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N.
3 autunno 2016
IL CUSNA
Giornale del CAI di reggio Emilia fondato nel 1951
Centenario di Cesare Battisti
Alpinismo Giovanile in Adamello
Meraviglioso Roche Faurio
www.caireggioemilia.it Trimestrale - Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004) n. 46 art. 1, comma 1, DCB - contiene I.P. [email protected]
1
Apertura di un conto corrente
a favore delle vittime del terremoto
del 24 agosto 2016
Il Presidente generale del Cai Vincenzo Torti, esprimendo il sincero cordoglio di tutto il Sodalizio per le
vittime e la piena solidarietà alle popolazioni colpite
dal terremoto, ha dichiarato: “Pur nella convinzione
che le popolazioni colpite sapranno reagire con le
capacità e la determinazione che le contraddistinguono, il Cai tutto deve sentirsi impegnato in una
solidarietà concreta e in una vicinanza, per quanto
possibile, anche operativa. Il conto immediatamente
aperto vuole essere una prima risposta a favore del
territorio e delle vittime”.
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2
EDITORIALE
Essere soci CAI non è solo un bollino e un tesserino da
mostrare per avere sconti, ma ci impegna come uomini
e come donne al rispetto reciproco, alla mutualità ed
all’aiuto, alla tutela dell’ambiente. Non esistiamo solo
noi e, anche quando siamo soli in montagna, siamo
consapevoli di essere parte dell’ambiente che ci circonda.
Pertanto il nostro Club, oggi come oggi, deve essere
sempre più presente e impegnato e, per far sì che questo
accada, deve chiedere il coinvolgimento di tutti.
Per aumentare questa consapevolezza nei nuovi soci e
per non perderli in futuro, il nostro impegno dovrà quindi
spostarsi ed elevarsi dal puro nozionismo ad un livello
culturale ben più alto. L’adesione al CAI non dovrà più
essere un semplice obbligo di iscrizione per svolgere
una determinata attività, ma dovrà diventare una scelta
responsabile per il nostro futuro. La nostra sezione
impegnerà istruttori, accompagnatori e collaboratori
(anche le forze strettamente di segreteria ed amministrative)
a far sì che la cultura e la storia del nostro Club siano
proiettate al futuro; coinvolgerà in modo significativo tutti
i soci, nuovi o datati che siano, in modo così da lasciare
un segno. Vorrei davvero che da fuori, senza tessera o
stemmi vari, fossimo riconoscibili, nel senso che chi ci
vedrà all’opera, notando il nostro comportamento, possa
dire: «Quelli sono del Cai». Allora sì che avremo fatto un
gran passo in avanti.
Carissime e carissimi amici
usciamo in questa fine estate con il secondo numero del
rinnovato Cusna, per riportare, dopo un agognato e
meritato periodo di riposo feriale, l’attenzione alle nuove
iniziative che la nostra sezione intende portare avanti, nel
rispetto dei principi ispiratori del nostro Club.
Mi preme però sottolineare e mettere in risalto, più che
snocciolare eventi e programmi futuri (che leggerete sul
sito e nelle varie forme di divulgazione) un aspetto che
ritengo di fondamentale importanza.
Mi sono sempre chiesto (domanda ricorrente anche nei
Presidenti che mi hanno preceduto ed è, pertanto, come la
scoperta dell’acqua calda) come mai ogni anno perdiamo
una buona fetta di soci, fortunatamente rimpiazzata da
nuove iscrizioni (con piacere posso affermare che ad
oggi abbiamo già superato la ragguardevole soglia dei
2000 iscritti).
Da istruttore ho sempre visto molti allievi che, terminato
il corso, si allontanavano dal CAI non rinnovando poi
il tesseramento. Mi davo, anzi, ci davamo la semplice
risposta: «Oggi come oggi, la gente morde e fugge
e quindi, dopo un corso di tennis o di tiro con l’arco,
ha voglia di provare anche qualche attività inerente
la montagna e così … si iscrive al CAI … solo perché
“obbligata” per partecipare a quel particolare corso».
Forse in ciò vi è anche una buona dose di verità, ma più
rifletto e più vedo passare i dati “dell’abbandono”; quale
presidente, comincio a ritenere che forse noi del CAI non
facciamo abbastanza per trasmettere ai neofiti quei valori
che, in cuor nostro, fortemente sentiamo ma che, di fronte
a loro, diamo per scontati. Ma non deve essere così.
Sono convinto che se cominciamo a mostrare chi siamo non
solo dal punto di vista tecnico, importante e fondamentale,
ma anche e soprattutto e specialmente nella scelta di vita,
avendo intimamente sposato quei principi che sono quasi
tutti racchiusi in un semplice articolo di legge (che riporto
in nota a piè di pagina e forse ai più sconosciuto), diamo
un diverso e più convincente segnale di coerenza.
Dobbiamo dimostrare che la cultura del CAI è sì, per
certi versi, settoriale e specifica (vedi corsi o serate a
tema), ma racchiude e comprende anche il nostro vivere
quotidiano. Vi siete mai soffermati a pensare al fatto che
se in città vediamo qualcuno che ci sembra in difficoltà lo
scrutiamo con aria sospettosa e, salvo casi davvero gravi,
poi “tiriamo dritto”, mentre ciò non accade in montagna?
Nelle terre alte, infatti, siamo sempre disponibili e se
scorgiamo un escursionista/alpinista chinato a guardare
gli scarponi o l’attrezzatura o una cartina, ci offriamo per
primi e chiediamo se ha bisogno di aiuto. Se notiamo
che qualcuno sta facendo qualcosa che non riteniamo
corretto, siamo pronti a fargli presente che così non va
e che potrebbe mettere se stesso o terzi in pericolo. Se
vediamo qualcuno che abbandona rifiuti, che raccoglie
fiori o strappa piante, che non rispetta i sentieri, che si
comporta male in un rifugio o in un bivacco, ci sentiamo
colpiti nel vivo e nel contempo tutori e controllori di
quell’ambiente che tanto amiamo.
Il Presidente
Massimo Bizzarri
L.91/1963
Riordinamento del Club alpino italiano
2. Il Club alpino italiano provvede, a favore sia dei
propri soci sia di altri, nell’ambito delle facoltà previste
dallo statuto, e con le modalità ivi stabilite:
a) alla realizzazione, alla manutenzione ed alla gestione
dei rifugi alpini e dei bivacchi d’alta quota di proprietà
del Club alpino italiano e delle singole sezioni, fissandone
i criteri ed i mezzi;
b) al tracciamento, alla realizzazione e alla manutenzione
di sentieri, opere alpine e attrezzature alpinistiche;
c) alla diffusione della frequentazione della montagna
e
all’organizzazione
di
iniziative
alpinistiche,
escursionistiche e speleologiche;
d) all’organizzazione ed alla gestione di corsi di
addestramento per le attività alpinistiche, sci-alpinistiche,
escursionistiche, speleologiche, naturalistiche;
e) alla formazione di istruttori necessari allo svolgimento
delle attività di cui alla lettera d);
f) all’organizzazione ed alla gestione, per conto delle
regioni, di corsi di preparazione professionale, ai sensi
dell’articolo 11 della legge 17 maggio 1983, n. 217, per
guida speleologica e di corsi di formazione professionale
per esperti e rilevatori del servizio valanghe;
g) all’organizzazione di idonee iniziative tecniche per la
vigilanza e la prevenzione degli infortuni nell’esercizio
delle attività alpinistiche, escursionistiche e speleologiche,
per il soccorso degli infortunati o dei pericolanti e per il
recupero dei caduti;
h) alla promozione di attività scientifiche e didattiche per
la conoscenza di ogni aspetto dell’ambiente montano;
i) alla promozione di ogni iniziativa idonea alla protezione
ed alla valorizzazione dell’ambiente montano nazionale.
3
SOMMARIO
N. 3 AUTUNNO 2016
Il CUSNA
03 - Editoriale
Direttore Responsabile: Alberto Fangareggi
Redazione: Sandra Boni - Marina Davolio
Ave Longagnani - Marco Paterlini
Redazione
Club Alpino Italiano - Sezione di Reggio Emilia
V.le dei Mille 32, 42121- Reggio Emilia
Tel. 0522 436685 - Fax 0522 430266
[email protected]
Proprietario
Club Alpino Italiano - Sezione di Reggio Emilia
Autorizzazione del Tribunale
di Reggio Emilia n.157 del Reg. Stampa in data 15-3-1963
L’abbonamento di 3 euro è stato riscosso con la quota sociale
1 numero  0,75 (IVA compresa)
Stampa: Nuova Futurgraf - Via Soglia, 1 - Reggio Emilia
tel. 0522 301861 - [email protected]
05 - Vita di Sezione
Il codice etico di comportamento per escursionisti.
Massimo Bizzarri e Elio Pelli
06 - Vita di Sezione
Notiziario Cusna a cura della Redazione
08 - Cultura
Prima Pagina Reggio e il Cai
Corrado Guerra
09 - Cultura
La libreria del bosco vecchio
“Casa d’altri” di Silvio D’Arzo
Marina Davolio
10 - Cultura
Ritratto di Cesare Battisti
Giuliano Cervi
12 - Cultura
Commemorazione di Cesare Battisti al rifugio
Alberto Fangareggi
Sezione Cai di Reggio Emilia
ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
13 - Cultura
Come è nato Il Sentiero Matilde
Sandra Boni e Daniele Canossini
Tutti i soci della Sezione sono convocati in Assemblea
per il giorno sabato 19 novembre 2016 alle ore
8.00 in prima convocazione e per il giorno lunedì
21 novembre 2016 ore 20.45 in seconda
convocazione, presso il Centro Mavarta di
Sant’Ilario d’Enza, Via Piave 2, con il seguente
14 - Escursionismo
Perchè un corso di escursionismo
Dario Vandelli
ORDINE DEL GIORNO
16 - Cultura
Il CAI collabora ad un progetto per il censimento del
patrimonio culturale dell’Emilia Romagna
Raffaele Frazzi
1) nomina del Presidente e Segretario
dell’Assemblea;
2) determinazione delle quote sociali
per l’anno 2017;
17 - Alpinismo
Il nuovo consiglio direttivo della Scuola Bismantova
Manuel Lugli
3) discussione e approvazione del bilancio
preventivo per l’anno 2017;
18 - Alpinismo
Meraviglioso Roche Faurio
Marco Paterlini
4) elezione del delegati sezionali;
5) varie ed eventuali.
19 - Alpinismo
Il Pizzo d’Uccello per la cresta di Nattapiana
Alberto Fangareggi
Si ringrazia l’amministrazione comunale di
Sant’Ilario d’Enza per la collaborazione.
20 - Escursionismo
Alpinismo Giovanile sull’alta Via dell’Adamello
Ragazzi dell’A.G.
22 - Cicloescursionismo
Lagorai, natura libera
Giovanni della Giustina
FOTO DI COPERTINA
“Monte Alto”, Caterina Bracci
Reggio E.: Via Roma 50/A - 42121 - Reggio E.
Tel: 0522.541700 - Fax: 0522.433688
Parma: Viale Piacenza 1/G - 43126 Parma
Tel: 0521.774001 - Fax: 0521.270215
4
Il Codice Etico di comportamento per escursionisti.
Pedoni, moto, mountain bike, cavalieri: possono convivere?
sempre si concilia con la tutela dell’ambiente. Circolare
su un fondo bagnato e fragile, pur essendo certi di non
violare il codice della strada, non significa non creare
danni all’ambiente. Questo, a modesto nostro parere, è il
vero obiettivo raggiunto con il Codice Etico: aver elevato
la tutela dell’ambiente al primo posto, a scapito quindi
degli interessi di categoria.
Perciò, la strada intrapresa dal CAI Reggiano è un progetto
pilota che se funzionerà, come ci auspichiamo tutti, potrà
essere esportato, ma per funzionare ogni associazione
firmataria deve impegnarsi a fondo per farlo accettare ai
propri associati. In gioco c’è la loro stessa credibilità e
autorevolezza. L’infortunio giornalistico, pur con le parziali
smentite e rettifiche, del presidente del CER che all’indomani
della firma del Codice Etico, ha rinfocolato le solite
polemiche verso il CAI in una intervista su una rivista per
motociclisti, non deve interrompere il percorso intrapreso.
Ciò nonostante e per dovere di cronaca, al fine di confutare
alcuni passi del predetto articolo, ci permettiamo alcune
brevi puntualizzazioni. Giaroli riferisce di avere certezza
di essere una spina nel fianco del CAI. Bene, possiamo dire
che, con l’impegno sottoscritto, la situazione è esattamente
ribaltata: sarà il CAI Reggiano ad essere il pungolo verso
i moto enduristi del CER/FMI per l’applicazione totale del
Codice Etico, denunciando e documentando con fotografie
ogni sforamento dei motociclisti indisciplinati sia agli stessi
dirigenti degli enduristi (ci è stato assicurato che tra loro
si conoscono tutti e che, dalla semplice indicazione della
moto o dei colori del casco, sono tutti riconoscibili) che ai
sindaci competenti del territorio interessato.
All’ulteriore dichiarazione di Giaroli sulla circostanza che
i motociclisti senza targa sono i veri alleati del CAI, non
possiamo che rispondere che al CAI non importa se si
muovono senza targa, specchietti o assicurazione (questo
è un problema di ordine pubblico e ci penseranno le
specifiche forze di polizia a farlo rispettare). Al nostro Club
preme il territorio e quindi, targa o non targa, il terreno
viene segnato dal passaggio delle moto e il segno non è
minore se fatto da mezzi regolarmente targati o assicurati.
Ma questo lo sanno anche gli enduristi……
Per tornare, infine, al nocciolo della questione, stabilito
che questo Codice non potrà mai diventare una legge, ma
rimanere un patto tra gentiluomini di un paese civile, tutti
dovremo vigilare su di un comportamento virtuoso in primo
luogo nostro e poi anche di ciclisti, cavalieri e enduristi:
senza questo reciproco impegno, vista l’impossibilità di
controlli continui e frequenti da parte delle forze dell’ordine,
incoraggeremmo una anarchia che nessuno vuole, ma che
sarebbe inevitabile, come è già successo in altre parti
d’Italia. Non ci aspettiamo che nel breve periodo tutti gli
escursionisti su ruote, su zoccoli e su scarponi diventino
immediatamente dei santi, ma la strada è questa e se
tutte le associazioni interverranno sui loro associati con
un’opera di educazione civile a lungo termine, il tempo ci
dirà se avevamo ragione o torto.
Domenica 10 luglio 2016 in occasione della festa
”Insieme naturalmente” organizzata dal Coordinamento
della Val Tassobbio, presieduto dalla signora Candida
Tommasi, alla presenza di tre sindaci e due assessori, in
rappresentanza dei comuni di Castelnovo Monti, Vetto,
Canossa, Casina e Carpineti e del vice presidente
nazionale della FMI (Federazione Motociclistica Italiana)
avv. Giovanni Copioli, del presidente del CER (Comitato
Escursionisti su Ruote) ing. Luca Giaroli, del presidente
della sezione del CAI Reggiano avv. Massimo Bizzarri e
del rappresentante della FISE (Federazione Italiana Sport
Equestri) Roberto Gasparini, è stato firmato il Codice
Etico di comportamento che impegna tutti gli escursionisti
in qualunque modo vadano per sentieri o carrarecce di
montagna della provincia di Reggio Emilia.
I principi generali che ispirano questo Codice recitano:
La passione, l’amore e il rispetto per l’ambiente
devono essere le linee guida per tutti gli
appassionati di sport all’aperto, qualunque
mezzo si usi, al di là dell’ossequio alle leggi.
Rispetto è la parola chiave della convivenza in
armonia, rispetto verso tutti e verso tutto vuol
dire educazione civile ed ambientale; vuol dire
no all’egoismo di parte, no alla prepotenza, no
all’ignoranza.
La massima indiana che recita:”Noi abbiamo ricevuto in
prestito la terra dai nostri figli e dobbiamo restituirgliela
migliore di come l’hanno lasciata i nostri padri a noi”, è
diventata il nostro motto. Con questa premessa va da sé
che tutti si devono impegnare per non arrecare alcun danno
all’ambiente, anzi, se è possibile, devono migliorarlo.
La parte di questo Codice Etico che riguarda i mezzi
motorizzati è molto vincolante; essa prevede, infatti, che
vengano riparati i danni provocati dal passaggio su terreni
fragili ed, eventualmente, che non vengano più percorsi;
inoltre invita al rispetto dei periodi di accoppiamento degli
animali selvatici. Prevede anche comportamenti virtuosi
nell’incrocio con pedoni e cavalli, come il dare sempre la
precedenza, fermandosi e spegnendo il motore.
Sono ben 17 i punti che riguardano i mezzi motorizzati,
ma il Codice Etico disciplina anche il comportamento di
pedoni, cavalieri e bikers. La visione completa di questo
Codice la si può leggere e scaricare sulla pagina internet
della sezione CAI reggiana. Non possiamo nascondere
che abbiamo avuto qualche critica e ci è stato rinfacciato
che non si fanno accordi con chi scorrazza con moto, ma
riteniamo che questa sia l’unica strada percorribile per una
convivenza pacifica e soprattutto, stando così le norme, per
il rispetto della natura. Questo Codice va oltre il rispetto
delle leggi, ove si equiparano sentieri e carraie alle altre
strade di pubblica percorrenza (come da sentenza TAR
Liguria). Quindi, che piaccia o no, i mezzi motorizzati
in regola con il codice della strada (targati, assicurati e
con regolari equipaggiamenti) possono andare su ogni
sentiero o mulattiera. Ebbene, con questo Codice Etico e
con un confronto sincero e cordiale tra le varie categorie,
siamo riusciti a far presente che la libera circolazione non
Il Vice Presidente
Elio Pelli
5
Il Presidente
Massimo Bizzarri
Notiziario Cusna
teresse, per la fioriture di numerose specie vegetali rare,
tra le quali le orchidee selvatiche”. Le bellissime giornate
hanno dato la possibilità ai partecipanti di cogliere appieno la grande bellezza della montagna reggiana e la
squisita ospitalità del Ginepro e dell’Ostello escursionistico di Crovara.
La Madonnina in cima al Cusna
La Madonnina è
ritornata in cima
al Cusna grazie al
lavoro di Umberto
Fontanesi e Giancarlo Piguzzi che
l’hanno recuperata
e riposizionata sul
suo piedistallo, rimediando così al
vandalismo e alla
stupidità di chi l’aveva rimossa. E’
tornata al suo posto
come immagine di
fede per chi crede
e segno della tradizione per tutti.
Nessuno strappa le
bandierine di preghiera sulle montagne himalayane! Ci auguriamo che,
nello stesso modo, nessuno voglia più distruggere quelli
che sono simboli di cultura e tradizione.
(fotografia di Rosanna Bandieri)
Il Comitato Scientifico scopre
incisioni su roccia
Scoperta interessante ed enigmatica nella Valle del Tassaro. Su una parete di arenaria lunga una decina di metri e
alta quattro, inclinata di circa 45°, sono state scoperte sette canalette, scolpite per tutta lunghezza nella roccia, per
una profondità di 10 centimetri per 10, quasi equidistanti
e intervallate da piccole conche artificiali che, probabilmente, servivano da gradini. La roccia incassante è costituita da arenaria a grana fine, compatta, che si immerge
in direzione ovest. Sulla superficie rocciosa, oltre alle solcature, sono anche state rilevate incisioni riconducibili a
piccole vasche, coppelle ed altri segni problematici da interpretare. Tutto intorno alla parete di arenaria che reca le
solcature, sono stati rilevati muretti a secco, allineamenti di
rocce ed altri elementi testimoniali che concorrono a manifestare il particolare interesse del sito. Il territorio è noto
per antichi terrazzamenti artificiali, ma questa scoperta, al
momento di difficilissima datazione per quanto riguarda
gli interventi umani, apre un nuovo capitolo della storia.
A cura del Comitato Scientifico del CAI sono state avviate
delle ricerche specialistiche, chiamando alcuni esperti per
poter giungere ad una migliore interpretazione di queste
enigmatiche sculture, che possono aprire nuovi interessanti scenari culturali nella media montagna reggiana.
Marco Confortola ospite del Cai
Reggio Emilia il 1 dicembre 2016
Guida alpina in giovanissima età e poi maestro di sci e
tecnico di Elisoccorso, Marco Confortola si affaccia al
mondo dell’Himalaya nel 2004 dopo aver effettuato esperienza sulle montagne di casa, Gruppo Ortles-Cevedale,
con varie discese di sci-estremo (ricordiamo la discesa
della Parete Nord dell’Ortles 3905 m) e vari concatenamenti in solitaria (ricordiamo uno dei suoi exploit: Parete
Nord di Ortles, Gran Zebrù, Monte Zebrù, Tresero tutto in
giornata). Salitore di ben 9 ottomila senza ossigeno Everest, K2, Lhotse, Makalu, Cho Oyu, Manaslu, Annapurna,
Broad Peak, Shisha Pangma e istallatore della Stazione
Meteo più alta al mondo al colle Sud dell’Everest, a ottomila metri di quota. Formatore per la scuola di formazione Tec Bosch, atleta nel progetto nazionale “Allenarsi
per il Futuro” e testimone di messaggi significativi per i
giovani. Sostiene che questi sono il futuro del mondo.
Comitato Scientifico di Padova
sulle nostre montagne
Nel maggio scorso il Comitato Scientifico del Cai di
Reggio Emilia ha accompagnato i colleghi del Comitato
Scientifico del Cai di Padova in diversi luoghi del nostro
Appennino, come la Pietra di Bismantova, la Rupe di Canossa, la Val Tassaro. “Particolare interesse - spiega Giuliano Cervi - hanno suscitato le colate laviche giurassiche
della Riserva Naturale Rupe di Campotrera, nei pressi
del Castello di Rossena. I numerosi geologi presenti le
hanno descritte come le più spettacolari in assoluto che
avessero mai osservato. Anche il sentiero Cai che percorre l’anello della Riserva Naturale ha destato molto in6
Notiziario Cusna
“La Pietra della salute”
montagnaterapia il 1 ottobre
2016 a Ginepreto
Ricordo di un amico scomparso
La Sezione reggiana del Cai e il Dipartimento di Salute Mentale Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Reggio
Emilia organizzano sabato 1 ottobre il convegno “La
Pietra della salute: esperienze di montagnaterapia”. L’iniziativa, che si svolge nell’ambito della Settimana della
salute mentale di Reggio Emilia, si terrà presso l’agriturismo Il Ginepro a Ginepreto di Castelnovo ne’ Monti
(RE), alle pendici della Pietra di Bismantova. Il convegno
è organizzato in collaborazione con il Parco Nazionale
dell’Appennino tosco-emiliano e la Cooperativa sociale Il
Ginepro. Alle 10.00 sono previsti i saluti di Enrico Bini,
sindaco di Castelnovo ne’ Monti, Massimo Bizzarri, presidente del Cai Reggio Emilia, e del sen. Fausto Giovanelli,
presidente del Parco Nazionale dell’Appennino toscoemiliano. Seguiranno le relazioni “Montagnaterapia, l’esperienza del Cai Reggio Emilia”, “Montagnaterapia, l’esperienza del Cai Parma”, “Sentieri di salute. Lo sguardo
oltre” (Massimo Galiazzo, referente di montagnaterapia
della Macrozona Veneto Friuli Venezia Giulia, e istruttore
Cai di arrampicata libera). Alle ore 12.15 sono previsti
gli interventi conclusivi di Gaddomaria Grassi, direttore
Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche
dell’Ausl Reggio Emilia e di Roberta Marchi, vicepresidente Cai Emilia-Romagna. Seguirà un rinfresco e dalle
14.00 alle 16.00 è in programma una escursione intorno
alla Pietra di Bismantova. La partecipazione è libera; per
motivi organizzativi si prega di segnalare la partecipazione a [email protected]
Info: Guido Zini (0522 335454).
Gli amici dello sci alpinismo di Febbio ricordano Renzo
Denti, recentemente scomparso, rievocando alcune sue
imprese sportive effettuate sui crinali del nostro Appennino, come l’itinerario che collega il passo del Cerreto all’Abetone, lungo il sentiero 00 che si snoda sullo spartiacque
appenninico. In inverno il percorso presenta passaggi difficili anche per uno sciatore esperto quale era Renzo. La
meta fu da lui raggiunta in quattro tappe con pernottamenti in rifugi o a fondovalle e risalite in cresta. Renzo è stato
tra i primi a scendere il canalino dell’Ipsilon, sul Monte
Cipolla, discesa allora considerata di sci estremo. Il suo
pane quotidiano erano, ovviamente, il Monte Prado, l’Alpe di Vallestrina e il Monte Cusna. Sosteneva sempre che
si poteva definire sciatore solo colui che raggiungeva le
vette con la fatica della risalita. Renzo non era solo l’uomo
della neve e dell’inverno. Nei periodi estivi lo si incontrava spesso tra i sentieri e i rifugi del nostro Appennino e
delle Alpi Apuane. E si spingeva ben oltre: attraversando i
monti a piedi, raggiungeva il mare. Alcune manifestazioni
sono legate al suo nome, come l’Alba sul Cusna. L’evento,
che si svolge nel mese di luglio, inizia con una festa al
Rifugio Battisti e vede i partecipanti raggiungere la vetta
del Monte Cusna in notturna, per attendere l’alba da un
punto di osservazione privilegiato. La sua presenza nei
rifugi, insieme agli amici di sempre, portava una ventata
di allegria che non si è ancora spenta. Per questo motivo,
il velo di tristezza sceso alla notizia della sua scomparsa,
deve sciogliersi come neve al sole. Il testo in ricordo di
Renzo Denti è di Emo Boni.
7
Notiziario Cusna
dimenticati i libri dedicati alle montagne dell’Ossola, tutto
meno che le solite guide, e il recentissimo “I 3900 delle
Alpi”, scritto con Erminio Ferrari e Marco Volken. Paleari
ha collaborato attivamente al giornale del Cai reggiano
“Il Cusna”. Il 14 dicembre presenterà a Reggio Emilia il
suo libro “Le montagne e il profumo del mosto” e il nuovo
romanzo “L’angelo che scese a piedi dal monte Rosa.
Alberto Paleari il 14 dicembre
2016 in una serata organizzata
dal Cai Reggio Emilia
Alberto Paleari è una delle più note guide alpine italiane. Di Gravellona Toce, paese tra il lago Maggiore e la
Valdossola, studi di filosofia alle spalle (quando c’era il
’68), per diversi anni titolare dell’azienda vinicola familiare, si è poi dedicato all’attività di guida alpina a tempo
pieno, con un ruolo importante come istruttore nei corsi
dell’Agai. Alpinista eclettico, ha però una grande passione per l’alpinismo classico di alto livello, possibilmente su
montagne bellissime ma poco conosciute e non facilmente
raggiungibili. Ha aperto numerose vie sulle Alpi, in particolare sulle Alpi Pennine e in Valdossola, sia su ghiaccio
che su roccia (tra cui si segnala l’imponente parete della
Pala di Gondo). Innumerevoli le ripetizioni sulle più impegnative pareti delle Alpi, con puntate nella Yosemite
Valley, in Mali e in Sud America. La sua attività di guida
lo porta non solo su tutto l’arco alpino, ma anche sulle
falesie dell’Italia meridionale e insulare, e sull’Appennino
reggiano.
All’attività di guida alpina Paleari affianca da anni con
successo quella di scrittore, e oggi la fama di scrittore
supera forse quella dell’alpinista. Numerosi sono i titoli al
suo attivo: guide sui generis, romanzi, raccolte di racconti. Dal primo suo libro “Il Viaggio di Oreste P” a “La casa
della contessa”, dal noir “Volevo solo amarti” al recente
e bellissimo “Le montagne e il profumo del mosto”, i libri di Paleari colpiscono per la qualità della scrittura, la
grande fantasia e l’ironia, che ne fanno uno scrittore unico nella letteratura di montagna italiana. Non vanno poi
Il Cai e la scuola
“La montagna nello zaino”
“La montagna nello zaino” è un progetto di educazione
ambientale e motoria che il club alpino italiano di Reggio Emilia propone per l’anno scolastico 2016-2017 alle
scuole reggiane, in particolare alle Scuole Secondarie di
I e II grado, a supporto della didattica svolta dagli insegnanti. Prevede attività di escursionismo di montagna
indirizzate al recupero della dimensione del camminare
nel rispetto dell’ambiente geografico, naturale, umano ed
anche (e soprattutto) nel rispetto di sé e degli altri. Con
“La montagna nello zaino” il Cai di Reggio Emilia, collaborando con le scuole nell’organizzazione e gestione di
semplici escursioni in totale sicurezza, vuole promuovere
una educazione ambientale basata sull’osservazione, sulla lettura e sulla comprensione dei luoghi e una educazione all’attività sportiva, non competitiva, in ambiente
naturale. “La montagna nello zaino” prevede itinerari a
particolare interesse storico, antropico e naturalistico, tutti
localizzati nell’Appennino reggiano (Fonti di Poiano, la
geologia tra Quattro Castella e Canossa, Monte Ventasso, Riserva Naturale Orientata Rupe di Campotrera, Valle
del Rio Tassaro, Valle Tassobbio). Il progetto è completamente gratuito. Solo il mezzo di trasporto, per raggiungere il punto di inizio dell’escursione e per il successivo
rientro, è a carico della scuola.
prima pagina reggio e il Cai
Eppure la rubrica conserva questo fascino di fermare
l’istante, farlo durare almeno fino alla puntata successiva,
gustarne la riflessione, condividerne progettazione,
impegno, risultati.
Prima Pagina Reggio ha aperto il suo mondo alle
escursioni, alle sollecitazioni, alle provocazioni del
mondo degli appassionati del Cai dedicando l’attenzione
che merita alla curiosità della scoperta, alla ricerca del
perchè delle cose.
Elementi comuni alla cronaca spicciola e quotidiana sia
di un giornale locale che nazionale.
Direi di più: elementi complementari, perchè il
quotidiano aggiorna, l’appuntamento settimanale del Cai
approfondisce e riflette.
L’obiettivo di Prima Pagina Reggio è quello di radicarsi tra
i portatori di passioni.
La curiosità è la prima che ci accomuna.
Ospitiamo una breve nota di Corrado Guerra, direttore di
Prima Pagina Reggio con cui il CAI ha un rapporto ormai
consolidato. Sono ormai più di 100 le pagine settimanali
pubblicate sul giornale che contribuiscono a far conoscre
la montagna e il CAI ad un pubblico vasto che va oltre gli
appassionati di montagna.
Difficile che un giornale faccia pubblicità ad un altro. Ma
non è stata comunque questa la molla che ci ha avvicinato,
ormai molti anni fa, prendendo il reciproco impegno di un
appuntanento costante, divulgativo e di approfondimento.
Prima Pagina Reggio e il Club Alpino Italiano continuano
a fare, nel migliore dei modi possibile, il loro mestiere.
Ma dialogano.
E aprono, vicendevolmente, il proprio mondo ai lettorifrequentatori dell’altro.
Lo fanno, salvo rarissime eccezioni, una volta la settimana
portando il rispetto per la montagna e la natura anche a
casa di chi su quelle montagne e in quei boschi non c’è
mai stato.
Per un quotidiano, che addirittura rincorre il mondo web
e l’istante che fugge, ospitare una rubrica settimanale è
quasi una sfida fuori dal tempo.
Corrado Guerra
direttore Prima Pagina Reggio
8
La Libreria del Bosco Vecchio
a cura di Marina Davolio
“Casa d’altri” di Silvio d’Arzo
Pensate a un paese remoto dell’Appennino, a una donna
di montagna e a un prete. Pensate a quei luoghi un tempo
abitati e oggi visitati o visti o recuperati. Pensate a quei
personaggi familiari che abitano i ricordi di lavoro, terra e fatica. Insomma, pensate alle cose semplici e reali.
Ecco. Se lo fate entrate in Casa d’altri, in un racconto denso di pathos e di semplicità. L’ha scritto Silvio D’Arzo, un
ragazzo nato a Reggio Emilia, nel lontano 1920, da Rosalinda Comparoni e da padre sconosciuto; il vero nome
è Ezio e il cognome quello della madre. Silvio D’Arzo
pertanto è un nome d’arte, un nome fittizio, uno dei tanti,
costruito attorno a una difficoltà relazionale, o esistenziale, se vogliamo dirla con parole moderne. Casa d’altri si
sbroglia nei luoghi che D’Arzo ha frequentato nel corso
dell’infanzia e che sono quelli di Cerreto Alpi, perché di
Cerreto era la mamma, donna volitiva e perspicace. Io
vedo in Montelice, il paese immaginario, o in Bobbio,
che geograficamente esiste ma in un altrove, l’Appennino
che conosco: «… attorno a me non c’erano che gole e
calanchi e più in là qualche pascolo e più in là ancora il
costone dei monti».
della. Ha una esistenza difficile e anche dubbia; in modo
veloce, pulito, infallibile vuole togliersi di mezzo, a fronte dell’insostenibilità della vita. Il prete, che ha faccia e
corporatura da Falstaff e veste nera svolazzante, proprio
come Don Camillo, è un uomo dai pensieri pratici e liberi
e dalle risposte a volte confuse. Tra lui e Zelinda si stabilisce un rapporto intimo che si carica di mistero quando,
a una cert’ora, «i calanchi e i boschi e i sentieri e i prati
dei pascoli si fanno color ruggine vecchia, e poi viola, e
poi blu: nel primo buio le donne se ne stanno a soffiar sui
fornelli chine sopra il gradino di casa, e i campanacci di
bronzo arrivano chiari lì giù fino al borgo. Le capre s’affacciano agli usci con degli occhi che sembrano i nostri».
«Un’assurda vecchia: un assurdo prete: tutta un’assurda storia da un soldo». Un racconto perfetto, come dice
Montale, che vale proprio la pena di leggere.
Silvio D’Arzo, Casa d’altri e altri racconti, Einaudi 2007
Montelice non esiste nemmeno per i pignoli (e un Bobbio
esiste solo nel piacentino). Anche Monterana non è un paese specifico, proprio come Montelice; forse è un paese
dell’Appennino che gli stessi pignoli di prima non sono in
grado di scovare (nel film era del parmense, ma soltanto
nel film). Sarebbe bello scoprire da quale luogo Guareschi è stato ispirato ma questa è un’altra storia di cui,
se vi va, possiamo parlare in altro momento. Comunque
Montelice di Casa d’altri e Monterana di Mondo Piccolo
sembrano i paesi più disgraziati dell’universo. «Sette case
addossate e nient’altro - scrive D’Arzo – più due strade
di sassi, un cortile che chiamano piazza, e uno stagno
e un canale, e montagne fin quanto ne vuoi. Che fanno
qui a Montelice? Vivono e basta e poi muoiono. Qui non
succede niente di niente. Gli uomini sono ai pascoli, le
donne a far legna qua e là, in strada una vecchia o una
capra o nemmeno quello. L’inverno viene presto, e dura
quasi mezzo anno. Non succede niente di niente. Solo
che nevica e piove e niente altro. E la gente, se ne sta
giù nelle stalle a guardare la pioggia e la neve. Come i
muli e le capre. Così.» Mentre di Monterana, Guareschi
scrive: «Quattro catapecchie di sasso e fango e una delle
quattro catapecchie era la chiesa, e la si distingueva dalle normali case perché aveva di fianco il campanile. Per
arrivare a Monterana bisognava, dopo un certo ponte,
abbandonare la strada provinciale e prendere una specie
di canalone sassoso che chiamavano mulattiera, ma che
un mulo non sarebbe mai riuscito a percorrere».
silvio d’arzo
casa d’altri
e altri racconti
Ma torniamo a Casa d’Altri. La donna di montagna, protagonista insieme al prete, è la vecchia Zelinda. È una
donna sola e stanca, che lava biancheria, stracci e bu-
einaudi
9
Ritratto di Cesare Battisti
di Giuliano Cervi
Ricorre quest’anno il centenario della morte di Cesare
Battisti, illustre figura di patriota che nel luglio 1916 fu
condannato a morte per “tradimento” all’Impero austroungarico. Alla sua persona è dedicato il rifugio della sezione reggiana del Club Alpino, situato in località “Lama
Lite”. La ricorrenza del centenario della scomparsa di Cesare Battisti ci induce a tracciare un ritratto di questa importante figura, che per molti aspetti è da considerarsi
assai attuale e molto vicina agli ideali del Club Alpino
Italiano. Cesare Battisti, infatti, non fu soltanto uno degli
ultimi patrioti “risorgimentali” ma uno studioso di notevole
importanza nel panorama delle scienze geografiche, che
proprio in quegli anni stavano chiaramente delineandosi
nei loro più innovativi contenuti. Per meglio comprendere
il Battisti occorre affrontare la sua famiglia e la sua base
educazionale: Cesare Battisti nacque il 4 febbraio 1875 in
una famiglia borghese di Trento. Il padre era riuscito a garantire un buon tenore di vita alla famiglia grazie a un’attività
commerciale. La madre, Teresa de’ Fogolari del Toldo, proveniva da una famiglia nobile di Rovereto, che aveva dato natali
anche al fratello Luigi Fogolari, patriota morto a causa di una
malattia contratta nelle carceri austriache. La formazione
“educativa familiare” di Battisti avvenne quindi tra le dirette testimonianze dell’epopea risorgimentale. Egualmente
significativo fu il suo percorso scolastico e universitario, che
dopo aver condotto gli studi presso il liceo classico di Trento
lo portò a laurearsi nella università di Firenze, con una tesi
di carattere geografico. Grazie all’incontro con l’illustre
geografo friulano Giovanni Marinelli, ai tempi professore
nell’ateneo fiorentino, si appassiona infatti alla geografia. Si laurea a pieni voti nel 1897 con una tesi intitolata
“Contributo alla geografia fisica e all’antropogeografia
del Trentino“ , che discusse proprio con Marinelli nel
1897; la tesi aveva come oggetto la geografia del Trentino e per la sua originalità di metodo e di contenuti verrà
pubblicata l’anno seguente dall’editore Zippel di Trento
con il titolo: “ Il Trentino, saggio di geografia fisica e di
antropogeografia”. Si tratta di uno dei primi studi monografici che riguardano una regione italiana, indagata sotto il profilo fisico-naturale, storico, statistico-economico e
demografico, per fornire un’immagine unitaria del territorio e rivendicarne un preciso carattere culturale. Successivamente agli studi universitari, si occupa di studi geografici e naturalistici: nel 1898 è infatti segretario del terzo
Congresso geografico italiano tenutosi a Firenze. Nello
stesso anno conosce il geologo Giovan Battista Trener e
assieme a lui fonda la rivista scientifica Tridentum. Pubblica inoltre alcune apprezzate Guide di Trento e di altri
centri della regione e l’importante volume ”Il Trentino”.
Tornato a Trento, Battisti si dedicò intensamente alla politica attiva, tralasciando in parte l’impegno verso la geografia e abbandonando una promettente carriera accademica. All’entrata in guerra dell’Italia, Cesare Battisti si arruolò
volontario negli alpini. Nominato sottotenente nel dicembre
dello stesso anno, partecipò a numerose azioni in prima linea,
ricevendo diverse decorazioni. Nel luglio del 1916, durante la
battaglia del Monte Corno, fu fatto prigioniero con Fabio Filzi
e immediatamente accusato di alto tradimento dagli austriaci.
Un processo sommario lo condannò a morte per impiccagione, sentenza eseguita a Trento il 12 luglio nel castello del Buon
Consiglio. È difficile delineare un efficace profilo scientifico-culturale di un personaggio come Battisti: il suo martirio lo fa entrare nel mito, rendendo difficile l’argomentazione sulla valenza
del suo messaggio culturale. Tuttavia, Battisti può considerarsi come l’antesignano di quel particolare settore della geografia, che potremmo definire “geografia umana”. La
sua opera fondamentale sul Trentino costituisce ancora
oggi un modello di riferimento per tutti gli studiosi che si
avvicinano ai grandi temi della conoscenza della cultura
alpina e dei processi insediativi d’altura. Per queste sue
caratteristiche, la figura di Cesare Battisti trova quindi
molti elementi di vicinanza con il Club Alpino Italiano,
che proprio anche in base a questi stessi intenti fondativi,
fu ufficialmente costituito nel 1863. Il Battisti, così come il
CAI delle “origini”, vedeva nelle montagne un grande laboratorio di conoscenza nel quale si concentravano i
complessi processi che su base umana e geografico-fisica
portarono gradualmente all’affermarsi dell’insediamento
umano. Le scienze geografiche sviluppate da Cesare Battisti erano quindi intese come autentiche chiavi di conoscenza, in grado di schiudere i complessi processi che
sono alla base della frequentazione delle Terre Alte. Leggendo le belle pagine della sua tesi, ritroviamo molte analogie con il linguaggio che dapprima il Sella e poi lo
Stoppani e, successivamente, la grande figura del Micheli tracciarono in altrettante importanti opere geografiche e
descrittive dei territori alpini ed appenninici. Su questo
innovativo approccio geografico, il Battisti innesta tuttavia
una chiara matrice “irredentistica”, poiché le sue opere
avevano anche l’intento di dimostrare, in base appunto ai
dati geografici, come il Trentino costituisse a tutti gli effetti un ambito territoriale che apparteneva all’Italia, comprendendo anche l’attuale Alto Adige. Il Trentino rappresentava in quel momento uno dei territori oggetto di
contesa con l’Austria-Ungheria. Ma l’obiettivo ormai evidente della politica italiana era estendere la sovranità
nazionale ben oltre Trento, sino allo spartiacque alpino,
assecondando un modello scientifico di regione e di confine che andava a supportare le decisioni strategiche: non
solo Trento e Trieste ma tutta la regione dell’Adige fino al
Brennero. Battisti dedicò tutte le sue energie scientifiche e
politiche a diffondere la conoscenza della questione del Trentino per procurarne l’autonomia e poi il distacco dall’Austria.
Nella prospettiva di un riscatto sociale, l’indipendenza
rappresentava per il Battisti il primo tassello di un progressivo riscatto per la libertà dei popoli: la riflessione del
geografo trentino si colloca in una prosecuzione ideale
del pensiero risorgimentale di Mazzini e Cattaneo, attra10
verso certamente la mediazione del geografo Arcangelo
Ghisleri (1855-1938). L’idea di regione che si veniva affermando a fine 800 nella geografia italiana muoveva
dall’esigenza di creare una sintesi del sapere geografico
sia per quanto riguardava l’analisi fisico-naturale dell’ambiente che per gli aspetti relativi alla storia dei gruppi
umani. Il progresso nei metodi di raccolta, classificazione
e rappresentazione dei fenomeni geografici determinava
la creazione di inventari sistematici degli elementi di indagine. La loro elaborazione permetteva di individuare unità geografiche che spiegassero la presenza e la diffusione di un fenomeno e quindi giustificare l’appartenenza
del Trentino al nascente Stato Italiano. Questo approccio
scientifico ebbe un grande successo in ambiente accademico: Battisti sarà fra i primi a darne evidenza applicativa per definire la geografia del Trentino. Nell’opera “Il
Trentino”, Battisti si prodigò anche per la prima volta in
maniera compiuta con la produzione di carte tematiche
originali che fossero da complemento e integrazione a
dati statistico-geografici. L’intento del volume è volto pale-
semente a dimostrare il carattere italiano della regione
nel suo legame fisico e culturale con la Patria a mezzogiorno. Dalla breve sintesi storica, dove oltre alla comune
eredità romana, alla presenza di rilevanti comunità italiane, il legame più evidente rilevato da Battisti è quello
dell’unità geografica: Trentino e Alto Adige possono costituire una sola regione, in virtù delle caratteristiche fisiconaturali del territorio che, unite agli aspetti storici, demografici, economici e insediativi compongono quella
sovrapposizione di elementi utile a richiamare il modello
di regione integrale teorizzato dal Marinelli. Notevole fu,
quindi, il peso esercitato da queste tesi geografiche che
miravano a fornire una base a un discorso politico che in
quel momento si stava affermando attraverso l’azione militare. Terminiamo questa breve relazione riportando una frase
commemorativa che aiuta a chiarire i contenuti dell’opera del
Battisti: “Studiare il proprio Paese sotto tutti i suoi aspetti, contribuire a diffonderne la conoscenza e perciò l’amore, parvero
a lui compito degno di uno studioso, cui il sapere si offriva
come mezzo più che come fine. E il fine in lui era la Patria...”.
L’arresto di Cesare Battisti in un quadro di Carlo Carrà
11
Commemorazione di Cesare battisti
al Rifugio
testo e foto di Alberto Fangareggi
In una bellissima e calda domenica di inizio settembre si è
commemorato il centenario della morte di Cesare Battisti.
Tante le presenze al rifugio. Ospite dell’evento il professore
Vincenzo Calì, già docente di Storia Contemporanea
all’Università di Trento e direttore del Museo Storico e oggi
curatore dell’Archivio Cesare Battisti. Il professor Calì è
uno dei massimi esperti di questa figura tanto importante
della nostra storia. L’evento, accompagnato dai canti di
montagna del coro Bismantova, è stato introdotto da
Massimo Bizzarri, presidente della nostra sezione del Cai.
Alllo stesso era presente anche il presidente del Parco,
Fausto Giovanelli.
Massimo Bizzarri ha illustrato il continuo impegno del
Cai per il Rifugio Battisti e l’importanza di questo, che è
punto di riferimento per escursionisti e alpinisti nella nostra
montagna. Molti gli argomenti interessanti nell’intervento
del professore. Fra i tanti, alcuni aspetti forse meno
conosciuti della complessa personalità di Cesare Battisti, in
particolare la sua visione europeista e cioè di una Europa
costituita da stati federati, sicuramente impensabile per
quei tempi che preludevano alla Grande Guerra. Altro
tema rilevante di Battisti è l’idea che la montagna e la
sua fruizione escursionistica e alpinistica non dovrebbero
essere elitarie ma di tutti. Questo ovviamente si rifaceva
alla sua posizione socialista. Per questo motivo nel 1925
la UOEI (Unione Operaia Escursionisti Italiani) dedicò il
nostro rifugio di Lama Lite a Cesare Battisti. Analogamente,
in Trentino, sulla Paganella, la SOSAT (anche qui Società
Operaia della SAT) dedicava a Battisti il rifugio che ancora
si trova su quella montagna. Ora ci appare ovvio che la
montagna sia per tutti, ma allora non era così. Questi
due argomenti sono solo un esempio della attualità del
personaggio Cesare Battisti. Un personaggio controverso
ed estremamente complesso, ma certamente grande nel
suo pensiero e nelle sue azioni che hanno anticipato il
futuro. A nome della nostra sezione Cai va un sentito
ringraziamento al professor Calì per la sua partecipazione
e per quanto ci ha raccontato. Grazie anche alle gestione
del rifugio per l’organizzazione di questa giornata.
12
Come è nato il Sentiero Matilde
Daniele Canossini intervistato da Sandra Boni
Un sentiero che attraversa un territorio antropizzato come
la nostra collina, con tutto il suo carico di storia, di vite vissute, di peculiarità geologiche, non è solo una via da percorrere in scioltezza, è un insieme da vivere, è una parte
di noi e del nostro passato che dobbiamo salvaguardare.
Tutti gli escursionisti della provincia di Reggio Emilia e non
solo, conoscono il famoso Sentiero Matilde che attraversa
una parte dei territori della nostra Grande Contessa, ma
come è nata l’idea di tracciare questa via così importante
dal punta di vista storico, naturalistico e ambientale?
Lo chiediamo a Daniele Canossini, Guida Ambientale
Escursionistica e per anni responsabile della Commissione sentieri del CAI Sezione di Reggio Emilia ed ex-membro della Commissione Sentieri Regionale.
Foto di Sandra Boni
“E’ nato tutto – dice Daniele Canossini – da un’idea che
fonda le sue origini in un progetto del 1987 riguardante
un altro famoso sentiero del nostro territorio: il Sentiero
Spallanzani. Luca Giannotti del Comune di Scandiano, io
e un geologo della Provincia ci organizzammo per tracciare sulla carta il nostro progetto di sentiero che divenne
poi quel Sentiero Spallanzani che oggi tutti conosciamo.
Nel 1988 un Campo di lavoro Internazionale ha iniziato
i lavori di apertura della via passando dalla carta al territorio e segnando ufficialmente il percorso.
fino a Carpineti con varianti per Cortogno e per Marola,
luogo fondamentale per i possedimenti matildici. Molti
tratti sul terreno sono stati rifatti con il contributo della
Bonifica e il Sentiero Matilde è stato potenziato con il
completamento della variante 650 parallela al tracciato
principale che ha permesso appunto di inserire i piccoli
anelli di cui ho parlato prima.
Un’ulteriore variante è in corso d’opera con l’inserimento del sentiero 656 Reggio-Vezzano, già presente sulle
carto-guide del Sentiero Matilde in distribuzione gratuita
presso I.A.T. (Informazioni e Accoglienza Turistica) e sul
Web, guida molto importante eseguita da INCIA (Roberto Montanari), Ideanatura (Fabrizio Carponi) e Altripassi
(Daniele Canossini).
Tra il 1988 e il 1989 l’idea iniziale si amplia e il Cai
Reggio Emilia, nelle persone di Canossini, Possa e Cervi,
presenta alla Provincia il progetto di altri tre sentieri per
coprire il resto del territorio provinciale con una rete sentieristica di tutto rispetto: Sentiero Matilde - Sentiero dei
Ducati - Sentiero dei Pastori.”
Un grande lavoro quindi è stato fatto in questi 30 anni per
assicurare a tutti un piacevole ed educativo approccio al
nostro territorio. Tutto questo impegno però poteva essere
vanificato dalla recente Legge Regionale sui Sentieri che
ha tolto le competenze alle Province affidandole ai Comuni, per cui i sentieri sarebbero stati abbandonati a se
stessi, se non fosse intervenuto il CAI con i volontari della
Commissione Sentieri che se ne sono presi cura, ma solo
nei Comuni disponibili a stipulare convenzioni in base
alla Legge Regionale.
Daniele continua nel suo racconto e le sue parole proiettano quasi visivamente la progressione dei lavori.
“La Provincia commissiona l’opera di tracciatura sulla carta, che poi prosegue con rilevamenti sul terreno, affidati a
me ed altri inviati dalla Provincia con un lavoro collettivo.
Naturalmente le tempistiche di apertura di questi tre sentieri sono state diverse, ad esempio il Sentiero dei Ducati
nel 1992 era tutto segnato, ma venne tabellato solo nel
2004 ad opera di ditte specializzate reggiane con finanziamento della Provincia.
Ad oggi la manutenzione è ancora a macchia di leopardo in attesa che le altre convenzioni con i Comuni interessati vengano stipulate.
Ma torniamo al nostro Sentiero Matilde. Nel 1997 la Provincia si fece carico di fare rilevamenti, segnare e tabellare il Sentiero Matilde affidando il progetto a Pier Giorgio
Oliveti quale rappresentante di Re-Appennino, società
pubblico-privata di quegli anni.
Per il momento il Sentiero Matilde nella sua parte reggiana gode di ottima salute grazie a tutti coloro che hanno
partecipato e che partecipano alla sua vita. Non altrettanto si può dire della parte modenese che non è stata
mantenuta, per cui si è persa oltre la segnatura persino la
traccia stessa del sentiero.”
Da allora ad oggi il sentiero originale ha subito diverse
modifiche causa frane, problemi di proprietà, sostituzione
di tratti di più difficile percorribilità ed altri ostacoli, il tutto
sempre nell’ottica del renderlo fruibile a tutti.
E’ un vero peccato, perché anche un semplice sentiero e
soprattutto la frequentazione di molti escursionisti, sono
necessari per rendere viva e sempre presente un’epoca in
cui il nostro territorio ha influito sui destini di tutto il mondo
allora conosciuto.
Ma l’idea iniziale – continua Canossini – non si era esaurita e tra il 2000 e il 2014 fu ripresa con la tracciatura e
segnatura di tanti piccoli anelli che portarono il sentiero
13
Perché un corso di escursionismo
di Dario Vandelli
Perché ci si avvicina a un corso di escursionismo? In
fondo, basta prendere un buon paio di scarpe, mettersi
in macchina e andare verso le nostre colline, buttando
l’occhio di tanto in tanto al ciglio della strada, cercando
l’indicazione di qualche sentiero. Con la bella stagione
sono tante le attività che possiamo svolgere all’aperto,
però forse una bella passeggiata è quella che richiede
meno preparazione fisica e tecnica. Se volessimo
iniziare ad andare in bicicletta, che sia da corsa o MTB,
probabilmente dovremmo investire parecchio denaro.
Invece per una passeggiata basta una maglietta, un paio
di pantaloni e due buone scarpe. Tanto, se ci stancassimo
troppo ci fermeremmo, magari tornando indietro. Le nostre
colline sono piene di persone che fanno una camminata
una volta l’anno, magari per ferragosto. Tanto si cammina,
non ci vuole un ingegnere! Tutti questi ragionamenti non
fanno una piega. IN TEORIA.
Quindi torniamo al punto di partenza: perché un’attività
in apparenza così semplice richiede un corso, sviluppato
in quasi quattro mesi, con sette lezioni teoriche e sei uscite
pratiche? Beh, quanto abbiamo recentemente concluso ha
dato tante risposte, ha più che giustificato la necessità del
corso stesso.
Partiamo dall’aspetto più teorico, rappresentato dalle lezioni
in aula. La prima verteva ad introdurre l’abbigliamento
e l’attrezzatura necessari o consigliati in escursione.
Abbiamo avuto modo di capire immediatamente che le
serate non si sarebbero sviluppate in modo piatto e rigido,
perché sin da subito le curiosità e i dubbi hanno prodotto
approfondimenti che andavano oltre al materiale didattico
presentato. E così, attraverso le esperienze personali dei
corsisti come dei docenti, abbiamo iniziato a capire che
forse sì, lo scarpone è fondamentale, ma assieme a tantissimi
altri particolari che possono essere lo spartiacque tra una
buona escursione o una ritirata a gambe levate, quando
possibile. Qui aprirei una piccola parentesi: abbiamo
avuto modo, già dalla prima uscita, di capire quanto
questi consigli fossero preziosi e necessari… l’acqua
e la grandine non ci hanno risparmiati molto spesso!!
Rimanendo in tema di condizioni atmosferiche avverse,
la seconda lezione ha trattato proprio il tema dei pericoli
in montagna e di condizioni meteo. Come ogni buona
testata scandalistica, anche le nostre guide hanno catturato
l’attenzione dei presenti menzionando episodi di cronaca
nei quali l’impreparazione, piuttosto che la stanchezza
hanno portato a incidenti di varia entità. Attraverso esempi
pratici abbiamo capito che quasi sempre a un potenziale
incidente montano corrisponde un errore umano. A tutto
questo è stato legato a filo diretto l’aspetto meteorologico,
che influisce pesantemente sull’organizzazione della
gita. Se è tutto sommato abbastanza semplice, ma non
scontato, scegliere l’abbigliamento in una giornata limpida
e costante, nel momento in cui dovessimo affrontare un
clima avverso o mutevole, ecco che non dobbiamo farci
cogliere impreparati. Ci siamo soffermati sui principi base
legati all’alta e bassa pressione, a come gli equilibri tra
queste ultime influenzino le temperature piuttosto che il
vento, che a sua volta cambia di molto la percezione della
temperatura esterna. Abbiamo accennato alle più comuni
Foto di Davide Araldi
tipologie di nuvole che possiamo incontrare, e a come
poter collegare la presenza delle stesse ai cambiamenti
climatici. E poi abbiamo analizzato un aspetto che, come
abbiamo potuto testare di persona, non deve essere mai
preso sottogamba: i fulmini. Perché diciamola tutta, non ci
siamo fatti mancare niente nelle nostre escursioni.
Qui le cose si sono fatte più impegnative: iniziamo con
la pratica. La prima uscita organizzata dalla scuola di
escursionismo ci ha guidati attraverso un anello che da
Vico, un borgo di Ciano d’Enza, ci ha portato prima al
castello di Canossa, poi a quello di Rossena. Se da un lato
Paolo ci ha istruito attraverso le sue conoscenze botaniche
e Laura ci ha coccolato con quelle culinarie, ecco che le
informazioni ricevute nelle lezioni precedenti da Guido,
Claudio ed Emiliano ci sono tornate utili al rientro quando
siamo stati affettuosamente accompagnati alle macchine
da un simpatico e insistente acquazzone che anche i più
navigati hanno classificato più unico che raro.
Nemmeno il tempo di asciugare gli scarponi che abbiamo
affrontato in aula e successivamente sulle colline sovrastanti
Ventoso, l’interessante quanto complesso e necessario
argomento dell’orientamento e della cartografia. Perché se
abbiamo capito che la programmazione è fondamentale,
ne è parte imprescindibile la conoscenza del territorio e la
capacità di non perdere letteralmente e metaforicamente
la bussola. Abbiamo accennato ai punti di riferimento che
ci offre l’ambiente, come il sole o le stelle, la morfologia
piuttosto che la vegetazione. Successivamente ci siamo
addentrati più tecnicamente sulla lettura e la comprensione
della carta topografica. Tra azimut e curve di livello, non
abbiamo voluto aspettare l’escursione, iniziando invece
a fare alcune prove direttamente in aula. La simpatia del
corpo docente ci ha deliziato ulteriormente con esercizi più
o meno facoltativi da svolgere a casa, comunemente detti
compiti. L’escursione ha stranamente trovato il favore del
bel tempo, così ci siamo incamminati su parte del sentiero
Spallanzani, dividendoci successivamente in gruppi che
hanno completato, in tempi diversi, la ricerca di lanterne
da orienteering mediante cartina, bussola e azimut. Dopo
tanta fatica fisica e mentale, il meritato riposo con le gambe
sotto il tavolo e le pance sempre più soddisfatte.
La successiva lezione ha visto Guido e Luca alternarsi
alla direzione, argomentando prima sulla sentieristica e
i relativi segnali, poi sulle strutture ricettive che possiamo
14
trovare nelle nostre montagne. La prima parte della serata
è stata propedeutica alla successiva uscita che sarebbe
dovuta essere quella di manutenzione dei sentieri, ma il
tempo inclemente ci ha costretti ad un repentino cambio di
programma, conclusosi ovviamente con una meritatissima
merenda, giustificata anche dalla levataccia nonostante il
brutto tempo. La storia dei rifugi alpini, la loro classificazione
e soprattutto il loro funzionamento ci è invece servito in vista
delle ultime escursioni che prevedevano il pernottamento in
questo tipo di strutture.
La lezione seguente si è svolta in modo diverso, in quanto
siamo stati invitati noi corsisti ad introdurre l’argomento,
ovvero l’organizzazione di un’uscita. Abbiamo quindi
cercato di mettere in campo tutto ciò che avevamo imparato
nelle lezioni precedenti, dalla valutazione delle condizioni
del gruppo, delle condizioni meteo prima, in loco e durante
l’escursione. Come anche la scelta del percorso più idoneo
al gruppo formatosi.
A questo punto ci siamo avventurati al di fuori dei confini
regionali, con l’ascesa al Monte Roen, la cima più elevata
della Catena della Mendola. Purtroppo anche in questa
occasione il tempo ha sì tenuto, ma ha precluso in parte
il panorama che la particolare posizione geografica
avrebbe potuto regalare, sia sul versante della Val d’Adige
che su quello della Val di Non. Pazienza, abbiamo trovato
consolazione culinaria anche in questo caso.
Il martedì seguente ha attratto anche soci al di fuori della
scuola di escursionismo, in quanto ha visto ospite Fabrizio
Rigotto, biologo e studioso della fauna appenninica con
particolare attenzione al lupo. Partendo da un’analisi del
nostro territorio e dei mutamenti dello stesso negli anni,
come l’abbandono delle montagne o l’aumento delle aree
protette, ci ha giustificato la proliferazione dei caprioli come
la migrazione prima e la stabilizzazione poi del daino.
Attraverso la visione di molte foto abbiamo potuto iniziare
a capire come riconoscere le tre specie di cervidi presenti
nei nostri appennini, valutandone l’aspetto anche nelle varie
stagioni che ne mutano il manto. Se il riconoscimento di un
capriolo rispetto a un daino richiede alcune conoscenze
specifiche, queste non sono certamente richieste per il
riconoscimento del cinghiale, del quale abbiamo inoltre
valutato l’aspetto comportamentale. Abbiamo concluso la
serata col pezzo forte che consiste nel lupo, tracciandone
un profilo migratorio e sociale, cercando di fare il
punto sulle differenze tra lo stesso e i cani selvatici o gli
incroci, ribadendo che la rinnovata presenza del lupo in
Appennino non è dovuta a un fantomatico ripopolamento
artificiale ma a una maggiore disponibilità di cibo, unita
a un maggior controllo su un abbattimento che in passato
era sistematico. Insomma, nessuno ha paracadutato lupi
sulle nostre amate montagne.
Il tempo stringe, il corso si avvicina alla conclusione ed
ecco una escursione coi fiocchi: Catinaccio.
Giunti in mattinata a Pera di Fassa, attraverso due tronconi
di seggiovia iniziamo a scarpinare dal rifugio Gardeccia,
raggiungendo dapprima il rifugio Vajolet dove lasciamo
il superfluo, per andare a prenderci un thè caldo al Re
Alberto. Dopo la nottata apriti cielo, in tutti i sensi. La
mattina il tempo sembra non tenere, e i programmi che ci
volevano verso il Passo Antermoia tramite il Passo Principe
naufragano insieme a noi, che siamo costretti alla ritirata
tra grandine e fulmini.
L’ultima lezione teorica ci vede accennare brevemente
l’argomento dell’alimentazione in montagna, che ci ha visti
pronti e reattivi già nelle precedenti uscite.
Concludiamo la serata ricollegandoci alla lezione dei
pericoli in montagna; se in precedenza avevamo analizzato
quanto fattibile per evitare una situazione di disagio o di
emergenza, ora poniamo il punto su ciò che si deve fare in
seguito. Capire lo stato della situazione in cui ci troviamo,
chiamare i soccorsi comunicando l’emergenza, gestire
l’attesa e la predisposizione all’arrivo dei soccorritori,
collaborando infine solo su richiesta di questi ultimi,
può fare la differenza. Differenza che possiamo fare
conoscendo cosa fare e soprattutto cosa non fare in caso
di fratture, distorsioni, lussazioni o contusioni.
L’ultima escursione programmata dal corso ci riporta sulle
Dolomiti, sul Gruppo del Sella. Dal rifugio Castiglioni
imbocchiamo l’antico sentiero denominato Viel del Pan,
salendo circondati dai complessi dolomitici del Gruppo,
scendendo infine al Passo Pordoi, dal quale ripartiamo il
giorno successivo salendo fino al rifugio Kostner dove i più
coraggiosi mantengono fede al pranzo al sacco mentre
i deboli di spirito si arrendono ad una non trascurabile
polenta alquanto condita. Concludiamo la due giorni
scendendo fino al passo di Campolongo, dove per una
manciata di minuti non veniamo nuovamente sorpresi dai
nostri affezionati scrosci d’acqua.
Probabilmente il corso dovrebbe finire qua, forse alla
canonica cena, nella quale ci viene consegnato l’attestato
di frequenza. Ma non è così, bisogna recuperare la
mancata uscita di manutenzione sentieri. Accompagniamo
quindi Simone, Milo e Francesca a pulire e manutenere
il sentiero 627, sul nostro Appennino, partendo da Presa
Alta e giungendo fin sotto al Monte Cusna.
Poi costringiamo Claudio, pramsàn dal sàs, ad organizzare
una meravigliosa uscita che dal Rifugio Lagdei ci porta,
prendendola molto larga, sino al Lago Santo in Appennino
parmense.
Poi ci iscriviamo all’escursione sezionale delle Terre dei
Walser. Poi stiamo cercando di organizzarci per andare a
quella sui monti liguri a fine settembre.
Poi abbiamo in ballo una cena a base di funghi, promessa
da un corsista e ospitata da un docente di cui non faccio il
nome altrimenti a forza di imbucati non ce ne è abbastanza
per tutti.
Alla fine di questa avventura, cosa si chiede ad un corso?
Professionalità? Credibilità? Affabilità?
I docenti e gli accompagnatori incontrati all’interno
della scuola di escursionismo sono stati eccezionali nella
preparazione, nella disponibilità e nella simpatia.
Partendo dai docenti menzionati in precedenza, come non
citare anche Monia, Fulvia, l’onnipresente Davide, Andrea
e Carlo.
Scrivo della mia esperienza, di come ho vissuto io questi
momenti; spero, e credo, che molti dei miei compagni di
avventura si possano ritrovare in queste parole. Perché
l’entusiasmo che ho vissuto io l’ho visto nei sorrisi e nei visi
stravolti di tanti.
Perché in una lunga passeggiata c’è modo di estraniarsi
quanto di coinvolgere o coinvolgersi all’interno del gruppo.
E siamo un bel gruppo.
Persone a volte diverse, ma accomunate da un grandissimo
amore per la montagna e dal piacere di ritrovarsi insieme
attorno ad un tavolo.
15
Il CAI collabora ad un progetto per il
censimento del patrimonio culturale
dell’Emilia-Romagna
di Raffaele Frazzi
Vi sono iniziative che coinvolgono associazioni ed
istituzioni diverse, nate con finalità differenti, ma che si
rivelano sinergie di grande successo.
È il caso della collaborazione tra il Segretariato Regionale
del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
per l’Emilia-Romagna ed il Club Alpino Italiano. Durante
il 2015 infatti è stata richiesta la collaborazione del CAI
per quanto riguarda la segnalazione di beni culturali/
storico/architettonici all’interno del territorio dell’EmiliaRomagna.
In seguito agli eventi sismici che hanno colpito la nostra
regione nella primavera del 2012, si è reso necessario
predisporre una cartografia aggiornata correlata ad un
database dei beni culturali della nostra regione, tutelati
a vario titolo.
Stiamo parlando, ad esempio, di edifici ecclesiastici o
civili che hanno un’età superiore o uguale a 70 anni.
Questi beni sono tutelati ope legis, ovvero protetti come
conseguenza diretta della norma di legge in virtù della
loro età. Vi sono poi edifici danneggiati in seguito ai già
citati eventi sismici e quelli tutelati mediante provvedimenti
specifici, i quali vengono segnalati ed inseriti in questo
grande database.
Il lavoro è stato organizzato tramite una ricca piattaforma
informatica, chiamata “Webgis-Patrimonio culturale
dell’Emilia-Romagna” (http://www.patrimonioculturaleer.it) basata sui dati forniti dalle Soprintendenze per i
Beni Architettonici e Paesaggistici.
All’interno di questo portale interattivo sono contenute
numerose informazioni utili per la consultazione e lo
studio dei beni presenti sul territorio della nostra regione.
Inoltre sono disponibili gli strumenti per segnalare i beni
non ancora presenti all’interno di questo database. È
interessante sottolineare che all’interno della cartografia
del Webgis è stata inserita anche la Rete Escursionistica
Regionale (ben conosciuta come RER). Ai soci del
nostro Sodalizio è stato richiesto proprio di contribuire
a segnalare i beni non ancora presenti o di arricchire
di informazioni (foto, coordinate GPS, etc.) quelli già
inseriti. L’attività escursionistica e scientifica svolta durante
le normali attività del CAI si presta infatti perfettamente
all’individuazione ed alla segnalazione degli edifici
potenzialmente tutelati o tutelabili.
Il 12-13 dicembre 2015 è stato organizzato, proprio a
questo scopo, un corso di aggiornamento per Operatori
Naturalistico Culturali e Tutela Ambiente Montano.
La parte teorica si è svolta nella sede di Reggio Emilia
mentre le esercitazioni pratiche in Val Tassaro. I relatori di
questo interessante evento erano Giuliano Cervi della Sez.
di Reggio Emilia (per quanto riguarda la parte inerente
l’individuazione degli elementi architettonico/strutturali)
e Carlo Ravaioli (per quanto riguarda la parte inerente
la geolocalizzazione dei beni sul territorio e l’utilizzo
del GPS). Ai soci CAI è stato quindi chiesto di segnalare
ed inserire nel Webgis i beni che eventualmente fossero
ancora mancanti, corredati delle relative fotografie.
L’invito è stato accolto con notevole interesse tant’è che
alla data di maggio 2016 erano state inviate dai soci
CAI al database Webgis ben 1000 nuove segnalazioni!
Per fare qualche esempio riguardante la nostra provincia,
recentemente è stata aggiunta la chiesa parrocchiale di
S. Lorenzo in località Febbio di Villa Minozzo. Questo
complesso, risalente alla prima metà del secolo scorso,
si trova all’inizio del sentiero n°615 che conduce al Rif.
Battisti tramite il Passone e non era ancora stato censito.
Un esempio pregevole di bene culturale situato all’interno
della rete sentieristica è poi rappresentato dall’Ospitale
S. Leonardo al Dolo, localizzato nell’alta valle del torrente
Dolo, poco distante dal frequentatissimo sentiero n°605 e
documentato già a partire dal XII secolo.
Ancora, lungo il sentiero n°609 ad esempio si trova
la torre campanaria di epoca romanica della chiesa
di Sant’Anna di Ospitaletto (Ligonchio), mentre lungo il
percorso del Sentiero Matilde si incontra la conosciuta
Torre degli Amorotti, risalente al XIII secolo e tutelata
mediante apposito provvedimento.
Concludiamo quindi ricordando che il Webgis si
trova in costante aggiornamento eci aspettiamo che la
collaborazione esistente porti ad ulteriori arricchimenti
del già nutrito database.
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16
Il nuovo consiglio direttivo
della Scuola Bismantova
di Manuel Lugli
E’ con grande piacere che ho accolto l’invito di Alberto
Fangareggi a salutare i lettori del Cusna presentando
il nuovo consiglio direttivo della Scuola di Alpinismo,
Sci Alpinismo e Arrampicata Libera “Bismantova-Olinto
Pincelli”, di cui sono divenuto il nuovo direttore.
In realtà, vista la mia età non proprio verde – sono
istruttore nazionale da oltre 20 anni e sono stato direttore
già in passato – fatico a definirmi “nuovo”, ma in attesa
che le nuove generazioni prendano finalmente le redini
della Scuola, ringrazio gli amici della Bismantova che
hanno voluto affidarmi l’onore (e l’onere) della direzione.
Compito non facile, dovendo succedere all’amico Claudio
Melchiorri, Istruttore Nazionale della Scuola Centrale,
membro del Centro Studi Materiali e Tecniche del CAI e
membro U.I.A.A.
Claudio ha condotto con grande rigore e professionalità
la Scuola, coordinandone le attività e portandola al
livello di eccellenza che oggi in tanti ci riconoscono. La
Bismantova è infatti la Scuola con il maggior numero
di istruttori del convegno TER e una delle più attive in
assoluto. Organizza corsi di alpinismo (roccia e neveghiaccio), sci/snowboard alpinismo e arrampicata libera
per i soci, raccogliendo decine di allievi ogni anno, ma
anche corsi o giornate di aggiornamento per i propri
istruttori e i soci con frequenza regolare.
Il nuovo consiglio direttivo incarna, mi pare in maniera
ben equilibrata, tutte le anime del CAI: abbiamo la
componente “giovane” dell’arrampicata libera, con gli IAL
Jarno Dall’Asta e Matteo Radighieri, quella ugualmente
giovane dello snowboard alpinismo, che è un tutt’uno col
gruppo degli sci alpinisti e di cui Luca Pellacani (ISBA)
è attivissimo rappresentante. Per gli sci alpinisti, oltre al
sottoscritto, troviamo l’infaticabile Stefano Celestini (ISA).
Ci sono poi i veterani dell’alpinismo: il past-director
Claudio Melchiorri (INA), Gianpaolo Montermini (IA) e
Pierluigi Dallaglio (IA). Ultima ma non ultima, presenza
indispensabile al buon funzionamento della Scuola,
Virgina Cappi, segretaria preziosissima e inossidabile.
Con questo team cercheremo di portare avanti le attività
didattiche e formative come abbiamo sempre fatto: con
serietà e professionalità pur nell’ambito di un’attività di
volontariato, ponendo la sicurezza e la prevenzione al
primo posto in tutte le nostre scelte. Agli allievi e ai soci il
compito di confermare la bontà del nostro operato.
Foto del Corso AL1 del 2016 (Scuola Bismantova)
17
Meraviglioso Roche Faurio
di Marco Paterlini
a perdere la necessaria compattezza; velocemente siamo
scesi lungo i pendii, precedentemente affrontati in salita,
prima che il gran caldo della giornata rendesse poco sicura la percorrenza del ghiacciaio per il rischio di caduta
dei ponti di ghiaccio sugli affascinanti ma pericolosi crepacci che tagliano trasversalmente il fronte glaciale.
Quando gli amici dei “Cani Sciolti” di Cavriago mi hanno proposto la possibilità di effettuare un’escursione alpinistica sul Roche Faurio (vetta situata in Francia nel Parco
Nazionale des Ecrins, Regioni Provence-Alpes Cote d’Azur e Rhone Alpes), sono rimasto obiettivamente perplesso; conoscevo quelle zone in quanto teatro delle grandi
imprese ciclistiche del Tour de France, con mitiche salite
del calibro dell’Izoard, Galibier ed Alpe d’Huez, ma non
sicuramente dal punto di vista alpinistico in quanto fuori
dalle classiche ascese frequentate da noi (italiani) appassionati di montagna.
Questa esperienza in terra d’Oltralpe ci ha sicuramente
riempito gli occhi e il cuore con la meravigliosa bellezza
degli ambienti naturali, ma ci ha anche permesso di ammirare la grande passione e il rispetto che i francesi hanno sia per l’alpinismo come attività sportiva (in fondo, tale
pratica, è nata e si è sviluppata proprio grazie a loro), sia
per la salvaguardia del territorio, aspetti che dovrebbero
essere strettamente correlati in ogni amante di montagna.
In particolar modo abbiamo avuto modo di incontrare,
nei rifugi ma anche lungo i sentieri di avvicinamento al
ghiacciaio, tanti giovanissimi appassionati e famiglie con
bambini, certamente più numerosi che sulle montagne
italiane. Questo non può che essere di incoraggiamento
per noi del Cai che, anche grazie a chi impegna lodevolmente il proprio tempo con l’Alpinismo Giovanile, siamo
sempre in prima linea per quanto riguarda l’insegnamento della cultura della montagna alle nuove generazioni.
E invece, mai come in questa occasione, sono rimasto
così entusiasta ed emozionato nello scoprire la suggestione di una scalata in un territorio di tale bellezza.
Il Roche Faurio è una granitica vetta di 3730 metri che si
staglia a fianco della Barre Des Ecrins (4102 m), la cima
più alta dell’omonimo Parco Nazionale situato a poche
decine di chilometri dal confine italiano e raggiungibile dalla Val di Susa attraversando il Passo di Monginevro. Tale Parco è molto rinomato anche per gli specialisti
dell’arrampicata sportiva e migliaia di appassionati francesi (e non solo) si riversano nella stagione estiva nell’abitato di Ailefroide per godersi sia le bellezze naturali che
l’impeccabile accoglienza delle strutture ricettive.
Benedetti dalla clemenza di Giove Pluvio, che ci ha concesso uno splendido week-end di sole in questa climaticamente travagliata prima parte di stagione estiva, abbiamo dedicato la giornata di sabato all’avvicinamento al
rifugio Glacier Blanc a 2550 m (situato ai bordi dell’omonimo ghiacciaio) presso il quale abbiamo pernottato acclimatandoci così alla quota e concedendoci un meritato
riposo in vista dell’impegnativa escursione dell’indomani;
dal rifugio Glacier Blanc alla vetta del Roche Faurio, infatti, ci sono ben 1200 m di dislivello che, soprattutto
rapportati alle importanti quote raggiunte, necessitano di
un ottimo allenamento fisico.
L’indomani, partiti dal rifugio alle 4.30, quando ancora
il sole non mostra i primi raggi, ci siamo inerpicati alla
luce delle lampade frontali dapprima sui ripidi ghiaioni
della morena glaciale per poi affrontare, finalmente estasiati da una splendida alba, la lunga traversata del Glacier Blanc che si estende per più di due chilometri prima
dell’impegnativa parete alla base della quale è posta la
crepaccia terminale del ghiacciaio.
Un lungo scivolo nevoso con pendenza massima sui 40°
affrontato in cordata di conserva ci ha permesso di raggiungere la rocciosa ed impegnativa cresta finale dalla
quale si gode un incantevole panorama sull’aspra Barre
des Ecrins e sul più accessibile Dome de Neige (uniche
cime del Parco che oltrepassano i 4000 metri) e su tutte le
vette circostanti mentre lo sguardo spazia fino ai massicci
del Gran Paradiso, del Monte Bianco, del Monte Rosa e
all’aguzza cima del Cervino.
Abbiamo iniziato la discesa cinque ore dopo essere partiti dal rifugio, quando già la neve sotto i piedi iniziava
Foto di Simone Catellani
18
Il Pizzo d’Uccello per la cresta di Nattapiana
di Alberto Fangareggi
Dovevamo fare la cresta già due anni
fa in una gita CAI, ma le condizioni
del tempo non rassicuranti ci avevano
fatto ripiegare sulla via più breve che
conduce al Pizzo dell’Aquila.
Noi cinque giovani Cani Sciolti
compresi fra i 54 e i 72 anni, a
riconferma del fatto che in montagna
contano solo quelli che si sentono e
non quelli che si hanno, ci abbiamo
riprovato quest’anno. Partiamo dal
piccolo paese di Vinca, in Lunigiana.
Per chi non lo conosce, già il paese
merita una gita.
Un borgo di case alla fine della
strada. Storie drammatiche della
guerra. Il Pizzo d’Uccello e il
Sagro che dominano la vallata e il
piccolo agglomerato di case. Terre
d’anarchia dei cavatori di marmo
che si mescola ai simboli religiosi
nelle strette strade.
Con noi c’è Claudio che di
queste montagne sa tutto e molto
ha scritto. Poi Beppe, anche lui
assiduo frequentatore delle Apuane.
Infine Roberto, Pietro ed io che
solo saltuariamente saliamo su
questi monti. Lasciamo Vinca e
risaliamo nel bosco, rapidamente,
fino a raggiungere in poco più di
un’ora il crinale, nei pressi di Punta
Nattapiana.
Nubi salgono dal versante nord e si
dissolvono. Inizia la lunga traversata
con arrampicata su roccia che non
va oltre il II grado, ma sembra non
finire mai.
Bisogna prestare molta attenzione
perchè la cresta è sempre esposta
e non tutte le rocce sono stabili.
Passiamo la cima del monte
Bardaiano.
Tre calate in corda doppia nella
prima parte della traversata. La
prima calata con la corda in una
piccola maglia arruginita.
Arriviamo allo spallone del pizzo,
dove prendiamo una variante di III
grado, che ci porta, senza volerlo, a
quello che era il tracciato originario
della via.
Questa variante è nuova anche per
Claudio.
Poi il traverso su una cengetta sotto
al pizzo e l’ultima arrampicata
per la vetta su una roccia che si
sfascia sotto ai nostri scarponi.
Foto di Claudio Bocchi
Siamo in vetta. La salita da Vinca
ha richiesto più di sei ore. Non una
arrampicata tecnicamente difficile,
ma che richiede un elevato livello di
attenzione che bisogna mantenere
anche quando la stanchezza si fa
sentire. Mentre siamo seduti intorno
alla croce di vetta, si materializza
una bottiglia di vino.
Sotto di noi la incredibile parete nord
del Pizzo d’Uccello: settecento metri
strapiombanti. Poche cime delle Alpi
possono vantare una cosa del genere.
19
Scendiamo per la via normale, facile
ma bella con arrampicata di I grado,
ma qui la roccia è bella e solida.
Scendiamo alla Foce di Giovo e di
qui a Vinca.
Ritorniamo con delle pagnotte di
Vinca del peso di tre chili l’una.
Sembra che anche in questo pane ci
sia il carattere di questa gente. Grazie
Claudio per averci fatto assaporare
questa terra. Hai sbagliato la
variante, ma ti abbiamo perdonato.
Così è stato anche meglio.
Alpinismo Giovanile
sull’Alta Via dell’Adamello
testo dei ragazzi dell’A.G. del CAI di Reggio Emilia
Era un mattino terso, la sveglia per molti è suonata prima
delle 6.00. A Reggio Emilia il ritrovo era fissato per le
7.30. Dopo l’appello di rito, si parte! Il viaggio sui due
pulmini è trascorso velocemente mentre già pensavamo ai
cinque giorni di trekking che ci stavano aspettando lungo
il sentiero numero 1, altrimenti conosciuto come Alta Via
dell’Adamello (dal 16 al 20 luglio). Abbiamo lasciato i
pulmini a Cedegolo in Val Camonica, da dove abbiamo
utilizzato un trasporto privato locale per portarci fino a
Saviore dell’Adamello a 1210 metri di altitudine, da dove
abbiamo iniziato a camminare. Zaino in spalla, abbiamo
percorso i primi 4,3 km su strada asfaltata fino al Rifugio Stella Alpina a 1320 m e poi abbiamo proseguito su
sterrato fino alla diga del lago di Salarno. Da qui la vista
spaziava su tutta l’alta valle di Saviore, ma la nostra meta
di quel giorno, il Rifugio Prudenzini (2235 m), ancora
non si scorgeva. Dopo altri 50-60 minuti di cammino su
un comodo sentiero abbiamo raggiunto la nostra meta. Il
meritato riposo è stato seguito da una “vasca” nel torrente
Poia le cui acque erano a dir poco gelide ma allo stesso
tempo rivitalizzanti. Dopo una serie di 11 sconfitte di fila
a briscola per Marco e Mattia segue una notte trascorsa
su letti a castello a tre piani. Il mattino seguente siamo
partiti verso le 8.30 con ancora nemmeno una nuvola in
vista in direzione del Passo Miller (2858 m). La salita era
ripida e ben presto siamo entrati in una scomoda sassaia
che sarebbe stata una delle costanti per i successivi tre
giorni di trekking. Dopo circa 3 ore e mezza di cammino
Foto di Odino Molesini
20
la vista della Val Miller che si è presentata dal passo ci
ha ripagato degli sforzi compiuti. Lassù abbiamo consumato il pranzo offerto dal rifugio Prudenzini che ci ha
restituito le energie necessarie per proseguire. La discesa
è stata impegnativa a causa della neve che in alcuni punti ricopriva i sassi onnipresenti in quella zona. Lungo il
sentiero in discesa avevamo sempre di fronte la sagoma
del Rifugio Gnutti (2166 m) che ci aspettava impassibile
sulla riva del lago Miller. Vi siamo giunti circa alle 4 del
pomeriggio felici di trovarvi due camere in legno tutte
per noi e comodi bagni. Al calar del sole alcune nuvole
hanno ricoperto le vette delle montagne circostanti ma il
mattino successivo il cielo era ancora libero e pulito. Il
terzo giorno ci aspettava un facile trasferimento dal rifugio sopra citato al Rifugio Tonolini (2467 m), a cui siamo
arrivati all’ora di pranzo. Lungo il sentiero che costeggiava per un tratto il lato settentrionale della valle, per poi
svoltare verso destra in direzione Nord, ci siamo fermati
per una breve pausa al Rifugio Baitone (2281 m), vicino
alla diga dell’omonimo lago. Il pomeriggio lo abbiamo
trascorso piacevolmente sdraiati sui massi in riva al Lago
Rotondo, a due passi dal Rifugio Tonolini. Da lì uno sparuto gruppo di ragazzi, rigorosamente senza zaino, si
è avventurato sul sentierino ghiaioso che porta ai Laghi
Gelati (Lago Lungo e Lago Verde rispettivamente a 2519
e 2479 m). La sera siamo andati a letto presto sapendo
che il giorno successivo ci aspettava la tappa più lunga
di tutto l’accantonamento. La partenza era fissata per le 7
in punto, il sole al rifugio non era ancora sorto quando il
nostro gruppo ha attaccato il sentiero in direzione del Passo Premassone a 2924 m (punto più alto di tutto il tour).
Lo abbiamo raggiunto dopo un paio di ore di cammino
e già da lì si scorgeva in lontananza il Rifugio Garibaldi,
meta finale di quel giorno. Abbiamo proseguito la discesa senza intoppi fino al Lago Pantano (2368 m), dotato
anch’esso di diga, presso il quale abbiamo consumato
il nostro prezioso pranzo come al solito a base di panini. Nel pomeriggio il sentiero riprendeva in salita prima
attraverso degli edifici diroccati risalenti all’epoca della
costruzione della diga (intorno al 1956) e poi attraverso
un’estesa pietraia che ci ha portati direttamente alla base
dei tornanti che conducevano ripidissimi al Passo del Lunedì a 2650 m. Da lì una serie di saliscendi piuttosto noiosi ma necessari ci hanno permesso di iniziare ad intravedere il Lago Venerocolo (2535 m) e il Rifugio Garibaldi
13 metri più in alto. Passata la notte di meritato riposo, il
giorno successivo, il quinto su cinque con il bel tempo, ci
aspettava solo discesa in direzione del Lago d’Avio.
Il sentiero scendeva dapprima lungo la parte orientale
della valle omonima e poi, a partire dal Lago Benedetto, lungo il lato opposto. La prima parte del sentiero è
denominata “Il Calvario” a causa dei numerosi tornanti
e dei passaggi obbligati tra le pietre talvolta anche difficoltosi. Dalla metà in avanti invece il sentiero diventa
quasi pianeggiante fino alla nostra meta. Verso le 10.30
un pulmino e un fuoristrada ci sono venuti a prendere e
ci hanno portati fino al paese di Temù, posto nella Valle
Camonica a 1144 m.
A questo punto il nostro trekking era finito ma ci mancava
ancora una parte importante dell’uscita: il pranzo in pizzeria! Il ritorno in pianura è stato traumatico a causa delle
elevate temperature che ci hanno accolto appena aperte
le porte dei pulmini a Reggio Emilia.
Partecipare al trekking ne è valsa proprio la pena!
21
Lagorai, natura libera
di Giovanni Della Giustina
La fatica puramente fisica, purché
non sia eccessiva, tende ad essere
una causa di felicità; favorisce
un sonno quieto e profondo e un
buon appetito e dà gusto ai piaceri
possibili nei giorni di vacanza. Ma
quando è eccessiva diventa un male
assai grave. (Bertrand Russell)
Beh, metti insieme una squadra di
bikers del CAI di Reggio Emilia,
Parma e Bologna, che si ritrovano
per una due giorni ai Lagorai, e
l’aforisma del Russell è perfetto!
Parentesi: spesso si tende ad
interpretare il ciclismo “off-road”
come uno sport estremo, fatto
di cronometri, velocità, discese
pericolose, alimentazione “tecnica”
e non curante dei piaceri di prima,
durante e dopo!!! Nella filosofia
del
cicloescursionista
pedalare
insieme significa altro: prima di tutto
visitare luoghi, osservare, discutere,
fotografare… ed infine una bella
mangiata in compagnia. Spesso ci
si confronta con se stessi ed i propri
limiti, ma sempre alla ricerca di quei
ritmi naturali che la quotidianità ci
proibisce di toccare. Questo era
l’obbiettivo e i Lagorai e la propria
“natura libera” ce li hanno regalati.
Unisci il tutto all’ultima escursione
del “Corso d’avvicinamento al
cicloescursionismo MTB” organizzato
in sinergia dal CAI di Reggio e
Parma, ed il quadro è completo.
Così sabato 18 giugno ci troviamo
nel piazzale sottostante la casa di
vacanza Tedon, poco distante dal
Rifugio Carlettini, località Tedon, Val
Campelle, Trento, porta d’ingresso
della ben più famosa Valsugana.
Alcuni sono arrivati direttamente da
Bologna mentre in tanti, provenienti
da Reggio e Parma, hanno scelto
di caricare la propria bici sul VAN
noleggiato per l’evento. Il numero di
mezzi in movimento è risultato così
limitatissimo: il rispetto dell’ambiente,
aspetto da non trascurare mai! Si
formano i gruppi, organizzazione
perfetta. Per gli accompagnatoriistruttori c’è una targa da apporre
sul fronte bici e a corredo una radio
trasmittente. Nell’aria quella giusta
tensione positiva che ci tiene svegli
nonostante l’alzataccia ed il viaggio.
L’aria è frizzante e le nostre mountainbikes iniziano a “scalpitare”. Si
parte. Parlavamo dei Lagorai come
“natura libera”. Cuore selvaggio
del Trentino, una catena montuosa
poco colonizzata dall’uomo. Basti
pensare che durante la due giorni in
pochissimi di noi erano raggiungibili
via etere; incredibile se si pensa
all’uso ed abuso che oggi facciamo
della tecnologia “phone mobile”!!!
Strade forestali e mulattiere la fanno
da padrone, una volta utilizzate
dai soldati per il trasporto di mezzi
bellici e poi dai braccianti per
raggiungere boschi e miniere, oggi
sono fruibili per fare trekking e
pedalare. Sentieri immersi nei boschi
di pini ed abeti, ponticelli di legno
dove scorrono piccoli corsi d’acqua,
fanno da cornice alla nostra azione
motoria che per alcuni istanti passa
in secondo piano. Le tante malghe,
dislocate lungo i percorsi, sono
poi una costante di questo habitat.
22
Prima meta del sabato proprio
Malga Caldenave, rifugio e punto
ristoro. Il tempo non è bellissimo ma
non piove!!! Il ritorno verso Tedon
è caratterizzato da un sentiero con
tratti tecnici ed alcuni non pedalabili.
Qui entra in gioco il fare “squadra”.
Passamano di bikes per superare
alcuni importanti ostacoli. Arriviamo
su strada bianca e poi di nuovo
una mulattiera in parte rovinata
viene percorsa con molta calma. Si
arriva vicino a Tedon. Risaliamo una
forestale passando dalla ex cava
Maffei, e quindi discesa a Tedon su
sentiero abbastanza impegnativo.
Cena, cantatina sotto il cielo stellato
davanti alla casa di vacanza e poi
a dormire. Le previsioni meteo della
domenica danno forte pioggia
nel primo pomeriggio, pertanto,
anticipiamo la partenza. Alle 7.00
si parte.
Prima parte di asfalto che poi diventa
strada forestale ben pedalabile. Posto
a sud della catena del Lagorai fra
la Cima Lagorai e la Cima D’Asta,
arriviamo al Passo Cinque Croci,
2018 m.
Un monumento ai caduti della
Grande Guerra è testimone tangibile
del luogo. Alcuni di noi decidono di
proseguire verso Forcella Magna,
primo tratto in sella poi a piedi. 7 km,
andata e ritorno, spesi benissimo!!!
Spruzzati qua e là come sopra
ad una tela del pittore, rigagnoli
d’acqua e qualche roccia granitica
ancora imbiancata dalla neve.
Veloce discesa su carrozzabile e poi
Forcella Val Cion. Portage e tratti
a spinta c’impegnano duramente.
Arrivati a Malga Valscura iniziamo
la discesa.
Gli ultimi chilometri sono emozionanti.
Il
sentiero
costeggia
torrenti,
s’immerge nei boschi e tecnicamente
c’impegna il giusto. Arriviamo tutti a
Tedon, stanchi ma con gli occhi felici.
Dopo il consueto merendone,
gli abbracci ed i saluti, è giunta
l’ora di fare ritorno. Il ruolo
dell’accompagnatore-istruttore
rimane solo sulle tabelle ancora
legate alle bikes.
Ora siamo una squadra. Mentre
scendiamo iniziano ad arrivare,
quasi come una sveglia, sms e msg di
tutti i tipi. Nei nostri pensieri, sempre
presente, ancora un bellissimo
ricordo di questa meravigliosa natura
libera, i Lagorai.
Hotel Ristorante Waldheim
L’Hotel Ristorante Waldheim si trova in Val Martello nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio, vicino la
chiesetta del pellegrinaggio di Santa Maria.
Questi luoghi che durante l’inverno permettono la pratica di sci di fondo e sci alpinismo, nel corso dell’estate
diventano punto di partenza per bellissime passeggiate ed escursioni a tutti i livelli.
Dopo una lunga camminata o una intensa discesa, per ritrovare le forze, è sempre possibile rilassarsi nel
centro benessere dell’Hotel Waldheim: sauna finlandese, bagno turco e sauna alle erbe.
L’Hotel ha anche un ottimo Ristorante, membro dell’alleanza dei cuochi Slow Food in Italia. Famosissima è
inoltre la Cantina Waldheim per la qualità e la varietà di vini dell’Alto Adige, ideali per piatti tipici come
quelli a base di funghi e selvaggina, come lo speck, la trota affumicata e lo strudel.
Gli amici della montagna ritornano sempre volentieri nell’Hotel Ristorante Waldheim.
Hotel & Ristorante Waldheim
Santa Maria alla fonderia 16
39020 Martello - Val Venosta
Telefono: +39 0473 744545
Fax: +39 0473 744546
E-mail: [email protected]
www.waldheim.info/it
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...I RISCHI DI UNO SPORT AFFASCINANTE
Per gli appassionati della montagna particolari ed interessanti coperture assicurative,
estese all’alpinismo con scalata di qualsiasi grado di difficoltà,
accesso ai ghiacciai, sci, sci-alpino e speleologia.
CLIENTE
PROPOSTA
Unipol
Esecutivo colori Pantone
PROGETTO
DATA
Unipol / Fonsai
Milano, 28 novembre 2012
COLORI
DI STAMPA
2
PANTONE®
Process Blue
REGGIO ASSICURA s.n.c.
PANTONE®
Process Black
inTesta srl
Gruppo Armando Testa
www.intesta.it
[email protected]
Milano 20146
Via Washington, 17
T +39 0248012776
F +39 024984750
Roma 00153
Via G. da Castel Bolognese, 81
T +39 0658317211
F +39 0658301690
Sub Agenzia di S. Ilario d’Enza
Donelli G. e Donelli M.
Via Libertà, 59 - S. Ilario d’Enza
Tel. 0522.672142 - Fax 0522.472321
di Morani W., Prampolini G. e Salsi G.
Via Emilia Ospizio, 118 - R.E.
Tel. 0522.267011 - Fax 0522.267026
Web: www.reggioassicura.it
E.mail: [email protected]
Sub Agenzia di S. Polo d’Enza
Conti Alessandra
Via G. Bonetti, 10 - S. Polo d’Enza
Tel. e Fax 0522.241129
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Via XX Settembre, 25 - Montecchio
Tel. e Fax 0522.866389
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