Un asperger in cucina

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Transcript Un asperger in cucina

€ 15,00
Gazzolo
UN ASPERGER
IN CUCINA
Il viaggio di Agesilao
Un Asperger in cucina
In questo nuovo libro, Giorgio Gazzolo
conferma la sua abilità nel condurre
il lettore nella profondità del pensiero
Asperger. Lo fa inventando una vita,
quella di Agesilao, che affronta l’esistenza
in maniera complessa e che solo in cucina
trova nutrimento e pace per la sua anima.
Odori, sapori e combinazioni culinarie
sono l’unica routine rassicurante, gli
alimenti si tramutano nella cottura
acquistando nuove forme e significati,
così lui, cucinando, arriva a capire e a
ben armonizzare i mutamenti del proprio
essere. Un testo innovativo, tutto da
esplorare: esuberante, linguisticamente
ricco e provocante. Il racconto riesce a
fondere tra loro più generi e propone in
Appendice un ricettario con più di 30
ricette da provare e gustare, nello stile
mistico e magico di Agesilao. A insaporire
il tutto concorrono piccole sorprese
in forma di aforismi che appaiono
come preziose, inedite e inaspettate
improvvisazioni. Agesilao, nel suo
viaggio alla disperata ricerca dell’amore,
reale o sognato, imita le nobili follie di
don Chisciotte e vi invita alla sua tavola
per provare prelibati e unici piatti al
motto di Coquo ergo sum.
Giorgio Gazzolo
€ 15,00
Gazzolo
UN ASPERGER
IN CUCINA
Il viaggio di Agesilao
Un Asperger in cucina
In questo nuovo libro, Giorgio Gazzolo
conferma la sua abilità nel condurre
il lettore nella profondità del pensiero
Asperger. Lo fa inventando una vita,
quella di Agesilao, che affronta l’esistenza
in maniera complessa e che solo in cucina
trova nutrimento e pace per la sua anima.
Odori, sapori e combinazioni culinarie
sono l’unica routine rassicurante, gli
alimenti si tramutano nella cottura
acquistando nuove forme e significati,
così lui, cucinando, arriva a capire e a
ben armonizzare i mutamenti del proprio
essere. Un testo innovativo, tutto da
esplorare: esuberante, linguisticamente
ricco e provocante. Il racconto riesce a
fondere tra loro più generi e propone in
Appendice un ricettario con più di 30
ricette da provare e gustare, nello stile
mistico e magico di Agesilao. A insaporire
il tutto concorrono piccole sorprese
in forma di aforismi che appaiono
come preziose, inedite e inaspettate
improvvisazioni. Agesilao, nel suo
viaggio alla disperata ricerca dell’amore,
reale o sognato, imita le nobili follie di
don Chisciotte e vi invita alla sua tavola
per provare prelibati e unici piatti al
motto di Coquo ergo sum.
Giorgio Gazzolo
Indice
Prefazione
Premessa
Capitolo primo
Capitolo secondo
Capitolo terzo
Capitolo quarto (prima parte)
Capitolo quarto (seconda parte)
Capitolo quinto
Capitolo sesto
Capitolo settimo
Capitolo ottavo
Capitolo nono (prima parte)
Capitolo nono (seconda parte)
Capitolo decimo
Capitolo undicesimo
Capitolo dodicesimo
Capitolo tredicesimo
Capitolo quattordicesimo
Capitolo quindicesimo
Capitolo sedicesimo
Capitolo diciassettesimo
Capitolo diciottesimo
Capitolo diciannovesimo
Capitolo ventesimo
Capitolo ventunesimo
Capitolo ventiduesimo (prima parte)
Capitolo ventiduesimo (seconda parte)
Capitolo ventitreesimo
Capitolo ventiquattresimo
7
13
15
31
39
47
53
65
69
77
97
113
123
131
139
149
161
175
183
193
201
217
229
241
253
263
269
273
281
Capitolo venticinquesimo
Capitolo ventiseiesimo
Capitolo ventisettesimo
Capitolo ventottesimo
Capitolo ventinovesimo
Capitolo trentesimo
Capitolo trentunesimo
Capitolo trentaduesimo
Capitolo trentatreesimo
Capitolo trentaquattresimo
Capitolo trentacinquesimo
Capitolo trentaseiesimo
Capitolo trentasettesimo
Capitolo trentottesimo
Capitolo trentanovesimo
Capitolo quarantesimo
289
297
305
319
323
327
335
339
343
347
353
357
367
371
383
395
Postfazione
397
Il ricettario di Agesilao
403
Prefazione
In questo nuovo libro, Giorgio Gazzolo conferma d’avere
grande abilità nel condurre il lettore verso il profondo meno
conosciuto del pensiero Asperger. Lo fa inventando una nuova figura, quella di Agesilao. Personaggio che Gazzolo a tratti
identifica con se stesso, grazie a uno stile che già conosciamo.
Aveva utilizzato un analogo stratagemma nel libro precedente
(Anni senza capir l’antifona, Erickson, 2014), generando una
strutturale instabilità tra voce narrante e protagonista.
Il testo si pone come garbata sfida per chi legge e specchio
deformante di un autore che vede bene il sé e l’altro da sé, senza
identificarsi in alcuno dei due. Infatti Agesilao e Io narrante
sono legati indissolubilmente, gemelli siamesi eppure bramosi
di vivere ciascuno una vita propria.
Agesilao è un Asperger che affronta la personale modalità
di sentire e interagire con gli altri, cercando di riconoscerla
al meglio. Pagina dopo pagina, riga dopo riga, questa lettura
aumenterà la vostra capacità di capire quanto distanti e distinti
siano i modi con i quali il cervello Asperger interpreta il mondo
esterno, elaborando ogni percezione tale che rimbalzi tra connessioni neuronali più numerose e ridondanti, ben più allenate e
forti, forse, rispetto a quelle «normali». Una lettera dell’alfabeto,
scritta o pronunciata, diventa appuntita oppure morbida; una
parola è profumata o puzzolente. Così le persone, compreso
7
lo zio Ezio che odora di pollo crudo. Facce forse conosciute o
forse no, si confondono se non possono associarsi a timbri di
voce, vibrazioni e odori. Volti che dovrebbero essere familiari
diventano irriconoscibili, confusi nel sogno, in quanto si presentano in un quadro troppo ricco di sensazioni, tra illusione e
realtà. Sognata è Dorotea, il principale personaggio femminile.
Ma lo è poi davvero? Difficile distinguerla dalle persone vere,
perché la sua immagine troppo s’attorciglia tra invenzione e
concreto desiderio.
Odori, sapori e combinazioni culinarie sono l’unica routine
rassicurante. Agesilao la gestisce da chef, tra riti ripetuti, ma solo
a patto che restino uguali a se stessi, confinati negli ambienti loro
propri e alle stesse ore, perché le ombre e i colori non cambino.
Soprattutto perché resti identico il loro processo di trasferimento
sensoriale che rimbalza sullo stato emotivo, sempre sinestesico
al punto che nessun odore può percepirsi come appropriato se
non arriva insieme al suo stesso colore o gusto.
Pensieri aggrovigliati e intensi sovrastano e cancellano le
incombenze quotidiane, costruendo una bizzarria esistenziale
incompresa, incomprensibile. Numerosi aforismi si presentano,
inseriti nel racconto, come sentenze, momenti di verità resi
assoluti dalla tipica, rigorosa visione Asperger.
Gli «altri» sono interessati a cose prive di senso. Il denaro,
per esempio, secondo Agesilao non ha valore, né lo hanno i beni
immobiliari posseduti, tanto che lo zio Ezio riterrà necessario
interdire il nipote o perlomeno tentare di ottenere dal giudice
una dichiarazione formale di inabilità. La solitudine di Agesilao diventa così sempre più profonda. Ciononostante nessuna
particolare frustrazione né pena o ansia sembra pervaderlo. Inabilitato? Poco gli importa di fronte a ciò che davvero lo occupa
e preoccupa: il fantasma di Dorotea, la dolce femminilità della
cognata Margaret e la moglie Luisa, sposata per caso... Il rischio
che Agesilao perda soldi e possedimenti è reale. Sua moglie
8
non solo teme questo, ma anche il fatto che la mantenuta dello
zio Ezio si impadronisca di un patrimonio sul quale sente di
aver maggiori diritti. Agesilao forse capisce queste dinamiche
familiari, ma si preoccupa d’altro.
Per sapere come andrà a finire, dovrete leggere fino all’ultima riga, ma anche tener conto che i livelli di lettura del testo sono
più d’uno. Cominciamo da quello professionale, se preferite,
psicologico. Grazie alla trasposizione in romanzo del quadro
clinico peculiare dell’Asperger (così come viene schematizzato
nei «sacri testi») psicologi e psichiatri dell’adulto avranno la
possibilità di verificare ciascuna delle caratteristiche proprie di
questo singolare pensiero pervasivo, osservandolo «da dentro».
Sarà possibile, grazie a una lettura che non potrà essere frettolosa, avvertirne l’intensità e riscontrarne gli aspetti più peculiari.
Sarà possibile studiare, in modo nuovo, non solo il personaggio
Asperger, ma anche gli «altri»: conviventi, conoscenti, passanti
e amici... Ma chi tra loro è poi così normale?
Il lettore che abbia esperienza di un bambino o adolescente
Asperger — siamo al secondo livello — troverà un alleato nel
libro, e la certezza di ricavarne strumenti per l’interpretazione
delle stranezze osservate nel proprio ragazzo o giovane adulto.
Capire servirà a elaborare nuove strategie di prevenzione delle
derive più pericolose, evitabili da chi abbia sviluppato strumenti
d’interpretazione e contenimento adeguati.
Il lettore che s’appassioni a esperimenti puramente letterari
— questo è il terzo livello — godrà di un testo innovativo, tutto
da esplorare: esuberante, linguisticamente ricco, affastellato,
provocante, incalzante tra episodi veri, sognati, sospettati o
presunti. Il tutto mescolato in una vita (Asperger) frammentata
entro mille sensazioni forti e sovrapposte. Impressioni che rimbalzano tra vista, udito, tatto, gusto e olfatto, per accelerare e
risuonare anche altrove: nel cervello, tra amigdala e ippocampo,
attivando zone corticali che non spetterebbero a quei tipi di
9
stimolo, non dovrebbero incrociarsi, potenziarsi, né riflettersi
come onde d’acqua dentro uno stagno in cui siano troppi i
bambini che gettano pietre. Insomma, un fluire letterario che
sperimenta non una giornata a Dublino, come Joyce fa con il
personaggio del suo Ulisse, ma una vita intera, che non si sa
bene quando cominci, finisca e si srotoli tra fantasia e realtà di
tempi mai definiti.
In mezzo, oltre agli aforismi, ecco le ricette di una cucina
sapiente, diligente e ripetibile, quasi dotta; l’opposto del concitato esistere di Agesilao. Unica sua certezza è quella di poter
trascorrere momenti pacificati di un tempo sereno: quello della
cottura dei cibi.
Tre livelli di lettura non inferiori né superiori l’uno all’altro, ma accostabili da lettori con curiosità e interessi diversi,
perché Gazzolo è molto abile quando, con una semplicità tutta
da scoprire, lancia l’esca più appropriata e culturalmente valida
per lo specialista, il letterato, l’erudito, e anche per il semplice,
curioso, comune lettore.
Libro ricchissimo questo terzo prodotto da Gazzolo per
la collana «Io sento diverso». Interpretazione perfetta della
sua mission: Agesilao infatti sente molto diversamente dai cosiddetti neurotipici, troppo lontani da lui per comprenderne
modi, toni e mimica. Agesilao vive la sua vita solitaria, eppure
piena di gente che lui cerca, ma non sa trovare. O non vuole.
Qualcuno lo respinge, altri lo sfruttano, qualcuno s’innamora
perfino, finendo poi, come gli altri, per isolarlo o denigrarlo.
Si incontrano molti personaggi minori. Tra questi perfino
chi, su una panchina del parco, fa volare via come una nuvola
di farfalle al vento la somma di 8.500 euro che Agesilao gli ha
appena donato, per caso, sfizio d’una incoerente stramberia.
Inutile sottolineare che questo personaggio (e alcuni altri) «somigliano» stranamente ad Agesilao stesso! Così nella narrazione
il protagonista si sdoppia, si riflette in più specchi, ampliando al
10
massimo l’immagine di tutto quanto caratterizza il suo bizzarro
modo di vivere. Esistenza dove spiccano le idiosincrasie (per la
«zeta», per il gusto acido e per gli oggetti disposti asimmetricamente); dove si incontrano collezioni del tutto inconsuete; dove
appare il sogno di poter compiere nobili imprese al modo di don
Chisciotte. Più tutti gli inconvenienti minimi che comunque
lo feriscono in modo serissimo.
Conoscere Agesilao, dunque, porterà a meglio valutare tutti
quelli «come lui» e a scoprire il modo migliore per valutare e
non condannare certi comportamenti.
Paolo Cornaglia Ferraris
11
Premessa
I matematici parlano con Dio. I fisici parlano con i matematici. Gli altri parlano tra di loro.
Poi ci sono quelli come Agesilao Vizzardelli. Persone che
sentono crescere il senso della vita solo in cucina. Quelli come
Agesilao sanno interpretare i suoni attenuati, i mormorii:
mentre in una pentola cuoce la minestra, lontano dal clamore
delle imbecillità, per loro è possibile percepire sensazioni vitali.
Non si è mai soli in cucina.
Il prossimo. Gli altri. Che farne? Sono numerosi: scalpitano,
oltrepassano confini, parlano e gesticolano; fanno rumore. Che
fare di tutti loro? Capirli o dimenticarli?
2
Agesilao appariva un ragazzino magro, portava gli occhiali,
sempre appannati e coperti da radi ciuffi di capelli neri. Iniziò
la prima elementare a cinque anni: conosceva intera la tavola
pitagorica, sapeva leggere e recitava a memoria brani dell’Orlando furioso. Ebbe sempre 10 in condotta. Non riuscì mai a
fare bene le moltiplicazioni e la maestra così lo rimproverava:
«Vizzardelli… Vizzardelli… sai le tabelline a memoria… perché
non capisci le moltiplicazioni?».
Una volta, sulle pareti della scuola dove Agesilao era ormai
arrivato alla classe quinta, venne scoperta una enorme scritta in
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verde i versi iniziali dell'Orlando Furioso. Il dirigente scolastico
(una donna alta e violacea) gridava: «Vorrei proprio sapere chi
è stato!». Agesilao, guardando il pavimento, rispose adagio che
era stato lui, ma non venne creduto.
All’età di 13 anni iniziò a scrivere pensieri e aforismi.
Aveva una stanza sua e lì passava pomeriggi interi, senza mai
muoversi dalla scrivania.
Il padre Mario e la madre Clara morirono presto. Agesilao
ereditò un enorme patrimonio stimabile attorno a cinquanta
miliardi (valutato ancora in lire) e costituito da terreni, oliveti,
ville, case, oro, azioni e contante. La gestione di tutto quanto
venne affidata al fratello della madre, lo zio Ezio. Tutti i documenti relativi alle proprietà risultavano quindi ben custoditi,
compreso un certificato della USL dove si attestava qualcosa a
proposito della insolita personalità di Agesilao. La madre, Clara,
nelle sue volontà testamentarie, aveva espresso il desiderio che
suo figlio fosse seguito da un tutore legale, capace di non disperdere l’immenso patrimonio familiare. Così apparve zio Ezio.
Tra i documenti che conserva il rag. Ezio Maria Comignoli
uno non si trova in cassaforte: si tratta di un raccoglitore posato
su un tavolo, a caso e malamente, vale a dire con i bordi non
paralleli a quelli del tavolo stesso. Il che non va! Ha la copertina
verde, con il motivo canné delle sedie impagliate. In oltre 400
fogli c’è tutta la storia di Agesilao; il blocco delle pagine appare
abbastanza gonfio, ma certo potrebbe contenerne altre.
14
Capitolo primo
Suona il telefono; si tratta di uno squillo tanto perentorio
quanto chiaro.
Per fortuna non ho ancora iniziato a cucinare, stavo pensando alla mia infanzia.
Rispondo. Agesilao risponde sempre.
È zio Ezio. Mi chiede cosa sto facendo. Potrebbe aver
sistemato telecamere in casa mia per seguirmi senza fatica e
senza ulteriore spesa, stando seduto nel suo ufficio.
E io che da piccolo andavo a trovarlo in bicicletta…
Sguaina una voce tale da ammaccare qualunque disponibilità ad ascoltarlo: tagliente (spada), pesante (pietre), terrosa
(zolla) e fradicia (rimasugli di frutta nel contenitore di plastica).
Voce che mi si rovescia addosso:
«Senti, parliamo chiaro, stai andando da quella?».
Provo a rispondere: «Quella ha un nome, si chiama…».
Ma lui subito a interrompere: «Sì, lo so, lo so, Scognamiglio; Scognamiglio Dorotea; 32 anni; nata a Secondigliano. Ha
precedenti penali, non grosse cose. Ma attento Age, quella è
una che ti spilla poco per volta i tuoi averi, aspettando il giorno
buono per fregarti tutto, ma lo capisci questo?».
Silenzio sui due fronti. Poi la voce ingolata dello zio. Non
fa uso delle corde vocali, parla impiegando la vibrazione di due
tonsille umide e bucherellate: «E rispondi almeno!».
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C’è una seggiola di vimini alla quale ho tagliato le gambe:
di poco più corte quelle posteriori perché diventasse più comoda.
L’ho sistemata vicina al telefono, però non mi è mai successo
di ricevere comunicazioni tanto profumate da doverle udire
seduto comodo. Questa poi, meno che meno; è come quando
la frittata brucia sotto: situazione senza via d’uscita.
Rispondo esitando: «Ehm… devo… dovrei incontrarla
alla stazione».
Lo zio cambia un po’ voce: «Non ci andare Age; se ti serve
qualcosa dillo a me; tu puoi avere tutto, mi capisci? Tutto ciò
che desideri: la donna più bella, il vino migliore, una macchina
sportiva, il viaggio più esclusivo… perché ti impelaghi con
quella? Hai già preso il biglietto?».
«No.»
«Meglio così. Bene! Rinuncia al viaggio. Pensa a cosa
farai insieme a una pregiudicata? Sai che potrebbe arrivare con
qualcuno dei suoi compari? Gente conosciuta magari in cella, a
Poggioreale. E non intendo veri criminali, no, ladruncoli, che è
anche peggio; borsaioli da quattro soldi ai quali lei ha promesso
il colpo in grande. Molto in grande! I tuoi soldi Age… i tuoi
soldi! Anche rubandone solo metà si tratterebbe sempre di un
capitale gigantesco. Ma mi stai ascoltando?»
«Sì, ti sto ascoltando.»
«Pensa se la tua povera mamma sapesse… lei ha incaricato me
di sorvegliarti, di fare in modo che tu non finissi in posti sbagliati,
con gente sospetta… sembrava che avesse dei presentimenti!»
«Perché dici povera mamma? Era ricca anche lei se non
sbaglio.»
«Age, smettila, sei insopportabile quando fai così!»
Debbo considerare la seggioletta: le fasce di vimini che la
tengono assieme sembra che vogliano disfarsi; una è proprio
staccata; servirebbe una riparazione fatta bene, con la pistola a
colla. Non rispondo allo zio. Così è lui che prosegue:
16
Capitolo seCondo
Mio zio Ezio doveva essere rossiccio di capelli; ora li ha
biancastri, ma conserva certi riflessi, come di pentola di rame.
L’odore suo (di pollo crudo) deve essersi sviluppato tardivamente.
Strano, mia madre (sua sorella) era scura di capelli, li teneva
indietro e odorava di cipria.
Penso che la parola «zio» sia composta dal pronome «io»
punto malamente dalla più iniqua delle consonanti.
Lui, zio Ezio, veste sempre piuttosto elegante e ha un
guaio al femore destro; il che, di tanto in tanto, gli suggerisce
l’uso del bastone: sottile, prezioso, con il pomolo d’avorio e il
gommino in fondo. Forse mia madre si tingeva, così, per non
sembrare vecchia. Le donne lo fanno. Zoppicava un po’ anche
lei. Magari io zoppico come lui e mia madre, ma non me ne
accorgo. Uno scrittore famoso zoppicava, ma non mi ricordo il
nome; e nemmeno se è vivo o morto. Tanto è lo stesso.
Ecco altri aforismi.
Mi viene naturale spezzettare quelli che potrebbero essere
lunghi ragionamenti.
Volere troppo non è così deleterio come volere di più.
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Mi sono sempre chiesto come mai l’aggettivo «pernicioso»
nulla abbia a che vedere con le pernici.
Lo strazio non è uno zio superlativo.
Verrà il giorno in cui le smorfie esagerate dei campioni
sportivi diventeranno le comuni espressioni dei normali
passanti.
Avrei sempre desiderato diventare bibliotecario; ma non so
se i libri li amo o li odio. Come mi succede con le persone.
2
È che un mattino (quando lui stesso giudicò che fosse
arrivato il momento e io al contrario avevo solo dodici anni)
lo zio Ezio, per nulla esitante, mi aveva mostrato certe carte
bollate e ri-bollate che mi riguardavano: avevano un odore
rancido.
Ero arrivato da lui con la mia solita bicicletta verdolina,
divenuta un po’ piccola, ma che non avrei sostituito.
«Ti va qualcosa?»
«Un succo di pomodoro.»
Avevo imparato a chiederlo nei bar, dove te lo danno in un
bicchiere largo. «Senza limone» aggiungevo, ma che con pepe
o paprika facessero pure. Mi sentivo grande.
«Dicevo da mangiare…»
Zio Ezio, oltre all’odore di pollo, impone sempre biscotti
o wafer, di quelli con il bianco acidulo, non al cioccolato. Con
il succo di pomodoro è difficile accostare qualcosa, lo sapevo
già a dodici anni, comunque non i wafer.
«No, grazie, non intendo mangiare in codesto momento.»
Avevano cominciato a definirmi «sussiegoso», sì, ma io
continuavo a usare parole o frasi desuete.
32
A metà del mio succo (per lui niente) lo zio uscì all’improvviso con questa frase:
«Dunque… qui c’è qualcosa che ti riguarda».
Si trattava di carte riferite al periodo in cui frequentavo
la scuola elementare. L’odore rancido poteva venire non dalle
carte, ma dalla cucina. Osservando quei fogli ruvidi la psicologa
della scuola che aveva una sua vocetta metallica e ostentava le
tette, così rotonde e ben rinchiuse. Su quelle carte c’era scritto
che il mio comportamento, in classe e in casa, andava seguito
con molta attenzione in quanto…
Non ero ancora pronto per quella rivelazione, tuttavia me
la trovai addosso; e in più quel mattino (una giornata umida
e fredda) zio Ezio sembrava davvero un pollo sciancato. Mi
aveva ripetuto:
«Questi, lo vedi? Sono documenti ti riguardano… tu hai
la sindrome di Asperger».
La chiarezza va bene, ma lui aveva la stessa voce che avrebbe
usato per una convocazione all’ufficio delle tasse. Quei fogli
non me li levava da sotto gli occhi. A me basta una frazione
di secondo per leggere e capire qualcosa di scritto; se poi mi
riguarda faccio anche prima; così mi ero allontanato; pensavo
alla pronuncia della zeta: solo in italiano ci sono suoni tanto
crudeli: altrove (in Polonia per esempio) spesso si pronuncia
dolce e scivolante… in svedese si trasforma in «esse»…
Lo zio, finalmente, giudicò sufficiente il tempo che mi
aveva imposto per la lettura di quelle carte:
«Hai capito?».
«Sì… non sono come gli altri. Ho la sindrome di Asperger.»
«Ecco… volevo che tu lo sapessi.»
Per vendetta accostai alle labbra il bicchiere con il fondo
rosso del succo, ma invece di bere, ci sputai dentro.
Una volta fuori la bicicletta verdolina mi parve ancora
più piccola.
33
Capitolo quarto (seconda parte)
Agesilao fu un re antico. Per torbido desiderio di mio padre Mario, ora io mi chiamo così. Potrei farmi chiamare Gesy
(troppo femminile). Oppure Lao (troppo cinese). Meglio Age.
Insomma le soluzioni non mancano.
Non so cantare, anche se vorrei. Verso gli undici anni ebbi
il cambio di voce; passai dal miagolio infantile a un tono basso
e sgraziato. Mi piaceva portare gli stivali di gomma anche se
non pioveva.
Ogni volta la doppia zeta mi feriva, allora come adesso.
Non bastasse il resto, tutto il resto, i ricordi e le risposte errate.
Sì, va bene, ma la doppia zeta resta la nemica peggiore: ci sono
vocaboli come «zizzania» che (oltre il brutto ricordo legato alla
parabola del Vangelo) mi fanno veramente male.
Per giustificare il mio nome non serve ricordare che visse, in
epoca non lontana, tale Agesilao Greco, praticamente l’inventore
della scherma; nessuno lo riconoscerebbe: aveva una sua faccia
circense, baffetti… qualcosa tra Houdini e un domatore di pulci.
Se tentassi di spiegare meglio sbaglierei.
2
Quando ero scolaro — visto il mio sguardo sempre vagamente smarrito — l’insegnante mi chiedeva all’improvviso:
«Vizzardelli, ripeti l’ultima parola che ho detto!». Io la dicevo e
53
lei si scusava: «Te lo ho chiesto perché mi sembravi distratto».
Sì, l’ultima parola era quella, ma niente avevo capito… niente.
Non sapevo di cosa avesse parlato la maestra, però le singole
parole si piantavano come chiodi nella mia mente.
Più tardi qualcuno mi consigliò: «Devi essere più naturale…
molto più spontaneo». Capii il primo aggettivo; per il secondo
mi servì il dizionario comune e quello etimologico.
Non sopporto ritardi nel decifrare. Mi secca anche quando
non capisco una battuta spiritosa. Non so dire quante domande
mi sono state fatte, quante illazioni mi sono piovute addosso!
Solo dopo anni mi è venuta la risposta giusta, quella davvero
centrata che li avrebbe paralizzati; o la spiegazione di ciò che
avrei dovuto capire subito.
Resto freddo di fronte alle grandi domande. Meglio sarebbe
rinunciare, così come ho smesso con il prosecco, la liquirizia e gli
arancini di riso.
Gli oggetti rubati (compresi i sentimenti) mi appaiono
di color verde pallido. Non ho mai pensato di sfruttare a fini
pratici questa mia qualità, ma una volta ufficialmente riconosciuta, potrei essere nominato Ispettore di polizia o Giudice in
questioni matrimoniali.
Nulla ricordo di una certa «lei»: la bocca, il naso, il nome,
gli occhi, la forma delle spalle… ma usava un profumo indimenticabile! Il Miss Dior.
Raggiunta una certa età anche i maschi possono adoperare
come scusa quella classica, femminile: l’improvvisa emicrania.
Forse non ho una certa età, ma appena possibile lo farò, visto
che sento sempre il bisogno di giustificarmi.
Muore il pensiero e mai la persona che hai pensato doverosamente stecchita. E questo è male, quasi come mettere le
patate da friggere quando l’olio non è ben caldo.
2
54
Sono entrato in questo mio bar, secondo in ordine di frequenza. Il primo è quello dove lavora Irina. Qui le bariste sono
due e si somigliano: capelli indietro e occhi molto grandi, tra
l’azzurro e il verde. Il caffè lo servono in certe tazzine rotonde
che sembrano cuccioli di tazzina. Prima di girare scrollo verso
il pavimento il cucchiaino bagnato. È bello trovarsi sul banco
il caffè senza nemmeno averlo chiesto. Il fatto degli occhi
cerulei non va controllato ogni volta; è un bel colore e mai
se lo cambierebbero. In questo bar non è come da Irina: qui
ci si può sedere al tavolino dopo aver preso il caffè al banco;
alcuni pensionati lo fanno e leggono gratis uno dei giornali
che le proprietarie mettono a disposizione. Anche io mi siedo,
ma per poco tempo, visto che lo ritengo una specie di abuso;
non sono sicurissimo che il caffè portato a tavolino lo facciano
pagare di più. Una volta ho detto: «Sua sorella…» e la barista
mi ha risposto che è sua figlia, ma così felice, così felice che
sono uscito dal bar nella sensazione d’aver detto la cosa giusta.
Il che è raro per me.
Una volta a casa (siamo in novembre) metto il caprifoglio,
che ho preso da una siepe, in un vasetto liberty di vetro blu;
segno di minima riconoscenza per quella fioritura non comune.
Scrivo ancora qualche noticina.
Da un telefono a muro non si sapeva mai cosa potesse
arrivare; questa sensazione è diminuita con i cordless
fino a sparire, oggi, con i cellulari.
Nessuno fa caso alle opinioni dei clowns, ai ramarri, al
silenzio, alla fantasia, al profumo della gardenia che
fiorisce a luglio e al sillogismo in Barbara.
La sete altrui non modifica la mia.
Con la parola stranguria non si allude a una anguria
grossissima.
55
Lo stramazzo non è un mazzo grande.
Gli alberghi sono tanto più apprezzabili quanto più
sono riusciti a cancellare le impronte degli altri ospiti in
partenza. Intendo: odori, borborigmi intestinali, schiuma
da barba, lamenti erotici, striature e capelli.
I giardini dai quali non si vedono le stelle, non sono
veri giardini.
Poche donne (meravigliose) pensano di poter ottenere
qualcosa da un uomo concedendosi. Le altre pensano di
poter ottenere di più negandosi. Per questo motivo quelli
come Agesilao hanno problemi con il genere femminile.
2
I dieci vani dove abito sono stati acquistati con i miei
soldi da zio Ezio. Dieci vani sono una casa enorme, ma subito
non ci avevo fatto caso. Ecco che cosa era stato necessario: che
annunciassi le mie nozze. Pare che a due sposati serva anzitutto
una casa. Ho dovuto capire poi che non si tratta di questo. Ero
riuscito a sollevare Luisa nel farle traversare la soglia. Lo avevo
visto fare in almeno tre film. Lei aveva ancora l’abito da sposa.
Il tulle del velo aveva un che di ruvido. Le stanze vuote risuonavano delle nostre voci. Lei disse: «Non ci sono i mobili!». Al
che io risposi: «Zio Ezio però ha fatto arrivare il mobile che
serve…». Sentivo di aver detto qualcosa di molto malizioso. E
lei, Luisa, vedendo il letto, si era subito buttata all’indietro, sul
materasso nudo, come se fosse stato un tappeto elastico, ma
senza rimbalzare.
Mah… solo un anno prima non avevo nessuna idea
di sposarmi. Così credevo, invece poi è successo, visto che
succede a tutti. Credevo di poter sfuggire ai comuni destini,
invece prima o poi ti si rovinano addosso. Ricordassi una sola
56
Capitolo undiCesimo
Traversando posti nuovi non si deve mai traversare chi
li abita.
Leggendo la frase da romanzo «gli gettò le braccia al
collo» penso a Miss Tic, che al collo gli aveva gettato
le gambe. Quella sì che è una donna! Mi piacerebbe
davvero molto credere che i cavilli siano cavalli ridotti;
ma così non è.
Ho letto che per passare una buona serata serve una
donna, o un libro. E che la donna sia giovane e il libro
vecchio. Concordo.
Forse mai conoscerò la possibilità di ruggire. Sì, ma da
qualche tempo ho imparato a non pigolare. E in futuro
vorrò combattere.
Io invidio questa parigina. Ma esiste davvero Miss Tic?
Il fatto che abbia un indirizzo mail dovrebbe dimostrarlo.
Miss Tic potrebbe essere — pur così lontana — una
mia compagna di viaggio. Ha scritto piccole frasi come:
«Il cemento è armato, anche io».
2
139
Questa sera vaga nell’aria un odore di crema, denso e
zuccheroso. Cuocio il finocchio alla parmigiana. Quando è crudo non è difficile tagliarlo a fette alte circa 1
cm. Il finocchio oppone una resistenza musicale alla lama
del coltello. Impossibile pensare ad altro se si taglia il finocchio.
Subito in acqua bollente e salata; deve cuocer poco. Mentre bolle,
per quei dieci minuti forse meno, non deve succedere di allontanarsi, di rimuginare, di ricordare il passato. Poi va messo in un
piatto lungo e stretto. Poco burro sopra e non poco parmigiano:
30 secondi nel microonde al massimo. Felice aggiunta un trito
fine di buccia d’arancia non trattata (no il bianco).
Alle ricette si arriva più per logica che per tradizione o
sentimento (quelle dell’Artusi, quelle che faceva la nonna…).
Con questo piatto bevo acqua, solo acqua. È indicato per la
sera; dispone a sogni relativamente tranquilli. Sì, ma coi sogni
non si può mai dire.
Per fortuna il microonde ha un sistema a orologeria che
impedisce di dimenticare dentro qualcosa. Ecco, va bene. Non
brucia più. Devo confessare che ho dovuto abituarmi alla cottura tramite microonde, anche se non capisco bene come ciò
avvenga. Vorrei capire tutto.
2
Mi succede spesso di pensare ai tempi del verbo. O meglio al confuso tafferuglio dove si intersecano l’obsoleto che si
riferisce al passato remoto, o l’imprevedibile che si riferisce al
prossimo futuro. Strano: non ci può essere un futuro remoto,
tanto di là da venire che quasi non lo si avverta. Esiste il futuro
anteriore, sì, ma solo in senso grammaticale.
Ce la farai Agesilao?
Noi Asperger ci parliamo così, direttamente, sdoppiandoci
in due ombre parlanti: noi stessi e un fratello che via via ha
imparato a essere condiscendente.
140
Qualche volta, rinuncio alla silenziosa compagnia di un
fiore messo nel vasetto blu, ceno, e ascolto il radiogiornale.
Senza però che le parole (tutte così ben pronunciate, come
se si trattasse di una faccenda seria) riescano a formare un
discorso che potrei ripetere. Mangio la mia cena buono e in
silenzio; come quando ero a scuola: attento e distratto. Mi
impegno a masticare adagio. Succede che, a un tratto, sento
distintamente la voce educata del giornalista radiofonico che
smette di leggere e mi interroga: «Sì, lei… lei ascoltatore che
sta mangiando da solo con la radio davanti… mi dica l’ultima
parola da me pronunciata!». Colpito e intimidito dal tono di
voce, rispondo subito: «Riforme strutturali.» E lui, dalla radio:
«Sì, benissimo; sa… glielo ho chiesto perché mi sembrava
disinteressato; mi scusi».
È la vita che va avanti, ripetendosi. Anche la mia maestra,
durante la lezione, mi chiedeva l’ultima parola…
Non resta che lavare la ciotola dove ho mangiato; stavolta
insalata di pesce e patate. Faccio colare pochissimo di quel
detersivo verde e denso sulla ciotola con il cucchiaio dentro;
poi acqua calda. Qualche volta uso la fondina di plastica, che,
vivaddio, non va lavata.
Ci sono altri che hanno semplicemente ragione, altri che
ne hanno di più e altri (la maggioranza) che hanno torto. Devo
mantenermi calmo.
2
Passano giorni nei quali viene sera troppo presto. Ciò che
cambia è la cena; diversa, necessaria per dimostrare che si è
trattato di un giorno nuovo, non la ripetizione dell’ieri. Prendo
un piatto di plastica; mi pare che siano due uniti; infilo l’unghia, no, è uno solo; se cadesse non si romperebbe; nemmeno il
bicchiere; le delicate qualità di oggetti tradizionalmente fragili
sono state annientate dall’inesorabile plastificazione del reale.
141
Mi par di ricordare che l’imperatore romano Tiberio avesse condannato un artigiano perché aveva inventato un arrogante vetro
infrangibile. Se penso al motivo per cui ho adottato stoviglie di
plastica ho vergogna di me stesso. Mia madre Clara non lavava
mai i piatti: avevamo due domestiche (Lucia e Orsetta), una
governante, una sola cuoca (prima erano due) e un autista per le
tre macchine. Lucia rivoltava i piatti nella schiuma e Orsetta li
risciacquava e li asciugava; certe volte si sentiva che cantavano,
a bassa voce. Il soprannome Orsetta lo avevo trovato io, ed era
stato adottato da quasi tutti.
Non posso evitare questi ricordi.
Eravamo gente ricca. Le olive rendono.
Un giorno, giuro, che me ne andrò, in un posto lontano,
magari da ricchi. Devo esser coerente. A proposito di ricchi:
anni fa (48 per la precisione) volevano abolire i ricchi, ma non
ci sono riusciti, per fortuna.
2
Far regali è difficile per tutti. Per me difficilissimo. Evitare
i foulard: si sbaglia sempre. Uno mi pareva bellissimo: una successione di linee curve, di sogno, poi cerchi colorati di rosso, e
foglie autunnali che sembrano mosse dal vento; lo prendo in
mano e la seta mi ricorda remote carezze… Lo compero. Pochi
giorni dopo incontro una vicina di casa, vedova da un anno.
Vive sola. Tipo che sta sulle sue: salendo le scale guarda avanti,
come se non mi avesse visto. Porta quelle calze con la cucitura
dietro; non sono mai passate di moda. Che sia un tipo interessante? Potremmo, non so, fare amicizia vederci qualche sera…
mi pare assurdo che due persone vivano da sole, nello stesso
condominio. Mentre salgo, stringendo il corrimano, avverto la
scia del suo profumo. Potrebbe avere una decina d’anni più di
me. O meno, non saprei. Arrivati sul ballatoio del terzo piano,
le rivolgo la parola:
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«Avrei un foulard di seta… vorrei regalarglielo… lo accetterebbe?».
Mi guarda appena, e risponde, gentilissima:
«No, grazie».
Da non molto distinguo una risposta gentilissima da una
solo gentile.
«Mi permetta di mostrarglielo… è sul rosso, sa, colori
autunnali, e in autunno ci siamo.»
Non si è nemmeno fermata; cerca le chiavi di casa, sta per
entrare quando aggiunge, sempre molto gentile:
«No, ma grazie lo stesso».
Dall’intonazione si capisce che sta sorridendo. Io le guardo i piedi. Era meglio quando saliva le scale e potevo vedere
la linea nera ben diritta delle calze e il muoversi delle caviglie.
Era molto armonioso.
Poi cambia del tutto voce (sembra una sigaretta spenta) e
aggiunge: «Non le pare che nella prossima assemblea condominiale dovremmo proporre di mettere un ascensore?».
Rispondo: «Sì, credo di sì…».
Entrato in casa, prendo il foulard: è un po’ meno bello;
il disegno ora mi sembra che tracci lunghe alghe, dondolanti
sul fondo di un lago.
Come del resto faccio sempre, non andrò alla riunione
condominiale. Tanto è lo stesso. Però si dovrebbe.
2
Oggi il cielo è fermo: senza sole, ma giallastro. Colpa della
pressione atmosferica: il barometro è alto, segna bel tempo.
Infatti un tempo simile è pigramente bello. Una luce cremosa
arrotonda le asprezze dei cancelli, dei passanti, delle segnaletiche
stradali. Il senso del morbido diffonde in ogni angolo, come
un ondeggiare lento di curve smorzate. I vetri della finestra
di cucina mostrano (in difficile trasparenza color avorio) un
143
Capitolo trentasettesimo
Subisco ancora tormenti che piovono dal dizionario.
Perché dico questo? Perché vorrei l’inconoscibile, anche se il
tempo delle scoperte, delle novità è inesorabilmente trascorso.
Sfoglio il vecchio il catalogo delle parole così, senza doverne
cercare il senso di una in particolare. Le parole sono troppe;
infiniti sono i modi per combinarle; può nascere l’illusione di
aver scritto un libro che prima non esisteva, un nuovo aforisma,
una nuova poesia.
Dorotea, forse la vera novità sarebbe — finalmente — il
silenzio, il devoto e mesto raccoglimento, la fede nella pagina
bianca e nel suono indebolito. Invece sembra profilarsi il contrario: troppe pagine scritte, troppi i rumori delle parole che
scoppiano dovunque. Finalmente muti; una scelta che qualche
pazzo illuminato ha fatto, per potersi mantenere in vita, impedendo a se stesso di parlare, la mente tenuta fuori della prigione.
Let mind out of the jail.
Nulla da dire: rinnovarsi nel mutismo — anche se appare una soluzione contraria alla nostra — potrebbe essere via
percorribile. Annullare le parole, viste in sequela, una dietro
l’altra, come quei vermi detti processionarie. Basterebbe? Quale
demonio suggerisce invece di annientare gli esseri umani? Non
sarebbe meglio limitarsi ai vocaboli, ucciderli tutti. E raggiungere
in questo modo un virtuoso e pacificato silenzio.
367
Perdona, cara, questo improvviso elogio della pazzia.
No, forse del buddismo. A quelli come noi (gli Asperger) può
capitare.
Tuttavia io mi sento pronto alle battaglie. Purché tu sia
al mio fianco.
2
Oggi, chiunque, durante una passeggiata in città o in
periferia, viene a incontrarsi con grandi contenitori addossati
ai muri. Sono di colore verde, bianco e giallo. Non ci si fa nemmeno più caso; si tratta dei bidoni predisposti per la raccolta
differenziata dei rifiuti. Nell’ambito variopinto e polimorfo
della spazzatura, essi offrono una esperienza interessante: si
spia attraverso l’ampia fessura di un contenitore (ce ne sono
ovunque) e si può vedere ammassato un enorme numero di
fogli, taluni nemmeno appallottolati. È la carta inutilmente
stampata: giornali, pubblicità, manifesti… righe scritte che al
massimo sono state distrattamente lette, perfino documenti
che sembrano provenire da qualche ufficio, e aver avuto una
loro vecchia importanza. Poi anche figure femminili che continuano a sorridere (lì nel cassonetto) o volti poco rassicuranti
di politici alla ribalta.
So di un anziano condomino che ogni volta toglie dal
ripiano delle cassette per le lettere tutta la pubblicità che poco
prima un tizio — per smaltire prima il suo carico — ha depositato lì in quantità doppia rispetto a quella che servirebbe.
Il vecchio sa che a nessuno interessa uno di quei fogli e così
li prende tutti lui, li porta fino al cassonetto e li getta dentro.
Nuove righe scritte si sommano alle altre, nuove immagini a
colori di formaggio e reggiseni, di binocoli e asparagi, di preti
pedofili e nuovi fondi di investimento… tutto nel cassonetto,
assieme alle notizie dei morti in Siria o del premio Nobel per
la letteratura.
368
Alla morte di zio Ezio anche le sue preziosissime carte
finiranno nella raccolta differenziata. Prima o poi tutti i conteggi, le copie delle denunce dei redditi e dei ricorsi all’ufficio
competente… tutto finirà nei cassonetti bianchi. Anche la copia
delle false indagini su tale Scognamiglio Dorotea (pregiudicata
napoletana) o il referto veritiero a proposito dell’autismo ad
alto funzionamento dell’alunno Vizzardelli Agesilao; tutto nella
bocca aperta e immobile del cassonetto.
Mi pare di ricordare che ne hanno piazzato uno proprio
nell’angolo dove, da bambino, posavo la piccola bicicletta verde
che mi era servita per arrivare dallo zio.
Forse un giorno io stesso diverrò un foglio A4 scritto
piccolissimo, e sarò gettato in uno di quei cassonetti; inutile,
come una notizia dell’altro ieri.
2
Ci sono in cielo grandi nuvole bianche; spiccano ferme
nell’azzurro; ricordano la panna montata; da simili nubi non
verrà pioggia.
E se non fosse possibile vincere la battaglia contro questo
deplorevole mondo, anche essendo alleato con Dorotea? Se
non bastasse iniziare una nuova vita con lei in qualche piccolo
paese del sud? Mi ero fatto l’idea (via via più forte) che un
poco noto borgo meridionale sarebbe miracolosamente servito:
Noto, Telese, Cicciano, Bacoli, Sant'Anastasia, Mariglianella,
Gambatesa, Iacurso, Nola, Letojanni, Abriola, Scoglitti… Avevo
creduto che in posti simili (tutti senza la «zeta») non potesse
essersi introdotta la malapianta dell’inutile, del chiassoso, del
falsamente nuovo, dell’importante che cessa di esserlo dopo
solo 24 ore.
Ora ho dei dubbi. Se l’eremo andasse costruito solo nella
nostra anima, senza dover scovare un angolo di mondo rimasto
deserto e pulito?
369
2
Mancano poche ore a… a cosa? Potrebbe essere già troppo
tardi.
Lasciami pensare al momento in cui arriverò a Napoli e tu
sarai lì, lì per incontrarmi. Se mi succede di negare la minima
certezza che deriva dal guardare che ore sono (mai porterei un
orologio da polso) ciò significa che so — in altri modi — d’aver
tempo: il tempo per due uova al piatto o per dispiacermi a causa
di un ennesimo aforisma che avevo pensato e ora non ricordo
più. Non so quali demoni avversi permettano di ricordare milioni di cose del passato e impediscano a un aforisma pensato,
mezz’ora prima, di ritornare in mente.
La valigia lì, semiaperta, si fa vedere così scomposta, quasi
oscena. Non ho voglia di prepararmi da mangiare; non mi
rinforzerebbe la sensazione di essere al mondo.
370
Il ricettario
di Agesilao
Il minestrone di Agesilao
Procurarsi le seguenti verdure: patate, cipolla,
fagiolini verdi, fagioli borlotti, piselli freschi, zucca,
zucchini, sedano, carota, bietola (costa e foglia) e
poco spinacio.
Mettere via via in acqua calda, salata. Si eviti
dunque il soffritto. Se il sedano è bello fresco mettere
anche poche foglie, ben verdi. Due briciole di dado
e un poco di concentrato di pomodoro. Possono
cuocere assieme tre aghi di rosmarino. Tenere un
poco più brodoso se si vuole aggiungere la pasta.
Va bene quella chiamata «gramigna».
A cotture terminate (almeno tre quarti d’ora,
meglio se più) olio e parmigiano.
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© 2016, Gazzolo, Un Asperger in cucina, Trento, Erickson
Una buona pastasciutta
Preparare anzitutto una salsa mescolando olio,
curcuma (non troppa) e salsa di soia. Le dosi
dipendono da molti fattori e quindi non sono indicate: sarà l’ispirazione o l’esperienza a suggerire
per il meglio.
In acqua bollente, mettere cipolla affettata fine,
cavolo verza egualmente affettato e la pasta, corta,
tipo fusilli o tortiglioni, comunque a lunga cottura
(12/15 minuti).
Si condisce con la salsa già pronta aggiungendo
ricotta ed eventualmente altro olio.
© 2016, Gazzolo, Un Asperger in cucina, Trento, Erickson 2
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