Comunicare il museo, “in Italia c`è improvvisazione”

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venerdì 18 novembre 2016, 16:30
Arte
Comunicare il museo, “in Italia c’è improvvisazione”
Intervista a Lucia Cataldo, esperta in comunicazione museale: “Manca una vision nel comunicare il patrimonio"
di Sara Corrieri
Quanto spesso vi capita di visitare un museo? Per alcuni è consuetudine, per altri autentica noia, ma anche le istituzioni
museali posso essere casi di studio in quanto, come tutte le forme di veicolazione artistica e culturale, stanno
attraversando un percorso di profondo rinnovamento, nei mezzi e nei contenuti. Se nel 1951 l’ICOM
(International Council Of Museum, il consiglio permanente dei musei del mondo) definiva il museo come una istituzione
che conserva, studia e valorizza un insieme di elementi di valore culturale per il diletto, nel 2001 considera un museo come
«un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo» che indaga sulle
testimonianze dell’umanità, «le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e
diletto». Quello che si nota immediatamente è una crescente attenzione nei confronti degli aspetti comunicativi ed
educativi del museo, nuove figure professionali prendono piede, il museo 'mausoleo' lascia spazio ad una istituzione
moderna, tecnologica, che 'si vende' facendo ricorso ai segreti del marketing e della comunicazione. Il target non è
più uniforme o di nicchia, ma specifico e variegato e tutto, auspicabilmente, raggiungibile. Il museo diventa virtuale e
a portata di smartphone, accessibile a tutti e a 360 gradi. Ma qual è stato il percorso che ha permesso alle istituzioni
museali di cambiare volto? Quali saranno le novità nel futuro e quali sono i punti ancora da sviluppare? Ne abbiamo parlato
Lucia Cataldo, archeologa e museologa, docente di Museologia e di Storia dell’Arte presso le Accademie di Belle
Arti di Macerata, Verona e Firenze. Dottore di Ricerca presso Sapienza-Università di Roma, è autrice di numerosi
saggi e di diverse monografie di museologia e di comunicazione e valorizzazione dei musei, fra cui 'Il museo oggi'
(Hoepli, 2007) e 'Dal Museum Theatre al Digital Storytelling' (Franco Angeli 2011). Ha recentemente curato il volume 'Musei
e patrimonio in rete' (Hoepli, 2014). Le abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio come si vive ed interpreta il
museo contemporaneo. Dottoressa Cataldo, definire il museo oggi: è ancora un'entità statica, un'esposizione di
oggetti, o possiamo parlare di processo, di esperienza? Il museo oggi sta mostrando la sua prospettiva esperienziale
essendosi ormai ribaltata la prospettiva della conservazione statica. È ormai una svolta acquisita e consolidata di cui non
serve più parlare. Il museo è un processo continuo e attivo. Pensi solo al gesto collezionistico: è l’'azione' da cui si è generato
tutto. Più in generale oggi il museo è presidio identitario della società e del suo patrimonio materiale e immateriale e quindi
anche spazio di comunicazione attiva. Esiste la figura professionale del comunicatore museale? Se si, quale è il
suo ruolo? La comunicazione è fondamentale per il patrimonio culturale. In Italia stentiamo ancora a riconoscere che le
competenze dell’esperto di settore -storico dell’arte, scienziato o archeologo- non coincidono con quelle del comunicatore.
Basta guardare la percentuale di musei in cui didascalie e pannelli esplicativi, i più semplici e diffusi mezzi per comunicare
opere e oggetti, sono troppo scarni o troppo ricchi di informazioni e difficili da leggere. Il comunicatore nel museo è una
figura di mediazione fra l’esperto e i numerosi 'pubblici' dei musei. 'Vendere' l'arte. Si potrebbe pensare ad un museo
come un'azienda vera e propria: una mission, degli obiettivi di vendita, la cura dell'immagine. È così? O sono
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/comunicare-museo-italia-ce-improvvisazione/
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altri i meccanismi a cui il comunicatore museale deve fare riferimento? Non si tratta di una 'vendita', ma di
comunicare la consapevolezza del patrimonio. L’identificazione di una mission specifica di un museo significa definire
obbiettivi specifici in quest’ambito. Lo sforzo di giungere ad un’immagine coordinata nella comunicazione, il branding, serve
per rafforzare la 'presenza' del museo e caratterizzarne istantaneamente le prerogative e le attività, in un certo senso lo
'stile'. L'Italia ha un innegabile patrimonio artistico e museale, eppure ci si lamenta spesso del fatto che non
venga debitamente comunicato al resto del mondo. Condivide? Soffriamo ancora di una ossessione conservativa,
giustificatissima, a causa delle trasformazioni post-unitarie e del numero impressionante di beni culturali presenti sul
territorio. Terremoti ed eventi naturali, inoltre, contribuiscono a rendere più lunghe e complicate le gestioni delle
emergenze, togliendo spazio a programmi di comunicazione di ampio respiro. Spesso, comunque, puntiamo poco sulla
comunicazione, quasi basandoci sulla notorietà indiscussa dei capolavori presenti nei nostri musei. In altre parole ci manca
una vision nel comunicare il patrimonio, che invece si coglie in diversi ambiti europei. Il target. Nell'immaginario
generale il museo è luogo di cultura che può essere 'capito' solo da chi ha un background particolare. Quali
sono le strategie utilizzate dal comunicatore museale per allargare il proprio target? Nella comunicazione
museale dovrebbero essere usate modalità e strutturazione dei contenuti di tipi differenti, per raggiungere i diversi tipi di
pubblico. Vi sono molti modelli e teorie per interpretare i bisogni dei 'pubblici', ma sono ancora proporzionalmente pochi i
nostri musei che adottano strumenti mirati, coerenti e soprattutto adeguati ai vari pubblici, che -si badi bene- non
coincidono assolutamente con delle fasce di età, bensì si tratta di stakeholders, ovvero di 'gruppi di interesse'. Tendiamo
ancora molto all'improvvisazione comunicativa. Museo ed educazione. Il consumatore odierno è ancora attratto dal
museo analogico? Quali sono le strategie di digitalizzazione più utilizzate per fare del museo un luogo di
apprendimento? Non possiamo parlare solo di museo analogico: esistono i musei 'della meraviglia' e i musei della
'razionalità', musei con spiccate caratteristiche narrative o musei supportati da una comunicazione multimediale importante
fino ad arrivare a musei evocativi del patrimonio immateriale come ad esempio i musei senza oggetti. L’importante per il
museo di oggi è adottare un’ottica fortemente improntata sulla user experience. Nel suo libro parla di teatro e
narrazione come nuove forme di comunicazione museale. Come far coesistere questi mondi? La narrazione è il
più antico strumento di comunicazione usato dall’uomo: dai poemi omerici alle attuali strategie pubblicitarie di aziende
importanti. Narrazione tradizionale e multimediale (Storytelling e Digital Storytelling) pertanto sono forme comunicative che
utilizzano questa modalità. La multimedialità amplia a dismisura le possibilità di narrazione. Ad esempio, già da oltre dieci
anni al Museo della Scienza e della Tecnologia 'Leonardo da Vinci' di Milano l’ologramma di Guglielmo Marconi parla con il
visitatore illustrando la storia straordinaria della sua invenzione. Museo e multimedialità. Pensa che il consumatore
moderno abbia bisogno di una maggiore stimolazione ed interazione per vivere appieno l'esperienza museale?
Sicuramente sì, ma è un discorso molto lungo ed articolato. Se non c’è una profonda conoscenza dei pubblici e della
comunicazione museale si rischia, mi perdoni il paragone, di 'condire' il museo con un po’ di tecnologia per 'stare al passo
con i tempi', senza pensare a strategie mirate ed efficaci. Musei e social. Abbiamo assistito a casi di eventi realizzati
proprio grazie ai social (#svegliamuseo nel 2013 e 'Museum Selfie Day' nel 2014). Pensa che social ed
App possano contribuire ad una rivalutazione, promozione e diffusione del museo? Sicuramente sì, ma -come ho
detto in precedenza- tutto ciò deve essere parte di una vision precisa. Nel libro da me curato, 'Musei e patrimonio in rete',
insieme ad un gruppo di esperti abbiamo delineato alcune delle enormi possibilità che offrono i social per le reti e i sistemi
museali, constatando come attualmente i musei usano strumenti come Facebook come bacheche statiche, e non come sedi
di dialogo e condivisione con i pubblici. Musei spontanei. Mi viene in mente il MURo, museo di urban art a Roma,
nato 'dal basso' e non imposto dalle istituzioni. Cosa pensa di questo fenomeno? Le rispondo citando altri casi: in
alcuni musei olandesi il tema di alcune mostre temporanee è scelto dagli abitanti dei quartieri cittadini, in altri musei, anche
italiani, le iniziative museali hanno lo scopo di favorire l’integrazione fra differenti comunità. Il museo come 'presidio attivo'
del territorio, termine sovente usato in Italia per indicare i piccoli musei locali, come si vede si armonizza bene con il
concetto di 'bottom-up'. In altre parole tutte queste esperienze portano alla luce un vero e proprio 'valore' che nasce dalla
condivisione, anche nei musei istituzionali. Penso che questa sia l’ottica giusta.
di Sara Corrieri
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/comunicare-museo-italia-ce-improvvisazione/
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