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Cass. civ., Sez. II, sent. 18 ottobre 2016, n. 21024, Pres. Migliucci - Rel. Manna
Sulla delibera condominiale che introduce nel regolamento una norma limitativa del diritto
di proprietà prevedendo il divieto di destinazione specifica delle singole unità immobiliari.
La sezione Terza della Corte di Cassazione, cassando con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello
di Palermo la sentenza impugnata, sancisce il principio di diritto secondo cui: "la previsione contenuta
in un regolamento condominiale convenzionale di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive,
incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, deve essere ricondotta
alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem, non configurandosi in tal
caso il presupposto dell'agere necesse nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio.
Pertanto, l'opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo le norme proprie della servitù,
e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, indicando nella nota di trascrizione, ai
sensi dell'art. 2659 c.c., comma 1, n. 2, e art. 2665 c.c., le specifiche clausole limitative, non essendo
invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale".
Precedenti conformi
Cass. n. 3749/99;
Cfr. Cass. n. 14898/13 in tema di supercondominio;
Cass. nn. 17493/14 e 7515/86.
Precedenti difformi
Cass. nn. 17886/09 e 10523/03.
Commento
Il caso posto all’attenzione dei giudici di legittimità concerne l’apposizione di limiti alla destinazione
delle proprietà esclusive (si pensi al divieto di destinare le singole unità immobiliari ad attività di casefamiglia, bed and breakfast, pensioni, alberghi o affittacamere), inseriti con una specifica norma nel
regolamento condominiale mediante una deliberazione adottata a maggioranza in base all’art. 1136
c.c., e la posizione dei terzi acquirenti rispetto agli stessi.
Ci si è chiesti cioè se l’apposizione di divieti alla proprietà potesse o meno rilevare nei confronti di terzi
estranei sia rispetto al regolamento condominiale originario che rispetto alla deliberazione
successivamente intervenuta a maggioranza e non seguendo la regola dell’unanimità.
Nel fornire una risposta al quesito la Corte non può fare a meno di soffermarsi sulla natura giuridica
dei limiti di destinazione apposti alle proprietà, considerato che si tratta di questione che precede e
chiarisce quella della incidenza rispetto ai terzi.
I giudici della sezione Terza, in particolare, annullando la sentenza della Corte d’appello con rinvio ad
altra sezione della medesima Corte territoriale, si soffermano sulle ricostruzioni via via prospettate dalla
giurisprudenza.
In primis citano alcune sentenze che hanno sostenuto la vincolatività, verso i successivi acquirenti,
delle clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale che abbiano imposto limiti, purché
siano state espresse attraverso una enunciazione chiara ed esplicita, indipendentemente dalla
trascrizione, e si sia fatto riferimento nell’atto di acquisto al regolamento di condominio e ai predetti
limiti, con la conseguenza che il regolamento possa considerarsi come conosciuto o accettato in base
al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cass. n. 17886/09; conforme, Cass. n. 10523/03).
Si aggiunge poi il riferimento ad altra giurisprudenza che ha richiesto, per la validità della clausola,
l’adozione della delibera all'unanimità e, per la produzione di effetti nei confronti degli aventi causa a
titolo particolare dei condomini, la trascrizione nei registri immobiliari oppure la menzione e
l’accettazione espressa della clausola stessa nei singoli atti d'acquisto (Cass. n. 6100/93).
Un’altra parte della giurisprudenza, invece, ha affermato che, con il regolamento condominiale,
possono esser costituiti pesi a carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre
unità abitative, cui corrisponde il restringimento e l'ampliamento dei poteri dei rispettivi proprietari (si
tratterebbe cioè di un diritto di servitù, trascrivibile nei registri immobiliari), o possono imporsi
prestazioni positive a carico dei medesimi e a favore di altri condomini o di soggetti diversi (che
darebbero vita ad un onere reale), ovvero possono limitarsi il godimento o l'esercizio dei diritti del
proprietario dell'unità immobiliare (la cui natura giuridica sarebbe quella di obbligazione propter rem,
non trascrivibile). Il divieto di adibire l'immobile ad una determinata destinazione, ovvero di esercitarvi
determinate attività, per questa giurisprudenza, sarebbe cioè inquadrabile tra le obbligazioni propter
rem, con la conseguente prescrizione del diritto ove il creditore non lo eserciti per il periodo
predeterminato dalla legge (Cass. n. 11684/02).
Infine, si evidenzia che la giurisprudenza della stessa Corte ha anche sostenuto che “il regolamento di
condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli iniziali
acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che
disciplinano l'uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i
poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste
ultime una servitù reciproca” (Cass. n. 3749/99; cfr. Cass. 14898/13 in tema di supercondominio).
Dopo aver tracciato le diverse soluzioni interpretative, la Suprema Corte prende posizione sostenendo
che “la clausola contenente limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non
sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, debba essere ricondotta
alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem”. In questo senso,
rileva sia il concetto di limite, che costituisce il proprium delle servitù (quale menomazione della
possibilità di godimento pieno del diritto di proprietà), sia l’assenza del presupposto dell'agere necesse
nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio, che connota invece l'obbligazione, anche
se avente ad oggetto un non facere come nel caso oggetto del giudizio (ossia il divieto di mutare la
destinazione delle unità immobiliari).
Si aggiunge poi che la reciprocità dei limiti risulta incompatibile con lo schema obbligatorio poiché non
vi può essere obbligazione reciproca quando ciascuno debba all'altro un eguale speculare a quello cui
questi è tenuto verso di lui.
Oltretutto, la natura giuridica di servitù, secondo la Corte, non è esclusa dal fatto che il vantaggio e lo
svantaggio che ne derivano, soddisfacendo per lo più un interesse inerente alla sfera personale,
riguardino più che i fondi coloro che a qualunque titolo ne godano (si consideri il caso delle servitù,
soprattutto a quelle negative, in cui l'interferenza d'interessi personali non fa venir meno la sequela e,
dunque, la realità del peso; in questo senso, si pensi alla servitù inaedificandi o altius non tollendi).
Ciò posto, e ricondotti quei limiti allo schema della servitù, si sostiene che “l'opponibilità ai
terzi acquirenti in ambito condominiale va quindi regolata secondo le norme proprie di
questa, e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso. I giudici di
legittimità, a tal fine, non considerano sufficiente indicare nella nota di trascrizione il
regolamento medesimo, ma, ai sensi dell'art. 2659 c.c., comma 1, n. 2, e art. 2665 c.c.,
reputano necessario indicarne le specifiche clausole limitative” (Cass. nn. 17493/14 e
7515/86).
L’assenza di trascrizione, tuttavia, non impedisce al divieto di valere nei confronti del terzo acquirente,
il quale ne prenda atto specificamente nel medesimo contratto d'acquisto, con la logica esclusione di
un problema di opponibilità in senso tecnico.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott.
MIGLIUCCI Emilio - Presidente - Dott.
MATERA Lina - Consigliere Dott. MANNA Felice - rel. Consigliere - Dott.
ORILIA Lorenzo - Consigliere - Dott.
CORRENTI Vincenzo - Consigliere - ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3111/2012 proposto da:
I.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo
studio dell'avvocato FRANCESCO FALVO D'URSO, rappresentato e difeso dall'avvocato
LIBORIO GAMBINO;
- ricorrente contro
CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34,
presso lo studio dell'avvocato BIANCA MARIA CASTOLDI, rappresentato e difeso
dall'avvocato GIANDOLFO REDINI;
- controricorrente avverso la sentenza n. 54/2011 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il
19/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2016 dal Consigliere
Dott. FELICE MANNA;
udito l'Avvocato CAMBINO Pietro, con delega depositata in udienza dell'Avvocato Liborio
GAMBINO, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha
concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
I.M. e Rosario Costa, partecipanti al condominio di (OMISSIS), Palermo, impugnavano la
delibera 12.2.2006 dell'assemblea condominiale, nella parte in cui questa aveva integrato il
regolamento condominiale inserendovi un articolo che vietava ai condomini di destinare le
unità singole a case-famiglia, bed and breakfast, pensioni, alberghi o affittacamere. A
sostegno della domanda deducevano che la deliberazione era stata adottata con la
maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c. e non all'unanimità.
Nel resistere in giudizio il condominio, oltre a contestare la legittimazione attiva di Rosario
Costa, non più condomino già al momento di propone la domanda, deduceva che la delibera
aveva integrato il regolamento, adottato il 15.11.1991 in riproduzione di quello originario del
1957 (andato perduto) ma senza la clausola, analoga a quella in questione, ivi contenuta.
Pertanto, la delibera impugnata non aveva fatto altro che ripristinare il precedente divieto.
L'adito Tribunale di Palermo accoglieva la domanda e dichiarava la nullità della delibera
impugnata.
Tale sentenza era riformata dalla Corte d'appello di Palermo, che sull'impugnazione del
condominio dichiarata la carenza di legittimazione attiva di Rosario Costa, rigettava la
domanda e compensava le spese. Riteneva la Corte territoriale che le limitazioni all'utilizzo
delle unità immobiliari derivavano da un regolamento condominiale di origine contrattuale,
in quanto richiamato negli originari atti d'acquisto delle singole proprietà esclusive. Nè aveva
rilievo la circostanza che tali limitazioni non fossero state inserite nelle note di trascrizione,
la cui funzione di strumento per dirimere un conflitto tra situazioni inconciliabili tra loro era
da escludere.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre I.M., sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso il condominio, che nell'imminenza dell'udienza di discussione ha
depositato memoria.
Motivi della decisione
1. - Il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 1138 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 4 (rectius, n. 3). Sostiene parte ricorrente che la validità della delibera impugnata avrebbe
dovuto essere apprezzata con riferimento al regolamento condominiale vigente all'epoca,
ossia quello approvato il 15.11.1991, non già avendo riguardo a quello originario, ormai
caducato e sostituito da quest'ultimo.
1.1. - Il motivo è inammissibile, sia perchè nella sua genericità non spiega la ragione per
cui l'originario regolamento sarebbe stato caducato e sostituito, sia in quanto propone un
dato di fatto che questa Corte non può accertare. accedendo ad una ricostruzione fattuale
diversa da quella operata nella sentenza impugnata.
2. - Il secondo motivo allega, ancora, la violazione dell'art. 1138 c.c., in relazione all'art. 360
c.c., n. 3, perchè, sostiene parte ricorrente, l'omessa trascrizione del regolamento originano,
sebbene non ne avesse prodotto l'invalidità o l'inefficacia, aveva determinato tuttavia
l'inopponibilità delle clausole limitative ai successivi acquirenti, nei cui atti d'acquisto non era
stato ripetuto analogo richiamo al regolamento.
2.1. - Il motivo è fondato.
Secondo alcune sentenze di questa Corte, le clausole del regolamento condominiale di
natura contrattuale, che può impone limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini
sulle parti di loro esclusiva proprietà purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono
vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla
trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al
richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cass. n. 17886/09. che nello specifico, in cui
una società aveva acquistato tutte le unità immobiliari di un edificio, tranne una, ha ritenuto
che poichè all'atto dell'acquisto essa società aveva dichiarato di "ben conoscere ed accettare"
le pattuizioni condominiali, una delle quali recava il divieto di uso alberghiero, legittimamente
i proprietari della suddetta unità abitativa si fossero opposti a che la società adibisse
l'immobile acquistato ad albergo; conforme, Cass. n. 10523/03).
Altra giurisprudenza precisa anche che la clausola del regolamento di condominio di un edificio
che impone il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini a
determinate attività, ritenute incompatibili con l'interesse comune, traducendosi in una
limitazione delle facoltà inerenti al diritto di proprietà dei singoli condomini, deve essere
approvata all'unanimità e per avere efficacia nei confronti degli aventi causa a titolo
particolare dei condomini deve essere trascritta nei registri immobiliari oppure essere
menzionata ed accettata espressamente nei singoli atti d'acquisto (Cass. n. 6100/93, in
fattispecie di divieto di destinare gli appartamenti a gabinetto odontotecnico).
Altra, ancora, afferma che con il regolamento condominiale possono esser costituiti pesi a
carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre unità abitative, cui
corrisponde il restringimento e l'ampliamento dei poteri dei rispettivi proprietari, o possono
imporsi prestazioni positive a carico dei medesimi e a favore di altri condomini o di soggetti
diversi, ovvero possono limitarsi il godimento o l'esercizio dei diritti del proprietario dell'unità
immobiliare. Nel primo caso è configurabile un diritto di servitù, trascrivibile nei registri
immobiliari; nel secondo un onere reale e nel terzo un'obbligazione propter rem, non
trascrivibile. Il divieto di adibire l'immobile ad una determinata destinazione, ovvero di
esercitarvi determinate attività è inquadrabile in quest'ultimo istituto, e il corrispondente
diritto è prescrittibile se il creditore non lo esercita per il periodo predeterminato dalla legge
(Cass. n. 11684/02).
Infine, si afferma pure nella giurisprudenza di questa Corte che il regolamento di condominio
predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli iniziali
acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che
disciplinano l'uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che
restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, venendo
a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Cass. n. 3749/99; conforme, con riguardo
ad un'ipotesi di supercondominio, Cass. n. 14898/13).
2.2. - Ritiene il Collegio, aderendo a quest'ultima impostazione, che in materia di
regolamento condominiale convenzionale, la previsione ivi contenuta di limiti alla
destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del
diritto di ciascun condomino, debba essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e
non delle obligationes propter rem.
Vi solidarizza l'enfasi, propria del concetto di limite, posta sulla menomazione della possibilità
di godimento, mentre risulta assente il presupposto dell'agere necesse nel soddisfacimento
d'un corrispondente interesse creditorio, che connota invece l'obbligazione anche se avente
ad oggetto un non facere. Incompatibile con lo schema obbligatorio, inoltre, la reciprocità
di tali limiti. Questa, infatti, ove riferita alle obbligazioni comporta che ciascun soggetto del
rapporto assume ad un tempo entrambe le posizioni, debitoria e creditoria, in virtù di una
causa di scambio, la quale, a sua volta, ha ad oggetto delle utilità differenti. Pertanto, non
vi può essere obbligazione reciproca quando ciascuno debba all'altro un eguale speculare a
quello cui questi è tenuto verso di lui.
Non vi osta, invece, il fatto che il vantaggio e lo svantaggio che ne derivano, soddisfacendo
per lo più un interesse inerente alla sfera personale, riguardino più che i fondi coloro che a
qualunque titolo ne godano. Una tale conseguenza non è estranea alle servitù, soprattutto
a quelle negative, in cui l'interferenza d'interessi personali (si pensi alla servitù inaedificandi
o altius non tollendi) non fa venir meno la sequela e, dunque, la realità del peso.
Ricondotta alla servitù, l'opponibilità ai terzi acquirenti dei limiti alla destinazione delle
proprietà esclusive in ambito condominiale va regolata secondo le norme proprie di questa,
e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso. A tal fine non è sufficiente
indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo, ma, ai sensi dell'art. 2659 c.c.,
comma 1, n. 2, e art. 2665 c.c., occorre indicarne le specifiche clausole limitative (Cass. nn.
17493/14 e 7515/86).
Fermo restando - è chiaro - che anche in assenza di trascrizione quest'ultimo può valere nei
confronti del terzo acquirente, il quale ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo
contratto d'acquisto. E salvo precisare che, in tal caso, tecnicamente neppure si pone una
questione di opponibilità.
2.3. - Pertanto, erroneamente la Corte territoriale non ha dato rilievo alla trascrizione sul
non dirimente presupposto della natura contrattuale del regolamento, evidentemente
confidando nella natura obbligatoria ob rem dei limiti di destinazione da esso imposti alle
proprietà esclusive dei condomini.
3. - La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio, anche per le spese di
cassazione, ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo, che nel decidere il merito si
atterrà al seguente principio di diritto: "la previsione contenuta in un regolamento
condominiale convenzionale di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo
non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, deve essere ricondotta
alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem, non configurandosi
in tal caso il presupposto dell'agere necesse nel soddisfacimento d'un corrispondente
interesse creditorio. Pertanto, l'opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo
le norme proprie della servitù, e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso,
indicando nella nota di trascrizione, ai sensi dell'art. 2659 c.c., comma 1, n. 2, e art. 2665
c.c., le specifiche clausole limitative, non essendo invece sufficiente il generico rinvio al
regolamento condominiale".
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata
con rinvio, anche per le spese di cassazione, ad altra sezione della Corte d'appello di
Palermo.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte
Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2016