19/11/2016 - studio ducoli

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Sabato, 19 novembre 2016
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
Lussemburgo al test
della fuoriuscita dalla
black list
Detrazioni anche con bonifico incompleto
/ Alfio CISSELLO e Salvatore SANNA
/ Arianna ZENI
In linea generale, in presenza di attività estere di natura finanziaria o di
investimenti detenuti in “paradisi fiscali” senza la loro indicazione all’interno del quadro RW del modello
UNICO, la sanzione, ex art. 5 del DL
167/90, è raddoppiata, e diviene dal
6% al 30% degli importi non dichiarati.
Sono considerati paradisi fiscali gli
Stati o territori richiamati nei DM 4
maggio 1999 e 21 novembre 2001,
senza tenere conto delle limitazioni
ivi previste. In realtà, questo riferimento non risulta del tutto attuale, in
quanto ai sensi dell’art. 1 comma 143
della L. 208/2015, la lista contenuta
nel DM 21 novembre 2001 viene di
fatto sostituita dagli Stati e territori
individuati in base ai criteri di cui
all’art. 167 comma 4 del TUIR.
In questo contesto, si inserisce, poi, il
caso del Lussemburgo che, a seguito
della ratifica di un accordo con l’Italia sullo scambio di informazioni, è
stato espunto dalla black list citata
con decorrenza 23 dicembre 2014 (ex
DM 16 [...]
Con la circolare n. 43 di ieri, è arrivato il chiarimento dell’Amministrazione finanziaria che tutti attendevamo. Un’apertura inaspettata dopo
anni in cui è stata mantenuta una
posizione rigida in relazione a quali
modalità di pagamento consentissero di beneficiare della detrazione IRPEF del 36-50% per gli interventi
volti al recupero del patrimonio edilizio e della detrazione IRPEF/IRES
del 55-65% per quelli di riqualificazione energetica degli edifici.
Con un interpello un contribuente
ha chiesto se può fruire dell’agevolazione IRPEF di cui alla lett. d)
dell’art. 16-bis comma 1 del TUIR per
l’acquisto di box auto da destinare a
pertinenza della propria abitazione
nel caso in cui (come spesso accade
in sede di rogito notarile) il prezzo di
acquisto sia stato pagato con assegno.
L’art. 16-bis del TUIR non stabilisce
come debbano essere effettuati i pagamenti, ma l’art. 1 comma 3 del DM
41/98 prevede che il pagamento delle spese detraibili è disposto me-
Ammessi i pagamenti di acconti prima dell’atto notarile, in assenza di un
preliminare registrato
diante bonifico bancario dal quale risulti la causale, il codice fiscale del
beneficiario della detrazione e il numero di partita IVA ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il
bonifico è effettuato. In base a quanto
disposto dall’art. 4 del medesimo decreto, la detrazione non è riconosciuta in caso di effettuazione dei pagamenti con modalità diverse.
Tale disposizione è stata finora interpretata restrittivamente dall’Agenzia
delle Entrate, anche perché il pagamento delle spese detraibili mediante il bonifico bancario/postale è essenziale affinché le banche e le poste
possano applicare la ritenuta di acconto dell’8% ai sensi dell’art. 25 del
DL 78/2010. Nella ris. n. 55/2012, infatti, è stato affermato che in caso di non
completa compilazione del bonifico,
tale per cui non sia possibile operare
la suddetta ritenuta, la detrazione non
spetta, salvo che il pagamento mediante bonifico venga ripetuto correttamente.
Nella circ. n. 43/2016, quindi, “tale preclusione alla fruizione [...]
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IN EVIDENZA
Il valore della società è quello dei marchi posseduti
Decreto fiscale, i commercialisti scendono in piazza
Per il bonus del 65% le omissioni nel bonifico sono meramente
formali
Zucca ricca di proprietà nutrizionali e versatile in cucina
PAGINA 3
FISCO
Imponibilità IVA per i
fabbricati strumentali
ceduti non ultimati
/ Emanuele GRECO
L’immobile ceduto in corso di costruzione fa ancora parte del “circuito
produttivo” e, dunque, è estraneo al
regime di esenzione IVA previsto
dall’art. 10 [...]
PAGINA 4
ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Lussemburgo al test della fuoriuscita dalla black list
Possibile la sanzione al 3% per il quadro RW, ma resta il raddoppio dei termini di irrogazione delle
sanzioni
/ Alfio CISSELLO e Salvatore SANNA
In linea generale, in presenza di attività estere di natura finanziaria o di investimenti detenuti in “paradisi fiscali” senza la loro indicazione all’interno del quadro
RW del modello UNICO, la sanzione, ex art. 5 del DL
167/90, è raddoppiata, e diviene dal 6% al 30% degli importi non dichiarati.
Sono considerati paradisi fiscali gli Stati o territori richiamati nei DM 4 maggio 1999 e 21 novembre 2001,
senza tenere conto delle limitazioni ivi previste. In
realtà, questo riferimento non risulta del tutto attuale,
in quanto ai sensi dell’art. 1 comma 143 della L.
208/2015, la lista contenuta nel DM 21 novembre 2001
viene di fatto sostituita dagli Stati e territori individuati in base ai criteri di cui all’art. 167 comma 4 del TUIR.
In questo contesto, si inserisce, poi, il caso del Lussemburgo che, a seguito della ratifica di un accordo con
l’Italia sullo scambio di informazioni, è stato espunto
dalla black list citata con decorrenza 23 dicembre 2014
(ex DM 16 dicembre 2014).
Occorre quindi valutare la portata dell’art. 12 del DL
78/2009, per il quale gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti negli Stati o territori a fiscalità privilegiata in violazione della normativa in tema di
monitoraggio fiscale si presumono costituiti, salvo
prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione.
Oltre a ciò, sono raddoppiati i termini di notifica degli
atti di contestazione delle sanzioni di cui al DL 167/90
nonché degli avvisi di accertamento.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata impone di affermare che, qualora un soggetto abbia omesso
la dichiarazione o ne abbia presentata una infedele, e
detenga investimenti in un “paradiso fiscale” non
esposti nel quadro RW, la sanzione sia raddoppiata con
riferimento alla parte di reddito presunto ex art. 12 del
DL 78/2009, e non in rapporto alla totalità dell’imposta
che avrebbe dovuto essere dichiarata.
Nonostante il punto meriti una conferma giurisprudenziale, si ritiene che la presunzione non possa operare se, prima dell’inizio di un controllo, il contribuente abbia presentato il quadro RW, a prescindere dal fatto che si sia avvalso del ravvedimento e che siano o
meno spirati i relativi termini.
Per le violazioni commesse per la mancata indicazione nel quadro RW per investimenti in Lussemburgo
per gli anni fino al 2010, si può discutere sull’applicabilità del principio del favor rei previsto dall’art. 3 comma 3 del DLgs. 472/97, secondo il quale se la legge in
vigore al momento della violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni diverse, si applica la norma più
favorevole.
Eutekne.Info / Sabato, 19 novembre 2016
Un’interpretazione oltremodo formale della norma potrebbe indurre ad affermare che non possa applicarsi,
posto che la successione normativa non incide sul sistema sanzionatorio, ma su di un elemento che funge
da presupposto applicativo della sanzione dal 6% al
30% degli importi non indicati nel modulo RW.
Tuttavia, una diversa conclusione, tesa a valorizzare la
ratio sottesa all’intero art. 3 del DLgs. 472/97, pare più
coerente da un punto di vista logico e sistematico. Pertanto, non dovrebbe applicarsi il raddoppio delle sanzioni da RW.
Diverso è invece il coordinamento tra il principio del
favor rei ed il disposto del comma 2-ter dell’art. 12 del
DL 78/2009 secondo il quale, per le violazioni del quadro RW che riguardano investimenti e attività di natura finanziaria in paradisi fiscali, i termini di irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 20 del DLgs. 472/97 sono raddoppiati.
Infatti, il raddoppio dei termini di irrogazione delle
sanzioni rappresenta al più una sanzione impropria di
tipo procedimentale che non potrebbe essere soggetta
al principio del favor rei derivante dall’eliminazione
del Lussemburgo dalla black list. Ad avviso della sentenza della Cassazione 9 agosto 2016 n. 16728, poi, non
si può invocare il principio del favor rei (l’applicazione
del quale è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie) quando la norma riguarda i poteri di
accertamento dell’Ufficio, ad esempio in merito al termine per lo stesso.
Vale la decorrenza del DL 78/2009
Nondimeno, con riguardo alle annualità anteriori al
2008, vale la pena considerare anche il contrasto tra la
giurisprudenza e la prassi dell’Agenzia delle Entrate in
merito alla decorrenza delle novità normative introdotte dall’art. 12 del DL 78/2009.
Infatti, muovendo dal presupposto che il DL 78/2009 è
entrato in vigore il giorno 1° luglio 2009, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che il raddoppio dei termini non possa operare per le violazioni commesse prima di tale data; in altre parole, esso può trovare applicazione a partire dalle violazioni effettuate in occasione della compilazione del quadro RW relativo all’anno
2008, che avrebbe dovuto essere inviato entro il 30 settembre 2009 (cfr. C.T. Prov. Frosinone 1° gennaio 2016
n. 476/02/16; C.T. Prov. Lucca 18 luglio 2012 n. 103/4/12;
C.T. Prov. Milano 3 maggio 2013 n. 178/2/13 e 20 maggio 2014 n. 4753/12/14).
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FISCO
STUDIO DUCOLI
Detrazioni anche con bonifico incompleto
Ammessi i pagamenti di acconti prima dell’atto notarile, in assenza di un preliminare registrato
/ Arianna ZENI
Con la circolare n. 43 di ieri, è arrivato il chiarimento
dell’Amministrazione finanziaria che tutti attendevamo. Un’apertura inaspettata dopo anni in cui è stata
mantenuta una posizione rigida in relazione a quali
modalità di pagamento consentissero di beneficiare
della detrazione IRPEF del 36-50% per gli interventi
volti al recupero del patrimonio edilizio e della detrazione IRPEF/IRES del 55-65% per quelli di riqualificazione energetica degli edifici.
Con un interpello un contribuente ha chiesto se può
fruire dell’agevolazione IRPEF di cui alla lett. d) dell’art.
16-bis comma 1 del TUIR per l’acquisto di box auto da
destinare a pertinenza della propria abitazione nel caso in cui (come spesso accade in sede di rogito notarile) il prezzo di acquisto sia stato pagato con assegno.
L’art. 16-bis del TUIR non stabilisce come debbano essere effettuati i pagamenti, ma l’art. 1 comma 3 del DM
41/98 prevede che il pagamento delle spese detraibili è
disposto mediante bonifico bancario dal quale risulti la
causale, il codice fiscale del beneficiario della detrazione e il numero di partita IVA ovvero il codice fiscale
del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.
In base a quanto disposto dall’art. 4 del medesimo decreto, la detrazione non è riconosciuta in caso di effettuazione dei pagamenti con modalità diverse.
Tale disposizione è stata finora interpretata restrittivamente dall’Agenzia delle Entrate, anche perché il pagamento delle spese detraibili mediante il bonifico
bancario/postale è essenziale affinché le banche e le
poste possano applicare la ritenuta di acconto dell’8%
ai sensi dell’art. 25 del DL 78/2010. Nella ris. n. 55/2012,
infatti, è stato affermato che in caso di non completa
compilazione del bonifico, tale per cui non sia possibile operare la suddetta ritenuta, la detrazione non spetta, salvo che il pagamento mediante bonifico venga ripetuto correttamente.
Nella circ. n. 43/2016, quindi, “tale preclusione alla fruizione del beneficio fiscale, può però ritenersi superata
anche nei casi in cui non sia possibile ripetere il pagamento mediante bonifico qualora risulti comunque
soddisfatta la finalità della norma agevolativa, tesa alla corretta tassazione del reddito derivante dalla esecuzione delle opere di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica”.
In generale, secondo l’Amministrazione finanziaria, la
detrazione IRPEF per gli interventi di recupero edilizio
e quella IRPEF/IRES per la riqualificazione energetica
spettano anche se il bonifico è incompleto e non sia
stato possibile operare la ritenuta. In questo caso è necessario che il beneficiario dell’accredito (es. l’impresa
che ha eseguito i lavori di ristrutturazione) attesti nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio di aver riceEutekne.Info / Sabato, 19 novembre 2016
vuto le somme e di averle incluse nella contabilità
dell’impresa ai fini della loro concorrenza alla corretta
determinazione del suo reddito.
Un altro importante chiarimento riguarda la possibilità di detrarre le spese che sono state sostenute anteriormente al rogito notarile, seppur in assenza di un
contratto preliminare di vendita registrato.
In diverse occasioni l’Agenzia ha affermato che, nel
caso in cui l’atto definitivo di acquisto fosse stipulato
successivamente al versamento di eventuali acconti,
la detrazione d’imposta competeva in relazione ai pagamenti in acconto effettuati con bonifico, a condizione che vi fosse un compromesso di vendita regolarmente registrato dal quale risultasse la sussistenza del
vincolo pertinenziale tra l’edificio abitativo e il box (cfr.
ris. Agenzia delle Entrate n. 38/2008, circ. n. 55/2002, §
1 e Guida Agenzia delle Entrate marzo 2016).
Quindi, se mancava un preliminare di acquisto registrato, eventuali pagamenti effettuati con bonifico prima dell’atto notarile non erano ammessi in detrazione
(una piccola concessione da parte dell’Agenzia, nella
ris. n. 7/2011, riguarda la particolare ipotesi in cui il bonifico è effettuato nello stesso giorno in cui si stipula
l’atto, ma in un orario antecedente a quello della stipula stessa).
Ora, nella circ. n. 43/2016 in commento, superando i
precedenti chiarimenti, viene affermato che il beneficio fiscale è riconosciuto anche per i pagamenti effettuati prima ancora dell’atto notarile o in assenza di un
preliminare d’acquisto registrato che indichino il vincolo pertinenziale, ma a condizione che tale vincolo risulti costituito e riportato nel contratto prima della
presentazione della dichiarazione dei redditi nella
quale il contribuente si avvale della detrazione.
In generale, quindi, il promissario acquirente di un box
pertinenziale o di immobile facente parte di un edificio interamente ristrutturato (di cui all’art. 16-bis comma 3 del TUIR) o di un immobile sul quale intende effettuare i lavori di recupero del patrimonio edilizio, può
beneficiare della detrazione per gli importi versati in
acconto sull’acquisto dell’immobile o versati per i lavori di ristrutturazione a condizione che alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi (730 o UNICO, rileva la data di effettiva presentazione da parte
del contribuente della dichiarazione) siano stati registrati il preliminare di acquisto o il rogito.
Per fare un esempio, il contribuente può beneficiare
della detrazione IRPEF del 50% per le spese di ristrutturazione che ha sostenuto nel corso dell’anno 2016 per
un immobile che acquista nel 2017, ad esempio il 15 luglio 2017, la cui dichiarazione dei redditi (relativa
all’anno 2016) viene presentata il 20 settembre 2017.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Imponibilità IVA per i fabbricati strumentali ceduti
non ultimati
Elemento discriminante, secondo Cassazione ed Entrate, è l’uscita del bene dal “circuito produttivo”
/ Emanuele GRECO
L’immobile ceduto in corso di costruzione fa ancora
parte del “circuito produttivo” e, dunque, è estraneo al
regime di esenzione IVA previsto dall’art. 10 comma 1
n. 8- ter del DPR 633/72. Lo ha affermato la Corte di
Cassazione con sentenza n. 23499, depositata ieri, 18
novembre 2016.
Il principio, sebbene conforme a quanto affermato in
più occasioni dall’Agenzia delle Entrate, è di indubbio
interesse considerato che le disposizioni che regolano
le cessioni di fabbricati, ai fini delle imposte indirette,
non contemplano la fattispecie (peraltro frequentissima nel settore edilizio) delle cessioni di fabbricati in
corso di costruzione.
L’art. 10 comma 1 n. 8-ter del DPR 633/72 dispone il regime di esenzione IVA per le cessioni di fabbricati (o di
porzioni di fabbricato) strumentali “che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni”, fatta salva la possibilità di optare, a determinate condizioni, per l’applicazione dell’IVA (possibilità che non era riconosciuta
all’epoca dei fatti di causa).
Il tenore letterale della norma, come evidenziato anche nei motivi di ricorso della stessa sentenza n.
23499/2016, dovrebbe portare ad escludere i fabbricati
in corso di costruzione da ogni possibile “strumentalità” all’esercizio dell’impresa.
Purtuttavia, la norma in questione non è di certo esplicita.
La soluzione adottata dagli operatori, per la cessione di
immobili strumentali in corso di costruzione si fonda,
allora, da anni, sull’interpretazione dell’Agenzia delle
Entrate.
In base a quanto indicato con circolare 1° marzo 2007
n. 12 (§ 11), secondo l’Agenzia, si deve “ritenere che la
cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto
passivo d’imposta in un momento anteriore alla data
di ultimazione del medesimo (…) sia esclusa dall’ambito applicativo dei richiamati nn. 8-bis) e 8-ter) dell’art.
10 del DPR 633/72, trattandosi di un bene ancora nel
Eutekne.Info / Sabato, 19 novembre 2016
circuito produttivo, la cui cessione, pertanto, deve essere in ogni caso assoggettata ad IVA”. Il medesimo
concetto è replicato con la ris. 8 maggio 2007 n. 91 e
con la circ. 12 marzo 2010 n. 12 (risposta 3.9).
La questione allora si sposta sul momento di ultimazione, individuato (con la richiamata circ. 1° marzo
2007 n. 12; § 10) in quello in cui l’immobile è “idoneo ad
espletare la sua funzione ovvero ad essere destinato
all’uso”.
In definitiva, sulla base del dettato normativo e rifacendosi espressamente ai chiarimenti della prassi amministrativa, la Corte di Cassazione conferma l’esclusione dal regime di cui all’art. 10 comma 1 n. 8-ter del
DPR 633/72 (esenzione IVA e, ad oggi, imponibilità su
opzione), con conseguente imponibilità per obbligo,
per la cessione di un fabbricato strumentale non ultimato.
Ulteriore conferma, secondo i giudici di Cassazione,
sarebbe data dalla ratio stessa della norma che esclude dal regime di esenzione (e, oggi, di imponibilità su
opzione) le imprese costruttrici, per i primi 5 anni dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione.
In più, la tesi dell’imponibilità per obbligo per i fabbricati non ultimati risulterebbe giustificata, a contrariis,
dal fatto che è legittimo il regime di esenzione IVA per
l’immobile ceduto al “consumatore finale”, il quale
provvede in proprio ad ultimare il fabbricato stipulando un contratto di appalto per l’esecuzione dei lavori.
In quest’ultimo caso, secondo quanto affermato dalla
Cassazione, proprio l’uscita dal “circuito produttivo” e il
conseguente regime di esenzione IVA, determina l’assoggettamento dell’atto di cessione ad imposta di registro. Si tratta di un’indicazione che, seppur suffragata
dal principio di alternatività IVA-registro, non aveva
trovato spazio nelle circolari amministrative in materia, essendosi limitata l’Agenzia delle Entrate ad affermare che, nel caso di immobile in costruzione, “la cessione (…) deve essere in ogni caso assoggettata ad IVA”.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Il valore della società è quello dei marchi posseduti
Secondo la Cassazione, gli Uffici possono rettificare i prezzi di cessione delle quote assunti nel valore
nominale
/ Gianluca ODETTO
Con la sentenza n. 23498 depositata ieri, 18 novembre
2016, la Corte di Cassazione ha, di fatto, “avallato” gli
accertamenti con i quali l’Agenzia delle Entrate provvede a rettificare le plusvalenze derivanti da cessioni
di partecipazioni sulla base del presunto valore effettivo delle azioni o quote cedute, cassando con rinvio la
decisione della Commissione tributaria regionale della Toscana che aveva invece ritenuto legittima la cessione delle stesse partecipazioni al loro valore nominale.
Il caso riguarda la cessione, avvenuta nel 1998, delle
quote della srl che deteneva i marchi Enrico Coveri,
avvenuta al valore nominale di 99 milioni di lire, quando invece esistevano studi che valutavano i marchi
prima in 247 milioni di lire e perizie successive che
stimavano i valori degli stessi tra i 115 e i 215 milioni di
euro. Nelle due sentenze di merito erano state riconosciute le ragioni delle parti cedenti, secondo cui gli accertamenti operati si basavano su fatti (l’identificazione del valore dei marchi con quello della società) inidonei a fondare l’accertamento presuntivo di un maggior reddito.
Il contenuto della sentenza di Cassazione va invece
analizzato in modo più attento, in quanto da esso traspare una cesura netta tra le motivazioni più strettamente giuridiche, che si sono dimostrate a favore dei
soggetti cedenti, e quelle più di carattere “fattuale”, che
hanno invece indotto la Suprema Corte ad accogliere il
ricorso avanzato dall’Agenzia delle Entrate.
Per quanto riguarda la prima questione, la Cassazione
mette un punto fermo sul fatto che gli accertamenti
fondati sullo scostamento tra il valore effettivo dell’attività ceduta e il suo valore nominale non possono essere motivati né facendo riferimento all’antieconomicità dell’operazione, né facendo riferimento al valore
normale, né ancora invocando le disposizioni sul divieto di abuso del diritto. Per quanto riguarda, in particolare, il valore normale, la sentenza estende il contenuto dell’art. 5 comma 3 del DLgs. 147/2015 (che ha vietato il ricorso al valore normale per gli accertamenti
sulle cessioni di immobili e di aziende) anche alle cessioni di partecipazioni, ancorché per queste attività
non vi sia un “valore” tassabile ai fini dell’imposta di
registro.
È stato poi confermato che la difformità tra valore effettivo della partecipazione e corrispettivo dichiarato
in atto può avere, tutt’al più, natura di presunzione
Eutekne.Info / Sabato, 19 novembre 2016
semplice di “occultazione” di parte del corrispettivo (ai
fini, naturalmente, delle imposte sui redditi), la quale
deve necessariamente essere accompagnata da prove
più rigorose che supportino l’accertamento.
Colpita la sproporzione tra valori nominale e reale
Se da queste indicazioni poteva trasparire una conferma delle decisioni assunte nei primi due gradi di giudizio, in realtà la conclusione della sentenza è stata di
tenore del tutto diverso. È stato, infatti, stabilito:
- da una parte, che è legittimo assumere quale valore
della società quello dei marchi, visto che la srl ceduta
era una mera patent box dedicata allo sfruttamento di
questi beni immateriali;
- sotto un diverso profilo, che è legittimo stimare il valore assumendo anche quale parametro quello della
redditività futura della società (a sua volta sempre legato alle royalties ritratte per lo sfruttamento dei marchi);
- in definitiva, che la differenza abnorme tra il valore
nominale delle quote, assunto quale corrispettivo, e il
loro valore reale, “è capace di connotare quale irragionevole la condotta delle contribuenti e di fondare una
diversa valutazione del compendio indiziario in atti”.
Per quanto pare di cogliersi l’antieconomicità, fatta
uscire fuori dalla porta, ritorna dalla finestra sotto le
spoglie della “irragionevolezza”, la quale però dovrebbe
essere limitata ai casi nei quali esista “enorme discrepanza” o “differenza abnorme” (queste sono le parole
usate dalla sentenza) tra valore nominale e valore reale dell’attività ceduta.
Nell’attesa di valutare la nuova decisione della Commissione regionale, sono evidenti i rischi della sentenza per le cessioni ad un corrispettivo sensibilmente inferiore a quello di mercato, in special modo nei casi in
cui il valore della società coincide con quello delle attività sottostanti (ad esempio, società che hanno un unico immobile, o società che detengono una sola partecipazione) e le attività sottostanti sono state oggetto di
perizie di stima o valutazioni di parte (proprio per immobili e partecipazioni la presenza di perizie è molto
diffusa). Naturalmente, occorrerà valutare se questa linea giurisprudenziale sarà confermata, attesa la presenza di motivazioni giuridiche solide per sostenere
una posizione del tutto diversa.
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PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
Decreto fiscale, i commercialisti scendono in piazza
Il 14 dicembre a Roma la manifestazione contro i nuovi adempimenti, durante la quale verrà indetto il
primo sciopero di categoria
/ Savino GALLO
A quasi tre anni esatti dall’ultima volta, i commercialisti italiani torneranno a manifestare contro i provvedimenti legislativi varati da Governo e Parlamento. Ma
se allora era stato il Consiglio nazionale, ancorché
commissariato, ad organizzare la manifestazione contro l’eliminazione dell’equipollenza dei percorsi di accesso all’albo dei commercialisti e al registro dei revisori legali (si veda “Registro, il Governo si schiera con i
commercialisti” del 20 novembre 2013), questa volta
sono i sindacati di categoria a mobilitarsi, per protestare, manco a dirlo, contro i nuovi adempimenti contemplati dal decreto fiscale.
Su tutti, spesometro e liquidazione IVA a cadenza trimestrale, provvedimenti verso i quali sia il Consiglio
nazionale che i sindacati hanno espresso, a più riprese, la loro netta contrarietà, minacciando anche di
spingere il mondo delle partite IVA a scendere in piazza (si veda, tra gli altri, “Pronte le lettere per spingere le
partite IVA alla protesta” del 12 novembre).
Tutto inutile, almeno fino ad ora. Il Ddl. di conversione
in legge del DL 193/2016 è stato approvato due giorni fa
dalla Camera, con modifiche che non ne hanno cambiano la sostanza (quantomeno riguardo alla cadenza
dei suddetti adempimenti), e ora è passato all’esame
del Senato. Per questo, si è sentito il bisogno di qualcosa di più dei tanti comunicati stampa diffusi in questi
giorni: una manifestazione pubblica, appunto, durante
la quale verrà “proclamato il primo sciopero nazionale
della categoria dei commercialisti”.
Tanto si legge nella lettera aperta, pubblicata ieri, con
cui i sindacati danno appuntamento a tutti i commercialisti italiani per il 14 dicembre a Roma (il luogo verrà comunicato nei prossimi giorni). “Considerando gli
ultimi provvedimenti in materia fiscale – si legge nella missiva firmata da ADC, AIDC, ANC, ANDOC, UNAGRACO, UNGDCEC e UNICO –, è senza dubbio profonda la delusione della nostra categoria nei confronti di
misure che non solo disattendono le numerose e continue promesse di semplificazione, ma addirittura contribuiscono a complicare ulteriormente il funzionamento del sistema fiscale del Paese”.
In questo contesto, la voce dei commercialisti “non può
rischiare di rimanere inascoltata”. Di qui, l’idea della
Eutekne.Info / Sabato, 19 novembre 2016
manifestazione pubblica, alla quale sono invitati a
prendere parte anche i rappresentanti della politica e i
vertici istituzionali di categoria. Perché si tratta di
un’iniziativa che può costituire “un momento fondamentale per tutti i commercialisti”, un’occasione per
“dare prova di esserci per contare”, opponendosi con
forza a provvedimenti che “penalizzano la categoria
sotto molteplici aspetti, da quello delle competenze a
quello delle responsabilità”.
Già, perché oltre agli otto nuovi adempimenti, il decreto fiscale porta in dote anche l’allargamento delle competenze dei tributaristi, con la contestuale “erosione”
di quelle dei professionisti iscritti all’albo. Grazie a un
emendamento approvato dalle Commissioni Bilancio e
Finanze della Camera, infatti, viene prevista la possibilità per tali tipologie di soggetti di rappresentare i contribuenti dinanzi agli uffici finanziari senza la firma
autenticata dal notaio sulla procura speciale.
Inutile dire che anche questo provvedimento abbia suscitato le reazioni indignate delle associazioni sindacali (si veda “Più competenze per i tributaristi, sindacati non ci stanno” del 16 novembre). E pensare che
l’apertura verso i tributaristi poteva essere ben più ampia di quella che poi è effettivamente arrivata. Non è
un mistero che le associazioni dei tributaristi stiano
spingendo da tempo per avere la possibilità di rappresentare i contribuenti anche in fase di contenzioso.
E, in effetti, tale spinta aveva portato alla presentazione di un emendamento al decreto fiscale che andava
proprio in questa direzione. La misura, però, non vedeva tutti d’accordo, a cominciare dagli esponenti di
Scelta Civica verso Cittadini per l’Italia, rappresentati
in Commissione da Ignazio Abrignani, primo firmatario di un altro emendamento presentato sul punto e
poi approvato: “C’è stata una trattativa – spiega Abrignani a Eutekne.info – che ha portato al ritiro del primo emendamento e all’approvazione di uno molto più
semplice e lineare”.
Una misura che non accontenterà i commercialisti,
ma “rispetto alle alte richieste iniziali, siamo riusciti
quantomeno a trovare una forma di mediazione, che
lascia agli altri soggetti abilitati la rappresentanza nelle commissioni tributarie”.
/ 06
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Per il bonus del 65% le omissioni nel bonifico sono
meramente formali
Secondo C.T. Prov. di Verona prevale la sostanza sulla forma con operazioni regolarmente
documentate
/ Stefano SPINA
La detrazione per le spese di riqualificazione energetica degli edifici introdotta dai commi 344-349 dell’art. 1
della L. 27 dicembre 2006 n. 296 prevede, a fronte di interventi volti a migliorare l’efficienza energetica, una
detrazione di imposta, attualmente pari al 65% della
somma spesa, da ripartire in dieci rate annue di pari
importo.
Per poterne usufruire occorre effettuare gli interventi
rientranti nelle tipologie previste dai sopra citati commi, ovvero quelli per ridurre il fabbisogno primario annuo per il riscaldamento, per il miglioramento dell’isolamento termico, per l’installazione di pannelli solari
per la produzione di acqua calda, nonché per la sostituzione di impianti di riscaldamento.
A tale elenco si sono aggiunti, a partire dal 1° gennaio
2015, l’acquisto e la posa in opera di schermature solari e di impianti di climatizzazione invernale alimentati da biomasse combustibili e, a partire dal 1° gennaio
2016, i dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti di riscaldamento o di produzione
di acqua calda o climatizzazione delle unità abitative.
Possono usufruire della detrazione sia i possessori di
immobili, abitativi e non, a titolo di proprietà o di altro
diritto reale, quale uso, usufrutto, abitazione o superficie, che i detentori in forza di contratti ad effetti obbligatori (ad esempio locazione o comodato).
Contrariamente a quanto previsto per la detrazione per
il recupero del patrimonio edilizio, il beneficio spetta
anche ai soggetti titolari di reddito di impresa con
esclusione, secondo l’Agenzia delle Entrate, delle spese sostenute sugli immobili merce (ris. n. 303/2008) e
sugli immobili locati a terzi (ris. n. 340/2008).
Tali affermazioni non sono condivise dell’Associazione italiana dei dottori commercialisti la quale, con la
norma di comportamento n. 184 del 2012, ha affermato
la spettanza dell’agevolazione, fermi restando gli altri
requisiti, indipendentemente dal tipo di attività svolta
e, quindi, anche qualora lo stesso sia titolare di reddito
d’impresa e le unità siano destinate alla locazione.
La detrazione spetta invece per il conduttore titolare di
reddito di impresa.
Per poter usufruire della detrazione, l’Agenzia delle Entrate ha posto alcune condizioni molto stringenti, prima tra tutte l’obbligo, da parte di un tecnico abilitato
(salvi i casi di autocertificazione per l’installazione
delle tende solari e la sostituzione dei serramenti), di
asseverare (e riportare i dati sul sito dell’ENEA) la corrispondenza dell’intervento ai requisiti di riqualificazione energetica previsti dalle norme in esame.
Eutekne.Info / Sabato, 19 novembre 2016
Altro requisito posto in capo ai soggetti non titolari di
reddito di impresa è l’obbligo di effettuare il pagamento delle spese mediante bonifico bancario o postale dal
quale risulti la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione nonché il numero
di partita IVA ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.
Secondo l’Agenzia delle Entrate (ris. 7 giugno 2012 n.
55), in ragione della necessità di applicare la ritenuta
d’acconto ai sensi dell’art. 25 del DL 78/2010, attualmente prevista nella misura dell’8%, nel caso in cui nel
bonifico di pagamento non siano indicati la causale
del versamento (es. estremi della norma istitutiva della detrazione), il codice fiscale e la partita IVA dei soggetti interessati, l’agevolazione non spetta.
Su tale ultimo adempimento è intervenuta la Commissione tributaria provinciale di Verona la quale, con la
sentenza n. 283 depositata il 20 giugno 2016, ha ritenuto corretto l’operato di un contribuente il quale aveva
effettuato i pagamenti mediante la procedura di home
banking senza indicare i riferimenti normativi e il numero di partita IVA dell’impresa beneficiaria.
Non è impedito all’Erario il riscontro della regolarità
fiscale
Infatti, secondo i giudici, tale lacuna deve essere considerata “meramente formale” in quanto, se da un lato la
banca non ha potuto effettuare la ritenuta all’atto
dell’accredito del pagamento, dall’altro non è stato impedito all’Erario il riscontro della regolarità fiscale delle operazioni, “tutte regolarmente documentate”.
La sentenza, anche se non risulta particolarmente motivata, deve essere valutata positivamente per avere,
una volta tanto, fatto prevalere la sostanza (la regolarità della documentazione e l’adempimento delle varie
prescrizioni) sulla forma (la mancata indicazione della partita IVA e della causale del bonifico), “nel rispetto
della complessa procedura prevista”.
In tal senso, in riferimento alla detrazione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, si è espressa
la stessa Agenzia delle Entrate con la circ. n. 43/2016,
secondo cui la detrazione spetta anche quando il bonifico bancario risulta compilato in modo da non consentire l’effettuazione della ritenuta.
In tale situazione, secondo l’Agenzia, risulta sufficiente che il beneficiario dell’accredito attesti, tramite una
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di avere ricevuto tali somme.
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ECONOMIA & SOCIETÀ
STUDIO DUCOLI
Zucca ricca di proprietà nutrizionali e versatile in
cucina
Contiene betacarotene e fornisce un buon apporto di altre vitamine, fra le quali la vitamina C, sali
minerali e fibra alimentare
/ FONDAZIONE UMBERTO VERONESI
È la regina arancione della stagione fredda: la zucca
non solo diverte nel periodo di Halloween, ma è un ortaggio dotato di virtù che ne fanno una buona alleata
della tavola e della salute.
Proveniente dal continente americano, la zucca appartiene alla famiglia delle cucurbitacee, come i cocomeri,
le zucchine, i meloni e i cetrioli. Il periodo in cui la troviamo matura va di solito da settembre a febbraiomarzo.
E proprio il suo colore è un elemento che rivela forse la
più importante fra le proprietà nutrizionali, ovvero il
suo contenuto in betacarotene, un precursore della vitamina A, presente nella frutta e negli ortaggi gialli e
arancioni. Il betacarotene svolge diverse azioni utili
all’organismo, stimola il sistema immunitario, svolge
un’azione antiossidante, contrastando l’attività dei radicali liberi e i meccanismi di infiammazione alla base di varie patologie, cardiovascolari e tumorali.
Infine, secondo alcuni studi può stimolare un’azione
detossificante nel fegato.
La zucca, inoltre, fornisce un buon apporto di altre vitamine, fra le quali la vitamina C, particolarmente preziosa durante i mesi freddi, sali minerali come ferro,
calcio e potassio, fibra alimentare, essenziale per il
buon funzionamento dell’intestino. Il tutto con molta
acqua e pochissime calorie.
Ecco l’identikit di 100 grammi di zucca gialla, secondo
le tabelle di composizione degli alimenti del CREA, il
Consiglio per la ricerca in agricoltura: ben 599 microgrammi di vitamina A (che soddisfano il fabbisogno
giornaliero per una donna), 9 milligrammi di vitamina
C, 40 milligrammi di fosforo, 20 milligrammi di calcio e
appena 18 kcalorie.
In cucina un punto a favore della zucca è senz’altro la
versatilità, che la rende adatta a minestroni, vellutate,
zuppe, per accompagnare pasta, riso e altri cereali, per
torte salate e dessert, frullati, semplice al forno, al vapore o bollita.
I semi di zucca hanno poche calorie e molto magnesio
In chiusura vale la pena di ricordare che anche i semi
di zucca sono una soluzione intelligente per snack,
spuntini e per arricchire insalate e aperitivi, con poche calorie e molto magnesio.
Si rimanda alla ricetta di Marco Bianchi “Bruschetta di
Halloween”, pubblicata sul sito della Fondazione al seguente link: http://www.fondazioneveronesi.it/toolsdella-salute/le-ricette-di-marco-bianchi/bruschettadi-halloween
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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