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25 novembre 2016 delle ore 12:05
Benvengano i premi. Ma le giurie?
nelle scelte. Come sempre in medio stat virtus!
Ludovico Pratesi
Le recenti vicende del Premio MAXXI e della Quadriennale fanno riflettere sulla presenza di giurati
stranieri chiamati a pronunciarsi su artisti che spesso non conoscono
Nell’Italia dei primi anni Duemila i premi per
l’arte contemporanea erano molti e importanti,
tanto da poter orientare la carriera di un artista
emergente. Il più prestigioso era il premio Furla,
curato da Chiara Bertola dal 2000 al 2015, con
una giuria internazionale di prestigio, composta
da artisti, direttori di musei e curatori di grido.
Anche l’Italian Studio Program P.S.1,
promosso da Giulio di Gropello dal 1998 al
2004, aveva giurie di tutto rispetto, composte
da curatori di ottimo livello, mentre per quanto
riguarda il premio Terna, curato da Gianluca
Marziani e Cristiana Collu per sei edizioni, dal
2008 al 2013, le giurie erano composte da varie
figure professionali, tra le quali noti
collezionisti come Patrizia Sandretto Re
Rebaudengo. Nel 2000 nasce anche il premio
MAXXI per la giovane arte italiana, con giurie
rigorosamente di addetti ai lavori (direttori di
museo e curatori) fino alle ultime edizioni, che
vedono in giuria anche artisti del calibro di
Luigi Ontani e Giuseppe Penone, ai quali si è
aggiunto, nell’edizione 2016, anche un regista
interessato al contemporaneo come Matteo
Garrone. In questi anni i premi si sono
moltiplicati e per fortuna alcuni puntano sulla
nostra arte: nel 2000 è nato il premio Cairo,
curato da Michele Bonuomo (direttore di Arte
Mondadori ) e dotato di una giuria tutta italiana,
dove figurano anche direttori di musei come
Gianfranco Maraniello e Andrea Viliani e
personalità legate al mondo delle aste come
Claudia Dweck, chairman di Sotheby’s. Altro
premio che punta sull’arte tricolore è il premio
Fondazione VAF (ex premio Agenore Fabbri)
promosso da Volker W. Feierabend, per giovani
artisti italiani under 40, con una giuria composta
da direttori di musei tedeschi, che quest’anno
ha premiato Valerio Rocco Orlando.
In una scena così composita, è lecito porsi la
domanda: esiste una formula perfetta per
comporre una giuria prestigiosa ma soprattutto
blindata, fuori da critiche e polemiche? E quali
requisiti deve avere per esprimere un risultato
incontestabile? Una questione che si pone in
questi giorni a proposito delle recenti
assegnazioni di due importanti premi pubblici,
come il premio MAXXI, vinto dal collettivo
Zapruder scelto da Hou Hanrou, Anna
Mattirolo, Adelina von Furstenberg, Helena
Kontova, Matteo Garrone e Francesco
Manacorda, e il premio Quadriennale, vinto da
Rossella Biscotti, insieme al premio Illy per
artisti emergenti assegnato ad Adelita Husni-
Bey, Entrambe le artiste sono state scelte da
Ferran Barenblit, direttore del Macba di
Barcellona, da Volker Feierabend, collezionista
e presidente della fondazione VAF, da Susanne
Pfeffer, direttrice del Fredericianum di Kassel
e da Carlo Bach, direttore artistico di Illy.
Fa riflettere il fatto che questo team - composto
quasi esclusivamente da stranieri - chiamati a
giudicare una mostra che riunisce ben 99 artisti,
abbia scelto di conferire il premio proprio alla
Biscotti: un artista di indubbia qualità, che però
non aveva bisogno dell’ennesimo riconoscimento
alla sua brillante carriera, per altro costellata di
premi italiani e internazionali (ne ha vinti ben
9, dal premio New York nel 2006, al premio
Maxxi nel 2010 fino al Mies van der Rohe nel
2013). Possiamo ipotizzare che la scelta sia
caduta su uno dei pochissimi nomi italiani
conosciuti all’estero, grazie alla partecipazione
di Biscotti alla Documenta di Kassel nel 2012,
alla Biennale di Venezia e di Istanbul nel 2013
e alla Manifesta nel 2012 a Ghent? Per queste
ragioni una giuria composta da stranieri
potrebbe aver preferito, a parità di qualità
dell’opera esposta in mostra, non rischiare su
un nome poco noto (o noto solo a livello
italiano) e puntare sul sicuro.
Che dire? Al di là della nostra esterofilia
istituzionale congenita (ed unica in Europa per
livello di diffusione) cominciata dalla metà
degli anni Novanta (nel 1995 fu nominato Jean
Clair, primo direttore arti visive della Biennale
di Venezia non italiano), sembra opportuno
suggerire per competizioni di questo genere di
istituire giurie miste, con la presenza di almeno
un paio di membri italiani di prestigio, che
possano avere la funzione di suggerire,
informare e mediare posizioni estere troppo
rigide. Per quanto riguarda la mia personale
esperienza, sia di giurato che di curatore di
premi, ricordo che nel nominare la giuria per la
Quadriennale del 1996 il Cda fece attenzione a
creare un equilibrio tra i due giurati stranieri,
Norman Rosenthal e Dan Cameron, e l’italiano
Giovanni Carandente, con un ottimo risultato,
dal momento che il primo premio fu assegnato
a Stefano Arienti. Stessa situazione per il
premio Artisti per Frescobaldi, giunto alla terza
edizione, che vede in giuria tre direttori di
museo, due stranieri e un italiano (nel 2016 sono
stati Massimiliano Gioni, Sam Keller e
Gianfranco Maraniello), proprio per evitare
posizioni troppo rigide e garantire un equilibrio
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