RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 21 novembre 2016

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 21 novembre 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
I sindacati criticano Benedetti: «Agita spauracchi contro il No» (M. Veneto, 3 articoli)
Ricetta elettronica, il Friuli non decolla (M. Veneto, 2 articoli)
Da Tolmezzo a Trieste le celle “scoppiano” (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 5)
Università, storico sorpasso: Udine ha più iscritti di Trieste (M. Veneto Udine, 2 articoli)
Legge di stabilità e pensioni, ecco i “Previdenza days” (M. Veneto Pordenone)
Violenze sulle donne, 200 Sos in un anno (Gazzettino Pordenone)
Cibi bio e più assistenza per i “nonni” di Muggia (Piccolo Trieste)
Provincia, gli ultimi 10 giorni. Resta l’incognita della sede (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
I sindacati criticano Benedetti: «Agita spauracchi contro il No» (M. Veneto)
di Maura Delle Case - «Vogliamo evitare strumentalizzazioni sulla pelle della Danieli». Hanno
lasciato sedimentare per qualche giorno le dichiarazioni choc dell’amministratore delegato,
Gianpietro Benedetti, sulle possibili conseguenze di una vittoria del No al referendum. Poi ieri
hanno rotto il silenzio. Rispondendo in modo perentorio all’ipotesi che Danieli abbia in serbo un
piano B in caso di fallimento della riforma costituzionale. Piano rispetto al quale i delegati Rsu
hanno tenuto a chiarire d’essere totalmente allo scuro. «Abbiamo chiesto più volte incontri con la
direzione aziendale senza mai essere presi in considerazione e oggi veniamo a sapere di questo
fantomatico piano B, che instilla incertezze e preoccupazioni sul futuro dei dipendenti. Chiediamo
maggior coinvolgimento degli organismi rappresentativi dei lavoratori e delle lavoratrici circa le
scelte industriali dell’azienda» hanno aggiunto i delegati. Preoccupati per le esternazioni dei vertici
aziendali al pari dei colleghi di Abs, riuniti in assemblea la scorsa settimana da Maurizio Balzarini
(Fiom) e Luigi Oddo (Uilm) per affrontare la rottura dell’unità sindacale sulla questione del tempo
tuta. Rottura causata dalla fuga in avanti della Fim, decisa ad affrontare la questione per vie legali
anziché al tavolo delle trattative. «I lavoratori – spiega Balzarini – hanno votato affinché il prossimo
6 dicembre, giorno per il quale l’azienda ci ha convocati al tavolo per verificare il premio di
risultato, ci sia anche la Fim e che in quell’occasione si fissi una data per discutere la questione del
premio. Questo non è il momento per rompere – aggiunge Balzarini –, dobbiamo tenere anzi una
posizione unitaria. Non ultimo alla luce delle dichiarazioni di Benedetti», che hanno avuto vasta eco
dentro e fuori l’universo Danieli. «Prima l’elettrodotto, ora il referendum. C’è sempre un motivo
buono per agitare spauracchi. L’unico piano B che la Danieli, assieme a tutto il nostro Paese, potrà
adottare, sarà quello di rispettare la Costituzione che le ha permesso, come del resto all’Italia, di
uscire dalle macerie del dopoguerra e diventare la realtà che siamo» ha detto dal canto suo il leader
regionale di Fiom Cgil, Gianpaolo Roccasalva, ribadendo il No al referendum. «Perchè? Semplice.
Riteniamo che la Costituzione, nata dalla Resistenza, debba essere difesa e applicata, non
stravolta». Ragioni che alle 18 di oggi sarà il segretario nazionale delle tute blu di Cgil, Maurizio
Landini, a spiegare in prima persona al teatro Palamostre.
Duello sul rerferendum tra Renzi e Landini
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«Solo un progetto di accentramento. I problemi restano» (Piccolo)
Franco Belci, ex segretario regionale della Cgil, è da tempo schierato per il No. Quali i motivi del
No? La riforma non mi sembra risolvere neanche uno dei problemi che erano sul tappeto ma,
viceversa, complica la vita da un punto di vista procedurale. Poi costituisce un progetto di
accentramento, abbinato per lo più all’Italicum: credo che il Paese non abbia bisogno di far sparire
le istituzioni intermedie come le Regioni ma occorra, al contrario, favorire la partecipazione. Per
quanto riguarda la specialità della Regione Friuli Venezia Giulia? La Regione formalmente non è in
discussione anche se ho letto l’opinione dell’ex segretario generale Bellarosa che prospetta invece
possibili scenari diversi. Comunque a oggi mi sembra che la specialità non sia in discussione, ma
quando spira il vento del centralismo non è che siamo sicuri per cinque anni. Sta toccando un punto
debole della politica regionale Pd.... Io ricordo ancora esponenti illustri del Pd, anche della Regione,
che parlavano di macroregione. Per quanto riguarda i senatori scelti in Consiglio regionale, si
tratterebbe di un doppio mandato? Questo è un grande pasticcio perché in realtà non
rappresenteranno il territorio. Perché? Saranno senza vincolo di mandato e con quella formulazione
della quale non si capisce niente se non che saranno eletti tenendo conto delle espressioni di voto
del popolo, partitiche e non territoriali: avremo un duplicato della Camera dei deputati, i senatoriconsiglieri risponderanno ai propri partiti con il rischio di avere una maggioranza alla Camera
diversa da quella del Senato. Ma c’è qualche altro problema? Siccome i consiglieri-senatori
decadono man mano che si va a elezioni, questo potrebbe addirittura determinare un cambiamento
di maggioranza in corso d’opera al Senato. Superato il bicameralismo perfetto, cosa resta? Il
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Senato, secondo la riforma, interviene su nove, dieci materie con le stesse prerogative e i poteri
della Camera. Cosa succede se non c’è l’accordo? Una confusione totale: servono già
emendamenti.(m. man.)
Ricetta elettronica, il Friuli non decolla (M. Veneto)
di Elena Del Giudice - Terzultimi a livello nazionale per quota di ricette digitali, ovvero quelle
inviate direttamente alle farmacie senza utilizzare la tradizionale, e costosa, “ricetta rossa”. Un
pessimo risultato per il Friuli Venezia Giulia che si trova al 19° posto e una percentuale del 63,84%,
davanti solo alla Calabria (40,58%) e alla Provincia di Bolzano (12,57). Molto meglio di noi hanno
fatto la Campania, numero uno con il 90,15%, e a seguire il Molise (89,23), il Veneto (89,12), la
Sicilia (88,44) e via via le altre regioni. Per amore di giustizia va però detto che se è vero che il dato
medio regionale ci fa scivolare in fondo alla graduatoria, all’interno del Fvg ci sono Aziende
sanitarie decisamente sopra la media nazionale (78,32%). E’ il caso dell’Aas 5 Friuli occidentale,
che è arrivata all’81%, e dell’Asui di Trieste, al 79%. Benino anche Aas 3 Alto Friuli, con il 66%, e
la Aas 2 Bassa Friulana-Isontina al 67%. Chi abbassa la media fermandosi al 44% è l’Azienda
ospedaliero-universitaria di Udine. «La nostra posizione nella classifica nazionale non è ottimale
perché, e va ricordato, noi siamo partiti più tardi rispetto alle altre Regioni - sottolinea l’assessore
regionale alla Salute, Maria Sandra Telesca -. Nel momento in cui questa amministrazione ha
iniziato il proprio mandato, per quel che concerne la digitalizzazione della sanità eravamo molto
indietro. Poi ci sono stati diversi problemi tecnici che andavano risolti, penso alle connessioni
(assenti in diverse aree del Fvg), ma anche ai sistemi operativi utilizzati dai medici non sempre
compatibili con quelli della sanità regionale. Il percorso, si ricorderà, è comunque partito e il primo
passo è stata la creazione della rete dei medici di medicina generale e poi la connessione tra loro, le
farmacie e il sistema sanitario regionale. L’obiettivo era di arrivare al 90% di ricette digitali entro la
fine dell’anno, io spero ancora che ce la faremo». Intanto proprio partendo dai dati di Promofarma
(la società di servizi informatici di Federfarma) che pubblichiamo a corredo di questo articolo, la
direzione centrale della Salute ha fatto il punto con le Aziende nei giorni scorsi e ha invitato l’Asui
di Udine ad analizzare le ragioni di un tasso di adesione, da parte dei medici di medicina generale,
così basso. Alla domanda sulle eventuali “responsabilità” di Insiel, la società di informatica a
partecipazione pubblica, nei ritardi, l’assessore non risponde. «Certamente prima della fine
dell’anno faremo il punto anche con Insiel», assicura. Anche perché la dematerializzazione della
ricetta rossa non è l’unico progetto digitale in cui si stanno macinando ritardi. Chi invece ha fatto
fino in fondo, e per primo, il compito è il sistema delle farmacie «che hanno creduto fin dall’inizio
nella dematerializzazione delle ricette - come ha ricordato il presidente di Federfarma, Annarosa
Racca - dedicando tempo e risorse alla formazione del personale e agli adeguamenti tecnologici.
Nessun altro attore del servizio sanitario ha dimostrato la stessa massiccia apertura all’innovazione
digitale». Il passare dalla “carta” al virtuale, rappresenta un bel risparmio per il sistema pubblico,
visto che le “ricette rosse” sono merce preziosa e costosa (spesso sono state oggetto di furto e di
falsificazione). Con la prescrizione digitale tutto questo non avviene più. Il prossimo passaggio sarà
la prescrizione digitale di visite specialistiche e accertamenti diagnostici e l’eliminazione del
promemoria su carta bianca che il medico di famiglia ancora ci consegna, che riporta i dati
contenuti nella ricetta elettronica. Per i farmacisti arriverà anche il giorno in cui non staccheranno
più le fustelle dalle confezioni dei farmaci che consegneranno ai loro clienti. Una volta a regime la
ricetta digitale in tutto il Paese, ecco che sarà possibile farsi prescrivere i farmaci dal proprio
medico di famiglia di Tarvisio pur essendo in ferie in Sicilia, recarsi in una farmacia di Palermo ed
esibendo la sola tessera sanitaria, ritirare il medicinale e pagare il ticket, se dovuto.
Una famiglia su 6 rinuncia a curarsi
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Da Tolmezzo a Trieste le celle “scoppiano” (Piccolo)
di Lillo Montalto Monella - «Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni».
Quando si parla di (svilenti) condizioni detentive, si tende sempre a citare Fedor Dostoevskij. O
Brecht, o ancora Voltaire. Il concetto però è chiaro. Per verificare il grado di civiltà della regione
Friuli Venezia Giulia è necessario anche valutare lo stato di salute delle sue carceri. Parliamo nello
specifico di cinque istituti: Gorizia, Pordenone, Trieste, Tolmezzo e Udine. Ebbene, a voler
incrociare i numeri diffusi da associazione Antigone, dal dossier “Dentro o fuori” di OpenPolis e
dal Sindacato autonomo Polizia penitenziaria, si evince che le nostre prigioni non sono tra le più
sovraffollate d'Italia (Brescia, Como e Lodi guidano la classifica), ma non se la passano benissimo.
La regione potrebbe accogliere infatti un massimo di 476 detenuti, ma al momento ne sono presenti
619, con un tasso di affollamento del 130%. Una percentuale, questa, più alta rispetto a quella
nazionale, che grazie alle riforme degli ultimi anni è scesa dal 151% del 2010 al 108%. Nei cinque
penitenziari regionali, il Garante per le persone private della libertà rileva il sovraffollamento e le
condizioni della sezione per detenuti omosessuali a Gorizia, aperta ad agosto, come le principali
criticità da affrontare. «Lì ci sono tre detenuti che devono rimanere chiusi senza sorveglianza
perché non ci sono guardie. Il loro numero fa sì che non possano accedere ad alcun corso (il minimo
richiesto è di cinque persone) e siano costretti di fatto a passare le giornate isolati», denuncia il
Garante Pino Roveredo. Tradizionalmente il nostro sistema carcerario presenta come caratteristiche:
un’elevato tasso di persone in custodia cautelare, una preponderanza di detenuti condannati a pene
brevi rispetto alla media nazionale e un’alta percentuale di stranieri, commenta Alessio Scandurra
dell’associazione Antigone. A Trieste addirittura i detenuti stranieri (102) sono più della metà di
quelli totali (195). Secondo l’ultima rilevazione del 31 agosto, quando dietro le sbarre regionali si
contavano 143 persone in più rispetto al previsto, ben 161 erano i carcerati ancora in attesa di primo
giudizio. «Gli istituti con caratteristiche simili a quelli del Fvg sono i più difficili da gestire. C’è più
turnover dei detenuti e questo crea un grande carico di lavoro. Non solo in termini di
immatricolazioni, colloqui di primo ingresso e burocrazia annessa, ma anche a livello umano in
quanto il momento più difficile di tutta la detenzione è quello iniziale», fa notare Scandurra. Se
carceri ad alta volatilità come quelle nostrane sono dunque le più complesse da trattare, la
situazione è resa ancor più complicata dall’endemica mancanza di personale tra gli agenti di polizia
penitenziaria, i cui ranghi sono ridotti all’osso. La pianta organica prevista sarebbe di 598 unità,
stima il periodico mensile del Sappe, Polizia Penitenziaria, ma al momento se ne contano in servizio
solamente 497. A Gorizia, per sopperire alle mancanze di organico, i turni sfiorano le 16 ore
consecutive. «L’Italia, tuttavia, è tra i Paesi con il più basso numero di detenuti per agenti in Europa
- aggiunge Scandurra di Antigone -. Siamo una nazione ricca di divise ma povera di altri tipi di
figure». Nel sistema penitenziario italiano, infatti, il 90.1% dei dipendenti sono poliziotti, con un
rapporto di 1,5 agenti/detenuto. In Spagna, Paese dalla popolazione incarcerata simile, i poliziotti
sono la metà, con un rapporto agenti/detenuto di 3.6. In Inghilterra e Galles oltre il 30% del
personale è composto da professionisti senza distintivo. «Un’erogazione migliore dei servizi ad
altre figure professionali potrebbe rendere il meccanismo più efficiente - conclude Scandurra -. La
nostra modalità detentiva priva i detenuti di ogni autonomia e comporta un’elevata necessità di
personale». Già, perché il problema non si risolve solo con l’assunzione di più agenti, anche per
ovviare al tremendo stress psicologico che ha comportato l’aumento dei suicidi di agenti
penitenziari in Italia. In regione ci sono appena sei magistrati di sorveglianza a gestire le pratiche
che consentirebbero di alleggerire il sovraffollamento, mancano psicologi ed assistenti sociali.
Profili, questi, che consentirebbero di abbattere il tasso di recidiva di ex detenuti una volta in
libertà, che al momento veleggia oltre il 70% .
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CRONACHE LOCALI
Università, storico sorpasso: Udine ha più iscritti di Trieste (M. Veneto Udine)
di Giacomina Pellizzari L’università di Udine ha più iscritti di quella di Trieste. Lo storico sorpasso
si è concretizzato a quasi 40 anni dall’istituzione dell’ateneo friulano. La rilevazione al 4 ottobre
2016 riassunta nell’anagrafe nazionale degli studenti sul sito del ministero (Miur), non lascia ombra
di dubbio: a Udine gli iscritti all’anno accademico 2015/16 sono 15.266, a Trieste 14.970. Quelle
296 unità in più fanno la differenza. Assumono un significato storico, culturale e politico senza
precedenti. Un risultato che farà fare un balzo nella tomba anche a Tarcisio Petracco, uno dei padri
dell’ateneo friulano che sulle macerie del terremoto, completò la raccolta delle firme che venne
allegata alla proposta di legge con la quale i friulani chiesero allo Stato l’istituzione dell’università
di Udine. Anche se temporalmente il sorpasso va imputato allo scorso anno accademico (2015/16),
il superamento è stato raggiunto a marzo, alla scadenza delle iscrizioni alle lauree magistrali.
Tenuto conto dei tempi tecnici per l’elaborazione e la trasmissione dei numeri a Roma, la tabella
aggiornata allo scorso 4 ottobre è pubblica da poche settimane. Conferma che dopo anni di testa a
testa, quando sembrava che Udine superasse Trieste ma poi mancava sempre l’ufficialità, il popolo
friulano ha raggiunto il suo obiettivo. Udine conta 13.218 iscritti ai quali vanno aggiunti i 946 a
Pordenone, 826 a Gorizia e 276 a Gemona. Il totale fa 15.266. A Trieste, invece, gli studenti sono
13.479 ai quali vanno sommati i 723 che frequentano i corsi a Gorizia, altrettanti a Portogruaro e 45
a Pordenone. Complessivamente l’ateneo giuliano non va oltre le 14.970 unità. Dopo anni di
inseguimento, il sorpasso viene ufficializzato nell’anno delle commemorazioni del quarantennale
del terremoto. Se si pensa che l’università di Udine è stata istituita con la legge della ricostruzione
post-sisma, la 548 dell’8 agosto 1977 (l’attività didattica è partito l’anno successivo), bisogna
riconoscere che il sorpasso non poteva verificarsi in un momento migliore. Oggi come allora,
l’università di Udine si conferma motore di sviluppo del territorio. Questo è sempre stato il motivo
per cui migliaia di studenti e di persone comuni si sono battute per l’istituzione dell’ateneo friulano.
E oggi, nell’aula magna di piazzale Kolbe, dove si svolge la cerimonia di inaugurazione del nuovo
anno accademico, questo dato non passerà inosservato. «Il fatto che a Udine le matricole continuino
a crescere, andando in controtendenza rispetto ad altre sedi del Nordest, fa sicuramente piacere
anche se il calo degli iscritti a Trieste non mi fa gioire. In un quadro regionale - commenta il
magnifico rettore Alberto Felice De Toni - sarebbe importante veder salire, in egual misura, tutti tre
gli atenei». De Toni che è anche segretario della Crui (Conferenza dei rettori), usa toni pacati nel
commentare il sorpasso perché sa bene che il calo delle risorse non consente a nessuno di trascurare
gli accordi interateneo. Udine e Trieste gestiscono in comune 20 corsi, tra lauree, dottorati di ricerca
e scuole di specializzazione. «È l’unico modo per mantenere l’offerta didattica» insiste De Toni
ammettendo però che da oggi, quando siederà al tavolo delle trattative, avrà un peso politico
maggiore. «Udine - conclude - è sempre stata la sorella minore di Trieste, ma ora li abbiamo
superati. Peccato che il risultato non viene valutato nell’assegnazione dei fondi che continuano a
calare».
I precari sono pronti alla protesta
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Legge di stabilità e pensioni, ecco i “Previdenza days” (M. Veneto Pordenone)
Sono in calendario per oggi e domani, promossi dalla Federazione Intesa del Friuli Venezia Giulia, i
primi “Previdenza days”, rispettivamente in tribunale e in Prefettura a Pordenone, dopo il successo
ottenuto a Trieste. Si svolgeranno secondo il modello dell’assemblea sindacale, aperta a tutti i
lavoratori. Come relatore è stato invitato il direttore generale del patronato Enasc, Luigi Rosa Teio,
che tratterà i seguenti temi: “Le nuove pensioni dopo la legge di stabilità: le novità previdenziali in
materia contributiva, i nuovi requisiti pensionistici, la buonuscita. La previdenza complementare”.
Seguirà il dibattito e l’esperto risponderà alle domande. A ogni lavoratore sarà poi data la possibilità
di fruire di una consulenza personalizzata e gratuita. Sarà sufficiente che porti in assemblea le copie
del documento di identità, dell’ultima busta paga, di eventuali decreti di ricongiunzione e/o riscatto
e i dati relativi ai periodi di maternità e di servizio militare. L’esito della consulenza sarà fornito ai
singoli lavoratori in occasione di una successiva assemblea.
Violenze sulle donne, 200 Sos in un anno (Gazzettino Pordenone)
Clelia Delponte - Dall'inizio dell'anno in Italia i femminicidi sono, a oggi, un centinaio. Una strage
continua, sotto i nostri occhi. Un fenomeno in crescita. Anche Pordenone non è immune, ci sono
Touria e Hiba e c'è Michela Baldo, solo per citare le ultime. Ferite ancora aperte che hanno scosso
la comunità tutta. Ma il femminicido è solo la punta dell'iceberg, l'atto finale, evidente e innegabile
di azioni violente, minacce e persecuzioni, che durano anni, i cui segnali sono spesso difficili da
leggere tra un no, tu non ci vai e un non vali niente o guarda come sei brutta. Nel 2015 sono state
200 le donne che in provincia di Pordenone si sono rivolte a Voce Donna (che ha sede a Pordenone
e ha 2 sportelli a Sacile e Maniago), nel 2016 fino al 31 ottobre sono state 140, di cui 95 italiane.
Nelle case protette sempre nel 2016 sono state accolte 14 donne, di cui 8 straniere e 6 italiane, con
15 bambini. Il trend dal 2014 al 2015 sia per quanto riguarda le richieste di aiuto che l'accoglienza
nelle case segna un +14%.
A fornire i dati è Maria De Stefano, presidente di Voce Donna (tel. 0434 21779), che lamenta: «In
Italia non c'è un osservatorio sulla violenza che raccolga i dati, quelli che abbiamo a livello
nazionale sono forniti dalla Casa delle Donne di Bologna che si basa sulle notizie uscite sui media.
Raccogliere i dati è fondamentale per conoscere un fenomeno e affrontarlo».
Chi sono le donne che si rivolgono a voi? «La violenza è un fenomeno trasversale che riguarda tutti.
Le donne che accogliamo sono di tutti i ceti sociali: disoccupate, operaie, impiegate, imprenditrici,
dirigenti La loro storia però è uguale per tutte».
Quali sono le tappe comuni? «La violenza psicologica (tra minacce di violenza e morte, umiliazioni,
anche davanti ai figli, denigrazioni, controllo, isolamento da amici e parenti, ritorsione sui figli e
sugli animali domestici, rottura di oggetti). La violenza fisica. Quella economica, dal controllo delle
spese e al conto corrente. E poi c'è la violenza assistita, da parte dei bambini che ha delle gravissime
conseguenze sul loro sviluppo psicofisico. Noi abbiamo un progetto specifico anche per loro, per
aiutarli a sanare i traumi».
Perché le donne hanno difficoltà a denunciare o separarsi?
«Perché vengono pesantemente minacciate. Hanno paura per sé e per i figli. Una donna è stata
aggredita dall'ex marito, mentre aveva in braccio la bambina. Le ha messo le mani al collo. Non so
come sarebbe finita se non fossero intervenuti i parenti. E a volte è la stessa famiglia di origine a
colpevolizzare la vittima».
Cosa possiamo fare? «Bisogna capire che la violenza sulle donne non è un fatto personale, ma
culturale. Bisogna partire da qui, come stiamo facendo con la Settimana contro la violenza sulle
donne.
Anche il Gazzettino aderisce e partiamo proprio oggi con gli interventi dei testimonial: uomini di
sport, cultura e legge, che dicono no alla violenza sulle donne. Inoltre oggi alle 17.30 al Ridotto del
Verdi c'è il convegno Violenza maschile sulle donne: la parola agli uomini. E alle 21 Cinemazero
propone Ti do i miei occhi.
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Cibi bio e più assistenza per i “nonni” di Muggia (Piccolo Trieste)
di Riccardo Tosques - «La casa di riposo comunale è da sempre riconosciuta come un vero fiore
all'occhiello in termini di servizi alla popolazione: siamo certi che i già ottimi riscontri fin qui
ottenuti non potranno che aumentare alla luce delle ulteriori migliorie introdotte per una cura e
tutela sempre crescente dei nostri “nonni”». È esultante Luca Gandini, assessore alle Politiche
sociali di Muggia. L'esponente della giunta Marzi commenta il nuovo attesissimo affidamento della
gestione e degli interventi di assistenza residenziale della Casa di riposo comunale di Muggia, la
struttura che ospita oltre 70 anziani e che vede impiegati circa una sessantina di operatori tra
infermieri, educatori, assistenti alla persona e personale prettamente amministrativo. La gestione
della struttura è stata affidata per un prezzo di 12 milioni 629 mila 929,48 euro (Iva esclusa) ad un
costituendo Rti di tipo verticale. La mandataria designata è il Consorzio regionale Welcoop con
varie consorziate esecutrici come mandatarie designate quali Cooperativa Itaca, Tps Assistenza Scs,
Idealservice, Domani Sereno Service e Camst. Nel nuovo appalto sono stati inseriti diversi punti
voluti per migliorare la qualità del servizio che copriranno diverse sfere. Per quanto riguarda
l’alimentazione, con l'approvazione dell'Azienda sanitaria universitaria integrata, vi sarà un
incremento degli alimenti biologici a chilometri zero nonché provenienti dal commercio equo e
solidale. Verranno aggiunte portate regionali tipiche ampliando dunque il menù a scelta degli ospiti.
Verranno installati inoltre dei distributori automatici di bottigliette d'acqua. Per quanto riguarda
invece le strutture esterne verrà acquistato un nuovo automezzo per il trasporto di anziani destinato
sia agli accompagnamenti a visite mediche, ma anche ai progetti di animazione. Per quanto
concerne gli ambienti è prevista la tinteggiatura delle pareti ed il rivestimento delle stesse del
refettorio, nonché la riqualificazione degli spazi “giardino”. Verrà poi acquistato uno schermo per il
proiettore e verrà creata una nuova illuminazione a controsoffitto. La rinnovata Casa di riposo vedrà
anche un rinnovamento tecnologico attraverso l'utilizzo di strumenti informatici (tablet e appositi
programmi) per favorire l'organizzazione del lavoro quotidiano di assistenza anche infermieristica.
«Abbiamo previsto una informatizzazione del servizio utilizzato dagli operatori, ad esempio con la
regolamentazione dei turni e delle prenotazioni dei servizi», puntualizza Gandini. L’ultima novità
riguarda il supporto psicologico agli anziani e alle loro famiglie con l'apertura di uno sportello di
ascolto e supporto per gli ospiti e per i loro familiari, l'organizzazione di laboratori di
invecchiamento attivo e un focus group a cura di uno psicologo. L'affidamento della gestione durerà
quattro anni ossia fino al 2020. «Ma è già previsto un ulteriore lotto opzionale di altri quattro anni
esercitabile dall'amministrazione comunale, qualora lo dovesse ritenere conveniente in termini di
efficienza ed efficacia, più un ulteriore periodo pari a massimo 6 mesi, esercitabile al termine del
contratto - sia del primo quadriennio sia del secondo in caso di rinnovo - quale proroga tecnica»,
puntualizza l'assessore Gandini. Durante questo periodo l’appaltatore sarà tenuto a proseguire la
gestione dei servizi alle medesime condizioni contrattuali ed economiche, qualora
l’amministrazione comunale non avesse ancora proceduto ad effettuare il nuovo affidamento.
«Siamo riusciti a garantire continuità sia in termini di servizio sia a livello di garanzie per i
lavoratori grazie alle importanti clausole sociali introdotte nella procedura», commenta l'assessore
Gandini, che ricorda come il piano di gestione abbia ottenuto il disco verde anche dai sindacati.
Infine un accenno al ruolo “sociale” della struttura. «La casa di riposo è da sempre un luogo aperto
al contatto con la cittadinanza - conclude -. Sono tante le iniziative che vengono svolte per far
mettere in sinergia soprattutto la parte più giovane della cittadinanza e quella più appunto più
anziana. Un collegamento intergenerazionale di cui andiamo orgogliosi».
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Provincia, gli ultimi 10 giorni. Resta l’incognita della sede (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Dieci giorni. Duecentoquaranta ore. E poi, tutto sarà finito. Enrico Gherghetta
lascerà il palazzo di corso Italia 55 e consegnerà le chiavi a Pierpaolo Martina, dirigente regionale.
La Regione, infatti, ha ufficializzato la nomina del commissario per l’amministrazione provvisoria
della Provincia che sarà in carica dal primo dicembre e, teoricamente, sino al 30 settembre 2017,
sempre che non intervenga la cessazione anticipata degli enti prevista dal disegno di legge 164 che
verrà discusso in Consiglio regionale nei prossimi giorni. Dunque, siamo agli sgoccioli. E
Gherghetta, una persona orgogliosa, lancia due messaggi: uno noto, l’altro nuovo. «Ribadisco che
chiudere le Province è stato un errore madornale. L’abbiamo dimostrato in mille salse che non si
risparmia un euro perché i dipendenti, giustamente, restano e vanno pagati». Peraltro, aggiungiamo
noi, con l’inquadramento regionale hanno anche una quattordicesima in più, e quindi maggiori
spese. «Hanno voluto chiudere un gioiello perché il nostro era un ente che funzionava, vicino alla
gente». Ma Gherghetta guarda avanti e si lamenta per il fatto che, morta la Provincia, si è deciso di
dare vita a due Unioni territoriali intercomunali (Uti), una nella sfera goriziana, l’altra in quella
monfalconese. «E questo è il secondo sbaglio. Questo territorio, che è già limitato per estensione,
doveva rimanere unito e non frazionarsi in due pezzi ancora più piccoli. Così, non si va da nessuna
parte. Comunque - dice il presidente “a tempo” - non ho alcuna tristezza, semplicemente mi
dispiace per il territorio. Nessuno riuscirà mai a convincermi della bontà di questa riforma». Ma
quali sono i nodi che dovrà affrontare il neocommissario? «Troverà poco da fare. Peraltro, dalle
notizie in mio possesso, potrebbe rimanere al lavoro per un solo mese con l’arrivo, dal primo
gennaio 2017, di un liquidatore. Per quanto riguarda me e la mia giunta, stiamo lavorando sino
all’ultimo. Abbiamo inaugurato i lavori sul San Michele (ne parliamo più diffusamente in altra parte
del giornale), il 25 novembre si procederà con il taglio del nastro dell’auditorium di Monfalcone, il
28 si riunirà il consiglio provinciale per l’approvazione del bilancio di assestamento e il 30 ci sarà
l’ultima riunione di giunta. Come potete ben vedere, non siamo con le mani in mano». Ma i veri
nodi da sciogliere riguardano l’aspetto “immobiliare”. «Siamo intenzionati a cedere in comodato
gratuito la casa per vacanze di Bagni di Lusnizza al Comune di Malborghetto. Nei prossimi giorni
affronteremo l’argomento». E il palazzo dei tre portoni che ospita, a tutt’oggi, la Provincia? «Ci
penserà il commissario straordinario. Così come dovrà affrontare la questione della futura proprietà
della annessa Villa Olivo e della sede della Questura di piazza Cavour. Credo che, alla fine, firmerà
un atto in cui trasferirà tutti questi beni alla Regione ma questa è una partita che non riguarda
l’attuale giunta in carica ancora per pochi giorni. Quel che, invece, faremo è la ripartizione dei
contributi che verranno assegnati, nei prossimi giorni, alle varie associazioni». Quanto al suo rientro
al lavoro, la nebbia si sta diradando. «Giovedì 24 sono stato convocato in direzione dall’Enel e in
quell’occasione chiariremo la mia destinanazione. Come potete ben vedere, sono stato
assolutamente coerente: ho detto che, dopo l’esperienza alla guida della Provincia, avrei ripreso la
mia occupazione. E così sarà. Altro che presidenza del Consorzio unificato industriale fra Gorizia e
Monfalcone. Quelle erano soltanto balle», conclude il presidente della Provincia. Ancora per poco.
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