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La tutela della salute nella riforma costituzionale
L’iter finale della riforma costituzionale mette i cittadini di fronte ad un’alternativa: confermare,
con il sì, la scelta già effettuata dalle Camere ovvero respingerla.
Un’alternativa tra due opzioni nette. Questo è un limite che riguarda, più in generale, l’istituto
referendario come istituto di democrazia diretta dal momento che, con il referendum, si è chiamati
ad esprimersi con un sì o con un no senza possibilità di ulteriori specificazioni. Problema che va
aumentando quando si viene chiamati ad esprimersi non su una norma secca ma, come in questo
caso, su un complesso di norme. Ma questo è un problema del referendum e non della riforma
costituzionale che può, infatti, interessare sia una singola disposizione costituzionale che più parti
(modificabili) della Costituzione come accade in questo caso in cui l’urgenza di procedere ad una
riforma più volte tentata senza successo si è fatta indifferibile, anche per la necessità di correggere
storture originate dalla riforma del 2001.
Il tutto, seguendo un percorso che è, comunque, coerente con lo spirito del sistema di revisione
costituzionale che affida, appunto, al Parlamento le scelte in ordine a contenuti di riforma anche
ampi e, eventualmente, al popolo la facoltà di ratificarle in toto o, all’opposto, respingerle in toto.
Con la doverosa precisazione che il potere di revisione costituzionale non può investire la forma
repubblicana né principi e diritti fondamentali contenuti nella prima parte della Costituzione.
Da questo punto di vista, la riforma in discorso si pone nel rispetto di tali limiti riguardando solo la
seconda parte della Costituzione, ossia quella che, riferendosi a ordinamento della Repubblica,
attiene all’organizzazione dello Stato, proponendosi di superare le criticità mostrate dall’esperienza.
Considerando anche che una buona organizzazione dello Stato serve a migliorare l’attuazione e la
tutela di diritti e principi inviolabili contenuti nella prima parte della Costituzione.
Emblematico, in tal senso, è il diritto alla salute che, contenuto nella parte prima della Costituzione
e, quindi non toccato dalla stessa, riceverebbe tuttavia una miglior tutela con l’entrata in vigore
della riforma, in quanto le forme organizzative (su cui la riforma invece incide essendo contenute
nella seconda parte della Costituzione) sono fondamentali per assicurare l’effettività del diritto su
tutto il territorio.
Posto che la tutela senza effettività rimane, di fatto, una mancata tutela.
Dal 2001 ad oggi la tutela della salute è stata una competenza condivisa tra legislazione statale e
legislazione regionale, con grave danno per il cittadino, sotto un duplice profilo: in quanto soggetto
che necessita di cure, poiché queste non sono assicurate in egual misura e in egual qualità da
Regione a Regione, e in quanto soggetto che contribuisce, con le tasse, alla spesa sanitaria, dal
momento che i costi della sanità sono lievitati a causa delle inefficienze di alcune Regioni e a causa
della moltiplicazione delle spese che la frammentazione delle competenze inevitabilmente
determina.
Considerato anche il fatto che non si tratta di voci di spesa irrilevanti, in quanto l’80% dei bilanci
regionali è destinato a questa materia.
La riforma apporta una grande novità, abolendo la legislazione concorrente, e affidando allo Stato
il compito di tutelare il diritto alla salute, rendendolo effettivo, in ogni luogo del Paese. Il compito
delle Regioni sarà limitato all'attuazione delle norme statali, in modo da adeguarle alle realtà locali,
con competenze specifiche ed esclusive sulla programmazione e organizzazione dei servizi sanitari
e sociali.
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Si deve altresì rilevare l’importanza della riforma rispetto agli equivoci ingenerati da quella
del 2001 che assegnava congiuntamente allo Stato e alle Regioni la disciplina della materia “tutela
della salute”; in particolare allo Stato la determinazione dei “principi fondamentali” e alle Regioni
la disciplina di dettaglio.
L’attuale ripartizione delle competenze è però, nella pratica, incerta e fonte di contenzioso,
basti pensare che dal 2000 il contenzioso Stato-regioni nell’ambito dei giudizi di fronte alla Corte
costituzionale è passato dal 5,91% al 40,94% nel 2015, con un picco nel 2012 del 47,46%.
Questi dati sono indicativi dell’incertezza che regna e si riversa negativamente su modi e
tempi di attuazione e tutela del diritto fondamentale alla salute.
Infatti, per tutta la durata del processo, le azioni a tutela del diritto risultano paralizzate e
sono anche impediti interventi unificanti dello Stato indirizzati a rimuovere le gravi situazioni di
disuguaglianza che stanno vieppiù diffondendosi nel paese.
Al contrario, la riforma non si limita a affidare alla competenza statale la materia “tutela della
salute”, ma soprattutto la pone tra i compiti fondamentali dello Stato, inserendola nella lettera m)
dell'art. 117, secondo comma, Cost., al pari della tutela essenziale dei diritti civili e sociali. A
differenza di tutti gli altri diritti civili e sociali, però, la tutela della salute è espressamente
menzionata, a riconoscimento della sua fondamentalità. La specifica menzione anzidetta conferisce
un rilievo ancora maggiore, ed assegna allo Stato un ulteriore ruolo di garanzia in ordine
all’effettività del diritto.
In più a ciò l’espressione equivoca “determinazione dei principi fondamentali” viene sostituita,
nella riforma, affidando, più coerentemente, allo Stato, il compito di predisporre “disposizioni
generali e comuni per la tutela della salute”. Tale ultima formulazione dei compiti esclusivi statali
rimanda in maniera più precisa alla necessità che il diritto alla salute sia tutelato in maniera
avanzata e uniforme su tutto il territorio, senza discriminazioni, assegnando alla Stato il compito di
garantirlo.
Viceversa, sin’ora, ha regnato un’incertezza di fondo sui compiti di Stato e Regioni scaturita proprio
dalla difficoltà di stabilire con esattezza, anche da parte del Giudice delle leggi, quale sia l’esatta
portata dei “principi fondamentali” nel riparto di competenze tra Stato e Regioni.
Al contrario, proprio l’importanza della materia necessita una determinazione da parte dello Stato
dei principi generali della materia univoci, uniformi e indiscussi su tutto il territorio nazionale, e di
un pregnante controllo sui risultati conseguiti dalle regioni nell’esercizio delle funzioni legislative e
organizzative loro attribuite.
Diversamente da quanto è oggi, la tutela della salute ritorna, dunque, una materia che, connessa alla
tutela di un diritto fondamentale, deve essere normata dallo Stato nei suoi obbiettivi e nelle sue
linee generali.
Si chiarificano dunque, in questo senso, i compiti dello Stato, differenziandoli nettamente da quelli
delle Regioni che dovranno, da parte loro, contribuire alla realizzazione dei principi fissati in via
generale dalla legge statale.
Ciò consentirà anche un migliore esercizio della clausola di supremazia, in quanto il quadro delle
competenze mal ripartito rappresentava un ostacolo invocato dalle Regioni per preservare il proprio
operato con danno dell’interesse generale.
Con la riforma, lo Stato può intervenire nelle situazioni in cui il sistema sanitario regionale non
assicurare uniformità rispetto allo standard nazionale, potendo avvalersi, appunto, legittimamente,
della “clausola di supremazia”. Un istituto concepito non per limitare l’autonomia regionale, ma per
evitare che il cattivo esercizio di questa pregiudichi l’unità giuridica ed economica e l’interesse
nazionale, e che non potrà più essere depotenziato in ragione della competenza concorrente delle
regioni.
Utile è anche osservare come, accanto alla tutela della salute, la riforma ponga le materie “politiche
sociali” e “sicurezza alimentare”, materie che con la salute sono tanto strettamente collegate da
risultare inscindibili. La riforma quindi, innovando rispetto allo “spezzettamento” attuale delle
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competenze, garantisce in queste materie la medesima tutela che assicura alla salute.
Importante è anche il nuovo ruolo che la riforma attribuisce al Senato, che assicurerà un
coordinamento tra le funzioni normative dello Stato e quelle attuative delle Regioni. Il nuovo art.
55, 5 Cost., secondo cui “il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita
funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica”, con riferimento alla
tutela della salute, varrà a evitare discriminazioni e sprechi.
Dunque, non solo il nuovo Titolo V ma anche le altre parti della riforma consentiranno di migliorare
il sistema sanitario e di realizzare una tutela uniforme del diritto alla salute.
In definitiva, i cittadini saranno a breve chiamati ad esprimere una valutazione complessiva sulla
riforma; una scelta che implica una decisione di prevalenza tra benefici e criticità dal momento che
ogni legge, ogni riforma, inevitabilmente contiene elementi positivi ed elementi perfettibili.
La migliore tutela del diritto alla salute è uno di quegli importanti elementi che fanno decisamente
propendere per il sì, dovendo diffidare dai consigli di chi, pur riconoscendo l’estrema rilevanza del
tema, suggerisce di rimandare ad un tempo che non si può più attendere.
Prof.ssa Luisa Azzena professore associato di Istituzioni di Diritto pubblico nel Dipartimento
di Giurisprudenza dell'Università di Pisa.
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