Salve, mi chiamo Hayat Hamid

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Transcript Salve, mi chiamo Hayat Hamid

Salve, mi chiamo Hayat Hamid
«Ciao, mi chiamo Hayat Hamid, ho 35 anni e vengo dalla Siria.»
«Vivevo con mio marito Fouad, i miei due figli e mia suocera Rima
in un bell'appartamento a Homs.»
«Insegnavo in una scuola elementare del quartiere, dove anche
mia figlia Leilah frequentava la seconda classe. A mezzogiorno
pranzavamo a casa. Rima sapeva preparare il miglior tisqiye, un
piatto a base di ceci.»
«Il mattino presto, prima che cominciasse la lezione, mi godevo la
quiete dell'aula. Una classe di 30 bambine può essere molto
rumorosa! Ma era bello vedere quanta voglia avessero di
imparare le mie scolare.»
«Di venerdì ci riunivamo spesso per fare una scampagnata.
Quando venivano tutti i parenti potevamo essere anche in 40.»
L'evento che ha scatenato la guerra civile è stata una protesta
pacifica contro il Governo siriano, che ha preso forma all’inizio
2011 nell’ambito della primavera araba.
La protesta è degenerata rapidamente in un conflitto armato.
«La città di Homs ha subito fin dall'inizio intensi bombardamenti.
Alcuni quartieri sono stati completamente distrutti.»
«Ieri è stata bombardata una casa qui vicino, per fortuna in quel
momento non c'era nessuno.
A quanto pare l'obiettivo erano alcuni uomini politicamente attivi
che da alcuni giorni si trovano nel nostro quartiere.»
«Ho paura che ci associno a questa gente e ci attacchino. Qui non
mi sento più al sicuro per cui devo scappare con i bambini e con
Rima.
Fouad rimane: si prenderà cura della casa e dei nostri averi.»
Non dimenticate di portare con voi il diario di una persona in fuga
per continuare la visita.
Salve, mi chiamo Mohammed Abdulla
«Salve, mi chiamo Mohammed Abdulla. Ho 34 anni e vengo dalla
Siria. Sono sposato con Batoul. Abbiamo due figli, Walid e Amina.»
«Vivevamo a Homs. Prima che scoppiasse la guerra Homs era una
fiorente cittadina. »
Avevamo una casa e vivevamo dignitosamente.»
«Durante una manifestazione pacifica contro il Governo siriano
sono stato arrestato da forze dell’ordine armate e trascinato in
prigione. »
«Mi hanno percosso e umiliato per giorni e giorni. Di notte
venivano più volte nella mia cella e mi rovesciavano un secchio
d’acqua in testa. È stato un vero inferno. Quel periodo mi ha
distrutto moralmente.»
«La sporcizia, le percosse e le umiliazioni erano insopportabili.
Avevo paura di impazzire.»
«In Siria la guerra civile è scoppiata nel 2011 dopo che il Governo
ha soffocato con la forza le manifestazioni per la democrazia.»
«La città di Homs ha subito fin dall’inizio intensi bombardamenti.
Alcuni quartieri sono stati completamente distrutti.»
«Finalmente oggi mi hanno rilasciato visto che non hanno trovato
prove contro di me. Ma qui non mi sento più al sicuro, voglio solo
andarmene dalla Siria!»
Non dimenticate di portare con voi il diario di una persona in fuga
per continuare la visita.
Salve, mi chiamo Abdi Farah
«Ciao, mi chiamo Abdi Farah. Ho circa 50 anni e vengo dalla
Somalia.»
«Laggiù vivevo con mia moglie e i nostri tre figli in un villaggio nei
pressi di Baraave nel Basso Scebeli, una regione della Somalia
meridionale. Di notte potevo sentire il fragore del mare.»
«Già da bambino ho iniziato a lavorare come pescatore sulla costa
somala, una delle più pescose del mondo.»
«Mia moglie portava al pascolo un paio di capre. La sera ci
ritrovavamo per parlare, raccontarci delle storie e a volte
cantare.»
«Un giorno il gruppo terrorista Al Shabaab ha attaccato il nostro
villaggio e nello scontro è morto il nostro figlio maggiore.
Temendo per la nostra vita siamo fuggiti e ci siamo rifugiati da
alcuni conoscenti. Ora che la costa è occupata dagli uomini di Al
Shabaab non posso più pescare e non so come nutrire i miei cari.»
«In cerca di un nuovo lavoro ci siamo diretti a Merca. Poco dopo
mia moglie è morta dando alla luce il nostro quarto figlio. Non è
stato possibile salvarla dalle complicazioni del parto. Non ce l'ha
fatta neppure il bambino.»
Per vent'anni la popolazione della Somalia ha subito le
ripercussioni della guerra civile scoppiata nel 1991.
Dall'insediamento del nuovo Governo, nel 2012, grazie agli aiuti
internazionali il Paese si sta lentamente stabilizzando, anche se il
gruppo terrorista Al-Shabaab, alleato di Al-Quaeda, continua ad
attaccare la popolazione.
«Nel 2011, quando il nostro Paese è stato colpito da una grave
siccità e carestia, non avevamo cibo a sufficienza e l'acqua era
pochissima. Nella speranza di una vita migliore siamo fuggiti di
nuovo, questa volta a Mogadiscio.»
«L'insediamento dove vivo da quasi un anno verrà smantellato. I
proprietari del terreno non ci tollerano più. Me ne devo andare e
non so dove. È già la terza volta che sono costretto a fuggire.»
Non dimenticate di portare con voi il diario di una persona in fuga
per continuare la visita.
Salve, mi chiamo Malaika Awuor Deng Garang
«Ciao, mi chiamo Malaika Awuor Deng Garang. Ho 16 anni e
vengo dal Sudan del Sud.»
«Vivevo con i miei genitori e quattro fratelli in un villaggio ai
margini del Sudd – una regione paludosa nel Nord del Paese. La
mia famiglia appartiene al gruppo etnico dei Dinka.»
«Mio padre aveva delle mucche e mia madre si occupava di un
paio di capre.»
«Mia mamma arrotondava le entrate della famiglia vendendo
birra di miglio fatta in casa al mercato settimanale. A volte potevo
accompagnarla e un giorno ho anche assaggiato la birra di
nascosto.»
«Un giorno i soldati hanno attaccato il nostro villaggio e ucciso i
miei genitori e due miei fratelli.»
«Io sono riuscita a fuggire nella boscaglia con i miei due fratelli più
piccoli e adesso, essendo la maggiore, sono io la capofamiglia.»
Nel 2013 nel Sudan del Sud è scoppiata la guerra civile per
conquistare la guida politica del Paese. Atti di violenza vengono
perpetrati ai danni di determinati gruppi etnici. Di conseguenza
2,5 milioni di persone – l'equivalente di un terzo della popolazione
svizzera – sono in fuga.
«Ieri, mentre stavo cercando legna per il fuoco, i soldati sono
arrivati fino al nostro nascondiglio. Quando sono tornata, i miei
fratellini erano già svaniti nel nulla.»
«Dopo averli cercati invano ho capito che erano stati rapiti.
Adesso vivo nel terrore che i soldati tornino a prendere anche me,
così ho deciso di unirmi a un gruppo di giovani in cammino verso il
Kenia. »
Non dimenticate di portare con voi il diario di una persona in fuga
prima di continuare la visita.
Salve, mi chiamo Aziz Poladi Deng Garang
«Ciao, mi chiamo Aziz Poladi. Sono nato in Afghanistan nel 1984.»
«Vivevo con i miei genitori e una sorella a Bamiyan, nella zona
centrale del Paese. Apparteniamo al gruppo etnico degli Hazara.»
«Mio padre gestiva un negozietto di alimentari e noi abitavamo
proprio lì di sopra.»
«Poi i Talebani hanno preso il potere. Erano molto religiosi e rigidi.
Hanno imposto agli uomini di portare la barba e vietato musica,
televisione, cinema e sport.
«I Talebani punivano severamente chi non rispettava le loro
regole, a volte anche con impiccagioni pubbliche.»
Dalla fine degli anni 1970 in Afghanistan i conflitti armati si
susseguono senza tregua.
«A un certo punto non potevamo più sopportare questa violenza
continua, la paura degli attentati e l’insicurezza. Abbiamo venduto
tutti i nostri averi e siamo scappati a Kabul.»
Non dimenticate di portare con voi il diario di una persona in fuga
per continuare la visita.