Abstract-degli-interventi-Asti-12-11-2016

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V convegno regionale
“LE SCIENZE NATURALI IN PIEMONTE “
organizzato dal Gruppo Piemontese Studi Ornitologici
in collaborazione con l’Associazione Naturalistica Piemontese
e la Scuola di Biodiversità di Villa Paolina
sabato 12 novembre 2016
ASTISS, POLO UNIVERSITARIO ASTI STUDI SUPERIORI - piazzale Fabrizio De Andrè, Asti
Programma
h 9,00
h 9,15
h 9,30
h 10,00
APERTURA LAVORI – Registrazione partecipanti
Saluti da parte del Direttore del Polo Universitario di Asti, Francesco Scalfari
Introduzione alla giornata. Marco Pavia (Presidente GPSO) e Gion Boano (Presidente ANP)
Presentazione della Banca Dati del GPSO (GOD) e relativo sito web di consultazione.
Filogeografia, ecologia e storia naturale dei ragni cavernicoli del genere Pimoa. Stefano Mammola
h 10,30
Ricchezza specifica e variazioni di biomassa in comunità di piccoli mammiferi lungo gradienti altitudinali.
Sandro Bertolino
h 11,00
h 11,30
PAUSA
Capriolo e Fascioloides magna, destini incrociati ai piedi delle Alpi. Marco Coraglia
h 12,00
Stato delle conoscenze sugli Ortotteri dell'Italia nord-occidentale (Piemonte, Liguria, Val d'Aosta). Roberto
Sindaco, Paolo Savoldelli, Daniele Baroni e Marco Bonifacino.
Il Corridoio Alpi- Appennino. Guido Trivellini ed Enrico Caprio
h 12,30
h 13,00
h 14,30
h 16,00
PRANZO
Le specie vegetali della Direttiva Habitat in Piemonte: esempi di metodologie di indagine, monitoraggio e
risultati. Elena Barni, T’ai Forte, Alberto Selvaggi, Consolata Siniscalco
Il Gufo reale nelle province di Cuneo e Torino: risultati del monitoraggio 1996 - 2016. Bruno Caula e
Paolo Marotto
Licheni terricoli nei pratelli aridi lungo i principali fiumi della pianura piemontese. Gabriele Gheza e
Silvia Assini
PAUSA
h 16,30
Agricoltura e biodiversità: conflitto o sinergia?
h 15,00
h 15,30
h 18,30
▫
Le risaie della Pianura padana: dalle mondariso alla pacciamatura in plastica. Quali conseguenze
per la biodiversità? Giuseppe Bogliani, Elisa Cardarelli, Davide Giuliano, Giacomo Assandri,
Mauro Fasola, Giovanni Soldato
▫
Conservare la biodiversità nei vigneti: conoscenze attuali e spunti per la gestione dal Nord Italia.
Giacomo Assandri, Enrico Caprio, Mattia Brambilla, Giuseppe Bogliani, Antonio Rolando,
Paolo Pedrini
▫
Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Piemonte: una risorsa per la biodiversità? Il punto di vista
di agricoltori e ornitologi. Bruno e Gabriella Vaschetti
CHIUSURA LAVORI
Abstract
1. Filogeografia, ecologia e storia naturale dei ragni cavernicoli del genere Pimoa.
Stefano Mammola
Pimoa è un genere di ragni di media taglia con spiccata affinità per gli ambienti sotterranei, che si credevano ad oggi
rappresentati in Italia dalla sola specie P. rupicola, distribuita dalle Alpi Cozie all'Appennino Tosco-Laziale. Studi
condotti dal nostro gruppo di ricerca negli ultimi tre anni, hanno permesso di disvelare la presenza di due nuove
specie nella regione alpina: P. delphinica, endemica della Val Varaita, e P. graphitica, endemica delle Alpi Occidentali.
Combinando tecniche di datazione molecolare ed Ecological Niche Modeling, è stato possibile evidenziare come gli
stravolgimenti climatici passati avvenuti negli ultimi 10 milioni di anni - specialmente la crisi di salinità del Messiniano
e le glaciazioni Pleistoceniche - siano stati chiave nel determinare l'origine di questi ragni e nel plasmarne la struttura
di popolazione. In parallelo, monitorando mensilmente alcune popolazioni di questi ragni in grotte e miniere, è stato
possibile studiarne l'auto-ecologia e la storia naturale andando a sottolineare il loro fondamentale ruolo di predatori
apicali all'interno della rete trofica sotterranea.
2. Ricchezza specifica e variazioni di biomassa in comunità di piccoli mammiferi lungo
gradienti altitudinali.
Sandro Bertolino, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Università di Torino, Largo Paolo Braccini 2,
10095 Grugliasco (Torino)
La distribuzione delle specie animali negli ambienti alpini è influenzata dalla variazione dei fattori biotici (e.g.
produzione primaria) e abiotici (e.g. umidità, temperatura, ossigeno) i quali variano con l’altitudine. In genere, la
diminuzione di specie salendo di altitudine non è monotonica. La variabilità ambientale e la disponibilità energetica
del livello trofico precedente agisce come fattore limitante, condizionando il numero di specie e di individui che può
abitare una fascia altitudinale. Nei piccoli mammiferi si è visto che il picco di ricchezza specifica si osserva ad
altitudini intermedie (mid-domain effect), in corrispondenza di picchi nelle precipitazioni, nella produzione primaria e
nella diversità ambientale.
In questo lavoro è stata valutata la ricchezza specifica dei piccoli mammiferi terragnoli (i.e. roditori e soricomorfi)
lungo gradienti altitudinali nelle Alpi occidentali. Lo studio è stato condotto nel 2015 in tre valli (Valsavarenche, Valle
Orco, e Vallone del Piantonetto) del Parco Nazionale del Gran Paradiso. In ogni valle sono stati collocati dei transetti
di cattura ogni 300 m, da 800 m a 2600 m. In ogni transetto sono stati utilizzati diversi tipi di trappole: Sherman
grandi (229 x 89 x 76 mm), Sherman piccole (165 x 64 x 52 mm), Ugglan (250 x 80 x 65 mm) e Longworth (140 x 85 x
65 mm). Le catture sono avvenute per tre giorni consecutivi in due periodi: maggio-luglio e luglio-settembre, con 135
e 146 trappole (405 e 438 giorni-trappola) in ogni transetto rispettivamente. Gli animali catturati sono stati
identificati, pesati e marcati con il taglio del pelo prima della liberazione. Il consumo energetico giornaliero (field
metabolic rate FMR) di ogni specie a ogni livello altitudinale è stato calcolato con le equazioni di Nagy per i due ordini
di mammiferi separatamente; il FMR è proporzionale alla massa corporea. Una misura di disponibilità di acqua al
suolo è stata usata come indice indiretto di produzione primaria.
In totale sono stati catturati 971 animali: 888 roditori e 83 soricomorfi, appartenenti a 7 specie di soricomorfi e 12
specie di roditori. Specie catturate occasionalmente sono state escluse dalle analisi.
La ricchezza specifica sulle Api occidentali è risultata correlata con un indice di diversità ambientale. Il numero di
specie è aumentato nei roditori fino a 1400-1700 m, dove le specie di pianura raggiungono l’altitudine maggiore, e
quelle alpine le quote minori e dove latifoglie e conifere si incontrano, per poi diminuire verso quote maggiori. I
soricomorfi sono aumentati fino a 2000 m, al limite degli alberi, per poi diminuire anch’essi progressivamente. Allo
stesso modo, la biomassa totale degli individui catturati e quindi il consumo energetico ha raggiunto i valori maggiori
a 1400 m nei roditori e a 2000 m nei soricomorfi. La ricchezza specifica è risultata correlata con la disponibilità di
acqua al suolo nei roditori ma non nei soricomorfi.
La ricchezza specifica dei roditori e la loro biomassa è quindi maggiore in habitat misti di latifoglie e conifere e
aumenta con la produzione primaria. Nei soricomorfi il picco è a 2000 m, al limite tra alberi, fascia arbustiva e
praterie alpine; la biomassa totale e il consumo energetico giornaliero di questi piccoli predatori non sono risultati
direttamente correlati con la produzione primaria.
3. Capriolo e Fascioloides magna, destini incrociati ai piedi delle Alpi
M. CORAGLIA,P.TIZZANI,A.R.MOLINAR,L.ROSSI
Università degli Studi di Torino,Dipartimento di Scienze Veterinarie
INTRODUZIONE
Il Parco Regionale La Mandria (PRLM), ex tenuta di caccia reale alle porte di Torino, è l’unica zona nell’Europa
Occidentale in cui è stabilmente presente Fascioloides magna (Bassi,1875), trematode epatico qui introdotto nella
seconda metà del XIX secolo con l’importazione di Wapiti (Cervus elaphus canadensis) direttamente dagli USA (Balbo
et al.,1987). Sinora, e a differenza di quanto sta avvenendo nell’Europa centro-orientale (Kasny et al. 2012),
l’infestazione è rimasta circoscritta al PRLM grazie alla presenza di un muro di cinta della lunghezza di oltre 30 km,
che delimita l’area protetta rispetto al territorio circostante. Nel PRLM sono presenti numerosi individui di Cervo (C.
elaphus), Daino (Cervus dama) e Cinghiale (Sus scrofa). Il Capriolo (Capreolus capreolus), estintosi sul finire degli anni
Settanta e nel frattempo esploso demograficamente ai confini dell’area protetta, sta nuovamente tentando di
ricolonizzare il PRLM, dove riesce occasionalmente a penetrare tramite soluzioni di continuità del muro di cinta, in
corrispondenza dei punti di entrata e di uscita di un corso d’acqua. Dunque, si sta ponendo il problema di una
possibile fuoriuscita di F. magna dal PRLM attraverso caprioli infestati, e di una altrettanto possibile infestazione di
ruminanti selvatici (Cervidi, Camoscio e Muflone) e domestici. Fra questi ultimi cui risultano particolarmente sensibili
gli ovini e i caprini, in cui la fase di migrazione delle adolescarie ha spesso esito letale (Foreyt et al.,1976;
Pybus,2001), . Obiettivo generale del presente lavoro è stato quello di verificare se, a seguito degli spostamenti di
Capriolo, F. magna è già fuoriuscito all’esterno del muro di cinta del PRLM riuscendo, o meno, ad insediarsi nel nuovo
ambiente non confinato. In parallelo, si è cercato di quantificare il rischio che quanto sopra possa comunque
avvenire in futuro.
MATERIALI E METODI
La ricerca si è articolata sulle seguenti 5 azioni:
1) sorveglianza attiva sui ruminanti selvatici (camoscio, muflone e capriolo) prelevati in zone prossime al Parco,
mediante ricerca delle lesioni epatiche da migrazione e localizzazione di F. magna;
2) sorveglianza passiva sui caprioli recuperati all’interno del Parco e nelle sue immediate vicinanze(cd. preParco);
3) caratterizzazione dei siti favorevoli alla presenza degli ospiti intermedi di F. magna, con produzione di mappe
tematiche relative alle zone di pre-Parco utilizzando software QGis;
4) ricerca (mediante tecniche molecolari) delle forme larvali di F. magna in esemplari di Galba truncatula e
Radix peregra raccolti nelle zone di pre-Parco (e per confronto all’interno del Parco);
5) monitoraggio (mediante videotrappole) degli ingressi e delle uscite dal Parco da parte di caprioli ed altri
ruminanti recettivi a F. magna.
RISULTATI E CONSIDERAZIONI
Quanto all’azione 1, la collaborazione con il CATO4, nella figura del suo tecnico faunistico, ha consentito l’analisi di
135 individui delle specie Camoscio, Capriolo e Muflone, prelevati nelle stagioni venatorie 2014 e 2015. Dei 135
ruminanti selvatici controllati, nessuno ha presentato lesioni epatiche o extra-epatiche (es. tesaurismosi)
riconducibili a infestazione da F. magna.
In riferimento all’azione 2, grazie alla collaborazione con gli agenti del PRLM, sono stati rinvenuti quattro caprioli di
cui uno all’interno del Parco e tre nelle immediate vicinanze. Gli esami necroscopici hanno permesso di evidenziare la
presenza di F. magna nel primo capriolo, mentre sono risultati negativi al parassita i restanti tre caprioli.
Per quanto riguarda l’azione 3 è stata prodotta una mappa predittiva della presenza dei potenziali ospiti intermedi di
F. magna utilizzando variabili legate all’uso del suolo. La mappa è stata articolata in tre fasce di rischio. Per validare la
mappa, sono stati selezionati, con criterio random, 30 punti di campionamento dei potenziali vettori di F. magna. Ne
è stata quindi eseguita la ricerca e, ove presenti, il conteggio. Le differenze emerse in rapporto alle tre fasce di rischio
ipotizzate sono risultate statisticamente significative (p<0,05); inoltre, l’utilizzo di una sonda multiparametrica in
occasione dei campionamenti ha consentito di confermare quanto riportato in letteratura circa la sopravvivenza
degli ospiti intermedi (Pybus, 2001). Temperatura, conduttività, saturazione di Ossigeno, pH e ioni disciolti nell’acqua
sono risultati correlati con la presenza dei gasteropodi (p<0,05).
Per l’azione 4, i campioni analizzati sono stati 432,di cui 206 raccolti all’interno del Parco e 226 nella zona di preparco. Il 100% dei campioni esaminati all’esterno del Parco è risultato negativo alla presenza di forme larvali del
parassita mentre all’interno del Parco si è riscontrata una PCR-positività del 7,9%.
Infine l’azione 5 ha permesso di affermare che vi è un passaggio di caprioli in entrata e in uscita dal parco. Ad essi è
risultato imputabile il 3% dei 218 passaggi documentati dalle video-trappole durante due cicli annuali di
monitoraggio.
Nel suo complesso, lo studio ha percorso linee d’azione, alcune delle quali innovative, per la sorveglianza di un
problema sanitario emergente e, potenzialmente, di portata sovraregionale e sovranazionale, considerata la
continuità delle popolazioni di Cervidi ed altri ruminanti selvatici recettivi a F. magna e la diffusa presenza di habitats
favorevoli alla biologia degli ospiti intermedi di questo parassita ”alieno”. E’ opportuno che detta sorveglianza venga
mantenuta nel tempo e che, in parallelo, vengano studiate soluzioni atte a limitare (nella maggior misura possibile) i
flussi di ruminanti selvatici attraverso l’unico punto del muro di cinta del PRLM risultato ad essi permeabile.
BIBLIOGRAFIA
1) Bassi (1875) Sulla cachessia ittero verminosa o marciaria dei cervi, causata da Distomum magnum. Annali
Fac. Med. Vet. Torino n° 11 e n° 12.
2) Balbo T., Lanfranchi P., Rossi L., Meneguz P.G. (1987) Health management of a red deer population infected
by Fascioloides magna. Annali Fac. Med. Vet. Torino 32:23-33
3) Foreyt, W. J. and A. C. Todd. 1976. Development of the large American liver fluke Fascioloides magna in
white-tailed deer, cattle and sheep. J. Parasitol. 62:26–32.
4) Kasny M., Beran L., Siegelova V., Siegel T., Leontovyc R., Berankova K., Pankrac J., Kostakova M., Horak P.
(2012) Geographical distribution of the giant liver fluke (Fascioloides magna) in the Czech Republic and
potential risk of its further spread. Vet Med-Czech 57:101–109.
5) Pybus M.J. (2001) Liver flukes. Parasitic Diseases of Wild Mammals. Iowa State Press, 121-149.
4. Stato delle conoscenze sugli Ortotteri dell'Italia nord-occidentale (Piemonte,
Liguria, Val d'Aosta).
Roberto Sindaco, Paolo Savoldelli, Daniele Baroni e Marco Bonifacino
Viene presentato lo stato delle conoscenze sugli Ortotteri presenti nell’Italia nord-occidentale (Piemonte, Valle
d’Aosta e Liguria) e illustrata la distribuzione sul territorio in esame di alcune specie comuni ed altre di particolare
interesse. La checklist degli Ortotteri presenti nell’Italia nord-occidentale ammonta a 150 specie. La presenza di oltre
120 specie è confermata sulla base delle raccolte degli autori o dello studio di esemplari presenti in collezione,
mentre per 30 specie segnalate in bibliografia mancano conferme recenti. Rispetto alla checklist del 2012 alcune
specie sono segnalate per la prima volta sul territorio piemontese, valdostano e ligure (Pseudomogoplistes
squamiger, Anisoptera dorsalis), altre, molto localizzate o al margine del loro areale distributivo, aumentano il
numero di siti noti (Mogoplistes brunneus, Stenobothrus fischeri, Aeropedellus variegatus, Pararcyptera alzonai, Saga
pedo). Infine, un certo numero di specie rimane di presenza dubbia.
5. Il Corridoio Alpi- Appennino.
Guido Trivellini ed Enrico Caprio
INTERVENTO
Il progetto Alpi Appennini (WWF EALP) nasce nel 2009 ad opera del WWF. Si tratta di un lavoro di mappatura expert
based dei valori di conservazione di un’area enorme, che si estende tra la Toscana e la Francia. Il lavoro ha coinvolto
decine di ricercatori e di enti di ricerca, così come le Regioni e le Province relative. Il lavoro, interrotto in una prima
fase nel 2008, è ripartito negli ultimi anni grazie a un finanziamento ricevuto. Ad oggi, in un’area definita da una
naturalità mediamente elevata, è stata studiata la strategia per assicurare nel lungo termine la continuità di un
macro corridoio che, per ragioni climatiche, potrebbe divenire molto importante nei prossimi anni.
Vengono illustrati due esempi di possibili progetti a scala di precisione, di cui uno, gestionale, realizzato.
6. Le specie vegetali della Direttiva Habitat in Piemonte: esempi di metodologie di
indagine, monitoraggio e risultati.
Elena Barni1, T’ai Forte1, Bruno Gallino 3 , Chiara Minuzzo1, Alberto Selvaggi2 , Consolata Siniscalco1
1. Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, Università di Torino
2. Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente (IPLA), Torino
3. Parco Alpi Marittime, Chiusa di Pesio
La Regione Piemonte è caratterizzata da un’elevatissima biodiversità vegetale, un patrimonio da sempre oggetto di
approfondite analisi botaniche legate in particolare alla distribuzione delle specie, e alle caratteristiche biologiche ed
ecologiche, necessarie alla implementazione delle conoscenze per una corretta ed efficace conservazione delle
specie e degli habitat in cui esse vivono. A partire dal 1996, anno di recepimento della Direttiva 92/43/CEE Habitat in
Italia, la Regione Piemonte ha iniziato il processo di istituzione della Rete Natura 2000, indagando la presenza delle
specie della flora incluse negli allegati della Direttiva Habitat. Nel 2003 è stato redatto il primo manuale di
identificazione di ambienti e specie della flora piemontese della Direttiva Habitat, cui sono seguiti aggiornamenti e
approfondimenti nell’ambito di progetti di ricerca regionali, nazionali e internazionali condotti anche grazie
all’apporto di volontari e di personale delle aree protette. Sono stati testati e applicati protocolli di monitoraggio,
modulati e definiti in base a rarità e vulnerabilità delle specie e risorse disponibili. Nel 2016 è stato aggiornato il
manuale regionale di identificazione e monitoraggio delle specie vegetali incluse in Direttiva Habitat, dove sono
esplicitati nuovi dati distributivi, modalità di identificazione, metodologie di monitoraggio e misure di conservazione.
Si discutono esempi e modalità applicative nel territorio regionale al fine di individuare una metodologia di
monitoraggio coerente con quella nazionale in vista del IV Report Nazionale (2013-2018) dell’applicazione della
Direttiva.
In questo quadro nasce, dunque, la necessità di coordinare, anche in ambito nazionale, i lavori di monitoraggio delle
specie animali, vegetali e degli habitat di interesse comunitario. Il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
Territorio e del Mare ha pertanto affidato l’aggiornamento dello stato di conoscenze ad ISPRA (Istituto Superiore per
la Protezione e la Ricerca Ambientale) che, a sua volta, ha coinvolto le Società scientifiche, facendo particolare
riferimento alla Società Botanica Italiana per gli aspetti relativi alle piante. Punto cardine del lavoro è stato la
definizione dal punto di vista metodologico, con applicazione sul campo per alcune specie, di un protocollo di
monitoraggio specie-specifico per 118 taxa (107 piante vascolare, 10 briofite e 1 lichene) tutelati dalla Direttiva
Habitat. Ciò è stato possibile grazie al coinvolgimento di 10 gruppi di lavoro, per un complessivo di oltre 60 esperti,
che hanno lavorato nelle varie Regioni, costituendo un network che ha condiviso ed elaborato le esperienze raccolte
negli ultimi anni sull’intero territorio nazionale. Per ciascuno dei 118 taxa è stata redatta una scheda contenente
informazioni specie-specifiche sulla distribuzione nazionale, l’ecologia e biologia della specie, le comunità di
riferimento, gli impatti, le tecniche di monitoraggio, la stima della consistenza di popolazione e della qualità
dell’habitat in cui la specie risiede. Assieme all’aggiornamento delle conoscenze pregresse sulle singole entità e
l’individuazione delle metodologie da adottare nel monitoraggio delle stesse, tale lavoro è volto a garantire una
maggiore coerenza dei dati che verranno raccolti in futuro, incidendo positivamente sulla valutazione dello stato di
conservazione e dei trend di popolazione di ciascuna delle specie da tutelare.
7. Il Gufo reale nelle province di Cuneo e Torino: risultati del monitoraggio 1996 2016.
Bruno Caula e Paolo Marotto
L’effettiva distribuzione sul territorio italiano del Gufo reale è ancora poco conosciuta. Brichetti & Fracasso (2006)
indicano una presenza nazionale di 250-340 coppie. Stime aggiornate valutano in 403-540 il numero di territori
occupati in tutta l’Italia (Gruppo Ricerche Gufo reale Italia, ined.). Per il Piemonte (Italia nord-occidentale) l’ultima
stima di 30-35 coppie risale al 2003 (Pulcher & Boano). Si presentano i risultati di un monitoraggio iniziato nel 1996
nella provincia di Cuneo e nel 2001 in quella di Torino. Lo studio ha comportato 944 uscite sul campo (712
serali/notturne e 232 diurne) ed è stato realizzato utilizzando metodi di rilevamento diretto ed indiretto. La
popolazione totale per le due province viene valutata in 44 -61 coppie. Le quote medie di nidificazione sono
decisamente inferiori in provincia di Torino (706 m.s.l.m), simili invece quelle massime (1700 m.s.l.m.). Nel periodo di
indagine sono state monitorate 51 nidificazioni che hanno portato all’involo di 78 giovani (media 1,52 juv/cp). Tra le
cause che limitano la diffusione della specie sono da evidenziare casi di uccisione con arma da fuoco, morti causate
da impatto con cavi aerei e autoveicoli, elettrocuzione e avvelenamento. Una forte causa di disturbo è rappresentata
dall’arrampicata sportiva non regolamentata, praticata spesso anche in aree protette.
8. Licheni terricoli nei pratelli aridi lungo i principali fiumi della pianura piemontese.
Gabriele Gheza e Silvia Assini
Sezione di ecologia del Territorio, Diparimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente, Università degli Studi di Pavia,
via S. Epifanio 14, 27100 Pavia, Italia
La presente ricerca ha riguardato la flora e la vegetazione lichenica terricola presenti nei pochi siti rimasti lungo i
principali fiumi della pianura piemontese caratterizzati da vegetazione erbacea xerofila (pratelli aridi e praterie
aride). Tali formazioni vegetali sono prevalentemente inquadrate, secondo l’approccio fitosociologico di BraunBlanquet, nella classe Koelerio glaucae-Corynephoretea canescentis Klika in Klika & V.Novak 1941, in attesa di più
precisa definizione ai livelli sintassonomici inferiori.
Sulla base della cartografia disponibile, di conoscenze pregresse degli autori e di informazioni ottenute grazie alla
collaborazione di altri botanici e di guardiaparco, sono state selezionate 34 aree potenzialmente idonee lungo il corso
planiziale dei fiumi Ticino (13 siti), Sesia (8 siti), Po (6 siti), Orba (3 siti) e Scrivia (4 siti). Tali aree sono state oggetto di
sopralluoghi per verificarne l’effettiva idoneità, in seguito a cui il numero di siti effettivamente studiati si è ridotto a
27.
In questi 27 siti, sono state rilevate un totale di 30 specie di licheni e 18 di muschi terricoli, e complessivamente 13
comunità licheniche terricole. La composizione floristica riscontrata a grande scala dipende soprattutto dal chimismo
del substrato, che condiziona quindi anche la presenza e la distribuzione delle diverse comunità.
Nello specifico, le entità riscontrate sono così ripartite:
Ticino (substrati da molto a mediamente acidi, 10 siti): 12 licheni, 12 muschi, 5 comunità licheniche;
Sesia (substrati da molto a mediamente acidi, 7 siti): 10 licheni, 9 muschi, 6 comunità licheniche;
Po (substrati da mediamente acidi a subneutri, 5 siti): 7 licheni, 10 muschi, 4 comunità licheniche;
Orba (substrati da subneutri a basici, 2 siti): 7 licheni, 6 muschi, 3 comunità licheniche;
Scrivia (substrati basici calcarei, 3 siti): 15 licheni, 4 muschi, 5 comunità licheniche.
Dal punto di vista floristico, risultano di particolare interesse Cladonia peziziformis (With.) J.R.Laundon, una specie
considerata molto rara in tutta Europa, in 3 siti lungo il corso del Sesia, e Cladonia polycarpoides Nyl. in 6 siti lungo il
Ticino e in 5 lungo il Sesia; entrambe le specie sono nuove per il Piemonte. Interessante anche la presenza di
Cladonia uncialis (L.) F.H.Wigg in un nuovo sito lungo il Ticino e di Cladonia portentosa (Dufour) Coem. (inserita
nell’Allegato V della Direttiva Habitat) in due nuovi siti, uno lungo il Ticino e uno lungo il Sesia.
Dal punto di vista vegetazionale, si riscontra la presenza di comunità del Cladonion arbusculae Klement 1949
(Cladonietum foliaceae Klement 1953 emend. Drehwald 1993, Cladonietum mitis Krieger 1937) sui substrati acidi ed
intermedi e di comunità del Toninion sedifoliae Hadač 1948 emend. Wirth 1995 (Toninio-Psoretum decipientis
Stodieck 1937, Cladonietum convolutae Kaiser 1925 emend. Wirth 1995, Cladonietum symphycarpae Doppelbauer in
Klement 1955) su quelli più marcatamente basico-calcarei; in situazioni disturbate compaiono altresì comunità
ascrivibili al Cladonion rei Paus 1997 (Cladonietum rei Paus 1997 e diverse comunità frammentarie costituite da
popolamenti monospecifici di specie differenti), sia su substrati basici sia, più spesso, su substrati acidi.
9.
Le risaie della Pianura padana: dalle mondariso alla pacciamatura in plastica. Quali
conseguenze per la biodiversità?
Giuseppe Bogliani 1,2, Elisa Cardarelli 1, Davide Giuliano 1, Giacomo Assandri 1,2, Mauro Fasola 1, Giovanni Soldato
2,3
1Università di Pavia – Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente
2 GPSO-Gruppo Piemontese Studi Ornitologici
3 LIPU-Lega Italiana Protezione Uccelli
Nel passato le risaie hanno surrogato in qualche modo le funzioni delle aree umide. Il ciclo di coltivazione e la
gestione dei livelli d’acqua erano compatibili con le esigenze vitali di molti organismi acquatici. Anche per questo
motivo, l’area delle risaie dell’Italia Nord-occidentale ospitava popolazioni importanti di Ardeidi coloniali. Grazie a
questo la PAC-Politica Agricola Comune della UE ha finanziato generosamente i risicoltori fra il 2008 e il 2013,
sebbene le tecniche di coltivazione siano cambiate dalla fine degli anni ’80 e abbiano peggiorato le condizioni
ambientali delle risaie. Le nuove tecniche di coltivazione hanno comportato variazioni rilevanti del ciclo delle
sommersioni, Di conseguenza, le popolazioni di Ardeidi legate alle risaie allagate sono diminuite in anni recenti,
mentre le popolazione delle specie non legate alle risaie allagate stanno ancora aumentando. Alcuni esperimenti
condotti in Piemonte e Lombardia hanno evidenziato gli effetti del cambiamento del ciclo idrico sugli organismi
acquatici delle risaie e gli effetti della gestione delle stoppie d’inverno e degli arginelli d’estate. La PAC 2014-2020 ha
tolto in parte il contributo accoppiato ma ha incrementato notevolmente i fondi del PSR. Tuttavia, le misure del PSR
del Piemonte e della Lombardia che si richiamano a tematiche ambientali non sono sempre favorevoli al
mantenimento della biodiversità. Il ritmo di cambiamento delle tecniche di coltivazione è molto rapido e non è
sempre facile valutarne i potenziali effetti. Tuttavia, alcuni punti fermi possono essere fissati: gestione del ciclo
idrico, mantenimento degli elementi del paesaggio agrario e del reticolo dei canali.
10.Conservare la biodiversità nei vigneti: conoscenze attuali e spunti per la gestione
dal Nord Italia.
Giacomo Assandri1,2,4, Enrico Caprio3,4, Mattia Brambilla1, Giuseppe Bogliani2,4, Antonio Rolando3, Paolo Pedrini1
1
MUSE; 2 DISTA – UniPV; 3 DBIOS – UniTO; 4 G.P.S.O.
ABSTRACT - La viticoltura è una forma di agricoltura tradizionalmente legata al bioma Mediterraneo. Oggi essa è
intesa in maniera fortemente intensiva e quindi minaccia seriamente la biodiversità associata; di conseguenza, la
riduzione dei suoi impatti ambientali è un’esigenza rilevante per la conservazione della natura.
Il presente contributo intende fare il punto sulle ricerche in atto sulla biodivesità delle aree viticole nel Nord Italia al
fine di evidenziare possibili spunti comuni per la gestione e la conservazione in questi agroecosistemi attraverso
l’esempio di due casi di studio.
Il primo di essi riguarda la Valle dell’Adige (Trentino), dove si sono studiate le comunità ornitiche e alcune specie
target (comuni e di interese conservazionistico) in periodo riproduttivo e invernale al fine di comprendere gli effetti
della composizione e struttura del paesaggio, della gestione agricola sugli uccelli e di alcune caratteristiche
topografiche-climatiche sugli uccelli.
Considerando l’intera comunità, il livello paesaggistico è quello che maggiormente influenza la diversità, tuttavia
anche alcuni elementi relativi alla gestione agricola hanno un effetto su di essa. Diversamente, l’abbondanza di
alcune specie non è solo influenzata dalle caratteristiche del paesaggio, ma anche significativamente, o
primariamente, da effetti di caratteristiche climatico-topografiche e, soprattutto, dalle pratiche colturali.
L’uso del suolo predominante a scala di paesaggio è risultato avere effetti negativi a livello di comunità e
generalmente anche sulle specie più comuni.
Tre specie insettivore di interesse conservazionistico (codirosso comune, pigliamosche e torcicollo), invece, hanno
mostrato di essere favorite dalla copertura di vigneto a scala di paesaggio, probabilmente perché, strutturalmente, il
vigneto non è poi così differente dal loro habitat “ancestrale” d’origine.
I risultati presentati evidenziano anche un ampio effetto positivo della copertura di habitat diversi da quello
dominante (es. habitat marginali) e degli elementi tradizionali (es. siepi e filari, alberi ed edifici isolati) sugli uccelli,
che permettono la presenza di specie non adattate all’habitat dominante che caratterizza la matrice, verosimilmente
perché queste specie non riescono a nidificare o nutrirsi nella coltivazione.
Nel corso del progetto si è investigato inoltre l’effetto dell’agricoltura biologica sugli uccelli, considerando vari
indicatori e scale spaziali, senza tuttavia dimostrare alcun effetto positivo di questo tipo di gestione rispetto a quella
convenzionale.
Il secondo caso di studio riguarda l’astigiano. In questo caso si sono considerate le comunità di artropodi (ragni e
carabidi) e di uccelli.
I carabidi non risultano direttamente favoriti dalla gestione biologica, però le patches di bosco vicine ai vigneti
biologici hanno valori di ricchezza specifica e abbondanza più elevati che quelle vicine ai vigneti convenzionali. I ragni
e gli uccelli sono invece favoriti dalla viticoltura biologica. Gli uccelli sono inoltre favoriti dalla eterogeneità a scala di
paesaggio.
I risultati contrastanti nei due casi di studi per quanto riguarda l’effetto del biologico sugli indicatori utilizzati
dipendono dal fatto che nelle due aree l’agricoltura biologica è intesa in maniera diversa. In Trentino i vigneti
biologici sono spesso nuovi, pensati per la meccanizzazione e in media ricevono più trattamenti dei convenzionali
(anche se prevalentemente rame e zolfo).
Nell’astigiano la situazione e spesso opposta: i vigneti biologici hanno dimensioni contenute (caratteristica di un
paesaggio estensivo) e gli ambienti marginali sono gestiti in maniera più sostenibile.
In conclusione i vigneti non sono necessariamente “deserti biologici”, ma neanche “verdi” per definizione: i sistemi
tradizionali ad elevato tasso di biodiversità dovrebbero essere mantenuti; la qualità ambientale di quelli intensivi
implementatata per ottenere livelli minimi di sostenibilità.
11.Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Piemonte: una risorsa per la biodiversità?
Il punto di vista di agricoltori e ornitologi.
Bruno e Gabriella Vaschetti – Centro Cicogne e Anatidi, Racconigi, via Stramiano 32
www.cicogneracconigi.it
Il Programma di Sviluppo Rurale (PSR) è lo strumento attraverso cui ciascuna regione programma e attua le politiche
strutturali per lo sviluppo rurale dell’Unione europea, utilizzando le risorse del FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo
Sviluppo Rurale).
Le Misure comprendono una serie di interventi, attivati attraverso i BANDI, che contribuiscono alla realizzazione di
una o più azioni
Il Centro Cicogne di Racconigi è situato all’interno di un’azienda agricola che, pertanto, ha potuto aderire alle misure
del PSR a partire dal
-
PSR 200-2006: misura agroambientale F4
- PSR 2007-2013: Misura 216 “investimenti non produttivi”
PSR 2014-2020: Misura10.1.7 - Gestione di elementi naturaliformi dell’agroecosistema
L’Associazione Centro Cicogne e Anatidi di Racconigi, creata nel 1985, si occupa di progetti scientifici di riproduzione
e di reintroduzione di specie rare di avifauna, come la Cicogna bianca e molte specie di anatre (Gobbo rugginoso,
Moretta tabaccata, etc). Dal 1995 il Centro ha intrapreso una serie di attività volte al ripristino di zone umide, allo
scopo di offrire aree di sosta per gli uccelli migratori. Considerato il notevole riscontro scientifico che tali zone hanno
fornito in termini di osservazioni faunistiche, anche di specie rare, e al fine di contribuire alla conservazione della
biodiversità, così come indicato dalla normativa comunitaria (Direttiva “Uccelli” 79/409/CE e Direttiva “Habitat”
92/43/CE), il Centro Cicogne e Anatidi ha proposto nel 2003 alla Regione Piemonte – Settore Pianificazione e
Gestione Aree protette - un progetto per la realizzazione di una nuova zona umida per sosta della fauna selvatica.
L’interesse scientifico di questo progetto risiede anche nella valorizzazione dell’area, sia per gli aspetti naturalistici
sia per gli aspetti didattico-turistici, dal momento che il Centro Cicogne e la nuova area destinata al progetto si
trovano ad essere incluse nel Sito di Interesse Comunitario SIC IT1160011 “Parco di Racconigi e boschi lungo il
torrente Maira”.
OBIETTIVI
Considerando queste premesse, il progetto proposto, che consiste nella realizzazione di una zona umida di 15 ettari
circa, si propone le seguenti finalità:
- ampliare la zona umida già esistente, al fine di favorire la sosta degli uccelli migratori;
- diversificare ecologicamente l’area in modo da favorire la biodiversità ambientale;
- conservare la vegetazione naturale e "semi-naturale" preesistente sull'area inclusa nel progetto;
- destinare una parte della superficie dell'area a bosco planiziale misto, alneto e saliceto ripario;
- formare uno specchio d'acqua che nelle proporzioni, nel disegno e nella successione ecologica che si verrà ad
istaurare, fornisca situazioni diverse per favorire diverse specie animali;
- fornire ambienti adatti alla sosta, all'alimentazione e alla riproduzione di un elevato numero di taxa vegetali
e animali ed in particolare di quelli effettivamente presenti nella zona, ma attualmente rappresentati da
popolazioni ridotte e/o minacciate di scomparsa o di cui la scomparsa dall'area in tempi storici sia accertata o
ipotizzabile in base a motivi ecologico-biogeografici.
INTERVENTI
Gli interventi previsti sono:
1) SCAVO
-
Si propone lo scavo di uno stagno che occupi circa 1/3 della superficie disponibile, mentre la rimanente parte
verrà lasciata a prato – prato umido, intercalata da vegetazione arborea, cespugliosa e a zone destinate
all’accesso dei visitatori (percorsi didattici, capanni, …).
-
All’interno dello stagno, verrà individuata una zona circoscritta, nella quale sarà realizzato un canneto misto
(fragmiteto e tifeto), in modo da illustrare nel dettaglio come la biodiversità ambientale incida
sull’insediamento di specie animali diverse. Nella zona umida di fronte al capanno principale verrà realizzata
una zona umida con livelli idrici diversi, che permettano di creare zone idonee per i limicoli fino ad aree di
acque più profonde per le anatre tuffatrici.
-
Tutto il suolo agrario ed eventuale altro materiale inerte derivante dai movimenti terra necessari ai lavori di
scavo, sarà utilizzato per il modellamento delle sponde, la realizzazione degli argini di protezione, la
formazione delle isole ed i riempimenti per la costituzione di zone a profondità minima secondo quanto
indicato nel disegno e nelle sezioni del progetto.
-
L'area indicata in azzurro in cartografia dovrà avere profondità comprese fra 0,1 ed 1 m, ciò al fine di
favorire una massima produttività biologica, un ambiente idoneo alle specie tuffatrici (generi Tachybaptus,
Podiceps, Aythya, Fulica) e impedire un rapido diffondersi della Typha e della Phragmites sull'intera superficie dello stagno. Le aree con acqua più bassa, inferiore ai 30, cm saranno disegnate curando il massimo
sviluppo del perimetro affinché sia massimizzata l'interfaccia specchi d'acqua/vegetazione palustre.
-
Per quanto concerne l'ampiezza della zona umida che si verrà a creare si tenga presente che zone umide
inferiori a 5 ettari si rivelano spesso insufficienti per mantenere popolazioni vitali di molte specie di uccelli
(Brown e Dinsmore, 1986).
2) VEGETAZIONE PALUSTRE
Fra le specie botaniche acquatiche si cercherà direttamente o indirettamente di favorire l'attecchimento delle
seguenti (in parte la colonizzazione potrà avvenire anche naturalmente per alcune di esse), scelte fra quelle più
appetite dagli uccelli acquatici o più importanti per la quantità di invertebrati acquatici che ospitano (Krull, 197;
Coles, 1970):
-
Piante sommerse: Zannichellia palustris, Najas minor, Potamogeton nodosus, Myriophyllum spicatum, M.
verticillatum, Callitriche stagnalis, Ceratophyllum submersum;
-
Piante natanti in superficie: Lemna minor, Utricularia australis, U. minor;
-
Piante emergenti: Sparganium erectum, Schoenoplectus lacustris, Bulboschoenus maritimus, Carex
acutiformis, Phragmites australis, Typha latifolia, T. angustifolia;
-
Sui bordi: Lythrum salicaria.
Si noti che Potamogeton e Lemna sono importanti quali nutrimento per gli Anatidi; Myriophyllum, Ceratophyllum,
Utricularia sono importanti per la comunità di vertebrati acquatici che ospitano; Phragmites è essenziale per la
nidificazione di alcuni Silvidi di palude e Lythrum attrae alcuni Lepidotteri ed in particolari Lycaena dispar (Specie
prioritaria presente al Bosco del Merlino, presso Caramagna P.te), Licenide legata agli ambienti umidi ed in diminuzione.
3) VEGETAZIONE ARBOREA
Per quanto concerne la vegetazione arborea, si opererà un’attenta gestione delle piante spontanee (soprattutto
salici e pioppi), onde evitare un’eccessiva copertura dell’area.
Come essenze arboree e arbustive da utilizzare per il rimboschimento di un’area circoscritta si propongono:
-
Saliceto ripariale: Salix alba (dominante), Populus alba (specie arboree) a cui si aggiungeranno Salix eleagnos
e Salix purpurea;
-
Fascia d'interramento del fragmiteto (stadio avanzato) su terreni a falda affiorante: Salix cinerea, Alnus
glutinosa (dominante), Prunus padus (specie caratteristica dell'Alno-Padion, ormai rara in Piemonte):
-
Nella fascia di transizione, ai margini del querco-carpineto, si aggiungeranno Fraxinux excelsior, Prunus
avium, Quercus robur (strato arboreo) e Cornus sanguinea, Euonymus europaeus (strato arbustivo).
4) ISOLE
Saranno realizzate isole di varia grandezza per permettere la sosta di uccelli migratori e la nidificazione degli
estivanti, quali il Cavaliere d’Italia.
5) CANALE PERIMETRALE
Lo stagno formato dagli scavi e la zona prato saranno delimitati perimetralmente da un canale che avrà lo scopo sia
di fornire acqua alla zona umida sia di costituire un serbatoio idrico nel caso di una temporanea mancanza d’acqua.
Dal canale potranno giungere pesci ed altri organismi acquatici per un naturale ripopolamento della fauna acquatica.
In queste acque correnti si instaurerà una flora e fauna diversa da quella delle acque del bacino principale. In
particolare la situazione sarà idonea alle libellule del genere Calopteryx.
6) PARTICOLARI ELEMENTI GESTIONALI
Allo scopo di favorire una gestione del territorio il più naturale possibile, è previsto il pascolamento di erbivori, quali
equidi o ovini, sul prato stabile umido: ciò permetterà non solo un controllo del livello vegetazionale, ma anche la
presenza di specie di uccelli legate a tali animali, come l’Airone guardabuoi o le Pavoncelle.
7) TEMPORANEI CAMBI DI LIVELLO IDRICO
Sarà possibile controllare il livello dell'acqua (idoperiodo), fatto utile per favorire o tenere a bada lo sviluppo della
vegetazione acquatica (Kadlek, 1962). Con il disseccamento parziale in particolari periodi dell'anno si creano superfici
idonee a Ciconiformi e Caradriformi, mentre con il temporaneo allagamento di zone inerbite o con vegetazione
arborea (ontani, querce) si creano favorevoli condizioni di pastura per molti Anseriformi.
8) RIPOPOLAMENTO ITTICO
Stante la presenza del canale che porterà acque provenienti dal vicino Torrente Maira, si ritiene di non intervenire
con ripopolamento ittico artificiale.
9) INFRASTRUTTURE PER L’OSSERVAZIONE NATURALISTICA
E’ prevista la realizzazione di capanni che favoriscano l’osservazione naturalistica in ogni periodo dell’anno. A tale
scopo è in previsione, compatibilmente con i finanziamenti erogati, un capanno principale, in cui verranno
concentrate le attività didattiche. All’interno di tale capanno sono infatti previsti diversi pannelli didattici che
illustrino la biodiversità ambientale con i relativi dati scientifici ricavati dall’area in oggetto. Questo spazio potrà
anche essere utilizzato per espletare laboratori di educazione ambientale, includendo anche l’attività di
inanellamento.
Oltre a questo capanno, potranno essere realizzati altri punti di osservazione lungo il percorso per permettere ai
visitatori di soffermarsi sui diversi tipi di habitat ricreati e, quindi, sulle diverse specie animali ospitate.
10) STRADA DI ACCESSO
Nella realizzazione del progetto si terrà conto di uno spazio perimetrale che permetta sempre il passaggio di un
automezzo sia per il controllo dell’area, sia per eventuali lavori di manutenzione.
11) RECINZIONE
E’ importante poter realizzare una recinzione perimetrale in modo da garantire l’esclusione di qualsiasi elemento di
disturbo proveniente dall’esterno, imputabile sia a fauna selvatica sia a fattori umani, incluso il disturbo indotto
dall’attività venatoria.