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Martedì 22 novembre 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Janine Jansen
violino
Alexander Gavrylyuc
pianoforte
Brahms - Sonata n. 2 in la maggiore op. 100
Poulenc - Sonata per violino e pianoforte op. 119
Szymanowski - Mythes - Trois Poèmes op. 30
Prokof’ev - Sonata n. 2 in re maggiore op. 94a
Il concerto è registrato da RAI Radio3
4
Di turno
Maria Majno
Carlo Sini
Consulente Artistico
Paolo Arcà
5 minuti prima di ascoltare: Gaia Varon
Con il contributo e il patrocinio di
Johannes Brahms
(Amburgo 1833 - Vienna 1897)
Sonata n. 2 in la maggiore op. 100 (ca. 20’)
I. Allegro amabile II. Andante tranquillo III. Allegretto grazioso (quasi Andante)
l Anno di composizione: 1886
l Prima esecuzione: Vienna, 2 dicembre 1886
All’epoca in cui Brahms si affacciava sulla scena musicale, all’inizio degli anni
Cinquanta, la scrittura violinistica era largamente influenzata dalla presenza di
grandi virtuosi itineranti. Nel primo Ottocento si erano distinte diverse figure di
violinisti-compositori a partire da Louis Spohr e Niccolò Paganini, seguiti nella
generazione successiva da Heinrich W. Ernst, Henri Vieuxtemps e Henryk Wieniawski. Ai margini di questo repertorio virtuosistico dominante sopravviveva
uno stile di musica strumentale di natura diversa, ispirata ai modelli dello stile
classico. Il punto di contatto tra Brahms e la cerchia di musicisti neoclassici
di Lipsia, formatasi attorno alle personalità di Mendelssohn e di Schumann,
fu un violinista di origine ungherese, Joseph Joachim. Grazie a lui, il giovane
Brahms fu introdotto in casa Schumann, a Düsseldorf, un incontro destinato
a lasciare un’impronta profonda sulla musica tedesca del secondo Ottocento. I
rapporti tra Joachim e Brahms si svilupparono nel corso degli anni in un dialogo musicale e spirituale sempre più intenso, culminato nel 1878 con la collaborazione al Concerto per violino in re maggiore. L’arte del violino s’incarnava
nella mente di Brahms con la figura dell’amico, l’interprete più congeniale per
la sua scrittura strumentale, che scava nell’anima della forma. Un’appendice
preziosa del Concerto fu la Sonata per violino n.1, concepita con slancio primaverile nella luminosa tonalità di sol maggiore. Purtroppo i rapporti personali
tra i due artisti s’incrinarono, a causa della penosa vicenda della separazione di
Joachim. Brahms, che aveva cercato di difendere le ragioni della moglie, soffrì
molto per la reazione collerica del violinista, perché perdeva non solo un amico
fraterno, ma anche una sorta di alter ego spirituale. A distanza di qualche anno,
raffreddatisi gli animi, Brahms cercò di mandare dei segnali di riconciliazione
al vecchio amico, tornando a scrivere una serie di lavori dedicati al violino, tra
i quali le due Sonate op. 100 e op. 108. Conclusa con la Quarta Sinfonia la fase
“titanica” della sua produzione, Brahms si rivolgeva di nuovo alla dimensione
intima della musica da camera. Nel corso di un fruttuoso soggiorno sul lago
di Thun, in Svizzera, l’estate del 1886 vide venire alla luce una magnifica serie
di lavori di musica strumentale e vocale. La Sonata in la maggiore, in particolare, spirava una grazia melodica incomparabile, che rendeva trasparente e
leggera la scrittura dei due strumenti. La forma classica in tre movimenti, con
un “Andante tranquillo” al centro, disegna un percorso illuminato da una luce
serena e accompagnato da un lirismo irresistibile. Nessuno dei tre movimenti
esprime contrasti drammatici o tensioni laceranti, tendendo piuttosto a fondere
il materiale tematico con l’effusione melodica. La Sonata in la maggiore era la
preferita di Clara Schumann, che confessa in una lettera: «Nessuna opera di
Johannes mi ha conquistato così completamente. Ne sono stata felice, come non
lo ero più stata da molto tempo».
Francis Poulenc
(Parigi 1899 - 1963)
Sonata per violino e pianoforte op. 119 (ca. 13’)
I. Allegro con fuoco II. Intermezzo III. Presto tragico
l Anno di composizione: 1942/43, rev. 1949
l Prima esecuzione: Parigi, 21 giugno 1943
«Come sono belle le Sonate di Brahms! – scrive Poulenc a un amico nell’ottobre
del 1942 – Non le conosco molto bene. Non si riesce a ottenere un equilibrio
appropriato tra due strumenti così diversi come il pianoforte e il violino, a meno
di trattarli in maniera assolutamente paritaria. Il violino primadonna su un accompagnamento di pianoforte arpeggiante mi fa vomitare». Con un animo così
pieno di diffidenza, Poulenc stava finalmente portando a termine il progetto a
lungo coltivato, ma sempre alla fine rimandato, di scrivere una sonata per violino e pianoforte. I primi tentativi risalivano addirittura al 1918, ma il lavoro più
consistente era stato fatto a metà degli anni Trenta. Il tema dell’“Intermezzo”,
per esempio, si trova in un frammento musicale incluso in una lettera del 1935,
che rivela un legame messo in luce più tardi dallo stesso autore: «Avendo sempre desiderato dedicare un lavoro alla memoria di Lorca, [...] sono stato ispirato
da uno dei suoi più celebri versi, La chitarra fa piangere i sogni (anche tradotto
è bello)». La spinta decisiva a concludere il lavoro, il “monstre”, come lo definiva
Poulenc con la sua tipica ironia, fu però l’insistenza della giovane violinista Ginette Neveu, astro nascente della scena musicale francese scomparsa in un disastro aereo nel 1949 a soli 30 anni. Grazie anche al suo aiuto per certe innovazioni
tecniche della scrittura, Poulenc riuscì a conferire al lavoro una forma accettabile, anche se non del tutto soddisfacente. La Sonata, pubblicata da Eschig nel
1944, venne infatti rimaneggiata nel 1949, con un nuovo finale più in sintonia con
la sensibilità dell’autore. Poulenc tuttavia rimase scettico sul risultato, visto che
regalò l’autografo alla nipote Brigitte Manceaux con le parole “non il migliore
dei miei lavori”.
Poulenc ripeteva spesso che la musica era il suo ritratto e la Sonata non manca
certo di lasciare traccia della movimentata vita interiore del musicista. Sparse
nei tre movimenti si trovano per esempio molte citazioni della musica propria e
di altri autori. Il secondo tema del primo movimento per esempio è tratto dalla
melodia dell’oboe che accompagna la stesura della lettera di Tat’jana nell’Eugenio Onegin di Čajkovskij, così come il tema principale viene da uno dei suoi
Trois Poèmes de Louise Lalanne, alias Guillaume Apollinaire. Il nodo più difficile da sciogliere era tuttavia il finale, a cui Poulenc aveva pensato di conferire
un’intonazione drammatica spezzando all’improvviso lo spirito vitale del dialogo
tra i due strumenti con una coda lenta e tragicamente solenne. Il progetto forse
non è del tutto riuscito, ma tuttavia la misconosciuta Sonata conserva un alone
di simpatia e di freschezza che la rende degna di figurare tra la parte più duratura della musica di Poulenc.
Karol Szymanowski
(Tymoszówka 1882 - Losanna 1937)
Mythes - Trois Poèmes op. 30 (ca. 21’)
1. La Fontaine d’Arethuse 2. Narcisse 3. Dryades et Pan
l Anno di composizione: 1915
l Anno di pubblicazione: 1921
Il trittico dei Mythes è uno dei primi frutti della collaborazione di Szymanowski
con il violinista Pawel Kochanski, uno dei grandi virtuosi prodotti dal mondo
ebraico della vecchia Russia. Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, Kochanski si rifugiò con la moglie Zofia presso la tenuta di famiglia di Szymanowski in Ucraina, dove il compositore era tornato a vivere dopo essere stato
scartato dal servizio militare. I due artisti si influenzarono a vicenda e dal loro
dialogo prese forma uno stile nuovo di scrittura per il duo violino pianoforte.
Szymanowski era un virtuoso di statura analoga a quella del collega e in quegli
anni stava mettendo a punto una scrittura pianistica molto originale, più audace
del cromatismo armonico di Skrjabin e più innovativa del colorismo timbrico di
Debussy. A contatto con il virtuosismo di Kochanski, Szymanowski intuì che il
timbro del violino poteva fondersi in maniera organica con la scrittura pianistica, conferendo a questa formazione delle prospettive del tutto nuove e diverse
dalla tradizione. I problemi stilistici s’innestavano inoltre nel risveglio di una
sensibilità poetica per il mondo classico e i suoi miti, che Szymanowski aveva
scoperto nel corso dei suoi viaggi in Italia e in Sicilia. Nella stessa estate del
1915, per esempio, nasceva anche un altro lavoro per pianoforte ispirato alle
forme artistiche della Grecia classica, Metopes op. 29. Mythes in origine non era
stato concepito come ciclo, all’inizio c’era semplicemente un pezzo intitolato “La
source enchantée”. La seconda e terza parte, “Narcisse” e “Dryades et Pan”,
furono aggiunte in un successivo momento, così come il primo pannello prese
il titolo “La fontaine d’Arethuse”. Szymanowski ci teneva a sottolineare che i
titoli si limitavano a evocare le suggestioni del mito e non avevano un valore
programmatico. L’unico forse a suggerire una sorta di scenario è “Dryades et
Pan”, laddove gli armonici del violino rappresentano esplicitamente, anche sulla
partitura, il suono del flauto del dio pastore. Il misterioso mormorio del bosco
nella notte estiva, il desiderio del fauno, l’ansiosa fuga delle ninfe trovano in
effetti una descrizione musicale abbastanza riconoscibile, che forse era il necessario contrappeso a una serie di attacchi di suono e altri procedimenti tecnici particolarmente arditi nella scrittura violinistica. Negli altri due pannelli,
invece, il rapporto tra il mito e l’espressione musicale è più sfumato. Aretusa e
Narciso sono due figure legate all’acqua. Szymanowski ha cercato di conferire a
ciascun episodio una tinta legata all’essenza poetica del mito. Nel primo il perpetuo flusso dell’acqua viene colto nell’indefinibile movimento ritmico dell’armonia, altrettanto inafferrabile del metro cangiante. In “Narcisse” invece gli
accordi del pianoforte ristagnano fin all’inizio, per trasmettere l’impressione di
una sospensione del tempo e per fissare l’immagine dell’efebo perduto nella contemplazione di se stesso.
Sergej Prokof’ev
(Soncovka 1891 - Mosca 1953)
Sonata in re maggiore per violino e pianoforte op. 94a (ca. 24’)
I. Moderato II. Presto III. Andante IV. Allegro con brio
l Anno di composizione: 1943/1944
l Prima esecuzione: Mosca, 17 giugno 1944
Subito dopo l’invasione dell’Unione Sovietica da parte delle truppe dell’Asse,
nel 1941, le autorità decisero di evacuare dalle città esposte ai combattimenti i
principali artisti del Paese. Prokof ’ev, come altri musicisti di primo piano, venne
trasferito nelle regioni interne, dove poteva continuare a svolgere il proprio lavoro. A Perm, una cittadina sicura nei Monti Urali, ricca di aziende belliche, venne scritta nel 1943 la Sonata per flauto op. 94, grazie a una lauta commissione
procurata a Prokof ’ev dal potente direttore del Muzfond, la cassaforte dell’Unione dei Compositori Sovietici, Levon Atomvyan, già suo assistente ed editore.
L’autore aveva concepito la Sonata in un arioso stile neoclassico, insaporito da
qualche piccante ruvidezza modernista nel ritmo e nell’armonia. In quel periodo
Prokof ’ev aveva anche conosciuto e iniziato a stimare un giovane violinista d’immenso talento, David Oistrakh, che l’anno successivo suggerì di preparare una
versione per violino della Sonata. La parte pianistica rimase intatta, mentre
quella del violino ebbe bisogno solo di qualche ritocco per adattarla meglio allo
strumento. I quattro movimenti del lavoro mettono in luce i caratteri tipici della
musica del Prokof ’ev maturo, attento a raggiungere un equilibrio tra chiarezza
formale e forza espressiva. La sua straordinaria vena melodica getta una luce
serena sul “Moderato” iniziale, colmo di un caldo e tenero intimismo. Lo “Scherzo” è giustamente famoso per la trama ritmica e trasparente della scrittura, con
una vena grottesca temperata dalla tinta arcaica del “Trio”. Il breve “Andante”
sembra quasi una reminiscenza del periodo parigino di Prokof ’ev, con quelle
tinte cariche di colore nell’armonia che ricordano il pianoforte di Debussy. Il
volto dell’autore forse si rivela in pieno nel potente “Finale”, ricco di forza e di
contrasti governati con mano ferma da una logica formale sempre vigile e attenta a non permettere agli umori a volte ironici, a volte pessimistici di scavalcare
i confini di un espressionismo ben calcolato.
Oreste Bossini
In duo: violino e pianoforte
La Titanomachia combattuta tra Zeus e Kronos per il predominio di Dei o
Titani sul mondo allora conosciuto, ha un particolare e curioso corrispettivo
musicale. Il campo di battaglia si presenta un po’ più intimo e meno sanguinoso
rispetto al modello della mitologia greca ed è quello della musica da camera.
Zeus e Kronos sono i due strumenti virtuosi per eccellenza, il pianoforte e il
violino.
La “strumentomachia” tra i due durò per secoli prima di arrivare ad una pace
e ad una parità di trattamento da parte dei compositori. Senza esclusione di
colpi, violino e pianoforte ebbero un’alternata supremazia dovuta a diversi
fattori storici, sociali e artistici.
Eppure l’idea di affiancare due soli strumenti per la performance musicale era
nata con le migliori intenzioni. Glareano all’interno del Dodecachordon, datato
1547, adottò il modello di studio del bicinium, termine coniato dal polacco Jan
z Lublina in un trattato che precedeva di sette anni quello del teorico svizzero.
Con questa espressione si intendeva definire una composizione didattica a due
voci, generalmente pensata per essere cantata o suonata da due studenti della
stessa età e capacità, piuttosto che da un allievo e da un insegnante. L’equilibrio
sembrava allora l’aspetto primario da mantenere nel giustapporre due esecutori,
i quali avrebbero dovuto avere medesimi oneri e onori.
Fino all’inizio del ‘600 questa pratica cameristica veniva infatti espressa tramite
strumenti considerati simili per natura sulla base del modo di emissione del
suono, dell’estensione e del materiale. Insospettabile seme della discordia fu
l’avvento di quello che è considerato cifra caratterizzante del periodo barocco:
il basso continuo. Nato con la monodia accompagnata, era costituito da una
linea di sostegno alla composizione che il continuista aveva il compito di
armonizzare con il proprio strumento, fosse esso liuto, tiorba, chitarra, arpa,
organo o clavicembalo. Quest’ultimo presto divenne il miglior servitore della
“causa violinistica”.
In Italia tra il 1610, data di edizione della Partitura delli concerti ecclesiastici...
con sei sonate per stromenti di Giovanni Paolo Cima, e il 1641, data
dell’apparizione delle Sonate a 1 2. 3. per il violino, o cornetto, fagotto,
chitarone, violoncino o simile altro istromento (Venezia 1641) di Giovanni
Battista Fontana, un gran numero di compositori scelse la Sonata per affiancare
a un solista (flauto dolce, cornetto, violino) il basso continuo.
Il duo nasce quindi principalmente legato a questa forma, e nelle diciture delle
varie opere che si susseguono poi nel Settecento di Veracini, Tartini, Nardini, e
tanti altri, il violino viene affiancato da un “basso numerato da eseguirsi
abitualmente sul cembalo”, come testimonia Arnaldo Bonaventura nella sua
Storia del violino, dei violinisti e della musica per violino. Qualcosa però sta
cambiando e proprio in Italia.
Alla corte dei Medici a Firenze, Bartolomeo Cristofori, tra prototipi e
sperimentazioni, crea uno strumento “di nuova invenzione”, come egli stesso lo
definisce, ovvero il gravicembalo col piano e col forte. Da quel momento l’ascesa
dello strumento - definito “fortepiano” prima e poi definitivamente pianoforte
- fu continua e inarrestabile: lo testimonia la sempre crescente importanza
conferitagli dai compositori.
Nel secondo Settecento abbiamo l’inequivocabile riprova del fatto che la
tastiera stia diventando sempre più protagonista nel panorama della musica
galante: nelle edizioni musicali le indicazioni dei due strumenti si ribaltano.
Sono di Joseph Haydn le Tre Sonate per il Clavicembalo o Forte Piano con un
Violino e Violoncello op. 57, pubblicate da Artaria. Nelle composizioni di
Wolfgang Amadeus Mozart, che per i due strumenti scrisse ben quarantacinque
numeri tra Variazioni e Sonate, oltre ad essere fissata la formula “Klavier und
Violine”, spesso l’arco è segnalato “ad libitum”. Con Beethoven l’ordine di
apparizione rimane il medesimo (la famosa sonata dedicata a Rudolph Kreutzer
è titolata Sonata per il Piano-forte ed un Violino obligato in uno stile molto
concertante quasi come d’un concerto), nonostante il trattamento dei due
strumenti cominci ad essere paritario. Se al grande maestro di Bonn va il
merito di aver iniziato a riconciliare i due colossi del panorama strumentale, a
Mendelssohn va quello di aver riportato il violino alla ribalta come solista
virtuoso nel suo famoso concerto dedicato a Ferdinand David. I grandi solisti si
impongono ed era già comparso sulle scene quello straordinario, affascinante
personaggio che fu Niccolò Paganini. Da quel momento le Sonate tornarono ad
essere “per Violino e Pianoforte” per rimanere poi tali nel corso del tempo.
Brahms, con esecutori come Clara Schumann e Jòzsef Joachim, non dovette
scegliere a chi conferire, se a Zeus o a Kronos, il ruolo dominante. Il duo
rimane nel repertorio anche del XX secolo (basti pensare a Prokofiev o a Ravel)
come esempio di una dialettica fondante il meraviglioso mondo che definiamo
“musica da camera”.
Creusa Suardi
Allieva del Conservatorio “G. Verdi” di Milano
Janine Jansen violino
La violinista olandese Janine Jansen ha studiato con Coosje Wijzenbeek e
Philipp Hirshhorn al Conservatorio di Utrecht, e si è diplomata “cum laude”
con Boris Belkin. Nel 2003 ha ricevuto il Premio del Ministero per la Cultura
olandese.
Star acclamata nel suo paese, ha velocemente conquistato i palcoscenici
internazionali. Nel 1997 ha debuttato al Concertgebouw di Amsterdam. Da
allora collabora con le maggiori orchestre del mondo. Nel 2014 è stata
“Featured Artist” ai BBC Proms con un’esibizione alla celebre “Last Night of
the Proms”. Nella stagione in corso Janine Jansen ritorna alla San Francisco
Symphony (Michael Tilson Thomas), Orchestre de Paris (Paavo Järvi), Royal
Stockholm (Sakari Oramo) e Rotterdam Philharmonic (Valery Gergiev). Con
la Royal Concertgebouw Orchestra ha suonato diretta da Andres OrozcoEstrada e da Vladimir Jurowski la prima mondiale del Concerto per violino
di Michel van der Aa. È stata inoltre protagonista di tournée con l’Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Sir Antonio Pappano, la London
Symphony Orchestra e Daniel Harding, l’Amsterdam Sinfonietta con le
Quattro Stagioni di Vivaldi, la Chamber Orchestra of Europe nel duplice ruolo
di solista e direttore. In recital ha suonato in una tournée europea con il
pianista Itamar Golan.
Appassionata camerista, ha fondato l’International Chamber Music Festival
di Utrecht.
Ha al suo attivo numerose registrazioni che hanno meritato numerosi premi
tra cui quattro Edison Klassiek Awards, tre ECHO Klassik, il Preis der
Deutschen Schallplattenkritik, NDR Musikpreis e, più recentemente, il
Premio Concertgebouw. Ha vinto inoltre il VSCD Klassieke Muziekprijs e il
Royal Philharmonic Society Award. Il suo ultimo CD comprende il Concerto
per violino n. 1 di Bartók con la London Symphony Orchestra e il Concerto di
Brahms con l’Orchestra di Santa Cecilia entrambe dirette da Pappano.
Suona il violino Stradiviari “Baron Deurbroucq” del 1727 gentilmente
prestatole dalla “Beare’s International Violin Society”.
È stata ospite della nostra Società nel 2008 e 2010.
Alexander Gavrylyuk pianoforte
Nato nel 1984, Alexander Gavrylyuk ha iniziato lo studio del pianoforte all’età
di sette anni e ha dato il suo primo concerto a nove anni. All’età di 13 anni si
trasferisce a Sydney dove ha vissuto fino al 2006. Nel 1999 ha vinto il primo
premio e la medaglia d’oro al Concorso Horowitz, nel 2000 il primo premio al
Concorso di Hamamatsu in Giappone e nel 2005 la medaglia d’oro e il premio
per la migliore esecuzione di un concerto classico alla Rubinstein International Masters Competition. Si è esibito con tutte le principali orchestre australiane e vi torna ogni anno per concerti e recital. Nel 2009 ha registrato dal vivo
tutti i Concerti di Prokof ’ev con Vladimir Ashkenazy e la Sydney Symphony.
Dopo il debutto nel 2010 torna ogni anno ad Amsterdam dove collabora stabilmente con la Royal Concertgebouw Orchestra. Ospite delle maggiori orchestre,
collabora con direttori quali Vladimir Ashkenazy, Herbert Blomstedt, Vladimir Fedoseyev, Valery Gergiev, Neeme Järvi, Vladimir Jurowski, Herbert
Soudant. Tra gli impegni recenti concerti con Valery Gergiev e la Filarmonica
di Rotterdam nell’ambito del Festival Gergiev, con Orchestre de la Suisse Romande, Cincinnati Symphony Orchestra, Gothenburg Symphony Orchestra,
Filarmonica di Strasburgo e l’Orchestra Hallé. È inoltre ospite regolare della
NHK Symphony e Seoul Philharmonic con concerti alla Suntory Hall e Tokyo
Opera City.
In recital è stato ospite del Musikverein a Vienna, Wigmore Hall a Londra,
Tonhalle a Zurigo, Victoria Hall a Ginevra e Sala Grande del Conservatorio
di Mosca.
Ha al suo attivo numerose registrazioni dedicate a Rachmaninov, Schumann,
Skrjabin, Musorgskij e Prokof ’ev. La più recente comprende le Variazioni Paganini di Brahms e opere di Liszt.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Prossimo concerto:
Martedì 29 novembre 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Quartetto di Cremona
Esecuzione integrale dei Quartetti di Mozart - V
Con il quinto concerto della serie giunge a conclusione anche l’Integrale dei
Quartetti di Mozart, che il Cremona ha iniziato nella scorsa stagione. In maniera
analoga a quello di Beethoven, anche il corpus di lavori di Mozart è stato esplorato
seguendo il percorso artistico dell’autore, dalle prove giovanili dei quartetti milanesi
agli ultimi, enigmatici lavori. Ignoriamo molti dettagli sulla composizione dei
Quartetti scritti di ritorno dal viaggio in Prussia del 1789, l’ultimo tour importante
della vita di Mozart, così come sul misterioso Quartetto “Hoffmeister”. Queste
lacune però rendono forse ancora più affascinanti le estreme propaggini dell’arte
di Mozart, lavori di passaggio verso uno stile sempre più depurato dalle scorie del
tempo e di bellezza quasi astratta.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24
20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - [email protected]