Presentazione del libro “Carabinieri per la Libertà”, di Andrea Galli

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Transcript Presentazione del libro “Carabinieri per la Libertà”, di Andrea Galli

Presentazione del libro
“Carabinieri per la Libertà”, di Andrea Galli
Saluti e ringraziamenti.
L’attacco del libro è folgorante, ci porta subito dentro la storia. Alagna
Valsesia, provincia di Vercelli, luglio 1944. Otto carabinieri impegnati nella
Guerra di Liberazione e altrettanti partigiani sono scovati e uccisi per la
delazione di una ragazza che amava, non corrisposta, uno dei civili.
Un incipit del genere ci dice subito due cose. La prima è che leggeremo
pagine fatte di sacrificio, sofferenza, passione, verità. La seconda è che
abbiamo di fronte un autore abituato a maneggiare la vita.
Rendo omaggio con questa immediata riflessione al giornalista e scrittore
Andrea Galli. Lo ringrazio per aver voluto narrare le gesta di uomini veri,
carabinieri come tanti, che in un momento drammatico della storia d’Italia,
quello seguito all’8 settembre, hanno avuto il coraggio di stare dalla parte
più difficile, quella della gente, senza clamori e senza tentennamenti.
Carabinieri per la Libertà, si chiama così questo pregevole volume edito
dalla Mondadori. Il titolo rende giustizia ai nostri Eroi, caduti perché tanti
altri avessero quanto a loro era stato negato.
Sono morti con le armi in pugno e un ideale nel cuore, come il libro di Galli
magistralmente racconta. Hanno fatto dono della loro vita, del loro sangue,
il dono più bello: quella cosa – e cito una personalità del calibro di Piero
Calamandrei – che assomiglia all’aria, perché capiamo quanto vale solo
quando ne siamo privati. Lo hanno fatto, insieme a tanti altri, spesso allora
sconosciuti e poi rimasti nell’ombra, per darci la libertà.
1 L’autore è un cronista di alto rango, non a caso scrive per il prestigioso
Corriere della Sera, ma nell’operazione culturale che oggi presentiamo ha
indossato i panni dello storico.
Lo ha fatto con grande rigore, proponendo al tempo stesso un taglio
divulgativo che ben si addice alle vicende narrate. La sua ricerca dei fatti è
attenta, puntuale, ma egli non dimentica l’umanità dei suoi personaggi.
Li descrive con incisività e realismo, andando alle fonti, spesso ormai quasi
esaurite, e di ciò dobbiamo dargli gran merito.
Dà voce alle piccole e grandi storie, a narratori semplici, sconosciuti
discendenti di eroi del passato che serbano dei propri avi una memoria intima
e dignitosa.
Fa emergere sentimenti di fedeltà e attaccamento al servizio di appartenenti
all’Arma umili e generosi. Uomini come il carabiniere Martino Giovanni
Manzo, che il 12 settembre 1943 a Napoli resisté fino all’ultimo proiettile e
rimasto inerme, catturato, fu poi ucciso con ben tredici commilitoni a
Teverola. Di lui scrive parole bellissime, che ricava dai ricordi di una nipote:
«Prima di entrare nell’Arma era stato contadino. Aveva un unico codice di
comportamento: lavorare duro perché altrimenti sarebbe morto di fame.
L’impegno che mise nei campi fu lo stesso con cui indossò la divisa da
carabiniere. Non voleva cambiare il mondo, soltanto fare il proprio dovere».
Sono tanti gli episodi che Galli ripercorre con precisione implacabile e
partecipazione affettuosa. Egli traccia un filo rosso che percorre l’intera
penisola, dalla punta dello Stivale alle propaggini montuose dell’Alto Adige.
Ci rivela con innumerevoli esempi, mai indulgendo alla retorica, una verità
lineare.
Spesso senza ordini e linea di comando, i Carabinieri dell’immediato
secondo dopoguerra reagirono compatti ai più tragici eventi, difendendo con
2 i denti le sole cose che in quella devastazione ancora conservavano: la fedeltà
alla missione scelta, il proprio onore, la propria gente.
A Reggio Calabria, a Gioia Tauro, con azioni di disturbo, impedirono ai
nemici di far saltare gallerie che servivano per l’avanzata alleata.
Per difendere Napoli perfino i colleghi già pensionati si rimisero l’uniforme.
A Roma si armarono gli allievi della Scuola, uno stuolo di ragazzi ai quali fu
di esempio, fra gli altri, il capitano Orlando De Tommaso. L’ufficiale si
spense combattendo alla Magliana il 9 settembre 1943. La sua, una Medaglia
d’Oro al Valor Militare davvero meritata.
Ancora nella Capitale, la rete clandestina del generale Filippo Caruso riuscì
a condurre un’opera di resistenza e sabotaggio che si snodò in tutta l’Italia
centrale. Nei giorni di Roma Città Aperta alcuni dei suoi seimila carabinieri,
fra i quali spiccano figure come il tenente colonnello Giovanni Frignani e il
capitano
Raffaele Aversa, protagonisti dell’arresto di Mussolini, si
incontravano per pianificare azioni sotterranee.
«Erano riunioni carbonare» annota Andrea Galli, cronista della storia. «Una
o due volte alla settimana, non di più. Se, dove e come si poteva. All’aperto,
in una cantina, alle tre di notte dopo aver camminato per chilometri in città.
Ogni volta un posto diverso. C’era poco da stare a discutere. L’ordine era
combattere, arruolare ancora più carabinieri, recuperare moschetti e
munizioni».
Furono tutti catturati. Frignani e Aversa saranno fra i dodici carabinieri
trucidati alle Fosse Ardeatine; si salverà il generale Caruso. Rina Frignani,
costretta ad assistere alle torture inflitte al marito, ha lasciato un toccante
ricordo dell’ultima volta in cui lo vide:
«Otto, dieci uomini erano ancora attorno a lui e ognuno sfogava su di lui il
suo istinto bestiale; chi aveva in mano un grosso pallone che gli batteva sullo
3 stomaco e sul ventre; chi gli conficcava lunghissimi spilli nelle carni e sotto
le unghie. Egli non emetteva un gemito».
Tra le Marche e l’Abruzzo, le squadre messe insieme dal capitano Ettore
Bianco e dal tenente Carlo Canger contrastarono il nemico con grande
efficacia e modesti mezzi, pagando un alto tributo di sangue. Reclutarono
volontari di ogni estrazione con un solo limite, che l’autore riporta.
«Da Teramo erano arrivati anche giovanissimi. Avevano l’entusiasmo
dell’età, la generosità dell’incoscienza. Volevano arruolarsi come partigiani.
In più di una circostanza, quando si trovò davanti poco più che adolescenti,
Bianco non se la sentì e preferì rispedirli indietro. C’erano già troppe madri
che soffrivano».
In Toscana il carabiniere Vittorio Tassi, fra i più attivi nella guerriglia, fu
catturato, costretto a scavarsi la fossa e ucciso. Nel periodo alla macchia si
prese cura del volontario Renato Magi, un giovanissimo che sognava di
entrare nell’Arma. Invano il militare gli spiegava che non era possibile.
Cito ancora dal nostro volume: «Una sera Tassi prese il portafoglio. Estrasse
due alamari. Applicò il primo sul proprio bavero e il secondo sul petto di
Magi. Il ragazzo giurò fedeltà all’Italia, all’Arma e ai partigiani. Un
battesimo in tempo di guerra, un’investitura di fiducia».
In Emilia e Piemonte erano attive altre formazioni guidate dall’Arma, come
Andrea Galli si è fatto raccontare ad esempio dai soci modenesi
dell’Associazione Nazionale Carabinieri, fra i quali Daniele Danelli, figlio
di un Eroe.
A Milano fu determinante la “banda Gerolamo”, dal nome di battaglia del
maggiore Ettore Giovannini. Più del racconto delle imprese che
4 contribuirono a liberare la città, valgono queste descrizioni delle quattro
figlie ancora in vita, tutte intorno alla novantina. Lo ricordano così dopo la
guerra, nella casa di Napoli in cui si era ritirato.
«Parlava poco ma aveva un intercalare per qualsiasi momento: mormorava
“Porco mondo”…». «Quando non lavorava più aveva l’abitudine di farsi
portare da un amico per Napoli nei luoghi dove operavano i carabinieri. Nelle
caserme, in strada… E un cappello di traverso, una chiazza sull’uniforme, le
scarpe già sporche di primo mattino lo rendevano furibondo. Vagava per casa
e ripeteva: “Porco mondo, le nuove generazioni”…».
Andrea Galli prova a immaginarlo a Milano nell’aprile 1945, nell’estremo
attacco alla caserma “Medici” di via Lamarmora, sede oggi del Ros e del 3°
Reggimento mobile.
«Non sappiamo cosa fece il maggiore Giovannini dopo che la caserma fu
conquistata. (…) Forse, in quel cortile affollato di feriti e prigionieri, il
carabiniere accese una sigaretta e si concesse di fumarla per il verso giusto.
Non al contrario, come gli capitava in guerra per sfuggire ai cecchini. Forse,
dopo il primo tiro, sudato e sfatto, al maggiore dei carabinieri Ettore
Giovannini scappò uno dei suoi classici, amari, beffardi, “porco mondo”».
Anche fuori dai confini i carabinieri si distinsero per valore in battaglia e
dedizione al dovere, come l’autore fedelmente – ormai lo abbiamo arruolato
e attribuiamo anche a lui il nostro valore fondativo, la fedeltà – riporta.
La narrazione letteraria si conclude nel Nord Est con l’eccidio feroce di
dodici carabinieri a Malga Bala, per opera dei partigiani titini, avvenuto nelle
stesse ore in cui altrettanti commilitoni perivano alle Fosse Ardeatine.
Non manca di toccare gli eroi più noti, da Salvo D’Acquisto ai “Martiri di
Fiesole”: i carabinieri Sbarretti, La Rocca e Marandola che, per salvare dieci
5 padri di famiglia da una rappresaglia, si consegnarono andando incontro a
sicura morte.
In conclusione, il libro di Galli testimonia come i Carabinieri, messi di fronte
a un terribile bivio, abbiano imboccato senza esitare la via maestra.
Lo hanno fatto imbracciando il fucile e salendo sui monti, o restando nelle
città in nascondigli precari, aiutando la gente in un modo inusuale, cercando
di proteggerla anche senza divisa, pagando con la deportazione la scelta di
non venir meno al giuramento prestato. Lo hanno fatto, prima di tutto,
pensando di non avere alternative.
A questo riguardo, uso le parole del maggiore Pasquale Infelisi morto da eroe
a Macerata, giustamente citate nell’Introduzione del volume, giustamente
definite un testamento morale:
«… l’Arma in tutta la sua gloriosa storia, indipendentemente dai colori
politici, ha sempre difeso le leggi dettate da governi legalmente costituiti e
ha protetto i deboli contro i prepotenti. Invece adesso si doveva fare
all’opposto e cioè difendere i prepotenti contro i deboli. Per i miei sentimenti
civili, militari, e per la mia fedeltà all’Arma, accettare una cosa simile con
un giuramento di fedeltà l’ho ritenuta un’azione indegna e umiliante. Io ho
fatto liberamente e con piena coscienza questa scelta, non sottovalutando i
pericoli a cui sarei andato incontro».
È proprio vero. I nostri predecessori una scelta l’hanno avuta, anche se
portava alla morte, alla deportazione, alla prigionia, al pericolo. Anche a
loro, Carabinieri per la libertà, di quel valore che assomiglia all’aria è
toccata una parte. Non potevano farne uso migliore.
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