PERIODICO EDITO DAL CEST ONLUS CENTRO EDUCAZIONE

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Transcript PERIODICO EDITO DAL CEST ONLUS CENTRO EDUCAZIONE

Legge 662/96 filiale di Trieste – novembre 2016

CENTRO EDUCAZIONE SPECIALE TRIESTE CENTRO EDUCAZIONE SPECIALE TRIESTE Email. [email protected]

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EDITORIALE

Tutti fuori! No, non è uno slogan ultra garantista. E non è nemmeno il sequel di un film di Alberto Sordi. È l'obiettivo che si è dato il CEST nella passata bella stagione, quando i progetti e le attività dei Centri diurni e delle Comunità si sono trasferiti all'esterno delle sedi abituali. Il che, del resto, rappresenta anche l'obiettivo permanente dell'Associazione che era e rimane quello di garantire ai propri utenti un'integrazione e una socializzazione il più ampie possibile; e ciò può avvenire in modo pieno solo sul territorio, assieme agli altri, uguali o diversi che siano. Questo numero di Erbamatta non rappresenta quindi un mero bilancio dell'estate, per di più ora che ci ritroviamo trincerati nei cappotti e ci siamo già abituati a fare i conti con non si sa quanti e quali virus influenzali o para influenzali (20 ne ha contati Franca, che ha un negozio di ortofrutta in centro e che quindi detiene statistiche attendibili, ricavate su un campione rilevante di clienti attempate e madri di famiglia). Ma vuole essere una testimonianza di un indirizzo che accomuna tutti i Servizi: la propensione ad aprirsi agli altri per rivendicare il diritto a far parte di una Società che sia civile per davvero. Sì, belle parole, si dirà, ma come? Quali sono i progetti che rispondono concretamente a questa pretesa di apertura? Innanzitutto i soggiorni estivi, parentesi lunga dieci giorni lontano da casa. E quest'anno è stato l' “anno zero” per la proposta dei soggiorni, diversificati secondo le reali esigenze degli ospiti. Dalle basi di appoggio, attrezzate e sicure, un buon lavoro di pianificazione ha permesso escursioni e attività gratificanti, secondo ritmi lontani dalla routine. Un lusso? Una necessità! Per gli utenti e per i loro familiari, tenendo a cuore le differenti disposizioni e i limiti dovuti all'invecchiamento. In questo contesto s'inseriscono gli interventi come il “modulo respiro”, momenti programmati per cui il Cest mette a disposizione le proprie risorse per periodi di medio termine, ai quali si affiancano proposte dedicate nei week end e, in un prossimo futuro, dei micro soggiorni al “Casello”, una struttura che l'Associazione sta riqualificando in un contesto immerso nella natura ai confini della Regione e che potrà essere messa a disposizione anche ad altre Associazioni del settore. C'è poi in cantiere il progetto “Ospitalità”, nato da una Comunità del Cest; una proposta semplice, ma significativa: un pomeriggio alla settimana, persone con disabilità che vivono in famiglia, verranno accolte nella Sap per un'esperienza che si può definire formativa, per loro e per i loro familiari, poiché rivolta alla conoscenza di una struttura a cui, prima o poi, potranno rivolgersi con fiducia. L'area formativa del CEST, in senso stretto, continua a coinvolgere gli studenti di alcune scuole professionali della Regione che un giorno possibile. sceglieranno la professione dell'Educatore, non solo con i tirocini e gli stage, ma anche con la presenza degli operatori nelle scuole. Così come continua e si rafforza la presenza dell'Associazione nelle scuole dei più piccoli, sempre con l'intento di favorire l'integrazione nel modo più leggero Tutti fuori, allora! Anche ora, anche in questa stagione. E se poi ci buscheremo un raffreddore, terremo sempre a mente il detto delle nonne di una volta: “quel che non ti uccide ti fortifica”. Ma se supereremo timori e diffidenze, potremo anche scoprire, con minor rigore e maggior soddisfazione, che “ciò che non è uguale, è semplicemente diverso!” 2

“Un saluto al Presidente”

Di Marco Zaves Per capire cosa rappresenti Fausto Ferrari per il Cest, si deve partire da una premessa semplice: per più di quarant'anni Ferrari è stato il Cest. O almeno, senza sminuire il ruolo degli altri soci fondatori che nel 1971 hanno dato vita all'Associazione, avanguardia di civiltà per i diritti delle persone disabili, così è stato nell'immaginario degli educatori, che nel tempo hanno aderito a un vero e proprio laboratorio socio-educativo. Osando paragoni arditi, si potrebbe dire che Ferrari sta al CEST come Totti sta alla Roma (e così abbiamo reso omaggio ai suoi natali trasteverini), o come Berlinguer al vecchio Pci (e così siamo sicuri di averlo fatto sorridere) o, par condicio, come Berlusconi a Forza Italia (e così siamo sicuri di averlo fatto arrabbiare). L'uomo è esplicito, non te le manda a dire; fumantino, dicono. La magrezza dei suoi 83 anni rende ancor più manifesto il modo in cui ha preso la vita e quello in cui la vita lo ha preso. Del resto, lui stesso, da direttore responsabile di questo giornale, nel 2011 sottotitolava una raccolta di articoli scritti in più di un quarto di secolo: “26 anni di accordi, disaccordi e incazzature”. Da allora sono trascorsi altri cinque anni, presumiamo, di accordi, disaccordi e incazzature, ma noi vogliamo partire da lontano e cominciamo l'intervista parafrasando un autore che Ferrari cita spesso, Ennio Flaiano.

Un romano a Trieste. Anni cinquanta. Com'è accaduto? Come l'ha accolta una città tanto diversa dalla Capitale?

(ride) È accaduto per il servizio militare. Ero in Cavalleria, era il 1951, la presenza degli americani era ancora forte...Roma era già enorme, dispersiva; a Trieste ho trovato una città vivissima, in fermento...Corso Italia era pieno di gente fino alle due di notte. Ma io, siccome ero stato bravo durante gli esami, ero stato mandato sui carri armati sull'altipiano...c'era un grande hangar aperto su due lati, proprio nella direzione in cui soffiava la Bora...ricordo ancora che ci scaldavamo le mani sui pezzi incandescenti di motore dei carri, durante la manutenzione. Un freddo così l'ho provato negli stessi anni anche ad Amatrice, a cui penso con emozione per il terremoto che l'ha colpita recentemente, durante il “campo” militare. Le donne, per portare a casa qualche lira, preparavano l' “Amatriciana” e la vendevano ai soldati: è così che ho imparato la ricetta tradizionale, la vera “Amatriciana”.

E come avviene il passaggio dai carri armati della “Grotta Gigante” al giornalismo?

Dopo il servizio militare sono tornato a Roma e ho trovato impiego come redattore a “La Sera di Roma”. Mi occupavo della cronaca nera e ho seguito diversi casi di omicidio, soprattutto legati all'ambiente della prostituzione. È stata una vera palestra di vita, in cui ho imparato l'importanza di saper scrivere oltre a quella di saper “muoversi” con disinvoltura. Ricordo i piantoni al Pronto Soccorso, le confidenze con gli “informatori” e le corse con la macchina del giornale dietro a quella della Polizia, quando accadeva qualcosa di rilevante. In quegli anni poi, siccome a Roma l'influenza americana era molto forte, arrotondavo scrivendo rubriche che dovevano per forza uscire con una firma americana: mi pagavano cinquemila lire in più per dei racconti gialli firmati con lo pseudonimo di Perry Eagle, con scritto in calce “Traduzione di Fausto Ferrari”...qualche anno più tardi è uscito pure un film, con la stessa trama di uno di questi racconti...“Un vecchio pazzo” si chiamava (ride).

E poi, il Cest. Il resto della sua vita è dedicato all'intento di garantire a sua figlia, ma non solo a sua figlia, protezione, dignità, diritti.

Sì. Tornato definitivamente a Trieste, assieme a un piccolo gruppo di persone, si può dire che abbiamo costruito il Cest attraverso lunghe discussioni dopo cena. Sentivamo la necessità di fare qualcosa non solo per i nostri familiari, ma per tutte le persone, ed erano tante, che di fatto 3

erano escluse dalla società. Rifiutati persino dalle Istituzioni “Speciali” che non accoglievano i disabili con un quoziente intellettivo inferiore ad un certo valore richiesto.

A proposito delle “scuole speciali”: lo stesso Cest, nella sua denominazione, dichiara l'intenzione di un'educazione speciale. Come si spiega?

Si spiega con il fatto che, per assurdo, il Cest nasce grazie ad un'elargizione, venuta proprio dalla fondatrice di una di queste scuole, il Centro Educazione Speciale Favettini. Alla fine degli anni sessanta, a bordo di una 850 coupè, andai in visita alla scuola, poco fuori Milano; c'era anche Maurizio (Pessato, attuale presidente del Cest, ndr.) per capire un po' meglio come si sarebbe potuto impostare la futura Associazione. Ma non c'era niente da imparare. La scuola era una specie di farsa, con un solo utente...solo per accedervi dovevi superare una serie di scalinate immense, alla faccia delle barriere architettoniche! Eppure quell'esperienza ci permise di ottenere un'elargizione e di presentarci davanti al notaio per costituire il Cest. Così, un po' per riconoscenza, ma soprattutto per esercizio d'ironia, decidemmo di chiamarci con questa pessima denominazione, perché il programma che ci ripromettevamo di inventare, sperimentare e sviluppare, non si poteva certo definire “speciale”. Al contrario di quegli Istituti per cui la “specialità” era sinonimo di emarginazione, segregazione, esclusione, noi volevamo includere, integrare, accogliere tutti.

14 ottobre 1971. È la data precisa in cui nasce il Cest. Sono quarantacinque anni di storia, vissuta di “zompo” in “zompo”, come diceva suo nonno. Quali sono stati gli “zompi” più eclatanti?

romano che riguarda la sopravvivenza: per superare la selezione si deve saltare e per (sorride) Quello dello “zompo” è un vecchio detto imparare a saltare bene si deve “zompare”, che è un saltare più atletico e possente, anche se più sguaiato. Lo “zompo” più grande è stato proprio quello della costituzione di un'Associazione, tecnicamente e giuridicamente. E gran parte della riuscita di questa operazione si deve ai contatti stabiliti e coltivati con il Comune di Trieste e la Regione; con gli assessori, ma soprattutto con i funzionari. Le tappe importanti sono state molte: la creazione dei primi Centri diurni, che allora venivano chiamati da tutti, semplicemente, i

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Cest; la prima Comunità, nata grazie alla volontà della Regione di rendere continuativo un intervento economico “una tantum” e che per questo ha appoggiato la nostra richiesta di inserire i costi della Comunità nella Convenzione del Comune. C'è stata poi la possibilità di consolidare l'Associazione assumendo gli educatori grazie ad un progetto europeo che è durato sei anni. Poi, ancora, la costruzione fisica del Cse e della Sap di via del Veltro e le loro relative gestioni, rese possibili senza spendere un soldo, oltre a quelli previsti dal Governo nazionale, per volontà dell'allora Ministro del Sociale...

Lei ha ricordato spesso come le Associazioni quali il Cest abbiano contribuito, accompagnato, addirittura anticipato l'apertura della società nei confronti di persone che, prima della rivoluzione psichiatrica capeggiata da Franco Basaglia, risultavano trame invisibili nel tessuto sociale.

È così: il nostro obiettivo era e rimane quello di integrare nella società il più possibile le persone vittime di emarginazione. In quegli anni con Basaglia c'è stata una grande vicinanza, un lavoro comune; una contaminazione di idee, ma anche di progetti, ad esempio a proposito di un gruppo di disabili anziani che erano cresciuti dentro all'Ospedale Psichiatrico e non sapevano dove andare perché non avevano nessuno al di fuori di quelle mura.

Com'è cambiata la percezione del cosiddetto “diverso” nell'ultimo mezzo secolo?

Naturalmente è cambiata molto. Eppure, la rappresentazione del diverso attraverso i media, parlo soprattutto della televisione, è tuttora ancorata a degli stereotipi che sono distanti dalla realtà. Esiste ancora un certo pudore, ma forse sarebbe più giusto parlare di ipocrisia, che esclude quelle persone la cui disabilità si discosti da quella socialmente già riconosciuta e in qualche modo accettata.

Dati per acquisiti i diritti fondamentali per le persone disabili, qual è l'urgenza attuale? Cosa manca a livello normativo e da che cosa si devono proteggere i soggetti deboli della comunità?

A livello normativo non manca niente. Anche l'ultima legge sul “Dopo di noi” è una buona norma anche se i suoi contenuti sono quelli che noi predichiamo da sempre. Ora si tratta semmai di ampliare i servizi, incrementare l'offerta dal momento che la 4

domanda, purtroppo, è tutt'altro che diminuita. La nostra Associazione ha un ambito delimitato, si occupa di disabili psichici, ma non ci tiriamo indietro per dare una mano a chi è portatore di disabilità fisica. Applicando gli strumenti normativi a disposizione si potrebbe fare ancora di più.

A futura memoria (se la memoria ha un futuro), tanto per citare il suo amato Leonardo Sciascia, qual è il suo più grande merito e il suo più grande rimpianto?

Il Cest è la cosa migliore che potessimo fare. L'obiettivo era quello di dare risposta il più possibile a chi non ne aveva. A Trieste la città ha capito quella che è stata la grande novità dell'Associazione. C'è da dire che non c'era molto prima di allora, a parte l'Anffas e l'AIAS; la popolazione è stata molto vicina, si sentiva una necessità. E la spinta della popolazione ha

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portato un risultato di appoggi da parte degli Enti locali. Più di questo...

Ad un corso di formazione di qualche anno fa, è intervenuto sulla “

mission”

e la “

vision”

verità, in termini poco tecnicistici. del Cest. Termini attuali, di natura aziendale, ma la conclusione del suo intervento era espressa, in L'invito rivolto agli educatori era: lavorate con amore.

(sorride) In realtà quel messaggio aveva una doppia valenza. Certamente c'era l'invito a trattare con amore gli utenti presi in carico, ma in realtà volevo anche e soprattutto invitare all'amore per questo lavoro che può essere...un bellissimo lavoro!

Non a caso ha parlato di amore e non di passione...

Non a caso: nel tempo la passione tende a diminuire. L'amore è un sentimento più stabile.

Il CEST si propone all’Amministrazione Pubblica come interlocutore e collaboratore affidabile con la sua organizzazione, la qualità dei suoi servizi, la proposta di progetti, passati, attuali e futuri, fra questi:

 Il progetto “sperimentale” del dicembre 2014, organizzato per il Comune di Trieste, che sarà riproposto nel 2017.  Il sostegno alle famiglie attraverso il “Pronto Intervento”, in caso d'improvvisa necessità.  L’invecchiamento, “dai 64 ai 65 anni”, collaborazione avviata con il Comune di Trieste e Muggia.  La collaborazione con gli istituti scolastici italiani e sloveni, con alto valore d'integrazione. (MasterCest , Mani arcobaleno, Borse di studio, con l’obiettivo di offrire uno sportello informativo.  I soggiorni estivi pensati per le diverse esigenze dei nostri assistiti, usando risorse umane, economiche e strutturali con buoni risultati  Il progetto “Ospitalità” , utile ai nuovi utenti, familiari e assistiti.  Il progetto dello “Sport e Tempo Libero Solidale” con le sue attività. Festa dello sport, Basket, Tofeo Grisù, Ippoterapia, Canoa.  Il progetto di apertura sul territorio, dei nostri servizi, attraverso la musica, (in corso d'opera) .  L'apertura a nuove collaborazioni con altre Associazioni e Cooperative, (Quercia, Cenacolo, Mitja Ciuk, Aias, Coop 2001), su progetti d'interesse comune, come la formazione, il modulo respiro, l'invecchiamento delle persone con disabilità.  Strumenti divulgativi: Erbamatta, con la sua redazione, il sito www.cest-onlus.com., facebook. 5

ERBAMATTA

La legge sul “dopo di noi”

di Maurizio Pessato Lo scorso giugno il Parlamento italiano ha varato una legge – l.n.112/2016 - per affrontare il tema, indicato ormai generalmente con la locuzione “dopo di noi”, dei sostegni necessari alla persona con disabilità che rimane senza l’appoggio dei genitori per ragioni anagrafiche o al quale va assicurata una sua autonomia residenziale aperta e integrata. Nel corso degli anni ’90 il CEST aveva avviato una riflessione e delle iniziative sul dopo di noi”; il lungo lavoro effettuato tra servizi diurni, comunità per deistituzionalizzare, soggiorni estivi, aveva ben segnalato la necessità di pensare al benessere e all’autonomia della persona con disabilità assieme a spazi e tranquillità, nella prospettiva dell’invecchiamento per la sua famiglia. Era molto chiaro lo smarrimento provato dai genitori nel momento in cui pensavano alla loro assenza futura. Utilizzando la normativa nazionale e regionale via via prodotta, è stata costituita dal CEST la prima comunità – tra le prime nel paese - che rispondeva a quelle esigenze. Ma non c’era ancora una vera consapevolezza generale del problema: tra la settorializzazione frammentazione dei disabili (per problema), la degli interventi e la scarsa lungimiranza, ci si muoveva con difficoltà e ostacoli. Il problema in sé non era colto dalle istituzioni, o forse era eluso. Nel 2007 il CEST ha promosso anche un convegno, invitando altre esperienze nazionali, per sostenere questo tema e la necessità del rapportarsi ad esso. Proprio perché riconosce l’esistenza di un nodo di fondo, “la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori”, la nuova normativa va accolta, almeno in parte, positivamente. La legge 112 si presenta con luci e ombre; va, comunque, iniziato subito un lavoro per garantire di trarne gli aspetti positivi e dialogare con le istituzioni per la sua migliore applicazione. Nel contempo occorre mettere in luce il pericolo che il tutto finisca con il ridursi a un’attuazione burocratica relativa solo all’aspetto patrimoniale che coinvolge la famiglia e la persona con disabilità. Per queste ragioni e per l’importanza che ha questo appuntamento, date le conseguenze che può innescare, è utile cominciare a ragionare in modo approfondito sulla legge e sulle possibili ricadute a vantaggio delle persone disabili. Un primo momento di apprezzamento nasce dal fatto, peraltro doveroso, che nella legge emerga dalle nebbie, in cui finora si trovava, la ratifica italiana della Convenzione sui diritti delle Persone con Disabilità dell'ONU (Convention on the Rights of Persons with Disabilities, CRPD); questo testo contiene importanti affermazioni per la vita delle persone con disabilità. Sembra un aspetto marginale in quanto anche un autorevole documento non cam bia di fatto le cose e la vita quotidiana delle persone, ma abbiamo imparato che lavorare per ottenere quanto è giusto passa anche attraverso degli appigli normativi. in un periodo come questo, poi, che tende a ridurre l’importanza della persona – e tanto più di quella disabile – e mostra una deriva da selezione dei più forti, non è da poco rilanciare il tema del diritto all’autonomia e “il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone”. Non va sottovalutato, inoltre, il fatto che far divenire di dominio pubblico qualcosa che sembrava una condizione molto particolare – quella del “dopo di noi” - ha il suo valore. Oggi l’opinione pubblica è maggiormente al corrente di un nodo pesante per molte persone, e questo aiuta a far crescere la sensibilizzazione generale. Vi è, poi, una parte della legge, e in particolare l’articolo 4, che pur non innovando nella sostanza quanto già era possibile fare con le norme già esistenti, sancisce in modo molto incisivo il tema 6

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del diritto a un

progetto individuale

- implicando tutte le grandi diversità delle condizioni di difficoltà - della persona disabile. Senza l’affermazione di questo elemento non si riuscirà mai a superare l’intervento di tipo assistenziale e categoriale (l’elencazione degli handicap) e la logica dell’esclusione; chiediamo con forza l’attuazione di questo obiettivo. Non perdiamoci in distinguo, questa è la chiave per raggiungere veri risultati. Da qui possono nascere degli sviluppi - nel tempo, ovviamente - molto importanti se favoriti da un movimento forte e combattivo; si dovrà chiedere di passare dal “dopo di noi” a un piano più generale. Ma, intanto, lavoriamo su quanto è a disposizione perché offre un’opportunità per riaprire a fondo lo spinoso tema della qualità della vita della persona con disabilità e del diritto dei genitori a essere meno angosciati rispetto al futuro dei loro figli. Le legge dispone, poi, della situazione patrimoniale della persona con disabilità e della sua famiglia. Introduce il non nuovo istituto del

trust,

cioè una forma di costituzione salvaguardata del patrimonio economico finanziario familiare (ove esistente) finalizzato al servizio della persona con disabilità; rispetto alla normativa già esistente lo collega maggiormente alla figura del disabile e propone degli incentivi fiscali. Il punto è che, secondo noi, questa proposta è inefficace e sterile e rischia di confondere i veri obiettivi che servono alle persone con disabilità. Propone, infatti, una situazione di salvaguardia del patrimonio che erediterà la persona con disabilità, anche rispetto a richieste di compartecipazione alla spesa richieste dai Comuni, previste da altre norme; ma questo fondo (trust) non garantirà dei servizi adeguati al beneficiario se non l’entrata tardiva in una delle istituzioni residenziali esistenti. E questo perché si afferma una soluzione individuale del problema; ogni persona con disabilità avrà un suo patrimonio che, preso da solo, non riuscirà a garantire nessuna risposta qualitativamente valida alle sue esigenze. personalità, di Si tratta, allora, di costruire delle opportunità per tutti, a seconda delle loro necessità, delle loro collaborare tra famiglie, associazioni, Comuni e Regioni; di attuare quanto si afferma in via di principio nelle leggi e di richiedere alle famiglie e alle persone con disabilità di contribuire secondo le loro possibilità; non si chiede la gratuità ma il rispetto delle persone in difficoltà e della loro vita. Anche qui sta il lavoro da fare nel volgere la legge nel senso migliore possibile. di Marco Zaves

25° della Comunità Valmaura 55/8°

In principio era la Comunità “Cinque Stelle”; e così è stato fino alla discesa in campo di Beppe Grillo. Poi, onde evitare equivoci o noiosi problemi di copyright, si è optato per una denominazione più sobria, legata al territorio, anzi, proprio all'indirizzo; ed è diventata: Comunità “Via Valmaura 55”. Quando il “53”, un'altra storica Comunità del Cest, si è trasferito al piano di sotto nello stesso civico, ha dovuto perfezionare il nome in “Via Valmaura 55, ottavo piano”.Ma questi sono dettagli, perché la sua identità non ha subito negli anni alcuna crisi. Certo, qualche ospite se n'è andato, lasciando un vuoto indelebile che è stato ricordato in tanti modi e occasioni. Anche molti educatori si sono succeduti. Del resto, se lo storico responsabile della struttura è già in pensione, sono passati davvero molti anni da quel principio. Era il 1991 quando, in via Udine, cinque persone disabili prendevano domicilio in un appartamento dove era nato e vissuto uno di loro, fino alla morte dei genitori. 7

La struttura, oltre al “padrone di casa”, accolse quattro giovani che frequentavano già i centri diurni del Cest, ma che fino a quel momento avevano vissuto sempre in Istituto, da un reparto del Burlo ad uno dell'ex Ospedale psichiatrico, il “Gregoretti”. Era la seconda Comunità del Cest, che proseguiva sulla scia tracciata qualche anno prima dal “53”. Il tentativo era quello di costruire una vera e propria casa per delle persone che erano sempre state private di un ambiente familiare, intimo, personale. Ma la Comunità non si è mai chiusa dentro casa. Si è sempre affacciata all'esterno, senza badare troppo al panorama urbano, non proprio da cartolina: l'integrazione, si sa, non segue canoni estetici definiti, né pretende prestigiosi stili architettonici. Chiede solo di demolire le barriere per costruire ponti tra persone. Così, fin dall'inizio si è manifestata la consapevolezza di appartenere a un territorio e si è lavorato per rispondere alla necessità di farne parte, il che significa utilizzarne i servizi, creare contatti, costruire con sensibilità legami e reti di socializzazione. Un lavoro che ha accompagnato e accompagna quello, se vogliamo, più ordinario, ma che resta la base imprescindibile di una struttura residenziale protetta, che consiste nel garantire la sicurezza e la cura delle persone che vi fanno parte. Venticinque anni sono sufficienti per tracciare un bilancio: oggi si può ben dire che gli ospiti della Comunità abbiano tratto dei benefici concreti da questo percorso di convivenza e, grazie anche alla frequentazione dei Centri diurni, hanno

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migliorato in modo radicale la loro qualità di vita. Ma quella del “55” è una storia che continua, nel segno di quella vocazione ad aprirsi all'esterno. Non a caso, per festeggiare il quarto di secolo trascorso è stato scelto il Country Eden, l'azienda agricola di Repen che quest'estate ha fatto da base per il soggiorno estivo di due Servizi del Cest. Un luogo che nelle intenzioni dovrebbe diventare simbolico, un punto di aggregazione per gli utenti, ma anche per i famigliari dell'Associazione: un posto dove incontrarsi, una base di partenza per momenti conviviali ma anche di alto valore socio-educativo. Questa è solo una tappa di quello che la responsabile della Comunità definisce un “percorso etico” che parte dalla presa di coscienza che sia doveroso confrontarsi con gli altri, collaborare, calarsi nella società e valorizzarne le risorse, perché solo così si può raggiungere il traguardo della piena integrazione. biologici Con dalle questo aziende spirito del vanno inquadrate le scelte di acquisti di prodotti Carso, la frequentazione di luoghi pubblici che offrano un valore aggiunto in tutta la Provincia, i momenti di condivisione con i Centri diurni e con le altre residenze del Cest su programmi specifici. Non ultimo il progetto “Ospitalità” che partirà a breve, proprio nel Venticinquesimo del “55”, e che per un pomeriggio alla settimana, spalancherà la porta della Comunità verso l'esterno. Ciò avrà diverse finalità, ma soprattutto rappresenterà, per le persone disabili interessate e i loro familiari, un'occasione di conoscenza, trasparenza, informazione. Un'esperienza che si pone lo scopo di far emergere la ricchezza di una famiglia anomala, allargata, come quella di una Comunità e, in ultima analisi, di rassicurare chi, un giorno, dovrà affidargli il proprio congiunto. Perché integrazione è anche sinonimo di fiducia.

Invitiamo i lettori a visitare il sito del CEST www.cest-onlus.com

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ERBAMATTA

“Vorrei prendere il treno” intervista a Iacopo Melio

di Giorgio Micheli

Classe ’92

sogni: . Nato ad Aprile in un paesino sperduto di campagna (puntualmente allergico al polline), a pochi chilometri dalla sua città dei

Firenze

. Si nutre di musica, sogni e poesia. Estroverso e solare, eterno curioso, inguaribile romantico. Trova almeno dieci motivi ogni giorno per

innamorarsi

di qualcosa: donne, uomini, bambini, sguardi, sorrisi, paesaggi, canzoni, profumi, ricordi, ideali… Orgoglioso e rompiscatole quanto basta, con quattro ruote per spostarsi perché nato comodo. Amante dell’arte e di ogni forma di espressione, schierato con la

libertà

di pensiero sempre e comunque. Musicalmente comunista; idealmente progressista, pacifista e liberal-socialista; utopicamente anarchico. Professa l’Amore Universale come unica Fede; la laicità di Stato come dogma; il buddismo come filosofia e ispirazione di vita. Dopo il diploma al Liceo Scientifico “Il Pontormo” di Empoli studia “Scienze Politiche” (curriculum in “Comunicazione, Media e Giornalismo”) alla Scuola “Cesare Alfieri” di Firenze. Vede la

comunicazione

come uno strumento

sociale

per dare voce a chi ha subito la violenza del non ascolto e per ripartire giustizia. Appassionato di tecnologia e di tutto ciò che è figlio del progresso. Tra i suoi miti: De André e Guccini, Don Andrea Gallo e Peppino Impastato, Pasolini e Bukowski. Fra qualche anno si immagina scrittore fallito e poeta per nessuno, ma ricco di sogni e di speranze, “

scandalosamente felice”

(cit. Linus, “Peanuts”).

Ama

le cose semplici e i valori sani. Le persone disposte a lottare per i loro ideali e chi è capace di sognare forte, nonostante tutto. La diversità, lo stupore, la sete di conoscenza. Il giallo, il sole, l’estate, il mare. L’intelligenza pratica e l’autoironia, soprattutto se contagiosa. La sua reflex e la sua chitarra, i libri di Camilleri, il film da tenersi stretti, l’odore della carta e dei vinili. La maionese che mette ovunque, la pasta, la pizza, quasi tutto ciò che è fritto, il salame e la salsiccia, il tiramisù sopra ogni dolce. Affamato di dettagli, può morire per una matita messa ad appuntare i capelli, per le lentiggini in bianco e nero, per le mani che parlano. Non sa fare a meno del contatto e di troppo altro ancora.

Odia

ogni tipo di etichetta e convenzione sociale. La prepotenza, la superficialità, la compassione, il qualunquismo. Il “fascismo” come atteggiamento sociale, non solo politico. I conservatori, i fanatici, i razzisti, gli omofobi e i vuoti di pensiero. Chi non rompe gli schemi, l’apatia, gli insensibili, il menefreghismo e gli egoisti. Attualmente lavora come

giornalista

freelance

, ma gli capita d’essere anche copywriter, social- media manager, digital strategist, campaigner e videomaker. Non chiedetegli cosa voglia dire perché forse non lo sa nemmeno lui… Però ci crede, gli piace, e questo per ora gli basta. Dal Luglio del 2014, dopo un suo articolo ironico sulle barriere architettoniche, è diventato il promotore di una campagna di sensibilizzazione nazionale (attualmente Onlus), catturando l’attenzione dei media italiani ed esteri:

#vorreiprendereiltreno

. Ha concretizzato così il suo attivismo civile in progetti volti all’abbattimento delle barriere, non solo architettoniche ma soprattutto culturali, in quanto ideatore, consulente e relatore di eventi e progetti sociali. Sul

sito ufficiale

dell’associazione è possibile leggere: “

Lottiamo col sorriso, per i diritti di tutti, contro ogni barriera”. (tratto dal sito:

www.

iacopomelio

.it

) Ciao Iacopo e grazie per la disponibilità. Con la tua campagna di sensibilizzazione

#

v

orrei prendere il treno,

contro le barriere architettoniche, sei diventato un personaggio pubblico. Cosa è cambiato da allora?

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È nata una Onlus con la quale cerco di operare in due direzioni. Da una parte, portare avanti progetti concreti, sul territorio, di abbattimento delle barriere architettoniche, collaborando con le Istituzioni e con la politica (quando ce lo permettono). Dall'altro, continuare a sensibilizzare in vari modi: organizzazioni di convegni e conferenze, manifestazioni, incontri nelle scuole, produzione di contenuti online... Grazie al nostro lavoro "mediatico" sono già stati ottenuti molti risultati, in soli due anni. Ad esempio la Regione Toscana si è impegnata a rendere accessibile il 75% delle stazioni entro il 2018.

Dopo le tue critiche su facebook al segretario della Lega Nord Matteo Salvini ti hanno vomitato addosso offese gravissime speculando sulla tua disabilità, cosa hai provato e come hai reagito?

È stata la conferma che le nostre idee di libertà e di uguaglianza siano quelle giuste. Non avevo criticato Salvini in termini soggettivi, ma avevo fatto notare un'inesattezza che aveva scritto, raccontando una certa vicenda, chiaramente a scopo propagandistico. Sono stato sommerso di insulti (per fortuna, mi sarei stupito del contrario e non mi sarei sentito trattato con uguaglianza!), ma la cosa triste è che da un dibattito politico certi suoi "fan" siano passati subito alle offese personali, tirando in ballo la mia disabilità. È davvero triste vedere che quando le persone non riescono ad argomentare

Il sito

passano messo in buona luce. alla vita www.vorreiprendereiltreno.it

privata. Fortunatamente è stato anche questo un momento di riflessione utile per molti, che ci ha

è diventato una comunity dove tutti possono segnalare le barriere architettoniche della propria città e fare delle donazioni onlus che poi verranno utilizzate per delle persone in difficoltà. Come sta andando da questo punto di vista?

Più che il sito, la pagina facebook, che ad oggi conta quasi 200.000 (mentre la mia personale sta raggiungendo i 300.000 like). È molto bello

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vedere che c'è partecipazione ed interazione, è il segnale che le persone sono sensibili e desiderano contribuire per un paese più civile, su misura di tutti. I nostri progetti, d'altronde, senza il sostegno "dal basso" non potrebbero mai essere portati avanti. Occorrono donazioni continue e queste possono arrivare solo da parte di chi crede in ciò che facciamo.

La rivisitazione della canzone

Vengo anch'io

con la collaborazione di Lorenzo Baglioni su youtube (

https://www.youtube.com/watch?v=HtuMELyR Vwk

) ha avuto più di 100.000 visualizzazioni. Ti aspettavi un tale successo mediatico?

Su Facebook abbiamo raggiunto i 7 milioni, è stato un risultato sorprendente. Non ci saremmo mai aspettati una condivisione così virale ed è stata una delle "mosse" migliori in questi due anni, per promuovere l'attività della onlus e farla conoscere. Lorenzo poi è stato bravissimo a capire cosa "volessi" da lui: una canzone leggera, ironica e divertente, che parlasse di un tema importante ma con il sorriso, come piace a noi, senza compassione o pietismi.

Il CEST da oltre quarant'anni combatte contro l'emarginazione delle persone disabili rompendo gli schemi di una società bigotta e ignorante. Su facebook uno dei tuoi ultimi post immortala la lamentela di un vacanziere su Tripadvisor. Hai reagito con ironia come è giusto che sia, però il lavoro è ancora tanto.

C'è ancora tantissimo da fare per far capire che il tema della disabilità non riguarda una cerchia ristretta di persone, ma tutti noi, dalla mamma col passeggino all'anziano col bastone. Finché le persone non capiranno che il diritto all'inclusione consiste in mille sfaccettature, non andremo da nessuna parte. La libertà per un disabile oggi "costa" cara, è giusto che lo Stato e la società sopperiscano a quelle esigenze che certamente non sono volute... E per farlo dobbiamo sfondare ancora un sacco di barriere mentali, ma sono fiducioso! 10

ERBAMATTA

BIBLIOPOLIS

di Edoardo Triscoli Ancora una volta ci ritroviamo a tu per tu con un'erba matta, sempre più convinti che le

vere

male erbe non si trovano dove ci vengono indicate, ma troppo spesso prosperano in quelli che le indicano. Un equivoco comune, incessantemente alimentato dai poteri di turno, che non gradiscono le voci contro o semplicemente

altre

. E' il destino di tutte le erbe matte del mondo, senza distinzione di sesso, epoca o cultura, ma per nostra fortuna l'erba matta cresce e continuerà a farlo, in barba a tutti i poteri e le opinioni che le vorrebbero strappate in nome di una pretesa mentalità livellatrice e omogeneizzante, dimenticando che ci sentiamo normali proprio grazie a chi è diverso. "Chi vive senza follia non è così saggio come si crede". F. de La Rochefoucauld

Patch Adams ovvero una risata vi guarirà

Con una felice definizione, qualcuno ha affermato che l'umorismo è l'arte di far solletico al cervello, sottolineando il potere liberatorio e intellettivo di una battuta arguta, di un motto di spirito o di un affilato aforisma. La letteratura vanta una collezione infinita di umorismo più o meno nero, più o meno irriverente, per non parlare del cinema, che ci ha regalato indimenticabili risate di ogni tipo. E nella vita reale? Le solite cassandre obietteranno che nella realtà c'è ben poco da ridere, ma noi sappiamo che le erbe matte di turno pensano anche a questo, facendo della risata una potentissima arma sociale e terapeutica.

Hunter Doherty "Patch" Adams

ha fatto del riso il perno del suo personalissimo approccio alla medicina, intesa come cura del paziente. Oggi, grazie a lui migliaia di volontari operano in ospedali di tutto il mondo per donare un sorriso agli ammalati, agli orfani e a coloro che soffrono nella mente e nel corpo. Figlio di un militare di carriera che doveva spostarsi continuamente per lavoro, Patch Adams visse un'infanzia nomade dentro e fuori dall'America, dov'era nato il 28 maggio 1945. Fortemente segnato dalla prematura morte del padre a cui aveva finalmente cominciato ad avvicinarsi, il giovane Patch mostra subito i primi segni della sua insofferente diversità già negli ambienti scolastici. Una serie di gravi lutti famigliari lo porta sull'orlo del suicidio e della pazzia. ma la sua innata vitalità lo salva dal baratro dell'annullamento di sé. Studia medicina sfidando sempre e comunque l'austero ambiente accademico dove si segnala per atteggiamenti stravaganti e clowneschi che gli fanno rischiare più volte l'espulsione per "troppa allegria". Per nulla scoraggiato Patch capisce che quella è la sua strada e fresco di laurea, insieme a un gruppo di volontari trasforma la sua casa in un ospedale dove curerà gratuitamente migliaia di malati, secondo la filosofia che la guarigione deve essere un atto di amore tra esseri umani e non una transazione commerciale. Dopo dieci anni vara il Gesundheit! (Salute! in tedesco) , un ambizioso progetto che prevedeva un terreno di 128 ettari da adibire a clinica vista come una comunità per la libera assistenza sanitaria. La sua ricetta "medica" era semplice: prescrivere divertimento e umorismo come cura per la guarigione fisica e mentale. Chi visitava il suo ospedale leggeva all'entrata il senso e la filosofia che regnavano nel colorato mondo di Patch Adams:

La salute si basa sulla felicità, dall'abbracciarsi e fare il pagliaccio al trovare la gioia nella famiglia e negli amici, la soddisfazione nel lavoro e l'estasi nella natura e nelle arti.

Forte di una notorietà in continua espansione , Patch esporta con successo in vari paesi la sua clownterapia e organizza spettacoli e seminari per promuovere la sua terapia del riso. Humor e salute vanno di pari passo, una bella risata libera endorfine, fondamentali per sentirsi più vivaci ed entusiasti. Ridere permette al sangue una maggior ossigenazione, diminuendo la pressione e giovando così alla salute cardiovascolare. Per cui quando vedete in un ospedale un medico con una pallina rossa sul naso, ridete , quel naso e quel medico spesso valgono di più della chimica farmaceutica. (...la felicità non si ottiene con una pillola, la vita è un privilegio)

H.D.Patch Adams

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