Donne: perseguitate e uccise … per amore

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venerdì 25 novembre 2016, 08:00
Violenza sulle donne
Donne: perseguitate e uccise … per amore
Un problema di sanità pubblica, come un'epidemia: 1 donna su 3 vittima nel mondo
di Redazione
Nel mondo oltre 1 donna su 3 ha subito, nel corso della vita, una violenza domestica o sessuale. Il 30% è stata vittima
di abusi fisici o sessuali da parte di uomini con cui avevano avuto una relazione intima e ha riportato gravi danni alla salute.
Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), diffuse alla vigilia della Giornata internazionale
contro la violenza sulle donne, la violenza di genere è una delle prime cause di morte o invalidità permanente
delle donne. Le violenze psicologiche, fisiche o sessuali rappresentano, dunque, un problema di sanità pubblica
che coinvolge più di un terzo delle donne di tutto il mondo. Secondo Margaret Chan, Direttore generale dell'Organizzazione
mondiale della sanità, «questi dati rappresentano un messaggio chiaro: la violenza sulle donne è un problema sanitario
globale, come un'epidemia». Sessantaseimila donne e bambine vengono uccise ogni anno nel mondo, circa un
quinto di tutti gli omicidi (396mila). Il dato è stato raccolto nello 'Small Arms Survey', un progetto che diffonde
informazioni imparziali sulla violenza e la diffusione delle armi a livello internazionale. A guidare la classifica degli
omicidi femminili sono le regioni dove il tasso di criminalità è tra i più alti come il Sud Africa, il Sud America, i Caraibi e
l'America centrale. Secondo le Nazioni Unite (Onu) la metà delle donne uccise in Europa tra il 2008 e il 2010 è
morta per mano di qualcuno che la amava, un membro della famiglia. Lo stesso dato per gli uomini scende al 15%. Le
vittime risentono di gravi conseguenze sulla salute fisica, mentale, sessuale e riproduttiva a breve e a lungo
termine. E spesso subiscono le stesse conseguenze anche i figli. Nel 42% dei casi si tratta di lesioni e infortuni, ma le donne
oggetto di violenza sessuale rischiano gravidanze indesiderate, aborti indotti, problemi ginecologici e infezioni a
trasmissione sessuale, compreso l'Hiv. «E' sempre più necessario», sottolinea Flavia Bustreo, candidata italiana alla
direzione generale dell'Oms e dal 2010 vicedirettore generale Oms per la salute della famiglia, delle donne e dei bambini,
«fare in modo che i Paesi comincino ad attuare il piano d'azione globale, che preveda un rafforzamento della
capacità di risposta dei sistemi sanitari ai casi di violenza, ma soprattutto un rafforzamento dei programmi di prevenzione e
una migliore informazione. I Paesi devono adottare azioni contro il proliferare della violenza di genere, sostenere un impegno
politico chiaro, condiviso e universale contro gli episodi di violenza di genere, allocare risorse umane e finanziarie e
assicurare l'accesso ai servizi». A maggio, dopo lunghi negoziati, i Paesi membri dell'Oms, inclusa l'Italia, hanno
approvato il Piano di azione globale sulla violenza contro le donne, le ragazze e i bambini, in linea con gli Obiettivi
di sviluppo sostenibile e la strategia globale per la salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti. L'Italia è stata uno fra
i primi Paesi a ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti
delle donne e la violenza domestica (nota come Convenzione di Istanbul), entrata in vigore ad agosto 2014. «Nonostante
questo importante passaggio» conclude Bustreo, «la violenza contro le donne è un crimine che in Italia non viene
denunciato in oltre il 90%. A infliggerla sono uomini, inclusi quelli di casa, mariti, compagni, fidanzati, padri e ad esserne
vittime sono sempre le donne. Di queste, oltre 100 ogni anno vengono uccise per mano di un uomo. Nella maggior parte
dei casi il colpevole è un partner o un ex partner, solo in rare circostanze si tratta di uno sconosciuto. Data la grande
attenzione che l'Italia continua a riporre su questo tema e l'intenso dibattito sul piano sociale e politico, sarebbe interessante
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/donne-perseguitate-e-uccise-per-amore/
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pensare proprio all'Italia come Paese promotore e capofila nel processo di rafforzamento delle politiche di contrasto della
violenza di genere e nell'implementazione del nuovo Piano di azione globale». La situazione italiana è ancora molto grave, in
particolare per il femminicidio. Centosedici donne uccise nei primi dieci mesi del 2016, più di una ogni tre giorni,
appena il 3,3% in meno rispetto alle 120 dello stesso periodo dell'anno scorso. Al Nord spetta la maglia nera.
L'età media delle vittime è di 50,8 anni, l'arma da taglio è quella più usata (in un caso su 3), gli uomini sono il 92,5%
dei killer. Tra il 2000 -anno record con 199 donne uccise- e il 2016, le donne vittime di omicidio in Italia sono state
oltre 2.800, un numero tale da connotare il fenomeno «come un fenomeno di carattere sociale». Anche nei primi dieci mesi
del 2016 è il Nord a confermarsi l'area geografica a più alto rischio di femminicidio, con ben 62 donne uccise (il 53,4%
del totale), davanti al Sud con 31 (26,7%) e al Centro con 23 (19,8%). Rispetto all'analogo periodo del 2015, crescono i
femminicidi consumati al Nord (+26,5%, da 49 a 62) e al Centro (+53,3%, da 15 a 23), calano quelli commessi al Sud
(-44,6%, da 56 a 31). L'età media delle vittime di omicidio volontario in Italia nei primi 10 mesi del 2016 risulta piuttosto
elevata, pari a 50,8 anni (a fronte di 43,8 tra gli uomini uccisi nello stesso periodo). Ben il 30,2% delle vittime femminili
risulta avere oltre 64 anni, mentre il 13,8% si colloca nella fascia compresa tra 55 e 64. Sul fronte opposto, meno di una
donna su 10 aveva meno di 25 anni, il 13,8% tra 25 e 34 anni e il 16,4% tra 35 e 44 anni. Nel 2016, come sempre, la
famiglia (con 88 donne uccise, pari al 75,9% del totale), si conferma principale contesto omicidiario. Decisamente meno
frequenti risultano i femminicidi tra conoscenti/infragruppo (6%), quelli consumati nell'ambito della criminalità comune
(4,3%), quelli scaturiti da conflitti di vicinato (2,6%), all'interno di rapporti economici o di lavoro (1,7%). Un unico caso quello di una prostituta di 47 anni seviziata e uccisa in provincia di Bologna- è ascrivibile a un serial killer. Tra gli 88
femminicidi familiari consumati tra gennaio ed ottobre, ben il 69,7% è avvenuto all'interno di un rapporto di coppia: 43
donne sono state uccise dal coniuge/convivente; 15 da un ex coniuge/ex partner e 2 da un partner/amante non convivente.
Tra le altre figure familiari, quelle più "a rischio" sono le madri, con 14 vittime, pari al 16,3% del totale, nel 2016, seguite,
con ampi scarti, dalle figlie (5 vittime). Sono il movente passionale (29,3%) e quello della conflittualità quotidiana (31,7%) a
'spiegare' il 60% dei delitti maturati in ambito familiare. Una quota significativa di donne (14, pari al 17,1% dei
femminicidi familiari) è stata uccisa perchè malata o disabile, rientrando nella casistica dei cosiddetti omicidi
'compassionevoli', in cui però è l'incapacità dell'uomo di prendersi cura della compagna, più che il sollievo dal male, ad
armare la mano omicida. Il disturbo psichico (conclamato) dell'autore ha motivato 10 femminicidi familiari nel 2016, mentre
più sporadici risultano i casi di femminicidi familiari determinati da un movente economico (4), dalla presenza casuale (2),
dall'affidamento dei figli (1) e dalla difesa della vittima principale (1). L'ISTAT stima che il 21,5% delle donne fra i 16 e i
70 anni (pari a 2 milioni 151 mila) abbia subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner nell'arco
della propria vita. Se si considerano le donne che hanno subito più volte gli atti persecutori queste sono il 15,3%,
mentre quelle che hanno subito lo stalking nelle sue forme più gravi sono il 9,9%. Nell'arco della propria vita, lo stalking
subito da parte di altre persone è invece del 10,3%, per un totale di circa 2 milioni 229mila donne. Complessivamente,
dunque, sono circa 3 milioni 466 mila le donne che hanno subìto stalking da parte di un qualsiasi autore, pari al
16,1% delle donne. Malgrado la pervasività dello stalking, il 78% delle vittime non si è rivolto ad alcuna istituzione
e non ha cercato aiuto presso servizi specializzati; solo il 15% ha fatto ricorso alle Forze dell'Ordine, il 4,5% ad un
avvocato, o si è recata in Procura (nello 0,9% dei casi), mentre l'1,5% ha cercato aiuto presso un servizio o un centro
antiviolenza o anti stalking. Tuttavia, non tutte le donne che hanno cercato aiuto hanno poi denunciato i comportamenti
persecutori; solo il 48,3% ha denunciato o sporto querela, il 9,2% ha fatto un esposto, il 5,3% ha chiesto l'ammonimento e il
3,3% si è costituita parte civile, a fronte di un 40,4% che non ha fatto nulla. Per i casi di stalking molto gravi, la quota di
donne che non si è rivolta ad alcuno scende di 10 punti percentuali (69,9%), così come cresce la percentuale di coloro che si
sono rivolte alle Forze dell'Ordine (19,0%) e hanno fatto denuncia (50,2%) o che hanno preso contatto con un avvocato (6,3)
o un magistrato (1,5%) o che si sono rivolte ad un centro anti-stalking (3,0%) In Italia, giro di vite contro la violenza sulle
donne è entrato in vigore tre anni fa, nell'ottobre 2013, quando il Governo guidato da Enrico Letta, con i Ministri
Angelino Alfano, Anna Maria Cancellieri ed Enrico Giovannini, riuscì a ottenere dal Parlamento la conversione in
legge di un decreto in gran parte concentrato sulla tutela delle donne. Con le nuove norme sono state introdotte, in
particolare, ulteriori aggravanti per chi commette maltrattamenti e violenze domestiche ed è stata rafforzata
anche l'attività di prevenzione, con uno specifico 'Piano d'azione antiviolenza'. Al centro del provvedimento
legislativo vi è la 'relazione affettiva', che è così diventata il 'parametro' su cui calibrare aggravanti e misure di
prevenzione: dal punto di vista penale, infatti, ha acquisito rilievo la relazione tra due persone -conviventi o unite in
matrimonio- attuale o pregressa. Nel codice penale è stata inserita un'aggravante che riguarda anche i casi di
'violenza assistita': è applicabile al maltrattamento in famiglia e a tutti i reati di violenza fisica commessi ai danni o in
presenza di minorenni oppure ai danni di donne in gravidanza. Per quanto riguarda i casi di stalking commesso dal coniuge,
è venuta meno la condizione che vi sia separazione legale o divorzio nella coppia. Aggravanti specifiche sono poi previste in
caso di violenza sessuale contro una donna incinta o commessa dal marito (anche separato o divorziato) o da chi sia, o sia
stato, legato da una relazione sentimentale. La legge del 2013 affronta, inoltre, il tema della revocabilità o meno della
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querela: per garantire la libera determinazione e consapevolezza della donna vittima di violenza, il legislatore ha stabilito
che, in presenza di gravi minacce ripetute, la querela è irrevocabile. Il 'paletto' fissato dalla legge prevede che la
remissione di querela possa, nei casi in cui è permessa, avvenire solo davanti all'autorita' giudiziaria. In caso di flagranza
di reato, l'arresto è obbligatorio anche per maltrattamenti in famiglia e stalking: la legge prevede ancora
l'allontanamento urgente da casa e il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima, misure che possono essere
applicate dalla Polizia giudiziaria se autorizzata dal pm e se ricorre la flagranza di reati quali lesioni gravi, minaccia
aggravata e violenze. Chi viene allontanato dalla casa familiare può essere controllato con strumenti particolari,
come il braccialetto elettronico. Nelle indagini per atti persecutori, è possibile ricorrere anche alle intercettazioni
telefoniche. Di fronte a situazioni che possono essere lette come 'campanello d'allarme' -ad esempio percosse e lesioni- il
questore può decidere di ammonire il responsabile: tale misura preventiva, già prevista per lo stalking, è stata, quindi,
estesa alla violenza domestica. Non è possibile ammettere segnalazioni anonime, ma resta coperta da segreto l'identità
di chi decide di fornire notizie agli inquirenti. L'ammonito deve essere informato della possibilità di rivolgersi a centri di
recupero e servizi sociali sul territorio. Per tutelare la vittima di violenze, in sede processuale, è prevista una serie di obblighi
di comunicazione, in linea con la direttiva europea sulla protezione delle vittime di reato. La persona offesa, ad esempio,
deve essere informata della facoltà di nominare un difensore, nonchè di tutte le norme che riguardano l'applicazione o la
modifica di misure cautelari o coercitive nei confronti di chi è imputato per violenza. Una tutela particolare viene offerta
alle straniere che vivono nel nostro Paese: la legge, in analogia con l'attuazione di direttive europee per le vittime di
tratta, stabilisce che il permesso di soggiorno, sentito il parere dell'autorità giudiziaria, può essere rilasciato alle donne
immigrate che subiscono violenze o maltrattamenti in ambito familiare. Gli stranieri che maltrattano le donne, anche in casi
di condanne non definitive, possono rischiare l'espulsione. A prescindere dal reddito, chi è vittima di maltrattamenti,
mutilazioni genitali, stalking, può avere sempre accesso al gratuito patrocinio: i procedimenti penali su
maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, atti sessuali con minori, corruzione di minori e violenza sessuale di
gruppo, devono essere trattati con 'priorità. Anche la fase di indagini preliminari non può superare la durata di un anno per i
reati di stalking e maltrattamenti domestici. La legge ha affidato al Ministro con delega alle Pari opportunità il compito di
elaborare un 'Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale o di genere', assieme alle amministrazioni e alle
associazioni impegnate nella lotta contro la violenza, con l'obiettivo di 'prevenire il fenomeno' attraverso la 'sensibilizzazione
della collettivita', anche «rafforzando la consapevolezza degli uomini e dei ragazzi nel processo di eliminazione della violenza
contro le donne e nella soluzione dei conflitti nei rapporti interpersonali», da realizzare con l'aiuto, tra gli altri, del mondo
della scuola e della formazione. Fondi più cospicui sono stati previsti per i centri antiviolenza e le case-rifugio, i quali operano
in 'maniera integrata' con i servizi socio-sanitari del territorio.
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