carico passa a pochi metri di altezza, sopra le teste dei muratori durante i turni di lavoro. La
sicurezza tradita? La scena è quella che non si aspettavano di vedere alcuni insegnanti di passaggio
con studenti verso la palestra in via Piccin. Stupiti altri sacilesi a caccia di un parcheggio. «All’Ipsia
Della Valentina insegnano le normative sulla sicurezza, poi sui tetti e le impalcature di altre scuole
ci sono i profili degli operai senza protezione a tanti metri di altezza – ha detto un professore
tecnico-pratico –. La normativa sulla sicurezza e dispositivi allegati sono chiari. Ma sui tetti da
coprire con tegole e isolanti per il contenimento energetico e la messa a norma, le gru passano con
un carico sopra gli operai a testa scoperta». Gli operai sembravano ragni abituati all’arrampicata e
pronti a spostarsi nel cantiere con esperienza consumata. Ma la sicurezza? Sulle impalcature e sotto
le strutture del riatto si vivono momenti da brivido. I lavori. Il finanziamento complessivo di un
milione di euro risale al 2013 per lo stralcio del terzo lotto nell’edificio storico della Vittorino da
Feltre (è datato 1910) e l’assegno è stato accreditato dalla Regione. Lo stanziamento è stato portato
1,4 milioni. I numeri pubblicati sul tabellone esposto sul cantiere indicano il dettaglio: 675.808 euro
per sistemare tetto e solai. I lavori sono partiti in settembre e chiuderanno (salvo meteo sfavorevole
o altro) il cantiere entro il 5 marzo 2017. Il riatto va avanti, con una variante al progetto 2007 che
fraziona l’aula magna in tre locali. I tecnici del progetto (che è firmato dall’ingegnere pordenonese
Arturo Busetto) dicono che la compartimentazione dell’aula magna da uno a tre serve non dire
addio all’agibilità della scuola. Il certificato utile dovrà essere rilasciato dai vigili del fuoco, con
altri da enti. La scuola antica. L’assegno di 1,4 milioni di euro è firmato dal ministero
dell’Istruzione in tandem con Regione per sistemare il primo piano: la scuola in via Ettoreo è
inserita nell’Anagrafe nazionale del rischio sismico. Secondo Legambiente soltanto il 15% degli
edifici scolastici è a norma: la Vittorino da Feltre è nel gruppo a rischio sicurezza.
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L’assistenza primaria arriva in montagna (M. Veneto Udine)
di Alessandra Ceschia - I Centri di assistenza primaria prendono forma in Friuli a partire dalla
montagna. I primi a decollare sono quelli di Tarvisio e di Ovaro, inaugurati ieri alla presenza della
presidente della Regione Debora Serracchiani e dell’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca
all’interno dei due poliambulatori di proprietà dell’Azienda per l’assistenza sanitaria 3 dell’Alto
Friuli-Collinare–Medio. Oggi alle 13.30 nella sede del Distretto sanitario di Manzano ne verrà
inaugurato un altro. I Cap tengono conto nel loro modello organizzativo di problemi come la bassa
densità abitativa, la difficoltà dei trasporti, ma anche dell’ottimo livello di integrazione fra i servizi
socio-sanitari. L’Ass3 ha il tasso di accessi a domicilio per l’assistenza alle persone anziane più alto
della regione. La riforma «Qui – ha commentato Serracchiani – possiamo toccare con mano
l’attuazione della riforma sanitaria, una sfida complessa, ma necessaria, che ora comincia a
mostrare i suoi frutti. Il lavoro di lettura dei bisogni sempre più diversi e complessi nel settore della
sanità in questo territorio, era stato attivato con precocità da medici, infermieri e da tutti gli
operatori: qui si è trattato solo di “rammendare” una trama già ben tessuta. Ora, oltre all’importanza
di rafforzare i servizi, di modularli alle rinnovate esigenze e di informare la popolazione, l’ulteriore
sfida sarà quella di esportare questo modello». Per l’assessore regionale Telesca «con la riforma
abbiamo costruito un modello che si adatta benissimo a queste situazioni, abbiamo fornito gli
strumenti e oggi siamo grati a tutti coloro che hanno dimostrato di saperli usare bene per una sanità
nuova, più vicina ai cittadini e ai loro veri bisogni». I pionieri Nel Cap di montagna 2.1 inaugurato
all’interno del poliambulaotrio di Tarvisio, come ha spiegato il sindaco Renato Carlantoni, «la
nostra organizzazione è stata presa come esempio in quanto già da un decennio i nostri medici di
base operavano insieme nel poliambulatorio, garantendo un servizio ininterrotto dalle 8 alle 20. Una
realtà sulla quale il nostro assessore Nadia Campana, presidente dell’Ambito sanitario Alto Friuli, si
è impegnata tenacemente. Mi auguro – ha aggiunto Carlantoni – che i servizi specialistici possano
potenziare il Cap e che si trovi una soluzione al cronico problema della mancanza del pediatra cui
l’ospedale sopperisce mandando settimanalmente i propri medici. Purtroppo – ha aggiunto – tre
bandi per la selezione di pediatri sono andati deserti e il vulnus rimane». Il Cap di Tarvisio garantirà
il servizio al Canal del Ferro e alla Valcanale con una rete di 40 unità tra medici e infermieri. Tra le
novità, l’ampliamento dell’orario dei medici di gruppo da 6 a 8 ore al giorno e la presenza in più di
un infermiere per le attività di prevenzione e cura. Val Degano e val Pesarina Nel Cap di montagna
1.1 sede di Ovaro sono destinati a confluire la Medicina di gruppo già esistente e i medici di
medicina generale di Prato Carnico, Rigolato-Forni Avoltri, Comeglians con cinque medici. «Il Cap
di Ovaro, che avrà sede nel poliambulatorio – ha sottolineato il primo cittadino Mara Beorchia –
garantirà alla Val Degano e alla Val Pesarina assistenza medica in continuità. Lo interpreto come un
segnale importante per i cittadini che vivono nell’area montana, ritengo un onore il fatto che siamo
fra i primi a sperimentare il modello organizzativo. Possiamo inoltre contare su una postazione di
emergenza con l’ambulanza e i volontari della Croce rossa. L’obiettivo con l’istituzione dei Cap,
come ha ricordato il direttore generale della Ass3 Pierpaolo Benetollo, è «fornire ai cittadini, anche
al di fuori dell’ospedale, un punto di riferimento costante nell’arco della giornata, con una sede e un
numero di telefono unici cui rivolgersi e un raccordo fra medici di famiglia, infermieri, medici di
guardia medica, specialisti, servizi sociali». I servizi aggiunti Benetollo ha anche assicurato che il
parco ambulanze verrà rinnovato nel corso del 2017. Nel Cap è garantita una presenza medica e
infermieristica continuativa, arricchita da specialisti per l’attività di consulenza. Vi è inoltre un
passaggio di consegne con la guardia medica fra il giorno e la notte, fra i giorni feriali e quelli
festivi. Nelle due sedi l’Aas 3 sta inoltre mettendo a disposizione attrezzature per svolgere esami
come l’elettrocardiogramma, l’esame del fondo dell’occhio, la spirometria e alcune ecografie.
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Vaccini obbligatori negli asili, la prudenza del ministro (Piccolo Trieste)
di Marco Ballico - Nessun dubbio sull’utilità di un’azione di sensibilizzazione pro vaccini. Ma
anche la prudenza di un’istituzione che si pone legittimi interrogativi sul tema delle competenze
degli enti locali. Cosa succederebbe se, di fronte al rifiuto del Comune di Trieste di iscrivere un
bambino non vaccinato all’asilo, i genitori si rivolgessero al Tar? Il ministro della Salute Beatrice
Lorenzin usa non a caso cautela nel commentare l’intenzione della giunta Dipiazza di obbligare al
vaccino, pena l’esclusione dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia comunali. «Non voglio
entrare nel merito delle decisioni dei singoli Comuni che agiscono con autonomia e responsabilità»,
è la premessa del ministro. Non certo una bocciatura, dato che l’obiettivo di incrementare le
percentuale della copertura vaccinale è condivisa a Roma e a Trieste, ma un’attenzione istituzionale
a ragionare sul rischio di contenziosi, anche giudiziari, che potrebbero essere controproducenti.
Detto appunto che i Comuni sono autonomi e responsabili, rinunciando a entrare nel merito
Lorenzin trasmette la necessità di un approfondimento sul fronte delle competenze: può
un’amministrazione locale impedire a una famiglia l'iscrizione a un servizio pubblico come il nido o
la scuola dell'infanzia? Interrogativo su cui si invita di fatto Trieste a confrontarsi prima delle
decisioni definitive. Fermo restando che il ministero della Salute sostiene la “filosofia” del
provvedimento, come del resto dichiarato, ieri sul Piccolo, anche dal sottosegretario Vito De
Filippo. «Non posso non esprimere grande soddisfazione per chi mostra grande sensibilità verso la
vaccinazione, primo strumento di prevenzione - aggiunge Lorenzin -. Il calo preoccupante del
numero dei bambini vaccinati chiama tutti noi a gesti oggi quanto mai importanti». Perché si deve
vincere la battaglia: «Il movimento antivaccini, con le tante bufale che soprattutto sul web
inquinano l’informazione che ci arriva dalla scienza, ha bisogno di risposte chiare, forti,
coraggiose». Di coraggio il ministro aveva parlato giorni fa a seguito del varo della legge in Emilia
Romagna che introduce l’obbligatorietà delle vaccinazioni per i bambini che frequentano gli asili
nido, aggiungendo anzi, di fronte all’intenzione di altre Regioni, dal Lazio alla Lombardia, dalla
Toscana alle Marche, di seguire quell’esempio, che «i tempi sono maturi» perché ciò accada. Non è
mancato un richiamo a non sottovalutare pure le vaccinazioni facoltative in un anno in cui sono
morti bambini a causa della pertosse, una malattia che si riteneva debellata, e sono incrementati i
casi di morbillo, con decessi dovuti alle complicanze. In Consiglio regionale intanto il consigliere di
Forza Italia Roberto Novelli interroga la presidente Serracchiani e l’assessore Telesca su una
possibile campagna informativa finalizzata agli stranieri presenti in Fvg «per sensibilizzarli, anche
utilizzando i mediatori culturali, sia sui vaccini infantili che su quello antinfluenzale».
Concretamente, spiega Novelli, si vuole indirizzare la componente straniera della popolazione ai
servizi sanitari, al fine di aumentare le vaccinazioni per prevenire tetano, polio, pertosse, epatite B,
hib, pneumococco, morbillo, parotite, rosolia, varicella e meningococco C. Citando uno studio
condotto da ricercatori dell’Istituto superiore della sanità, il consigliere azzurro fa sapere che «gli
immigrati che ricorrono all’utilizzo del vaccino antinfluenzale sono meno della metà degli italiani:
solo il 16,9% degli adulti ritenuti a rischio di complicanze ha deciso, infatti, di vaccinarsi. Meno
della metà, appunto, rispetto al numero di italiani che, invece, ne fa uso, circa il 40% degli over 18.
I motivi? Anche barriere di tipo culturale e linguistico». Fondamentale l’informazione, dunque.
Come pure l’assessore Telesca ha rilevato: «La giunta ha sempre tenuto aperta l’opzione di
introdurre l'obbligatorietà a livello regionale, ma in prima istanza vogliamo percorrere la strada
dell’informazione, della persuasione e del coinvolgimento».
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Scatta l'operazione bonifiche a Servola (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana - Si sblocca anche la parte pubblica dei finanziamenti per la messa in sicurezza
dell'area della Ferriera: un investimento che alla fine raggiungerà i 41 milioni e mezzo di euro che
verranno utilizzati in particolare per il barrieramento fisico frontemare dell’area demaniale in
concessione e la realizzazione di un impianto di trattamento delle acque di falda. Invitalia, l'Agenzia
nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, ha infatti reso noto di aver
pubblicato un bando con la procedura per l'affidamento di una “campagna di indagini geognostiche
e idrogeologiche finalizzata al progetto di messa in sicurezza della Ferriera di Servola attraverso
interventi di marginamento fisico dell'area demaniale in concessione e di trattamento delle acque di
falda contaminate”. Si dà così concretamente avvio, come sottolinea una nota della Regione, alla
fase attuativa dell'investimento operato dal Governo in base all'Accordo di programma del 21
novembre 2014 per la messa in sicurezza, la riconversione industriale e lo sviluppo economicoproduttivo del sito inquinato di Trieste. Com’è noto il sito della Ferriera è infatti inserito nella zona
di crisi industriale complessa, insieme a quasi l'intera area ex Ezit. La stessa Invitalia, società
pubblica che opera da stazione appaltante, pubblicherà nei prossimi giorni altri tre bandi di gara,
finalizzati alla progettazione di dettaglio degli interventi da attuare. I quattro bandi e cioé quello
pubblicato relativo all'esecuzione di indagini geognostiche di monitoraggio della falda, e quelli in
via di pubblicazione che riguarderanno la direzione dell'esecuzione delle indagini, la redazione del
progetto definitivo e esecutivo e le attività di verifica della progettazione, hanno un valore
complessivo di spesa superiore ai 2,7 milioni di euro. Il cronoprogramma delle opere, che però
potrebbe slittare leggermente in avanti, in origine prevedeva il progetto definitivo già nel marzo
2017 per passare poi alla fase esecutiva, ancora una volta con Invitalia nel ruolo appaltante. Affidati
gli incarichi entro ottobre 2017 e redatto il progetto esecutivo a gennaio 2018, l'agenzia curerà il
monitoraggio dell'avanzamento dei lavori, che dovrebbero concludersi nel luglio del 2019. L'ultima
fase sarà quella del collaudo, prevista per l'agosto di quell'anno. Sul fronte del risanamento
ambientale questi interventi si assommano a quelli privati del Gruppo Arvedi che nel piano
complessivo per tutta l’area prevedeva un intervento di ben 172 milioni di euro. Nell’agosto 2015
l'attuazione dell'Accordo di programma è stata affidata al Commissario straordinario per l'area della
Ferriera di Servola che è la stessa presidente della Regione, Debora Serracchiani. «L'opera di
risanamento ambientale dell'area interessata dallo stabilimento siderurgico triestino - ha
commentato ieri Serracchiani - procede secondo la tabella di marcia prevista. Il nostro obiettivo - ha
aggiunto - rimane chiaro e saldo: un'attività industriale che si svolga in un contesto di produzione
pulita, per dare garanzie ai cittadini e ai lavoratori in termini di sicurezza, di salute e di
compatibilità con l'ambiente». Un quadro in cui, ricorda la presidente, «l'Agenzia regionale per la
protezione dell'ambiente (Arpa) sta facendo sistematicamente e in modo continuativo tutte le
verifiche, i controlli e le ispezioni, come previsto dall' Autorizzazione integrata ambientale (Aia),
rilasciata all'inizio di quest'anno». E solo qualche giorno fa l’Arpa ha pubblicato il report aggiornato
al 21 novembre che certifica «un trend di complessivo miglioramento della qualità dell’aria con
diminuzione delle concentrazioni di Pm10 e di benzopirene e della deposizioni di polveri». Tutto
questo mentre in municipio sono stati presentati i report sulle segnalazioni dei cittadini (4.716 tra
gennaio 2009 e settembre 2016) e sull’analisi delle urine di una serie di abitanti che
l’amministrazione comunale ritiene estremamente preoccupanti anche sulla base di alcune
conclusioni tra quelle che sono state tratte da rappresentanti dell’Università e dell’Azienda sanitaria.
Ma i Verdi presentano un esposto
testo non disponibile
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In fuga da Gorizia: sotto i 35mila abitanti (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Era diventata una sorta di “soglia psicologica”. Ci riferiamo a quota 35mila
abitanti. Oggi, purtroppo, non si raggiunge nemmeno più quel “tetto”. La città continua
inesorabilmente a perdere abitanti. Oggi sono 34.844, 270 in meno rispetto al novembre del 2015. E
dire che 46 anni (era il 1970) Gorizia vantava 43.918 abitanti. L’emorragia, dunque, continua. Il
sindaco Ettore Romoli non nasconde la sua preoccupazione ma evidenzia che, comunqye, si tratta di
un problema generalizzato. Mal comune, mezzo gaurdio, verrebbe da dire. «Il calo dei residenti,
com’è risaputo, non è una questione esclusivamente goriziana ma è un problema nazionale, con
variazioni più o meno significative da zona a zona, da area ad area. L’anno scorso, in Friuli Venezia
Giulia sono stati persi quasi 6.500 residenti, di cui 1.500 solo a Trieste - indica Romoli -. Quindi, il
problema va affrontato in chiave più ampia, direi regionale se non nazionale». Ma in molti
sottolineano che il calo demografico è determinato dal fatto che non c’è lavoro, la città è sempre più
deindustrializzata e i giovani sono costretto a trasferirsi altrove. La città ha ricominciato a svuotarsi,
vuoi perché le nascite (che avvengono con frequenza sempre minore come testimonia la vicenda
della dolorosa chiusura del reparto materno-infantile) non riescono minimamente a compensare i
decessi, vuoi perché i giovani sono costretti a fare "armi e bagagli" perché le possibilità di lavoro
non ci sono o sono ridotte al lumicino. Qualcuno mette in campo le tante occasioni mancate (vedi
scuola della Guardia di finanza). Tutti, indistintamente, parlano di "fuga dei giovani", determinata
dalla mancanza di prospettive e di posti di lavoro adeguati. Ma c'è anche un'altra spiegazione per
motivare il decremento demografico soprattutto degli ultimi anni: la scomparsa della Zona franca.
Quando le agevolazioni sono finite, in molti sono scappati. Ma entriamo nel merito dei dati, freddi
sin che si vuole ma importanti. La causa dell’ultimo calo demografico è tutta da ricercarsi nel
cosiddetto "saldo naturale". Il numero delle nascite (comunque in incoraggiante aumento rispetto
all'anno passato) non riesce minimamente a compensare il totale dei decessi: anzi, questi ultimi
sono stati quasi il doppio dei lieti eventi. Nel corso dell’ultimo anno si sono registrate 246 nascite
(117 i fiocchi azzurri e e 129 quelli rosa). I decessi, invece, hanno sfiorato quota 500: sono stati
complessivamente 487 (219 maschi e 268 donne). «Gorizia - ripete il sindaco Ettore Romoli - è
perfettamente in linea con l'Italia e la Regione Fvg (la più vecchia dopo la Liguria). È aumentato il
numero dei nati ma, purtroppo, anche quello dei morti: ciò, di fatto, provoca la perdita di oltre 200
abitanti visto che è rimasto stabile il saldo fra iscrizioni e cancellazioni». E, infatti, statistiche alla
mano si scopre che nel corso dell'ultimo anno sono state mille (numero tondo tondo) le persone che
hanno deciso di mettere su casa a Gorizia: 523 maschi e 477 femmine. Assommano, invece, a 1.029
gli emigrati, i "cancellati" dall'Ufficio Anagrafe: 527 maschi e 502 rappresentanti del gentil sesso. I
numeri di Gorizia, dicevamo, sono in linea con quelli italiani: nel 2015 si è registrato, infatti, un
picco di mortalità mai visto dal secondo dopoguerra: i morti sono stati 653mila, 54mila in più
rispetto all'anno prima.
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Caso Fincantieri-Cisint: «Il sindaco non parli solo di compensazioni» (Piccolo Go.-Monf.)
di Laura Blasich - L’atteggiamento rivendicativo del sindaco Anna Cisint nei confronti di
Fincantieri trova una sponda nel centrosinistra che, negli ultimi cinque anni, ha gestito il non facile
dialogo tra la città e la società. Il centrosinistra è pronto a fare la sua parte, come sottolinea l’ex
vicesindaco e consigliere del Pd Omar Greco, su temi «concreti» e affrontati in modo corretto.
«Fermarsi, però, come pare fare il sindaco, all’aspetto delle compensazioni degli impatti non è
sufficiente a colpire il cuore del problema, quello del massiccio ricorso al subappalto e alla labilità
delle regole in quel mondo», aggiunge l’ex assessore alle Politiche sociali Cristiana Morsolin,
consigliere della civica La Sinistra per Monfalcone. «Nonostante l’impegno che c’abbiamo messo,
il tema del rapporto con Fincantieri non è sciolto - afferma Greco -. Fincantieri è ormai una realtà
globale che, nonostante produca a Monfalcone una fetta non da poco del suo core business, ha
dimostrato di non avere sempre voglia di rapportarsi con il Comune rispetto agli impatti provocati
dalle sue scelte». Greco concorda con il sindaco che la questione dei “volumi” dell’immigrazione
da Paesi comunitari ed extracomunitari sia uno di questi e, come tale, vada affrontato. «Rispetto ai
disagi che sopporta il rione di Panzano - osserva - ormai è in dirittura d’arrivo la partenza dei lavori
di realizzazione della bretella che eviterà almeno il transito dei mezzi pesanti lungo le strade del
quartiere. Sui parcheggi una risposta la deve invece fornire l’azienda». Se il nodo è quello del
ricorso alla manodopera esternalizzata, per Greco, però, «bisogna non essere ipocriti e dirsi
chiaramente che, anche a fronte di retribuzioni più alte, forse non molti dei ragazzi italiani pensano
di andare a fare gli operai». Con altrettanta chiarezza, secondo l’esponente del Pd, va detto che «il
tema del rispetto delle regole all’interno del cantiere navale non lo può risolvere il Comune, ma lo
Stato, attraverso i suoi diversi organi di polizia e ispettivi». L’atteggiamento della città piace all’ex
assessore Morsolin, che pure ricorda di avere sollevato più volte il tema, come peraltro il sindacato,
del mancato rispetto dei diritti di una fetta di lavoratori dell’appalto e del subappalto. «Vorrei però
capire esattamente come intende muoversi il sindaco assieme alla sua amministrazione - afferma -,
perché l’unica proposta che emerge dalle prese di posizione di questi giorni è la richiesta di
compensazioni degli impatti da parte di Fincantieri. Mi sembra un po’ poco». Meglio puntare,
secondo Morsolin sul rilancio e su una concreta attuazione di un nuovo Protocollo di legalità,
ritenuto strumento in grado di aggredire il cuore dei problemi. Vale a dire il rispetto delle regole
all’interno del mondo delle imprese esterne che operano all’interno del cantiere navale. «In ogni
caso, la forte presa di posizione del primo cittadino, che peraltro dovrebbe ricordarsi di essere
sindaco di tutti quanti abitano in città, senza distinzioni, pare “mitigata” dalle affermazioni di alcuni
esponenti della maggioranza», sottolinea il consigliere comunale che non nasconde, come fa anche
Greco, che «la revoca della costituzione di parte civile nei processi amianto sia stata un errore
madornale». Quanto meno di metodo. «Avremmo dovuto effettuare un percorso diverso, di
coinvolgimento della comunità», dice l’esponente del Pd. Nei rapporti con Fincantieri, comunque,
non vanno trascurati gli aspetti ambientali. È l’invito che giunge dal consigliere del M5S Gualtiero
Pin, da tempo convinto dell’esigenza di una valutazione dei fattori di contemporaneità
dell’inquinamento e dei loro effetti sulla salute dei cittadini. «Il Crua va quindi implementato con
competenze di valutazione in questo ambito - afferma Pin -, oltre che per permettere un migliore
monitoraggio degli esposti all’amianto e le cui condizioni possono essere peggiorate
dall’esposizione a diverse fonti di inquinamento».
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