Animali notturni (Nocturnal Animals),Masterminds

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Transcript Animali notturni (Nocturnal Animals),Masterminds

Snowden
di Oliver Stone. Con Joseph Gordon-Levitt, Shailene Woodley, Melissa Leo, Zachary Quinto, Tom
Wilkinson USA, Germania 2016
2013. Edward Snowden (Gordon – Levitt) è, in incognito, in un hotel di Hong Hong, insieme alla
documentarista Laura Poitras (Leo) e ai giornalisti di The Guardian Glenn Greenwald (Quinto) e
Ewen MacAskill (Wilkinson) ai quali sta facendo importanti dichiarazioni. Lui, figlio di un militare, da
giovane, abbondonati gli studi informatici, nel 2004 si era arruolato nelle Forze Speciali con la
speranza di andare a combattere in Iraq ma il duro addestramento con uno zaino di 40 chili sulle
spalle gli aveva spezzate entrambe le gambe. Congedato, aveva fatto il test per entrare nella C.I.A. e
l’ufficiale Corbin O’ Brian (Rhys Ifans), che l’ha esaminato, lo ammette, pur con qualche falla nelle
risposte, per il suo entusiasmo patriottico. Durante i corsi viene, però, fuori il suo enorme talento per
l’informatica e gli vengono subito assegnati compiti delicati. Comincia a collaborare con Gabriel Sol
(Ben Schnetzer) che gli mostra i programmi di controllo dell’Agenzia e lo prende in giro,
chiamandolo “Biancaneve”, quando lui si stupisce vedendo che questi non riguardano solo possibili
agenti nemici ma milioni di persone. In quel periodo conosce Lindsay Mills (Woodley), una ragazza
progressista che diventerà presto la sua compagna. Stringe amicizia anche con il suo docente
d’informatica, Hank Forrester (Nicolas Cage), che gli rivela di aver messo a punto in passato un
sistema molto sofisticato, che però era stato misteriosamente messo da parte. Finito con successo il
corso, Snowden viene inviato in Svizzera e qui comincia ad avere sempre più chiaro che la C.I.A.
controlla praticamente tutti coloro che hanno un sistema di comunicazione elettronico (telefonini,
mail, apps); gli viene dato in primo incarico da spia: deve trovare un banchiere che accolga conti di
nazioni colluse con il terrorismo; lui aggancia Marwal Al-Kirmani (Bhasker Patel), viene a
conoscenza di problemi della sua figlia quattordicenne, li segnala all’agente senior Geneva (Timothy
Oliphant), con il quale lavora e questi non esita a rovinare la vita del finanziere per penetrare nei
suoi conti, creando a Snowden una violenta crisi di coscienza. Trasferito in Giappone lavora
alacremente ai programmi di controllo (scoprendo che sono una versione deviata del progetto di
Forrester) ma con Lindsay le cose non vanno bene: lui è troppo assente e concentrato sul lavoro e lei
sta per lasciarlo. Questa situazione, in aggiunta allo stress, gli procura una crisi epilettica (lui aveva
sempre trascurato questa sua malattia perché i farmaci per tenerla sotto controllo gli toglievano
lucidità nel lavoro). Decide così di dimettersi e lavora presso dei privati, sempre però nell’ambito
della Sicurezza Nazionale. Gira il mondo, con compiti di coordinamento dei sistemi NSA, finchè
O’Brian non lo convince ad andare alla base militare Waipu, alle Hawaii, per coordinarne gli
avanzatissimi programmi informatici. Qui, sotto gli ordini dell’ufficiale Trevor James (Scott
Eastwood), coordina la squadra degli informatici; i dubbi che l’hanno sempre tormentato diventano
certezze quando vede varie scene di civili uccisi dai droni che da lì partono, avendo come bersaglio
dei terroristi – ovunque e con chiunque si trovino – e gli appare chiaro che la nazione con più
individui sotto controllo (più di 5 milioni) sono gli Stati Uniti. Dopo aver racchiuso in una chiave Usb
i dati della NSA e aver convinto Lindsay a tornare a casa, lui va a Hong Kong e, con una lunga
intervista, fornisce al Guardian e al Washington Post il materiale per montare una travolgente
inchiesta sui servizi segreti americani. Messo sotto accusa, è difeso dall’avvocato Robert Tibbo (Ben
Chaplin), che lo aiuta a rifugiarsi in Russia.
Stone è la figura centrale del cinema d’impegno americano: ha raccontato, con grande
partecipazione politica, tre Presidenti americani (JFK, Nixon, W.), ha più volte condannato le guerre
del suo paese (Salvador, Platoon, Nato il 4 Luglio) , con i due Wall Street ha messo a nudo la
disumanità dell’alta finanza: tutti questi titoli, a prescindere dall’adesione o meno ai loro contenuti,
hanno sempre mantenuto un forte valore di qualità cinematografica (alla pari di quelli che io
considero i suoi film migliori: Natural born killer e Ogni maledetta domenica). Snowden, invece, non
ce la fa a prendere respiro: Gordon-Lewitt è preciso, il cast è ottimo e di grande richiamo – a partire
dalla Divergent Woodley – ma sembra di essere di fronte ad un costoso ed ottimo tv-movie. E’
probabile che la contemporaneità dei fatti raccontati abbiano costretto la produzione a rispettare le
volontà dei veri protagonisti della vicenda (i personaggi C.I.A., a partire da Corbin O’Brian, sono
tutti, peraltro, di fantasia) per evitare problemi giudiziari. Sta di fatto che la complessità e la
tragicità di Edward Snowden e le chiare ambiguità del personaggio, sono annullate in un racconto
senza chiaroscuri –in fase di scrittura ma, di conseguenza, anche dal punto di vista registico – che
dà al protagonista un ruolo di santino informatico, molto lontano dalla capacità, quasi scespiriana, di
Stone di tratteggiare i suoi personaggi.
Animali notturni (Nocturnal Animals)
di Tom Ford. Con Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Aaron Taylor-Johnson, Isla Fisher
Susan Morrow (Adams) gestisce una prestigiosa galleria d’arte d’avanguardia – la vediamo
inaugurare una mostra di statue viventi e video con grassone nude (Michele Dunn, Lori Jean Wilson,
Peggy Fields Richardson, Piper Major) – ed è sposata con Hutton (Armie Hammer), uomo d’affari; la
sua vita, apparentemente perfetta, è in crisi: il rapporto con il marito (che sta attraversando una
crisi finanziaria) è più che logoro, il suo lavoro non la soddisfa più (da giovane voleva fare l’artista
ma non ne ha trovato il coraggio) e la notte non dorme praticamente mai. Un giorno le arriva per
posta la copia dattiloscritta del romanzo Animali notturni, che il suo ex-marito, Edward Sheffield
(Gyllenhaal), sta per pubblicare. Lei ne è un po’ sconvolta: si sente ancora in colpa per il modo in
cui, al tempo, lo aveva lasciato (verremo a sapere, che, aiutata da Hutton, aveva abortito del
bambino che aspettava e che lui li aveva sorpresi all’uscita della clinica). La sera lei e il marito vanno
a cena dalla sua amica modaiola Alessia (Andrea Riseborough), la sua confidente ma questa –
talmente trendy da aver sposato il gay Carlos ( Michel Sheen) per non avere noie sentimentali – non
può far molto per aiutarla. Durante la cena Hutton riceve una telefonata e parte immediatamente
per New York. Più tardi, alle 4 del mattino, lei, mentre aveva cominciato a leggere il romanzo, lo
chiama per avere notizie del viaggio e capisce che lui è con una ragazza (Imogen Waterhouse); ne è
ferita ma fa finta di nulla e si rimette a leggere, sempre più coinvolta nella trama.
Il romanzo racconta di un uomo Tony Hastings (Gyllenhaal), che parte per il Texas con la
moglie Laura (Fisher) e la figlia adolescente India (Elli Bamber). Di notte, in autostrada
deserta, supera due macchine che camminano appaiate; alla guida di una delle due ci sono
tre teppisti, Ray (Taylor-Johnson), il capo, Lou (Karl Glusman) e Turk (Robert Aramayo),
che prima si fanno urtare, poi li buttano fuori strada e, infine, fingono di aiutarli,
cambiando una gomma che, nella manovra, si era forata. Tony cerca di dominare la paura
ma Ray e Turk caricano le due donne sulla sua auto, mentre lui è costretto a seguirli
insieme a Lou. Arriva alle viste di una baracca, vicino alla quale è parcheggiata la sua
macchina ma Lou lo minaccia e lo costringe a guidare fino ad un sterrato e qui lo fa
scendere. Dopo una notte nascosto al buio, Tony arriva in una fattoria e chiama la polizia.
Arriva il tenente Bobby Andes (Shannon) e con lui vanno alla baracca; qui, su di un divano,
trovano i corpi nudi di Laura ed India: sono state violentate ed uccise. Le indagini
proseguono a rilento, sino a che, in una rapina, uno dei tre banditi viene ucciso – ed è Turk
– e l’altro, Lou, viene arrestato e riconosciuto da Tony. Poco dopo, Bobby porta Tony a casa
di Ray e lo arresta in base alla sua testimonianza. Ma questi viene rilasciato: le prove
contro di lui sono ritenute insufficienti. Bobby allora va a parlare con Tony e gli confida di
avere un tumore ai polmoni che gli lascia solo un anno di vita e che il rilascio di Ray, è una
mossa dei suoi superiori per accusarlo di negligenza e sostituirlo prima del tempo; lui,
però, non è disposto a lasciar libero uno stupratore e assassino e gli chiede se è disposto
ad andare fino in fondo con lui. Tony accetta e i due aspettano che Ray esca dal bar dove è
andato a festeggiare, lo prelevano e lo portano a casa del poliziotto, i cui uomini, poco
dopo, portano anche Lou. Il tenente li minaccia con la pistola e, dopo poco, li libera, per
avere una scusa per ucciderli; i due scappano, Bobby ammazza Lou, dà una pistola anche a
Tony e i due si dividono per cercare Ray; Tony lo trova nella baracca dello stupro e gli
spara uccidendolo, anche se l’altro lo ha colpito con una spranga; all’alba, ferito e
semicieco per la botta, si rialza, esca e, dopo pochi passi, si suicida con un colpo di
revolver.
Durante la lettura Susan ha sprazzi di ricordi della sua storia con Edward: il primo incontro, la
decisione di sposarsi, lo scontro con la madre (Laura Linney) che lo considera un debole senza
avvenire, le crisi di lui alle prese con le prime, dure, esperienze di scrittore, la sua decisione di
lasciarlo, fino all’aborto; soprattutto ricorda che Animale Notturno era il soprannome che Edward le
aveva dato, per via della sua insonnia; nella galleria, intanto, lavora distrattamente e cambia idea su
Alex (Zawe Ashton), una manager che considerava superficiale perché non aveva il suo stesso male
di vivere e, per lei, si scontra con due aspre azioniste della galleria (Jena Malone e Kristin Bauer Van
Stratten). Lei gli manda un messaggio, in cui gli chiede un appuntamento e lui risponde
immediatamente, invitandola a cena. Al ristorante, però, lui non si presenta e lei rimane lì a scolarsi
un whisky dietro l’altro.
Tom Ford è, come noto. un affermatissimo stilista: prima di avere un marchio proprio, ha lavorato
per Gucci e per Yves Saint Laurent e, nel cinema (oltre ad un paio di apparizioni nel ruolo di se
stesso) ha creato i costumi degli ultimi tre 007. La svolta, però, è stata il suo primo film, A single
man, con il quale ha avuto immediati riconoscimenti e attenzioni critiche; pur essendo tratto dal
romanzo di Christopher Isherwood, A single man, molto pervaso dalla sua vita personale (in
particolare dalla malattia del suo compagno Richard), avrebbe potuto essere una feconda
stravaganza in un percorso professionale attinente con l’arte. Animali notturni – anche questo tratto
da un romanzo, Tony & Susan di Austin Wright – invece, è la prova di un vero talento registico. Non
è certo un film perfetto, anzi: le ambientazioni e i personaggi che più trendy non si può, le metafore
pittoriche (il quadro con la scritta Revenge, il toro trafitto dalle frecce, le ciccione oscenamente
inutili) pesantemente allusive, le bellurie registiche e di montaggio, il tono dei dialoghi tra la soap
Anche i ricchi piangono e un fondo di The New Yorker potrebbero essere – e in parte sono – forti
limiti narrativi ma l’insieme è un film suggestivo, potente e, alla fin fine, sincero; quello che vediamo
è il mondo di Tom Ford e lui ce lo racconta, senza mediazioni e, se ci entriamo, soffriamo, con gioia
empatica, le sue sofferenze. Aiuta, certo, un cast di attori eccelsi anche in ruoli secondari ma,
certamente, il Gran Premio della Giuria a Venezia non era immeritato.
Masterminds - I geni della truffa (Loomis
Fargo)
di Jared Hess. Con Kristen Wiig, Owen Wilson, Jason Sudeikis, Zach Galifianakis, Ken Marino
USA 2015
David Ghannt (Galifianakis) è un portavalori della Loomis ed è innamorato della collega Kelly (Wiig),
anche se sta per sposarsi con la petulante Jandice (Kate McKinnon). Un giorno l’irrequieta Kelly
lascia il lavoro e va a vivere dal suo amico Steve (Owen Wilson). Questi è un ladro e convince la
ragazza a sedurre David perché rapini per loro la Loomis. Lui,esasperato dagli sgarbi della fidanzata
e della futura suocera (Jill Jay Clements) e innamorato cotto accetta con entusiasmo. Durante il colpo
ne combina di tutti i colori: si fa sorprendere dal collega Ty (Njema Williams), rimane incastrato nel
furgoncino e, soprattutto, viene ripreso da una telecamera di sorveglianza. Il colpo però riesce e
frutta ben 17 milioni di dollari. Steve gli procura, sottraendoli al killer Mike McKinney(Sudeikis), dei
documenti falsi e lo spedisce in Messico con 20.000 dollari e Kelly gli promette di raggiungerlo al
più presto con la sua parte del bottino. David, fiducioso, parte e si tiene in contatto con la sua amata
ma, quando lei sta per rivelargli di non avere nessuna intenzione di andare da lui, Steve la costringe
a farsi dare l’indirizzo in Messico; David è ormai, grazie alla telecamera della Loomis, su tutti
telegiornali, la grintosa detective FBI (Leslie Jones), che segue il caso sta cercando i complici e
Steve è convinto che farlo arrestare sia il modo migliore per calmare le acque, certo che David non
farà mai i loro nomi per non compromettere l’amata. Lui sfugge, avventurosamente, all’arresto e ora
vaga per il Messico, spaventato e con pochi soldi e lancia messaggi disperati a Kelly. Steve – che, nel
frattempo, ha abbandonato ogni prudenza e spinto dalla moglie Michelle (Mary Elizabeth Ellis) ha
comprato un’enorme villa e vive da nababbo – assolda McKinney per uccidere David; Kelly lo viene a
sapere e cerca di metterlo in guardia ma il killer arriva prima e sta per farlo a fette (è un sadico);
quando dai documenti (falsi) scopre che si chiama come lui e che è nato lo stesso giorno e,
interpretando questo come un segno del destino, lo abbraccia come un fratellino e gli regala anche
un po’ di soldi. David chiama Steve e minaccia di denunciarlo se non gli fa un bonifico in Messico di
sei milioni ma questi rapisce Kelly e minaccia di ucciderla. David torna in America il giorno
dell’inaugurazione della faraonica villa dell’ex-complice e riesce a liberare la ragazza e, raggiunto da
Steve, accortosi che la detective è in ascolto da un furgone dentro la villa e lo induce a vantarsi delle
sue gesta. Vengono tutti arrestati ma i sei anni di carcere di David saranno lievi, sia perché troverà
Kelly – anche lei condannata allo stesso numero di anni – ad aspettarlo, sia perché l’entità del
bottino (il più alto della storia delle rapine in America) gli riserva un trattamento di grande rispetto
da parte degli altri detenuti e, non ultimo, perché ha nascosto – durante l’incursione nella villa
dell’ex-complice due bei milioncini.
La rapina è uno dei soggetti che più spesso hanno ispirato film comici – vedi I soliti ignoti di
Monicelli, I mitici di Vanzina, Prendi i soldi e scappa di Allen – ed ha precedenti letterari illustri,
valga per tutti la saga di Donald E. Westlake con il ladro pasticcione e sfortunato Dortmunder;
questo film avrebbe tutti i presupposti per essere piacevole: la storia paradossale ma realmente
accaduta (nei titoli di coda vediamo alcuni interpreti con i veri rapinatori), il regista specialista di
commedie dell’assurdo (Napoleon Dynamite, Super Nacho) e un cast di ottimi comedians
(Galifianakis è esplosi con i tre Notte da leoni, la Wiig è la protagonista de Le amiche della sposa, la
McKinnon era la più divertente nel recente Ghostbusters e Sudeikis lo era nei due Come ammazzare
il capo e vivere felici). Però qualcosa non gira nell’ingranaggio; ogni commedia ha bisogno di un
ritmo, di un beat preciso e questa non lo ha; probabilmente le difficoltà finanziarie della Relativity
Media che lo ha prodotto non hanno reso possibile un indispensabile lavoro finale di pulitura e
accorpamento in fase di post-produzione; sta di fatto che quello che, con due anni di ritardo dal
previsto, vediamo è un insieme di gag affastellate e situazioni e personaggi minori che lascerebbero
intendere un qualche sviluppo lasciati in sospeso. Peccato; un’ occasione persa.
In bici senza sella
di Francesco Dafano, Chiara De Marchis, Matteo Giancaspro, Cristian Iezzi, Gianluca
Mangiasciutti, Giovanni Battista Origo, Solange Tonnini. Con Edoardo Pesce, Riccardo De
Filippis, Alberto Di Stasio, Michele Bevilacqua, Luca Scapparone
Una speaker radiofonica (Azzurra Locchi) apre e chiude, con impietosa ironia, sei vicende di
ordinario precariato:
Primo episodio: Santo Graal di Giovanni Battista Origo
Luciano (De Filippis) e Aurelio (Pesce), per sbarcare il lunario, fanno gli svuotacantine. Un giorno il
nobile Partecipazi (Sergio Basile) dà loro un baule da portare via, dopo averli accolti con modi
bruschi in una casa piena di suoi ritratti in fogge di varie epoche. Quando, nel bar di Bruno (Bruno
Pavoncello), aprono il baule davanti al rigattiere Nando (Di Stasio) per vendergliene il contenuto, tra
il ciarpame viene fuori una coppa di legno. Nando, intuendone il valore, chiama l’antiquario Dino
(Stefano Corsi) che la riconosce come il Sacro Graal, la coppa dell’Ultima Cena che dà l’immortalità
a chi vi beve dentro. Bruno porta del vino ma nessuno se la sente di provare: Dino è ebreo e con lui
non funzionerebbe, Nando dovrebbe farla bere a tutti i suoi familiari, e Aurelio – interpretando
anche il pensiero del suo socio, non intende passare l’eternità nella vana ricerca di un lavoro. Il
pensionato Remo (Umberto Montorsi), però …
Secondo episodio: I Precari della Notte di Sole Tonnini e Gianluca Mangiasciutti
Cinque giovani, in jeans e gilet di pelle, Bellachioma (Bevilacqua), Lo Zoppo (Scapparone), Cucciolo
(Alessandro Giuggioli), Pacco (Manfredi Saavedra) e Cesarino (Vittorio Giardina), i Precari, vanno
con l’ultima corsa della metropolitana all’EUR per prenotarsi ad un bando dell’INPS ma sono in
anticipo di un giorno e, tornando indietro, dovranno difendersi dalle temibili bande dei Cassintegrati
e dei Lavoratori in Nero.
Terzo episodio: Curriculum vitae di Matteo Giancaspro
Francesco ha un curriculum invidiabile per gli studi e i master brillantemente superati ma non riesce
a trovare lavoro. Non se ne capacita, nonostante la brutale chiarezza con la quale lo yuppissimo boss
(Francesco Montanari) della Leader, avveniristica agenzia di lavoro, gli spiega che è proprio la sua
competenza a spaventare i datori di lavoro. Quando l’ennesimo capo del personale (Lucio Patanè),
letto il curriculum, lo caccia in malo modo, Francesco, disperato, sale al terrazzo e fa per buttarsi di
sotto. La folla sottostante cerca di dissuaderlo e il pizzettaro Bruno fa una colletta e raccoglie ben
800 euro. Ma allora…!?
Quarto episodio: Crisalide di Cristian Iezzi e Chiara De Marchis
Laura (Emanuela Mascherini) è contenta: e stata assunta come pubblicitaria; il Direttore (Alberto
Gimigniani) dell’agenzia le fa però firmare un foglio di dimissioni da far valere nel deprecabile caso
di una maternità. Pazienza. Lei e il marito Marco (Remo Stella) festeggiano la provvidenziale
assunzione; un po’ troppo, però: poco dopo lei si scopre incinta. L’unica soluzione è far finta di
niente in ufficio, mangiare ostentatamente troppo per giustificare l’aumento di volume e di peso e,
allo psicologo (Bruno Crucitti) dell’azienda giustificare gli sbalzi d’umore, inventando un adulterio
del marito ma come si fa se, durante il parto, il capo ti chiama al telefono?
Quinto episodio: Il Parassita di Francesco Dafano
Un brillante creativo (Alessandro Giuggioli), inventa personaggi per una piccola società di
merchandisng artigianale. La crisi e le malferme condizioni di salute, costringono il suo Capo (Ciro
Scalera) a licenziarlo. Come se non bastasse, a casa trova un avviso di sfratto. Il nostro non si dà per
vinto: va a casa del capo e, all’insaputa di questi, vive una vita speculare alla sua: mangia e dorme lì
e, di giorno, quando l’anziano boss è via, gli corregge i progetti, creando un supereroe di grande
successo. Se poi la malattia del Capo farà il suo corso, il piano sarà perfetto, sinché…
Sesto episodio: Il Posto Fisso di Sole Tonnini
Pietro (Scapparone) e Paolo (Bevilacqua) sono disoccupati alla costante ricerca di un lavoro,
all’osteria, dove stanno bevendo un bicchiere di vino, arriva loro, riservatissima. la notizia di un
posto fisso; Paolo si lascia scappare qualcosa e tutti gli avventori offrono loro dei soldi – la
locandiera (Francesca Fago), se stessa – in cambio di quell’opportunità. Loro resistono e, lungo la
strada, ammazzano con una fiondata il concorrente Corradini (Marco Bernardi), eludono il Bagarino
(Simone Spinazzè) che offre biglietti per colloqui, legati a lavori improbabili e quasi si scontrano con
Wonder Woman (Francesca Pisanello) che corre anche lei per arraffare un impiego. Arrivano a
destinazione e dopo aver giurato eterna fedeltà all’Uomo del Colloquio (Edoardo Sala)…
In bici senza sella è un piccolo miracolo: un gruppo di giovani attori, sceneggiatori e registi,
capitanato dal geniale e caparbio Alessandro Giuggioli ha deciso di fare un film che raccontasse in
modo divertente la propria (ed universale) condizione di precariato. Nel loro cammino hanno
incontrato, non a caso, la Tandem di Enzo Giulioli, storico produttore che 38 anni fa produsse il
primo film di Nanni Moretti, Ecce Bombo. Parecchie porte si sono loro chiuse in faccia ma non si
sono arresi e, con il sistema di crowdfunding – una raccolta di fondi porta a porta, molto diffusa tra
le produzioni indipendenti americane e nordeuropee– hanno trovato i soldi necessari per completare
il film. Alcuni noti attori (Montanari, De Filippis, Pesce, Di Stasio, tra gli altri) hanno partecipato
all’operazione accontentandosi della paga sindacale, contribuendo non poco a dare all’operazione un
taglio di commedia all’italiana moderna. Di questo, infatti, si tratta: di una riproposta intelligente e
attualissima degli stilemi del nostro genere più blasonato. Come nella migliore tradizione, il film
presenta vari piani di lettura: si ride di gag esilaranti, si medita sullo sperpero delle ultime
generazioni, si gode di citazioni colte (I guerrieri della notte, Indiana Jones, Brecht, Beckett,
addirittura Sergio Tofano e il suo Bonaventura, nel personaggio del nobile Partecipazi). Il film è già
cult: Colin Firth, Stanley Tucci e Rupert Everett, ai quali il bulldozer Giuggioli l’ha fatto vedere,
hanno rilasciato giudizi entusiastici (Firth lo ha addirittura accompagnato in una proiezione
all’Università La Sapienza). Solo dei giovani potevano scherzare con efficacia sulla precarizzazione
della loro generazione e loro ci sono riusciti benissimo.
Doctor Strange
di Scott Derrickson. Con Benedict Cumberbatch, Chiwetel Ejiofor, Mad Mikkelsen, Rachel
McAdams, Tilda Swinton USA 2016
A Katmandu lo stregone Kaecilius (Mikkelsen) e i suoi zeloti assalgono il tempio Kamar-Taj, uccidono
il bibliotecario (Ezra Khan), custode di libri antichi e misteriosi e rubano un trattato di Nostradamus,
che solo al potente Antico (Swinton) era consentito consultare. Questi sopraggiunge e riesce a
riprendere il libro ma alcune pagine restano nelle mani di Kaecilius. Intanto in America, Steven
Strange (Cumberbatch), un grandissimo ed egocentrico neurochirurgo, passa di successo in
successo, umiliando il suo collega, dottor West (Michael Stuhlbarg) e alienandosi l’amore della
dottoressa Christine Palmer (McAdams). In un incidente automobilistico, però, perde parzialmente
l’uso delle sue preziose mani. Per mesi, impoverendosi, cerca una cura che gli ridia la possibiltà di
riprendere a operare, finché non conosce Jonathan Pangborn (Bernjamin Bratt), un paraplegico che
può camminare e fare sport, che gli rivela l’esistenza di Kamar-Taj. Strange va a Katmandu ma
nessuno sembra conoscere il tempio; un giorno, però, uno sconosciuto lo salva da una rapina: è
Mordo (Ejofor), che lo porta dal suo maestro, l’Antico. Lui è inizialmente scettico e sprezzante e lo
stregone lo butta fuori ma, dopo le sue suppliche, lo ammette tra gli allievi, rivelandogli l’esistenza
di un Mulitiuniverso, abitato anche da forze terribilmente malvagie e insegnandogli la capacità di
trarre da se stesso poteri magici. Strange, nonostante le prime difficoltà, si rivela dotatissimo –
l’Antico lo aveva capito e spiega al dubbioso Mordo che il dottore potrebbe rivelarsi decisivo nel
combattere Kaecilius, ex-allievo ora passato al servizio del Padrone della Dimensione Oscura dove il
tempo non esiste, Dormammu (Cumberbatch) – e, spesso, deve vedersela con Wong (Benedict
Wong), il nuovo bibliotecario, perché cerca di studiare anche libri non consentiti. Strange apprende
che il loro compito è quello di proteggere la Terra, attraverso tre santuari, siti a New York, Londra e
Hong Kong. Un giorno, approfittando dell’assenza di Wong, Sttrange s’impadronisce dell’Occhio di
Agamotto, un gioiello magico che porta chi lo indossa fuori dalla dimensione temporale e Mordo e il
bibliotecario lo mettono in guardia sulle conseguenze dell’andare contro le leggi della natura. Di lì a
poco, Kaecilius, il suo fortissimo braccio destro Lucian (Scott Adkins) e i suoi zeloti (Zara Phythian,
Alaa, Safi e Katrina Durdan) attaccano e distruggono il santuario di Londra, mentre Strange, che mal
governa l’Occhio si ritrova catapultato nel santuario di New York; Strange , dopo aver indossato il
Mantello della Levitazione (una cappa che consente di volare e che agisce interpretando il pensiero
dello stregone che lei stessa ha prescelto), li raggiunge e li affronta ma viene ferito mortalmente,
riesce a trasportarsi nel suo vecchio ospedale e a farsi operare da Christine, mentre il suo corpo
mistico combatte con Lucian, uccidendolo. Dopo aver rivelato all’esterrefatta dottoressa la sua
nuova realtà, torna da Kaecilius e questi, mentre combattono, gli rivela che l’Antico mantiene
l’immortalità prendendo potere dalla Dimensione Oscura. Sopraggiungono l’Antico e Mordo, nello
scontro muoiono i tre zeloti e Kaecilius ferisce mortalmente l’Antico (che, morente, affida a Strange
il compito di salvare il mondo) e va a distruggere il tempio di Hong Kong – difeso invano da Wong –
consentendo l’accesso alla Dimensione Oscura, che inizia a distruggere la Terra. Strange,
sopraggiunto con Mordo, utilizza l’Occhio di Agamotto per creare un paradosso temporale in cui
intrappola Dormammu, costretto a cercare in eterno di ucciderlo, ogni volta riuscendoci e ogni volta
ritrovandoselo davanti. Il Signore della Dimensione Oscura è costretto a lasciare la Terra, portando
con sé Kaecilius. Strange, fa tornare il tempo al momento precedente l’attacco per cui il tempio e
Wong sono ancora in piedi. Mordo, però, deluso dalle rivelazioni sull’Antico, va via. Strange diventa
il nuovo guardiano del santuario di New York e, nei titoli di coda, lo vediamo a confronto con Thor
(Chris Emsworth), in procinto a unirsi agli Avengers.
Un nuovo supereroe Marvel si unisce alla schiera e, ufficialmente, è alla sua prima apparizione
cinematografica; in realtà nel 1992, il geniale produttore e regista, di origini italiane, Charles Band
animatore di b-movies horror di culto (quali Puppet master e Il ritorno dei giocattoli assassini), aveva
prodotto e diretto, con il padre Albert nel ’92 Invasori dalla IV dimensione, con il Dottor Strange
come protagonista ma, a metà lavorazione – nella migliore tradizione dei cinematografari
approssimativi – aveva perso i diritti sul personaggio, per cui aveva dovuto riscrivere la storia e
cambiare il character, chiamandolo Dottor Mordrid. A differenza dei suoi eroici colleghi, Strange
non è così immediatamente noto ed amato dal pubblico (in Italia, ad esempio, gli albi a lui dedicati
non hanno avuto gran seguito) e le sue avventure sono meno attraversate dagli epici scontri, che
sono il segreto del successo di Spiderman, Hulk, Thor e gli altri. Non a caso a dirigere il film è stato
chiamato uno specialista del fantastico come Derrickson (The exorcism of Emily Rose, Hellraiser V –
Inferno, Liberaci dal male), che ha scelto una dimensione di racconto più propriamente fumettistica,
appoggiandosi molto sulla grafica di Steve Dikto – il creatore e disegnatore del personaggio – e, per
alcuni effetti, sullo splendido Inception di Christopher Nolan. Lo stesso, stralunato Cumberbatch è
distante dagli altri ironici e muscolari Avengers. Il risultato è divertente ma non facilmente
digeribile, un po’ anche per l’inevitabile verbosità dell’introduzione alla mistica del personaggio e
delle sue avventure.
Io, Daniel Blake (I, Daniel Blake)
di Ken Loach. Con Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan, Briana Shann, Kate Runner
Daniel Blake (Johns) è un falegname di Newcastle e, dopo una vita di lavoro, è costretto all’inazione
da un infarto. Ha un colloquio con una non meglio identificata “operatrice della sanità” (noi lo
sentiamo solo dallo schermo nero) che dovrebbe assicurargli l’assegno d’invalidà ma le domande
sono stereotipate e assurde e lui reagisce con malgarbo. Il sussidio, nonostante il parere dei medici,
gli viene negato ma, fino a che alla lettera che glielo comunica non si aggiunga anche una telefonata
ufficiale, lui non può presentare un ricorso (né può accelerare i tempi chiamando direttamente
perché il suo contatto è un call-center). All’Ufficio del Lavoro, l’Assessore (Natalie Ann Jamieson) gli
consegna un modulo che dovrà riempire on line per chiedere il sussidio di disoccupazione ma,
siccome per ottenerlo dovrà dimostrare di cercare un lavoro (non importa che sia inabile: il
respingimento della istanza attesta il contrario), gli impone anche di frequentare un ridicolo corso –
gestito da un caricaturale manager (John Summer) – sulla compilazione del curriculum. Nello stesso
ufficio aveva incontrato Katie (Squires), una giovane operaia disoccupata che era appena arrivata da
Londra con due figli, Dylan (McKiernan) e Daisy (Shann), alla quale era stato negato il colloquio per
un lieve ritardo. Lui l’aveva difesa e poi la aveva accompagnata nella sua nuova malandata casa e si
era offerto di farle i lavori necessari a renderla vivibile. Dylan e Katie diventano amici e i bambini gli
si affezionano. Lui non sa usare il computer ma con l’aiuto del suo giovane vicino di casa China
(Kema Sikaszwe) – un ragazzo di colore intraprendente che vende sottocosto scarpe di marca
importate dalla Cina – riesce a compilare il modulo richiesto e comincia a girare per le aziende per
lasciare il curriculum (salvo dover rifiutare per ragioni di salute quando il lavoro gli viene offerto
davvero). L’assessore però gli contesta la pratica perché sprovvista della regolare documentazione e
un’impiegata gentile, Ann (Runner), lo aiuta con il computer ma, per questo, viene severamente
redarguita. Katie, a sua volta, gira per tutta Newcastle cercando un lavoro di addetta alle pulizie ma
non trova niente e, così, lascia ai figli quel poco di cibo che riesce a comprare. Daniel accompagna
lei e i bambini ad un Banco Alimentare – associazione benefica che dà cibo a chi ne ha bisogno – e
Katie, presa dai morsi della fame, apre un barattolo di pomodori e li mangia avidamente, scoppiando
poi in lacrime per la vergogna. Dave vende i mobili della sua casa (li aveva fatti lui per sé e per
l’adorata moglie, ora scomparsa per una grave malattia, con grande amore) e le dà un po’ di soldi.
Lei va al supermercato ma non resiste alla tentazione di rubare qualcosina (assorbenti, penne per i
bambini) e l’addetto alla sorveglianza, Ivan (Micky McGregor) la coglie in fallo e la porta in
direzione; lei se la cava con una ramanzina e all’uscita Ivan le dà il proprio biglietto da vista,
dicendole che può aiutarla. Una notte Daisy va nel suo letto e le dice che a scuola la prendono in giro
perché ha le scarpe rotte; lei allora prende il coraggio e telefona. In un bar lui la presenta a Madam
(Julie Nicholson), che la ingaggia nella sua casa d’appuntamenti. Dave intuisce qualcosa, la segue e
va da lei, presentandosi alla porta come un cliente; lei lo scaccia e gli dice che non vuole più vederlo.
Poco dopo, alle ennesime assurde richieste dell’Assessore, lui rifiuta di proseguire con quella farsa e,
con un pennello, scrive la sua storia sul muro del Collocamento. Diffidato, si chiude in casa e rifiuta
ogni contatto ma un giorno Daisy, insistendo, si fa aprire e lo porta da Katie. Lei lo aiuta a trovare un
avvocato per il ricorso, lo accompagna al colloquio ma, per le troppe emozioni accumulate, il suo
cuore non regge.
L’ottantenne Loach aveva dichiarato che Jimmy’s Hall del 2014 sarebbe stato il suo ultimo film ma la
storia scritta dal suo sceneggiatore Paul Laverty lo ha convinto a ripensarci. Ed è un bene perché Io,
Daniel Blake è un bel film e, giustamente, all’ultimo Festival di Cannes ha avuto il Premio quale
Miglior Film. La filmografia di Loach è ricca di opere importanti, tutte, come è noto, improntate ad
una grande passione politica (lui ama definirsi trozkysta); il suo cinema è, però, grande perché
attraversato spesso da una robusta e delicata, a un tempo, poesia. Le sue cose migliori sono sempre
un ritratto dolente e condiviso della classe operaia, senza paura di lasciarsi andare a toni melò, che
in questo film sono assai vistosi ma ricchi di pathos. Semmai la sua vena s’inaridisce un po’ quando
(come in Terra e libertà, L’altra verità o la parte nicaraguense de La canzone di Carla), facendosi
didascalic, fronteggia direttamente la Storia. Io, Daniel Blake è invece dalla parte dei suoi titoli
migliori e Daniel se la vede con i meravigliosi proletari perdenti di Piovono pietre,
Ladybird,Ladybird, Paul, Mick e gli altri e dello splendido documentario, Spirit of ’45, sulle prime
elezioni vinte nel dopoguerra dal partito laburista. Il cast è perfetto e il protagonista è uno stand-up
comedian, per la prima volta – efficacissimo – in un ruolo drammatico.
Caffè
di Cristiano Bortone. Con Ennio Fantastichini, Dario Aita, Miriam Dalmazio, Michael
Schermi, Hichem Yacoubi Cina, Belgio, Italia 2016
Episodio belga: l’ex-profugo iracheno Hamed (Yacoubi) ha un piccolo banco di pegni che gestisce
con grande generosità verso chi ha bisogno di piccole somme per tirare aventi, offrendo loro anche
un caffè con una preziosa caffettiera, antico lascito della sua famiglia. Una sera, durante una
manifestazione di protesta, un paio di teppisti mascherati fanno irruzione nel suo negozio rubando
anche la caffettiera. Uno dei due ha però lasciato cadere il portafogli con i documenti e Hamed – che
ha capito che la polizia non farà niente per aiutarlo – va a casa del ragazzo: si chiama Vincent (Arne
De Tremerie), vive con la nonna malata ed è costantemente in lite con la sua ex-ragazza, con la quale
ha fatto un figlio del quale lui si disinteressa. Hamed entra in casa di nascosto e trova la caffettiera
ma il balordo lo sorprende, lui lo colpisce alla gamba con una mazza da baseball ma la nonna lo
tramortisce con una bottiglia ed aiuta il nipote a legarlo ed imbavagliarlo. Il complice del furto,
Danny (Tim Taveirne), accompagna Vincent all’ospedale e Hamed, mentre la nonna è distratta dalla
televisione, prova a liberarsi ma i ragazzi tornano e, nella colluttazione seguente, Danny lo
accoltella. Ora lui è ferito e la situazione si è fatta ancora più grave. Arriva il padre (Koen De Bouw),
che decide di caricare il ferito in macchina, di portarlo in un luogo deserto e di ucciderlo. Nel
viaggio, però, l’auto ha un brutto incidente. Danny e il padre di Vincent muoiono mentre Hamed
riesce a trascinarsi fuori e fa per andarsene, quando sente le suppliche di aiuto di Vincent. Lo tira
fuori e lo lascia a suo destino, portando con se la caffettiera.
Episodio cinese: Fei (Xiaodong Guo) è un giovane manager di Pechino in ascesa, è fidanzato con la
figlia (Sarah Yimo Li) del padrone ed aspetta di essere mandato a dirigere la filiale europea
dell’azienda ma, a sorpresa, viene spedito nella fabbrica dello Yunnan – sua terra di origine – dove
un guasto sta fermando la produzione. Il capo-operaio (Tongsheng Han), gli spiega, disperato, che le
apparecchiature sono vecchie e c’è il costante rischio che una fuoriuscita delle scorie allaghi tutta la
valle, seminando la morte. Lui chiama il suocero ma questi non intende ragione: dovranno essere
fatti solo piccoli lavori di rappezzamento. Fei non può disobbedirgli ma una mattina investe con
l’auto una ragazza, A Fang (Zhuo Tan), lei non si è fatta nulla ma la bici è rotta e lui la accompagna a
casa. Lei è una pittrice e, per dipingere, usa lo speciale caffè della valle; gliene fa sorbire una tazza e
la mente del manager ritorna alla propria infanzia di figlio di un contadino, che coltivava quel caffè e
si era disperato quando il figlio era andato cercare fortuna in città. Lui torna in fabbrica e decide di
disobbedire al suocero e di avviare i lavori necessari per la messa in sicurezza degli impianti. Ha
perso così il lavoro e la fidanzata e quando va a cercare A Fang, scopre che è morta di leucemia
(aveva scelto di dedicare gli ultimi momenti della propria alla salvaguardia della valle). Lui rimane lì
e proseguirà l’opera della ragazza e del padre.
Episodio Italiano: Renzo (Aita) è un giovane conoscitore ed appassionato di caffè ma ha appena
perso il lavoro e lo stesso è successo alla sua ragazza Gaia (Dalmazio). Decidono così di andare a
Trieste: lì la lavorazione e la vendita del caffè è molto avanzata e lì abita un suo caro amico, Stefano
(Michael Schermi), che li può ospitare in un appartamentino in attesa di demolizione. In una cena di
amici di Stefano Renzo conosce Enrico (Ennio Fantaschini), un operaio ex-sessantottino, che cerca di
smontare tutti suoi entusiasmi. In effetti, la crisi è forte e lui trova solo lavoretti saltuari come
facchino e Gaia, che ha scoperto di essere incinta, pensa di abortire. Qualche sera dopo, durante
un’altra cena, lui racconta di aver scaricato 8 casse di preziosissimo e costosissimo caffè cinese,
ricavato dalle feci dello zibetto. Enrico propone di rubarlo, così si sistemeranno un po’; Renzo, che
ha perso ogni speranza, accetta (in fondo si tratta solo di portarlo via dal deposito e lui ha visto la
combinazione che apre la porta del magazzino). Anche gli altri si aggregano e il ragazzo va avanti,
nonostante le paure di Gaia che ha saputo tutto. Tutto, però, va male: Enrico si è portato una pistola
La così riprendere le speranze con Gaia e il bambino, che alla fine lei ha deciso di far nascere.
Cristiano Bortone è una figura anomala nel nostro cinema: regista e produttore, ha capito subito che
il nostro cinema non può rimanere confinato nei confini del paese. Si è trasferito in Germania, ha
sempre una grande attenzione alle coproduzioni (di recente, insieme ai fratelli Dardenne ha prodotto
Marina, primo incasso in Belgio per molte settimane) e, da un paio d’anni ha deciso di investire in
Cina una parte importante della propria attività, facendosi promotore dei rapporti tra produttori
europei e cinesi. Caffè è il primo frutto di questo lavoro e, dopo la presentazione all’ultima Biennale
di Venezia, è arrivato in sala. Quello che soprattutto colpisce del film è che, nonostante le inevitabili
difficoltà produttive di un progetto così ambizioso, Bortone fa trasparire da molte sequenze una
poeticità rara (che già si era vista nel suo film più personale: Rosso come il cielo). La valle dello
Yunnan accarezzata dal vento, le desolate conversazioni tra Renzo ed Enrico davanti ad una birra ed
un kebab – ad esempio – sono sprazzi di vita dolente raccontati con grande efficacia. Una
segnalazione merita la splendida fotografia di Vladan Radovic, ormai uno dei migliori nel suo campo.
Vale proprio la pena di vedere il film, uno dei rarissimi casi di opera italiana sgravata da ogni
provincialismo (non solo perché si dipana in vari paesi ma per forza intellettuale intrinseca) e di
ampio, liberatorio respiro.
Indivisibili
di Edoardo De Angelis. Con Marianna Fontana, Angela Fontana, Antonia Truppo, Massimiliano
Rossi, Toni Laudadio Italia 2016
A Castel Volturno Viola (Marianna Fontana) e Dasy (Angela Fontana), due sorelle siamesi di diciotto
anni attaccate l’una all’altra al fianco, mantengono la famiglia – il padre Peppe (Rossi), la madre Titti
(Truppo) e gli zii Nunzio (Laudadio) e Nando (Marco Maria De Notaris) – cantando canzoni
neomelodiche ai matrimoni e alle cerimonie; Dasy vorrebbe cantare le canzoni di Janis Joplin ma il
padre non glielo lascia fare: sa cosa la gente si aspetta da loro. Un giorno, dopo essersi esibite al
pranzo di comunione per la figlia del boss Salvo Coriace (Antonio Pennarella), vengono contattate
dal manager Marco Ferreri (Gaetano Bruno), che dice di aver lanciato Anna Tatangelo e fa loro
intravvedere un futuro di successi e ricchezza e Dasy – Viola è più scettica – prende il suo biglietto
da visita. Poco dopo tutta la famiglia va da don Salvatore (Gianfranco Gallo), il parroco della loro
chiesa, che usa la loro menomazione per farle apparire come creature miracolose toccate dalla
grazia, per prendere accordi per la loro esibizione alla prossima processione. All’incontro assiste
Alfonso Fasano (Peppe Servillo), un medico che chiede ai genitori di portare da lui le ragazze: è
quasi certo che possano essere divise senza rischi. Il padre lo tratta male e, a casa, cerca di
convincerle che il dottore è un imbroglione e che vuole sfruttarle. L’indomani, però, mentre sono
sotto il balcone di una ragazza alla quale devono fare la serenata, Dasy non apre bocca finche non
strappa la promessa che saranno portate all’ambulatorio di Fasano. Questi, dopo averle visitate,
conferma la diagnosi e si offre di fare gratis l’intervento in Svizzera; serviranno però 30.000 euro
per le spese della clinica. A casa, le sorelle – Viola non è convintissima di volere un cambiamento ma
va appresso alla risoluta Dasy – chiedono al padre la loro parte dei guadagni per potersi operare ma
scoprono che lui si è giocato tutto. Peppe le aggredisce e insulta la moglie, che le aveva difese,
trattandola da drogata e da puttana. All’alba le ragazze rubano il motorino del padre e vanno da Don
Alfonso a chiedere un prestito ma lui le caccia via insultandole e loro, disperate chiamano Ferreri
che dà loro un appuntamento sul suo yacht. Alla foce del fiume le aspetta il motoscafo, loro ci
salgono e, poco dopo, arrivano Peppe e Titti, che dopo che lui, furibondo, aveva ripreso ad insultarla,
se ne va per sempre. Sulla barca, le ragazze si trovano in una specie di festa lasciva e, quando
chiedono i 30.000 euro a Marco, come anticipo di ingaggio, lui accetta e le indirizza alla sua cabina;
qui tira fuori i soldi da una cassaforte e comincia a toccare e baciare Dasy; Viola lo interrompe
chiedendogli insistentemente un tè alla pesca e quando lui, esasperato, va a cercarglielo, le due
sorelle mettono i soldi in uno zainetto e si buttano a mare, cercando di nuotare fino alla riva. Stanno
per annegare e alcuni pescatori le salvano e le consegnano al padre, che le porta da Don Salvatore.
Questi grida che sono impure e che solo un segno evidente di martirio potrà salvarle. A casa, Peppe
da’ loro un calmante e con il coltello traccia due stimmate sulle loro mani. Eccole ora cantare tra
due ali di folla che le prega e le tocca, finché Dasy, abbraccia la gemella e si pugnala al petto. Viola
si sveglia in ospedale con i segni evidenti dell’avvenuta operazione di distacco e, ancora malferma
per l’intervento, cerca la sorella; la trova in un altro letto, si accuccia accanto a lei e le canta
Mercedes Benz della Joplin.
De Angelis è al suo terzo film e, dopo il vivace ma confuso Mozzarella story e lo stanco Perez, ci
spiazza con un piccolo gioiello dal sorprendente cast: le gemelle Fontana, alla primissima
esperienza, sono espressive e spontanee e tutti sono perfettamente in parte, a partire da
Massimiliano Rossi (il tormentone “Come on baby, light my fire” con il quale sollecita le ragazze è
porto in modo da darci tutta la sua miserabilità di pappone, con velleità hippy) fino a Gallo, che trova
un cattivo diverso da quelli che aveva sin qui incarnato (da Fortapàsc a Take five) e gli da un bello
spessore. L’uso del neomelodico non è certo una novità ma qui le canzoni – Drin drin e Indivisibili,
scritte da Riccardo Ceres e Tutt’eguale so’ e’ guagliune (nella finzione, esempio della vena poetica di
cui si vanta Peppe) di Enzo Avitabile – sono una traccia importante dell’anima del film. C’è poi la
parte cinephile dell’autore ma le citazioni (il nome del manager che rimanda all’autore de La donna
scimmia e quelli delle due sorelle, ripresi dalle siamesi di Freaks di Todd Browning: Violet e Daisy
Hilton) non appesantiscono il racconto, delimitano solo un’ area per chi vuole coglierle. Il film era in
lizza per l’Oscar ed ha perso per un solo voto con Fuocammare di Rosi; Sorrentino, che lo
supportava nella commissione di selezione, se ne è rammaricato e, credo abbia ragione: Indivisibili è
molto piaciuto ed ha avuto riconoscimenti ed elogi critici nelle manifestazioni internazionali alle
quali ha partecipato; si direbbe però che abbia prevalso un criterio politico-rappresentativo nella
scelte, un po’ come l’andreottiano “I panni sporchi si lavano in famiglia!” riferito al neorealismo.
Siamo ancora qui !?