Nel welfare la carenza di risorse non è affatto un

Download Report

Transcript Nel welfare la carenza di risorse non è affatto un

18
Giovedì 17 Novembre 2016
COMMENTI & ANALISI
Nel welfare la carenza di risorse non
è affatto un alibi. Bisogna organizzarsi
CONTRARIAN
DOVE SARÀ IL FOCUS
DEL NUOVO PIANO
DI MEDIOBANCA
E Mediobanca presenta oggi il nuovo piano
industriale 2016-2019, che evidenzierà in
modo più marcato il progressivo cambiamento
di pelle di Piazzetta Cuccia e la sempre
maggiore focalizzazione sui nuovi business
voluta dall’ad Alberto Nagel. Gli analisti di
Icbpi si aspettano infatti che il nuovo piano
si concentri su una più efficiente allocazione
del capitale, con un’ulteriore spinta sul retail e
sull’asset management. «Mentre la redditività
del core business (Cib) dipenderà in larga
misura dalle condizioni di mercato, le strategie
del management sul capitale saranno ancora
influenzate, come per l’intero settore bancario
italiano, dall’attuale revisione normativa»,
precisano gli
analisti di Icbpi.
Il focus sarà
naturalmente
anche sul
trattamento
prudenziale
della
partecipazione
del 13% in
Generali.
Alberto
A questo
Nagel
gli analisti
di Equita
aggiungono un
MEDIOBANCA
focus crescente
quotazioni in euro
su CheBanca!,
7,1
come asset
6,7
gatherer
di nuova
6,3
generazione;
IERI
una spinta
5,9
sul credito al
6,96 €
consumo, anche
-1,49%
5,5
con eventuali
16 ago ’16
16 nov ’16
acquisizioni;
indicazioni
sui progetti di crescita nell’alternative asset
management e un’accelerazione dei ricavi esteri.
In ogni caso le stime aggiornate lo scorso 2
novembre da Kepler Cheuvreux non assumono
alcuna acquisizione o cessione di azioni Generali
(la compagnia contribuisce al 44% dell’utile
netto rispetto al 42% dello scorso anno). «Non
ci aspettiamo alcun cambiamento drastico di
strategia da parte di Mediobanca, anche se il
management ha ribadito l’intenzione di cedere
il 3% della sua attuale quota del 13% nel Leone,
senza dare una specifica scadenza», affermano
gli analisti della banca d’affari. In particolare,
gli esperti per l’esercizio 2019 si aspettano un
utile netto a 777 milioni (+11% su base annua,
750 milioni la stima per il 2017 dai 590 milioni
del 2015) il che implica un Rote dell’8,3%, a
fronte di ricavi complessivi pari a 2,45 miliardi di
euro (1,909 miliardi nel 2017), un rapporto cost/
income del 42% e un costo del rischio di 90bps.
«Ci aspettiamo anche un payout ratio del 39%,
un dividendo a fine piano di 0,35 euro per azione
(a 0,32 euro nel 2018, a 0,30 euro nel 2017 e a
0,27 euro quest’anno dai 0,25 euro del 2015,
ndr), il che implica un rendimento superiore al
5%», prevedono a Kepler Cheuvreux. Gli analisti
di Kepler Cheuvreux hanno un rating buy e un
target price a 7,4 euro su Mediobanca, prezzo
obiettivo che deriva per un 51% dal valore del
core business, per un 41% dal fair value della
partecipazione del 13% in Generali (10% sulla
base del target price sulla compagnia a 13,7
euro e 3% sulla base del prezzo di mercato) e
per un 8% dagli altri investimenti. Anche Equita
consiglia l’acquisto (buy) dell’azione con un
target price a 7,9 euro, mentre Icbpi ha ribadito
neutral con un prezzo obiettivo a 7,3 euro.
(riproduzione riservata)
S
enza evocare profezie su conflitti
tra generazioni, fare welfare in
carenza di risorse richiede alcune scelte. La prima possibilità è
quella di restituire ai singoli le proprie responsabilità, arretrando le
protezioni sociali offerte nel secolo
del progresso. In questa direzione
sembra muoversi il Giappone, dove si sta immaginando la fine delle
pensioni di vecchiaia e si chiede ai
giovani di concentrare i propri studi
universitari su scienza, tecnologia e
matematica, ma anche l’Inghilterra,
che consente ai pensionandi di ritirare
i propri contributi previdenziali per
farne l’uso che ritengono più utile.
Che cosa accadrà se di questi contributi viene fatto un cattivo uso, o per
dirla più semplicemente, se ci saranno molte persone che sopravvivranno
al proprio reddito?
La semplice diminuzione delle protezioni pubbliche che scarica le incertezze sui cittadini non sembra un
modello convincente, dato che la logica conseguenza è quella di delegare
le politiche sociali al mercato privato,
che non ha finora dimostrato di essere
solidamente orientato all’equità. Una
seconda strada invita invece a realizzare antidoti, che si situano in due
categorie principali non disgiunte: i
welfare generativi e i welfare di comunità. Il welfare generativo consiste
nella creazione di circolarità nell’assistenza, ossia nel chiedere a chi ottiene benefici di restituire in qualche
modo quanto ricevuto mettendo a
disposizione le proprie energie per
la comunità. In questa prospettiva,
l’utente dei servizi diviene anch’esso
produttore di benessere, apportando
tempo, risorse, energie, competenze
di Alessandro Rosina
e Sergio Sorgi
ed esperienze utili per altri.
Un’altra forma interessante è rappresentata dalla cosiddetta premialità,
un modo di incentivare buone pratiche nei cittadini per via razionale o
psicologica. Ne sono esempio le deduzioni o detrazioni fiscali, che riconoscono la valenza di alcuni comportamenti e li incentivano o supportano.
Diverso è il tema dell’influenza positiva attuata per via comportamentale. Diversi studi evidenziano che si
possono incentivare comportamenti
virtuosi partendo dalle predisposizioni psicologiche degli utenti. Tra
obbligatorietà e laissez-faire vi sono
da qualche anno in corso sistemi di
spinta gentile (nudge) che, senza obbligare i cittadini ad assumere comportamenti virtuosi ne sostengono gli
sforzi: sono meccanismi che adoperano l’inerzia decisionale dei cittadini a loro favore o attribuendo rating
di cittadino virtuoso e vantaggi a chi
mette in atto comportamenti utili alla
collettività. (…) Il modo più naturale
per ampliare i supporti in assenza di
risorse consiste tuttavia nel welfare
di comunità, un’alleanza forte tra
componenti della società che si basa
sul concetto di network. I welfare in
rete aggregano le componenti della
società interessate a costruire benessere nei propri utenti. Tipicamente
ne fanno parte le pubbliche amministrazioni, il terzo settore, le imprese
(storicamente coinvolte nel benessere dei propri lavoratori dai tempi
di Olivetti, Enrico Mattei, Pirelli), la
famiglia, le associazioni e il mercato
finanziario, assicurativo e previdenziale. Ognuno di questi soggetti può
interpretare la propria partecipazione al network in due dimensioni:
societaria e comunitaria. Il welfare
societario è un’alleanza tattica, che
massimizza i benefici per ogni soggetto istituzionale che partecipa. Il
welfare di comunità, strategico, mette al centro dei propri risultati l’utente, sapendo che questo orientamento alla persona darà benessere, per
riflesso, all’intera società e dunque
anche alle componenti della rete. Il
welfare di comunità è solidaristico,
mutualistico e sottintende il valore
che deriva dal mettere in comune
le responsabilità del benessere. Se
ci sono pochi figli, un welfare promozionale e prospettico aiuterà le
coppie a poter fare scelte desiderate
di procreazione, facilitandone le decisioni e la gestione familiare in un
contesto favorevole. Se il mercato
del lavoro sottoutilizza l’esperienza
dei senior, un welfare attento metterà
in atto provvedimenti atti a facilitare
la permanenza dei senior nel mondo
del lavoro, mediante forme di parttime agevolato o rivedendo il rapporto tra reddito e produttività in età
avanzate. Se, come accade, il lavoro
femminile è poco agevolato e mal
pagato, si interverrà con politiche
di conciliazione che, per esempio,
rendano asincroni gli orari di inizio
scuola, inizio del lavoro e fruizione
di servizi pubblici. Insomma, serve
un nuovo welfare che non arretri,
non chiuso in difesa, ma in grado di
porsi in felice sintonia con le trasformazioni in corso.
* brano tratto dal saggio Il Futuro
che (non) c’è, Bocconi Editore
Fiscalisti arruolati nella lotta all’evasione
T
ira una brutta aria per i professionisti del Fisco. Gli Stati europei
non sono ancora riusciti a superare la crisi del 2008 che ha provocato
una forte dilatazione del debito pubblico nella quasi totalità di essi. Non
possono tagliare la spesa pubblica
(per non aggravare la recessione),
hanno quindi un bisogno disperato
di aumentare le entrate tributarie: da
qui la campagna condotta in modo
deciso già da qualche anno contro i
paradisi fiscali, che ha già smantellato il tradizionale segreto bancario
di piazzeforti come la Svizzera. La
trasparenza bancaria, la costruzione
di enormi banche dati in grado di
segnalare tutte le transazioni economiche dei cittadini e delle imprese,
lo scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie diverse, la
fatturazione elettronica, sono altrettanti passi avanti nella lotta a evasione ed elusione. Ma non basta. Anche
perché l’accumulo di quantità enormi
di informazioni, per ora, sembra essere più un deterrente che un’azione di contrasto reale. Molti dei dati
contenuti nell’anagrafe tributaria
sono imprecisi. Forse manca ancora
la capacità di utilizzare a fondo tali
strumenti. Il direttore dell’Agenzia
delle Entrate, Rossella Orlandi, al Festival dell’economia di Trento del 4
giugno ha riconosciuto: è un mito che
l’Agenzia possa sconfiggere evasio-
di Marino Longoni
ne ed elusione pigiando il tasto di un
computer, e «con 11 mila addetti ai
controlli è umanamente impossibile
controllare 40 milioni di dichiarazioni fiscali». Da qui la scelta di puntare
in modo deciso sulla compliance.
L’amministrazione finanziaria sta
riducendo il numero di accertamenti
per puntare su alert preventivi e avvisi
bonari. Da tempo, in realtà, la politica
fiscale sta cercando in diversi modi
di arruolare o intimorire coloro che
sono sempre stati al fianco dei contribuenti, i professionisti, blandendoli
o accusandoli di essere gli ispiratori
dell’evasione. Commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, sono il
perno di questa nuova strategia. Non
a caso sono stati obbligati a trasmettere masse sempre più pervasive di dati sui contribuenti: invio online della
dichiarazione dei redditi, spesometro
trimestrale, comunicazioni trimestrali
Iva, fatturazione elettronica, sono solo gli ultimi passi in questa direzione.
Ma anche quando l’anagrafe tributaria sarà in grado di monitorare ogni
singolo movimento del contribuente,
nulla potrà contro le complesse operazioni finanziarie tipiche delle grandi imprese, perciò il passo successivo
sarà responsabilizzare i professionisti
sulle eventuali mancanze commesse
dai clienti. Qualcosa in tal senso è già
stato fatto con il 730 online.
Anche la giurisprudenza è sempre
più convinta sul rendere responsabile
il consulente dell’azienda per l’evasione o l’elusione da questa commessa. Ora anche la Commissione Ue ha
aperto una consultazione per trovare
il modo di dissuadere gli intermediari
dal progettare operazioni fiscali elusive. Il dato di partenza è che l’elusione
ha sottratto, nel 2013, 50-70 miliardi
di euro dalle casse degli Stati europei.
Misure più severe contro gli intermediari sono state già chieste da Parlamento europeo, Ecofin e Ocse. Obiettivo della Commissione Ue è ora creare deterrenti efficaci per evitare che i
consulenti fiscali propongano schemi
di pianificazione fiscale aggressivi.
Pierre Moscovici, commissario per
gli Affari economici e finanziari, ha
dichiarato: «Piani di finanziamento aggressivi e strutture societarie
opache non sono frutto del caso». Il
messaggio è chiaro: commercialisti
e avvocati vanno disincentivati dal
prendersi troppo a cuore l’interesse
delle società. In pratica si punterà a
creare un conflitto d’interesse tra il
professionista e il suo cliente, come
già fatto con la disciplina antiriciclaggio. In altri termini, se gli Stati
non riescono più a controllare i contribuenti, ci pensino i professionisti.
(riproduzione riservata)